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Forma dello Stato e sottosviluppo nel Mezzogiorno italiano

Forma dello Stato e sottosviluppo nel Mezzogiorno italiano

Ripor­tia­mo di segui­to un post di Machi­na che tra­scri­ve alcu­ne pagi­ne del­l’e­di­zio­ne di Sta­to e sot­to­svi­lup­po. Il caso del Mez­zo­gior­no ita­lia­no, scrit­to nel 1972 da Lucia­no Fer­ra­ri Bra­vo e Ales­san­dro Sera­fi­ni. Varie sono sta­te le edi­zio­ni stam­pa­te (in foto ripor­tia­mo la coper­ti­na del­la pri­ma edi­zio­ne) men­tre il testo fa rife­ri­men­to all’e­di­zio­ne del 2007 per i tipi di Ombre Corte.

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Per con­ti­nua­re a riflet­te­re sul­la frat­tu­ra inter­na che segna la sto­ria del pae­se e inter­ro­ga­re le ragio­ni sto­ri­che e poli­ti­che del «sot­to­svi­lup­po» e del­la raz­zia­liz­za­zio­ne del Mez­zo­gior­no ita­lia­no, il testo di Lucia­no Fer­ra­ri Bra­vo che qui pro­po­nia­mo è un clas­si­co irri­nun­cia­bi­le. Nell’introdurre Sta­to e sot­to­svi­lup­po. Il caso del Mez­zo­gior­no ita­lia­no, scrit­to nel 1972 insie­me ad Ales­san­dro Sera­fi­ni (ripub­bli­ca­to da ombre cor­te nel 2007) [1], guar­da all’intervento del­lo Sta­to nel­le regio­ni del Sud tra gli anni Cin­quan­ta e Ses­san­ta e pro­po­ne il «gover­no del sot­to­svi­lup­po», o meglio del rap­por­to tra svi­lup­po e sot­to­svi­lup­po, come chia­ve inter­pre­ta­ti­va del diva­rio tra il Nord e i mol­ti e diver­si Sud d’Italia.

Lo scrit­to, che pone in ter­mi­ni nuo­vi la «que­stio­ne meri­dio­na­le», offre un pun­to di vista irri­du­ci­bil­men­te anta­go­ni­sta che spiaz­za l’ideologia «rifor­mi­sti­co-repres­si­va» del meri­dio­na­li­smo clas­si­co e dell’inte­gra­zio­ne del Mez­zo­gior­no affi­da­ta «alla for­za dei rap­por­ti di pro­du­zio­ne “moder­ni”». Per que­sta sua natu­ra, ha for­ni­to un’importante fon­te di ispi­ra­zio­ne alle lot­te per il cam­bia­men­to socia­le negli anni Set­tan­ta, al Nord come al Sud (si veda in pro­po­si­to il Pri­mo Volu­me sull’Autonomia meri­dio­na­le, in usci­ta per Deri­ve Appro­di), e con­ti­nua a offri­re impor­tan­ti spun­ti cri­ti­ci per leg­ge­re il pre­sen­te; per deci­fra­re ad esem­pio il gover­no del sot­to­svi­lup­po nel Pia­no nazio­na­le di rina­sci­ta e resi­lien­za (Pnrr).

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Ponia­mo imme­dia­ta­men­te, in sede pre­li­mi­na­re, alcu­ne que­stio­ni gene­ra­li di impo­sta­zio­ne. In pri­mo luo­go se esi­sta oggi, alle soglie degli anni Set­tan­ta, una real­tà del Mez­zo­gior­no – un «ogget­to», se si vuo­le, del­la que­stio­ne meri­dio­na­le [2] – che sia omo­ge­neo a quel­lo sot­te­so non sol­tan­to al dibat­ti­to (alle mol­te­pli­ci linee inter­pre­ta­ti­ve del­la dina­mi­ca del Sud con­cre­sciu­te ormai da un seco­lo) ma soprat­tut­to a quell’iniziativa sta­tua­le che si svi­lup­pa a par­ti­re dagli anni Cin­quan­ta – e che costi­tui­sce il ter­mi­ne a quo del nostro discor­so. In secon­do luo­go e in caso di rispo­sta nega­ti­va, se sia cor­ret­to «impu­ta­re» il nuo­vo asset­to meri­dio­na­le a quell’iniziativa, se sia legit­ti­mo assu­me­re, come ele­men­to acqui­si­to a gran­di linee, un gene­ra­le rap­por­to di «cau­sa­li­tà» tra quel­la e que­sto. Infi­ne, in caso posi­ti­vo, qua­li sia­no le qua­li­fi­ca­zio­ni spe­ci­fi­che che, quan­to meno in pri­ma appros­si­ma­zio­ne, van­no attri­bui­te alle «scel­te» del ’50, e dun­que al rap­por­to atti­vo e rea­le tra quel­le scel­te e lo svi­lup­po successivo.

«Dopo vent’anni di svi­lup­po eco­no­mi­co nazio­na­le, di inter­ven­to straor­di­na­rio e di emi­gra­zio­ne, il Mez­zo­gior­no è pro­fon­da­men­te diver­so da quel­lo che era all’indomani del­la secon­da guer­ra mon­dia­le». Così, se è vero che sul­la gra­vi­tà del pro­ble­ma meri­dio­na­le esi­ste oggi «con­cor­dan­za di giu­di­zi, final­men­te rag­giun­ta dopo oltre un seco­lo di vita uni­ta­ria del pae­se» [3] – come sostie­ne uno dei mas­si­mi meri­dio­na­li­sti ita­lia­ni – è vero anche, para­dos­sal­men­te, che que­sta con­cor­dan­za for­ma­le (ma in que­sto sen­so essa è pro­ba­bil­men­te sem­pre esi­sti­ta) soprag­giun­ge quan­do tut­ti i ter­mi­ni tra­di­zio­na­li, seco­la­ri appun­to, del pro­ble­ma sono dive­nu­ti qua­li­ta­ti­va­men­te diversi.

Cos’è dun­que muta­to nel Sud? Pro­prio le sca­den­ze che matu­ra­no nel pas­sag­gio agli anni Set­tan­ta (in par­ti­co­la­re, l’apprestamento del nuo­vo pia­no eco­no­mi­co nazio­na­le, l’approvazione del­la nuo­va leg­ge di rifi­nan­zia­men­to dell’intervento straor­di­na­rio) ven­go­no for­nen­do la neces­sa­ria base ana­li­ti­ca per uno sguar­do d’insieme [4]. Ma, per quel­lo che ora ci inte­res­sa, il qua­dro è già suf­fi­cien­te­men­te deli­nea­to, e un’elementare ope­ra­zio­ne di «sovrap­po­si­zio­ne» a quel­lo di vent’anni or sono ci può con­sen­ti­re un ini­zio di rispo­sta al pri­mo que­si­to che ci si è posti. Dia­mo dap­pri­ma uno sguar­do ai dati «strut­tu­ra­li» più rile­van­ti: una espan­sio­ne del red­di­to che lo ha con­dot­to qua­si a tri­pli­car­si in vent’anni, con un aumen­to annuo medio del 5 per cen­to; una strut­tu­ra dell’occupazione per set­to­ri che ha visto quel­la extra agri­co­la aumen­ta­re del 60 per cen­to (da 2,5 a 4 milio­ni); un incre­men­to del­la pro­du­zio­ne agri­co­la del 2,8 per cen­to annuo che, cal­co­la­ta per addet­to, rag­giun­ge, a cau­sa dell’esodo, il 5 per cen­to; l’esistenza ormai con­so­li­da­ta di alcu­ne aree varia­men­te indu­stria­liz­za­te su tut­to il ter­ri­to­rio meri­dio­na­le e di un siste­ma di «incen­ti­vi» e di stru­men­ti isti­tu­zio­na­li per gui­dar­ne l’ulteriore espan­sio­ne; l’acquisizione di un’ampia rete infra­strut­tu­ra­le – acque­dot­ti, stra­de, boni­fi­che e irri­ga­zio­ni, ser­vi­zi civi­li – che per alcu­ni aspet­ti, in par­ti­co­la­re per effet­to del­la via­bi­li­tà stra­da­le, ha effet­ti­va­men­te «rivo­lu­zio­na­to» il pae­sag­gio socia­le meri­dio­na­le [5]. A cosa si potreb­be arri­va­re, con­ti­nuan­do que­sto schiz­zo? All’apologetica di una pre­sun­ta fine del­la que­stio­ne meri­dio­na­le per estin­zio­ne pura e sem­pli­ce dell’arretratezza, del sot­to­svi­lup­po che l’ha deter­mi­na­ta? [6] No cer­ta­men­te. Non sol­tan­to è vero che a ognu­na del­le serie di dati all’attivo cor­ri­spon­do­no serie di dati al pas­si­vo, che alle «luci» cor­ri­spon­do­no le «ombre»: tra quel­li ricor­da­ti è suf­fi­cien­te anno­ta­re che l’aumento dell’occupazione extra agri­co­la nel ven­ten­nio si com­po­ne per la metà di occu­pa­zio­ne nei ser­vi­zi (di cui il 14 per cen­to per la P.A.), ben il 31 per cen­to nell’edilizia e il 13 per cen­to sol­tan­to in atti­vi­tà indu­stria­li mani­fat­tu­rie­re; ma soprat­tut­to che, qual­sia­si ridu­zio­ne si ope­ri dei tra­di­zio­na­li orien­ta­men­ti in tema di que­stio­ne meri­dio­na­le – vuoi a un’impostazione pere­qua­ti­va in ter­mi­ni di indi­ci di red­di­to (con­su­mi pri­va­ti e pub­bli­ci, vita civi­le, moder­niz­za­zio­ne di strut­tu­re socia­li ecc.) vuoi, più moder­na­men­te, alla neces­si­tà di dar luo­go nel Sud a un auto­no­mo mec­ca­ni­smo di svi­lup­po (uno svi­lup­po self-sustai­ning) – essa sem­bra man­te­ne­re tut­te le pro­prie ragio­ni. Il diva­rio tra Nord e Sud è cre­sciu­to anzi­ché dimi­nui­re: l’arretratezza rela­ti­va si è per­ciò appro­fon­di­ta; men­tre nes­sun auto­no­mo pro­ces­so di svi­lup­po sem­bra a tutt’oggi con­cre­ta­men­te individuabile[7].

Tut­ta­via, il per­ma­ne­re di tale situa­zio­ne di «dipen­den­za», in pre­sen­za però, que­sta vol­ta, di un insie­me di fat­ti isti­tu­zio­na­li e di pro­ces­si eco­no­mi­ci strut­tu­ra­li di gran­de rilie­vo accu­mu­la­ti­si pro­prio in que­sto ven­ten­nio, con­sen­te alla rifles­sio­ne più avver­ti­ta di coglie­re, maga­ri da oppo­sti pun­ti di vista, alcu­ni ele­men­ti qua­li­ta­ti­va­men­te nuo­vi, tali da spo­sta­re l’intera tra­ma del­la que­stio­ne meridionale.

Il pri­mo è il pas­sag­gio dell’economia e dell’intera socie­tà meri­dio­na­le da un rap­por­to di «sepa­ra­zio­ne» a uno di «inte­gra­zio­ne» rispet­to al com­ples­so dell’economia nazio­na­le (ed inter­na­zio­na­le). Inte­gra­zio­ne non signi­fi­ca costi­tuir­si nel Sud di una strut­tu­ra eco­no­mi­ca iden­ti­ca o simi­le a quel­la set­ten­trio­na­le; al con­tra­rio, come essa si è venu­ta rea­liz­zan­do, nel­la pri­ma fase del pro­ces­so, prin­ci­pal­men­te sul fon­da­men­to mate­ria­le più «subor­di­na­to» pos­si­bi­le, cioè median­te il con­tri­bu­to del­le migra­zio­ni inter­ne all’approvvigionamento di for­za-lavo­ro per lo svi­lup­po, così, nel­la vicen­da suc­ces­si­va e, pre­ve­di­bil­men­te, in quel­la futu­ra, essa pro­ce­de con­ti­nuan­do a rife­rir­si alle risor­se eco­no­mi­che e poli­ti­che del Sud in quan­to area sot­to­svi­lup­pa­ta – all’arretratezza come risor­sa del­lo svi­lup­po. Su que­sta base, allo­ra, inte­gra­zio­ne signi­fi­ca, in pri­mo luo­go, il pro­gres­si­vo tra­scor­re­re del rap­por­to tra Nord e Sud, tra svi­lup­po e sot­to­svi­lup­po, da rap­por­to ester­no – per il qua­le, maga­ri scor­ret­ta­men­te, ma signi­fi­ca­ti­va­men­te è sta­to tan­to spes­so evo­ca­to il fan­ta­sma del­la rapi­na colo­nia­le – a rap­por­to inter­no allo svi­lup­po: in que­sto sen­so, al di là dell’unificazione poli­ti­co-ammi­ni­stra­ti­va ormai seco­la­re, al di là dell’unificazione del «mer­ca­to», l’interiorizzazione del­la fun­zio­ne del Sud nel­lo svi­lup­po rea­liz­za­ta­si in manie­ra sem­pre più defi­ni­ti­va in que­sti vent’anni vuo­le rap­pre­sen­ta­re l’avvenuta uni­fi­ca­zio­ne «capi­ta­li­sti­ca» del pae­se nel suo sen­so più pro­prio di domi­nio tota­liz­zan­te di uno spe­ci­fi­co rap­por­to socia­le e poli­ti­co; e, in secon­do luo­go, signi­fi­ca la sem­pre mag­gior irri­le­van­za, sia in ter­mi­ni di inter­pre­ta­zio­ne del feno­me­no che di inter­ven­to su di esso, del rap­por­to «dua­li­sti­co» in quan­to tale, tra le due par­ti del pae­se, rispet­to alla cre­scen­te inter­na­zio­na­liz­za­zio­ne del­la vita eco­no­mi­ca (e non solo eco­no­mi­ca) per aree più vaste, nei con­fron­ti del­le qua­li una depres­sio­ne come quel­la meri­dio­na­le si rap­pre­sen­ta non come «lato» di un rap­por­to dua­le ma sem­mai come «ango­lo» attar­da­to, accan­to ad altri, di un siste­ma eco­no­mi­co più lar­go e, appun­to, inte­gra­to. Ele­men­ti socio­lo­gi­ci, e in defi­ni­ti­va poli­ti­ci, si intrec­cia­no neces­sa­ria­men­te, entro il pun­to di vista illu­stra­to, con quel­li stret­ta­men­te eco­no­mi­ci: ecco così, da un lato, l’accentuazione dei feno­me­ni di rot­tu­ra di vec­chie bar­rie­re, a livel­lo del­la socie­tà civi­le, tra le due par­ti del pae­se – cir­co­la­zio­ne di model­li di «con­su­mo» con rela­ti­vi effet­ti di dimo­stra­zio­ne e via dicen­do –; e la rile­va­zio­ne, dall’altro – che è costi­tu­ti­va in que­sto tipo di giu­di­zio, – del for­mar­si, all’interno dell’area meri­dio­na­le, del­le con­di­zio­ni con­cre­te per una fuo­riu­sci­ta defi­ni­ti­va dal­lo sta­to di arre­tra­tez­za sta­gnan­te – il pro­ces­so di take-off è effet­ti­va­men­te ini­zia­to nel Mez­zo­gior­no, a par­ti­re dal 1950 (e basti per ora accen­na­re al dop­pio rap­por­to che lega pro­prio l’alleggerimento del­la «sovrap­po­po­la­zio­ne» meri­dio­na­le alla ristrut­tu­ra­zio­ne dell’agricoltura e all’assorbimento di for­za-lavo­ro nei set­to­ri extra agri­co­li in loco)[8].

In secon­do luo­go, dun­que, pro­prio in con­co­mi­tan­za di que­sto pro­ces­so di inte­gra­zio­ne – pro­ces­so, si badi, che è avve­nu­to sì gra­zie al fun­zio­na­men­to com­ples­si­vo del Sud come sac­ca di riser­va di mano­do­pe­ra, ma si è pro­dot­to per mez­zo di una serie di inter­ven­ti mate­ria­li, in pri­mo luo­go, come vedre­mo, attra­ver­so l’intervento del­lo Sta­to a dota­re il Sud di infra­strut­tu­re, a inci­de­re sull’assetto dei rap­por­ti agra­ri, a deli­nea­re in manie­ra ormai irre­ver­si­bi­le i pun­ti d’attacco dell’industrializzazione meri­dio­na­le –, il «dua­li­smo», anzi la vera e pro­pria con­trap­po­si­zio­ne fron­ta­le tra aree svi­lup­pa­te e aree del sot­to­svi­lup­po si sono fat­ti inter­ni al Sud – si sono pian­ta­ti come carat­te­ri­sti­ca oggi domi­nan­te dell’intera situa­zio­ne meri­dio­na­le. Il Mez­zo­gior­no come area com­ples­si­va­men­te omo­ge­nea nel­la sua arre­tra­tez­za (sal­vo ridot­tis­si­me zone sen­za rilie­vo gene­ra­le) non esi­ste vera­men­te più[9].

Pro­ces­so di inte­gra­zio­ne capi­ta­li­sti­ca; «nuo­va geo­gra­fia» del Mez­zo­gior­no: l’acquisizione di que­sti soli ele­men­ti con­sen­te già una rispo­sta alla pri­ma doman­da. Si trat­ta infat­ti dei dati costi­tu­ti­vi ulti­mi del «pro­ble­ma» meri­dio­na­le – le «due Ita­lie»; la depres­sio­ne com­ples­si­va del Sud in uno sta­dio ante­rio­re le pos­si­bi­li­tà stes­se del decol­lo. Muta­ti que­sti, il «sen­so» stes­so del­la ripro­po­si­zio­ne del­la que­stio­ne, nel­la sua fisio­no­mia tra­di­zio­na­le, sto­ri­ca­men­te con­so­li­da­ta, deve muta­re – ammes­so che essa pos­sa anco­ra esse­re legit­ti­ma­men­te ripro­po­sta. Ma se que­sto è vero, se le gran­di linee gene­ra­li che defi­ni­sco­no, even­tual­men­te, i «nuo­vi ter­mi­ni» del­la que­stio­ne meri­dio­na­le sono quel­le indi­ca­te, anche il secon­do que­si­to può già rice­ve­re, limi­nar­men­te, una rispo­sta posi­ti­va. Una «impu­ta­zio­ne» allo sta­to di que­sto tipo di risul­ta­ti è pos­si­bi­le, ed è del resto paci­fi­ca, per la sem­pli­ce ragio­ne che tut­ti i prin­ci­pa­li pas­sag­gi mate­ria­li e sto­ri­ci che con­du­co­no a quel­le tra­sfor­ma­zio­ni e le carat­te­riz­za­no – dislo­ca­zio­ne del ruo­lo dell’agricoltura meri­dio­na­le e nuo­vo pae­sag­gio agri­co­lo; strut­tu­ra pola­riz­za­ta dell’industrializzazione meri­dio­na­le e via dicen­do – han­no costi­tui­to via via ogget­to spe­ci­fi­co dell’intervento. Il ’50 è ter­mi­ne a quo del «decol­lo» capi­ta­li­sti­co del Mez­zo­gior­no e lo è di una nuo­va fase sto­ri­ca d’intervento da par­te del­lo Sta­to – è paci­fi­co che que­sta non è una mera coin­ci­den­za cro­no­lo­gi­ca. Cer­to, ciò non signi­fi­ca asso­lu­ta­men­te che sia pos­si­bi­le pro­iet­ta­re all’indietro chis­sà qua­le per­fet­ta con­sa­pe­vo­lez­za degli esi­ti sto­ri­ca­men­te accer­ta­bi­li del pro­ces­so, né che sia pos­si­bi­le assu­me­re, a prio­ri, una per­fet­ta coin­ci­den­za tra que­sti esi­ti e i «pro­get­ti» poli­ti­ci che quell’intervento han­no via via sostenuto[10]. E non è nep­pu­re neces­sa­rio: il gra­do di rispon­den­za tra gli uni e gli altri è appun­to il pro­ble­ma del­la ricer­ca, che va assun­to in tut­ta la sua aper­tu­ra (e in tut­ta la sua dia­let­ti­ci­tà: poi­ché anche il non-inter­ven­to, e ogni for­ma nega­ti­va o inef­fi­ca­ce di esso, con­fi­gu­ra un’ipotesi di «impu­ta­zio­ne» all’interno di una for­ma di Sta­to che si defi­ni­sce com­ples­si­va­men­te come Sta­to «responsabile»)[11].

Come qua­li­fi­ca­re, infi­ne (è il nostro ulti­mo que­si­to) que­sta «svol­ta» del ’50, ed in par­ti­co­la­re il ruo­lo cen­tra­le del­lo Sta­to che in essa si evi­den­zia? Que­sto ulte­rio­re avvi­ci­na­men­to al nucleo tema­ti­co fon­da­men­ta­le del­la ricer­ca deve ser­vi­re non tan­to a un’inutile anti­ci­pa­zio­ne dei suoi even­tua­li risul­ta­ti, quan­to a defi­ni­re i ter­mi­ni gene­ra­li, anche meto­do­lo­gi­ci, d’impostazione.

Ruo­lo del­lo Sta­to, s’è det­to. Esso si pre­sen­ta senz’altro, a par­ti­re dal ’50 per la pri­ma vol­ta, come sog­get­to di defi­ni­zio­ne del­la glo­ba­li­tà del pro­ble­ma meri­dio­na­le, di deter­mi­na­zio­ne di un pro­get­to gene­ra­le di svi­lup­po, di costru­zio­ne e gestio­ne del rela­ti­vo pro­ces­so. Si pre­sen­ta, in una paro­la, come Stato-pia­no. Pia­ni­fi­ca­zio­ne e sot­to­svi­lup­po: la com­ple­men­ta­rie­tà di que­sti due ter­mi­ni appa­re intui­ti­va, e suf­fra­ga­ta empi­ri­ca­men­te e sto­ri­ca­men­te dal «trat­ta­men­to» dell’arretratezza a livel­lo mondiale[12]. Tan­ta è la «ovvie­tà» del rap­por­to che esso si rap­pre­sen­ta dap­pri­ma come esclu­si­vo, biu­ni­vo­co: lo svi­lup­po è qui l’orizzonte e lo sco­po stes­so del pro­ces­so; esso è pre­sen­te dap­pri­ma solo nega­ti­va­men­te, come assen­za non più sop­por­ta­bi­le – al limi­te, la sua con­qui­sta sop­pri­me il rap­por­to: l’«uscita» dal sot­to­svi­lup­po può ren­de­re inu­ti­le il piano[13]. Que­sta ideo­lo­gia ini­zia­le, così impor­tan­te pra­ti­ca­men­te sul pia­no mon­dia­le, seb­be­ne dura a mori­re, oggi non reg­ge più. La «for­ma» del­lo Sta­to-pia­no è man mano dive­nu­ta – entro «isti­tu­zio­ni poli­ti­che» e costel­la­zio­ni di valo­ri diver­se, è appe­na il caso di dir­lo – la for­ma gene­ra­le del­lo Sta­to con­tem­po­ra­neo, anche e soprat­tut­to lad­do­ve lo svi­lup­po «c’è». L’interesse del «caso ita­lia­no» è pro­prio questo[14], pur con tut­te le cau­te­le ed i limi­ti a ogni disin­vol­ta gene­ra­liz­za­zio­ne che deri­va­no appun­to dal­la sua par­ti­co­la­ri­tà di cumu­la­re, entro un rap­por­to che si vuo­le «dua­li­sti­co», la dina­mi­ca del­lo svi­lup­po e quel­la dell’arretratezza: che in un’area rela­ti­va­men­te ristret­ta e in un arco di tem­po limi­ta­to è pos­si­bi­le segui­re il pas­sag­gio del­lo Sta­to, come Sta­to-pia­no, da un rap­por­to «esclu­si­vo» col sot­to­svi­lup­po a una dimen­sio­ne com­ples­si­va: dal sot­to­svi­lup­po allo svi­lup­po, o meglio, come vedre­mo, al gover­no del loro rap­por­to. E all’interno di que­sta vicen­da ogni ideo­lo­gia che imma­gi­ni anco­ra lo svi­lup­po come spon­ta­nei­tà del pro­ces­so deve neces­sa­ria­men­te venir meno, come, cor­ri­spet­ti­va­men­te, deve cade­re ogni nostal­gia di un’«economia» sepa­ra­ta dal­lo Stato.

Ciò che però impor­ta, ora, non è tan­to segui­re la dire­zio­ne del­la vicen­da, che è suf­fi­cien­te­men­te chia­ra, in tut­ta l’articolazione dei suoi pas­sag­gi. Al di là di una rico­stru­zio­ne con­chiu­sa, ina­de­gua­ta oltre­tut­to a un pro­ces­so come quel­lo del­lo svi­lup­po meri­dio­na­le che si pre­sen­ta oggi di nuo­vo pale­se­men­te in una fase di pas­sag­gio, ciò che qui inte­res­sa è fis­sa­re il sen­so e la fun­zio­ne rispet­ti­va dei ter­mi­ni gene­ra­li dell’analisi, sul ter­re­no, se si vuo­le, del­la «scien­za poli­ti­ca» – per quel che ci riguar­da, sul ter­re­no di una defi­ni­zio­ne poli­ti­ca di svi­lup­po e sot­to­svi­lup­po e di una defi­ni­zio­ne poli­ti­ca di pia­no. Tale è il pun­to di vista che assu­mia­mo: defi­nia­mo, allo­ra, lo svi­lup­po come nient’altro che un pro­ces­so di con­qui­sta e ride­fi­ni­zio­ne con­ti­nue di un rap­por­to di for­za poli­ti­co tra le clas­si, il pia­no come for­ma neces­sa­ria di que­sto pro­ces­so a cer­ti livel­li di matu­ri­tà del­la pro­du­zio­ne capi­ta­li­sti­ca e, d’altra par­te, il sot­to­svi­lup­po, l’arretratezza sì come «disgre­ga­zio­ne», ma come disgre­ga­zio­ne del­le stes­se pos­si­bi­li­tà mate­ria­li di un attac­co poli­ti­co pro­le­ta­rio al rap­por­to di clas­se fondamentale.

Quan­to que­sto approc­cio – che appun­to per­ciò anda­va dichia­ra­to pre­li­mi­nar­men­te – diver­ga da quel­lo asso­lu­ta­men­te domi­nan­te nel­la let­te­ra­tu­ra del­lo svi­lup­po è fin trop­po ovvio. «Defi­nia­mo lo svi­lup­po eco­no­mi­co come l’incremento nel tem­po del pro­dot­to pro capi­te dei beni mate­ria­li» [15]: que­sta cita­zio­ne che tra­ia­mo a bel­la posta da un libro, ormai «clas­si­co», di Paul Baran, è un tipi­co pun­to di par­ten­za che acco­mu­na e costrin­ge sul­lo stes­so ter­re­no scien­za «bor­ghe­se» e scien­za «mar­xi­sta». Que­sta è costret­ta a recu­pe­ra­re nel­la figu­ra di «ragio­ne ogget­ti­va» un cri­te­rio di orien­ta­men­to e di giu­di­zio nel­lo scar­to tra svi­lup­po rea­le e svi­lup­po «pos­si­bi­le» (o poten­zia­le), a fon­da­re aper­ta­men­te sull’ideologia – e su quel­la più disin­car­na­ta dal­la rea­le vicen­da del­la lot­ta tra le clas­si – l’intero ragionamento[16]. Quel­la è con­dot­ta a svol­ge­re la sua nor­ma­le fun­zio­ne di soste­gno teo­ri­co-pra­ti­co al pro­ces­so che dovreb­be inda­ga­re, onde la vigen­za espli­ci­ta pres­so di essa del pun­to di vista capi­ta­li­sti­co per cui l’arretratezza è sol­tan­to la fase «pre­li­mi­na­re» del­lo svi­lup­po non le impe­di­sce di accu­ra­ta­men­te regi­stra­re – come mostra­no le sue oscil­la­zio­ni tra livel­li di squi­li­brio «noci­vi» e for­me di squi­li­brio «uti­li» – il com­ples­so e con­trad­dit­to­rio movi­men­to per cui il sot­to­svi­lup­po è un limi­te allo svi­lup­po e per ragio­ni inter­ne a esso va con­qui­sta­to all’area dei rap­por­ti diret­ta­men­te capi­ta­li­sti­ci, ma insie­me costi­tui­sce una con­di­zio­ne di rilan­cio, poli­ti­ca ed eco­no­mi­ca, che va man­te­nu­ta e con­ti­nua­men­te rico­sti­tui­ta. Da que­sto stes­so pun­to di vista, per­ciò – espres­sio­ne ideo­lo­gi­ca, non per­ciò meno pra­ti­ca­men­te effi­ca­ce; «ogget­to» da rico­strui­re con cura «scien­ti­fi­ca» per poter­lo pra­ti­ca­men­te rove­scia­re – il sot­to­svi­lup­po non è sol­tan­to il «non-anco­ra» svi­lup­po, così come vole­va già l’«ottimismo» dei clas­si­ci dell’economia poli­ti­ca che si pro­lun­ga, enor­me con­cre­scen­za misti­fi­ca­ta, ben adden­tro ai nostri gior­ni; ma non è nep­pu­re solo il «pro­dot­to» del­lo svi­lup­po, secon­do un modo sta­ti­co, «strut­tu­ra­li­sta», di leg­ger­ne la fisio­no­mia, a tor­to rite­nu­to l’ultima paro­la del mar­xi­smo teo­ri­co su que­sto tema[17]. Esso è una fun­zio­ne del­lo svi­lup­po capi­ta­li­sti­co: una sua fun­zio­ne mate­ria­le e poli­ti­ca. Ciò che, deter­mi­nan­do­si, signi­fi­ca: fun­zio­ne del pro­ces­so di socia­liz­za­zio­ne capi­ta­li­sti­ca, del­la pro­gres­si­va costi­tu­zio­ne del «socia­li­smo» del capi­ta­le. Svi­lup­po è infat­ti quel­lo del pote­re capi­ta­li­sti­co sul­la socie­tà nel suo insie­me, del suo «gover­no» del­la socie­tà – del suo Stato.

Di qui discen­de, in manie­ra linea­re, l’ipotesi com­ples­si­va sul­la scor­ta del­la qua­le inten­dia­mo «leg­ge­re» le vicen­de del Mez­zo­gior­no e del trat­ta­men­to sta­ta­le del­la depres­sio­ne meri­dio­na­le a par­ti­re dal ’50. Potrem­mo for­mu­lar­la, in estre­ma sin­te­si, così: il «ruo­lo« del Sud è sta­to da una par­te, negli anni Cin­quan­ta, quel­lo di sede di inven­zio­ne, di spe­ri­men­ta­zio­ne e di veri­fi­ca di stru­men­ti isti­tu­zio­na­li di pia­no (di una spe­ci­fi­ca poli­ti­ca di pia­no per il sot­to­svi­lup­po); da un’altra par­te, a par­ti­re dagli anni Ses­san­ta, quel­lo del­la defi­ni­zio­ne di un oriz­zon­te gene­ra­le di pia­ni­fi­ca­zio­ne, vali­do per lo svi­lup­po ita­lia­no nel suo insie­me, nel­la deter­mi­na­tez­za del­la sua natu­ra e dei suoi pro­ble­mi – una fun­zio­ne di rilan­cio rifor­mi­sti­co e pia­ni­fi­ca­to­rio, che divie­ne per­ma­nen­te in ragio­ne diret­ta dell’«interiorizzarsi» dell’arretratezza, come tale, entro un model­lo di svi­lup­po «inte­gra­to».

A un ulti­mo tema sem­bra neces­sa­rio accen­na­re, per con­clu­de­re que­sta par­te intro­dut­ti­va. Si trat­ta dell’ovvia con­si­de­ra­zio­ne che ben poco sareb­be com­pren­si­bi­le, del­le vicen­de che inten­dia­mo stu­dia­re, fuo­ri del rife­ri­men­to a quel­la com­ples­sa e atti­va ideo­lo­gia poli­ti­ca costi­tui­ta dal pen­sie­ro «meri­dio­na­li­sti­co» [18]. Ci toc­che­rà, infat­ti, più vol­te di rifar­ci alle sue varie for­mu­la­zio­ni in rela­zio­ne a sin­go­li pas­sag­gi e a spe­ci­fi­che solu­zio­ni, anche isti­tu­zio­na­li, che man mano ver­re­mo incon­tran­do. Qui sem­bra però uti­le ten­ta­re, pre­li­mi­nar­men­te, una defi­ni­zio­ne com­ples­si­va di esso onde fis­sar­lo nel­la sua spe­ci­fi­ca veste di ideo­lo­gia poli­ti­ca del­lo svi­lup­po – e nel­la fun­zio­ne, che è pro­pria di ogni ideo­lo­gia di que­sto tipo, intrin­se­ca­men­te e neces­sa­ria­men­te rifor­mi­sti­co-repres­si­va. È neces­sa­rio, a que­sto sco­po, e a costo di fare vio­len­za all’effettiva ric­chez­za e com­ples­si­tà di temi che lo com­pon­go­no, rife­rir­si a quel­le che appa­io­no le due sole gran­di linee di orien­ta­men­to meri­dio­na­li­sti­co pre­sen­ti dal dopo­guer­ra, a par­ti­re dal rin­no­va­men­to che que­sta tra­di­zio­ne di pen­sie­ro spe­ri­men­ta in con­se­guen­za di un «qua­dro» poli­ti­co e socia­le pro­fon­da­men­te mutato.

La pri­ma è quel­la del meri­dio­na­li­smo comunista[19]. La sua gran­de sta­gio­ne pra­ti­ca è sta­ta quel­la degli anni dell’immediato dopo­guer­ra, gli anni del­la pri­ma mas­sic­cia costi­tu­zio­ne di un’organizzazione, sin­da­ca­le e poli­ti­ca, di «sini­stra» nel Mez­zo­gior­no attor­no ai gran­di temi del­la rifor­ma agra­ria e del­la rina­sci­ta del Sud. Ebbe­ne, è sta­to appun­to in que­sta gran­de sta­gio­ne del­le lot­te che è venu­to fis­san­do­si in manie­ra irre­ver­si­bi­le il ruo­lo del meri­dio­na­li­smo nel­la defi­ni­zio­ne del­la linea gene­ra­le del­la sini­stra: è spet­ta­to pro­prio a quest’ultima, in una situa­zio­ne a pro­spet­ti­ve oscu­re, incer­te, di pos­si­bi­li­tà di rilan­cio dell’economia ita­lia­na (pri­ma del­la reim­mis­sio­ne nel cir­cui­to inter­na­zio­na­le e del­la restau­ra­zio­ne capi­ta­li­sti­ca degli anni Cin­quan­ta) di pro­spet­ta­re per pri­ma, pro­prio in quan­to posi­zio­ne meri­dio­na­li­sti­ca, una pro­po­sta gene­ra­le di svi­lup­po «pro­gram­ma­to» – una pro­po­sta che lega­va le pro­spet­ti­ve del­lo svi­lup­po all’espansione del mer­ca­to inter­no e que­sto, a sua vol­ta, secon­do una impo­sta­zio­ne che si vuo­le chia­ma­re, non impor­ta qui quan­to cor­ret­ta­men­te, «gram­scia­na» alla rifor­ma agra­ria e alla rina­sci­ta del Mezzogiorno[20]. Ma al di là del­la for­mu­la­zio­ne rice­vu­ta in que­gli anni, del resto scar­sa­men­te modi­fi­ca­ta in segui­to, il sen­so com­ples­si­vo di que­sta linea, e il nes­so che si crea al suo inter­no fra tema­ti­ca meri­dio­na­li­sti­ca e riven­di­ca­zio­ne di un «pia­no», è del tut­to espli­ci­to: il Mez­zo­gior­no è la sin­te­si degli squi­li­bri, del­la inef­fi­cien­za dell’intero siste­ma; per con­ver­so la solu­zio­ne del­la que­stio­ne meri­dio­na­le, che solo una demo­cra­ti­ca pro­gram­ma­zio­ne può garan­ti­re, è il mas­si­mo pro­ble­ma del­lo svi­lup­po nazio­na­le, la con­di­zio­ne stes­sa di una sua dina­mi­ca quan­ti­ta­ti­va­men­te e qua­li­ta­ti­va­men­te sod­di­sfa­cen­te. Secon­do un duro ma, piac­cia o meno, rea­li­sti­co giu­di­zio di un avver­sa­rio, il ruo­lo pra­ti­co di que­sta posi­zio­ne non è anda­to oltre (dopo l’espansione ini­zia­le) quel­lo, del tut­to subor­di­na­to, di «addi­ta­re limi­ti, peri­co­li, abu­si» [21].

Ben altro è sta­to il rilie­vo pra­ti­co – non del tut­to pro­por­zio­na­to alle dimen­sio­ni dell’approfondimento «teo­ri­co», che si pre­sen­ta poi, nel­le sue for­mu­la­zio­ni gene­ra­lis­si­me, non trop­po dis­si­mi­le da quel­lo appe­na ricor­da­to, pur viven­do ovvia­men­te secon­do inten­zio­ni poli­ti­che affat­to diver­se – dell’altra posi­zio­ne che chia­me­re­mo «demo­cra­ti­ca» (secon­do la discu­ti­bi­le ter­mi­no­lo­gia cor­ren­te, usa­ta dall’autore appe­na cita­to). È una posi­zio­ne che si svi­lup­pa, pur nel­la gran­de arti­co­la­zio­ne inter­na, in due fasi omo­ge­nee: dap­pri­ma come teo­riz­za­zio­ne tec­ni­co-poli­ti­ca, in varie dire­zio­ni, dell’intervento straor­di­na­rio come tale – dagli stu­di pro­mos­si attor­no alla Svi­mez, alle ana­li­si di un Ros­si Doria fino a quel­la Nota aggiun­ti­va (La Mal­fa) che costi­tui­sce la pri­ma for­mu­la­zio­ne poli­ti­ca (non mera­men­te ana­li­ti­ca o teo­ri­ca) di una defi­ni­zio­ne del pia­no «a com­po­nen­te meridionalistica»[22]; poi, dopo una cri­si pro­fon­da che que­sto tipo di pro­get­to subi­sce nei pri­mis­si­mi anni Ses­san­ta, come ripro­po­sta e riqua­li­fi­ca­zio­ne di una teo­ria del pia­no a dimen­sio­ne meri­dio­na­li­sti­ca che cam­peg­gia a tutt’oggi tra le gran­di alter­na­ti­ve degli anni Settanta.

Que­sto sche­ma a due fasi, se esat­to, è per noi inte­res­san­te per­ché risul­ta in sin­to­nia con la gran­de perio­diz­za­zio­ne su cui è costrui­ta la nostra ipo­te­si: essa vie­ne dun­que, per que­sta via, a esser­ne cor­ro­bo­ra­ta. Alla sua veri­fi­ca deve ora aprir­si la ricerca.

Note

[1] Il testo è trat­to da L. Fer­ra­ri Bra­vo, For­ma del­lo sta­to e sot­to­svi­lup­po, in L. Fer­ra­ri Bra­vo – A. Sera­fi­ni, Sta­to e sot­to­svi­lup­po. Il caso del Mez­zo­gior­no ita­lia­no (1975), ombre cor­te, Vero­na 2007, pp. 23–31.

[2] Va fat­to rife­ri­men­to alle seguen­ti ope­re gene­ra­li di sto­ria del­la «que­stio­ne meri­dio­na­le», nel­le sue dimen­sio­ni eco­no­mi­co-socia­li, poli­ti­che, isti­tu­zio­na­li, S.F. Roma­no, Sto­ria del­la que­stio­ne meri­dio­na­le, Paler­mo 1945; C. Bar­ba­gal­lo, La que­stio­ne meri­dio­na­le, Mila­no 1948; F. Vöch­ting, Die Ita­lie­ni­sche Sud­fra­ge, Ber­lin 1951 (trad. it. La que­stio­ne meri­dio­na­le, Napo­li 1955); F. Com­pa­gna, La que­stio­ne meri­dio­na­le, Mila­no 1963; G. Fri­sel­la Vela, Sto­ria ed eco­no­mia nel­la que­stio­ne meri­dio­na­le, Mila­no 1966. Sugli sva­ria­tis­si­mi aspet­ti di cui si com­po­ne tale que­stio­ne dia­mo per acqui­si­te le ampie biblio­gra­fie con­te­nu­te in «Pro­spet­ti­ve Meri­dio­na­li», men­si­le del Cen­tro demo­cra­ti­co di cul­tu­ra e docu­men­ta­zio­ne, 6–11, giug. – nov. 1962, Biblio­gra­fia sul Mez­zo­gior­no (1944–1959), in due volu­mi e (per la par­te che inte­res­sa) in A. Fiac­ca­do­ri, Stu­di ita­lia­ni dal 1944 al 1960 sul pro­ble­ma del­la pro­gram­ma­zio­ne eco­no­mi­ca, «Eco­no­mia e Sto­ria (Stu­di in memo­ria di Maz­zei)», 3 (1960), pp. 291–381.

[3] Le due cita­zio­ni rispet­ti­va­men­te da M. Ros­si Doria, Rela­zio­ne alla Fie­ra di Levan­te di Bari, «Mon­do eco­no­mi­co», 37, 1970, p. 57 e da P. Sara­ce­no, La Pro­gram­ma­zio­ne negli anni ’70, Mila­no 1970, p. 81. Sul ruo­lo emi­nen­te di que­sto ulti­mo nell’ambito del meri­dio­na­li­smo del dopo­guer­ra, sia sul pia­no «teo­ri­co» che «pra­ti­co», avre­mo modo di tor­na­re spes­so. La figu­ra del Sara­ce­no comin­cia a esse­re ogget­to di inda­gi­ne sto­ri­ca: vedi P. Baruc­ci, Intro­du­zio­ne a P. Sara­ce­no, Rico­stru­zio­ne e pia­ni­fi­ca­zio­ne 1943–1948, Bari 1969, pp. 5–50.

[4] La ste­su­ra del pre­sen­te scrit­to, com­ple­ta­ta nel­la pri­ma­ve­ra scor­sa, non ha con­sen­ti­to di tener con­to in sede ana­li­ti­ca degli atti e docu­men­ti ricor­da­ti nel testo. Si veda­no, comun­que, il Docu­men­to pro­gram­ma­ti­co pre­li­mi­na­re dal tito­lo Ele­men­ti per l’impostazione del Pia­no eco­no­mi­co nazio­na­le 1971–75, estrat­ti del qua­le sono pub­bli­ca­ti in «Mon­do eco­no­mi­co», Sup­ple­men­to al n. 33–34 del 1971 (la par­te che inte­res­sa è con­te­nu­ta alle pp. xxvii-xxx­viii) e, soprat­tut­to, la leg­ge 6 otto­bre 1971, n. 853 («G.U.» del 26-10-1971). Chi scri­ve inten­de pro­dur­re, a par­te, un’analisi di entram­bi, a con­fer­ma, che si pre­sen­ta lar­ga­men­te pos­si­bi­le, del­le ipo­te­si svi­lup­pa­te in que­sta sede.

[5] I dati cita­ti sono trat­ti dal­la Rela­zio­ne di Sara­ce­no alla Fie­ra del Levan­te, «Mon­do eco­no­mi­co», cit., pp. 51–55. Del­lo stes­so auto­re vedi inol­tre La pro­gram­ma­zio­ne, cit., secon­da parte.

[6] Un atteg­gia­men­to apo­lo­ge­ti­co sem­bra esclu­so per­si­no nel­le pre­se di posi­zio­ne uffi­cia­li di chi ha avu­to in que­sti vent’anni la respon­sa­bi­li­tà dell’intervento meri­dio­na­le: signi­fi­ca­ti­va a que­sto pro­po­si­to la discus­sio­ne par­la­men­ta­re su que­sti temi di svol­ta del­la pri­ma­ve­ra del 1969 e domi­na­ta dal tema del «fal­li­men­to». Sul signi­fi­ca­to gene­ral­men­te stru­men­ta­le di que­sta linea fal­li­men­ta­ri­sti­ca vedi intan­to le osser­va­zio­ni di A. Col­li­dà, L’intervento straor­di­na­rio: una poli­ti­ca per il tra­sfor­mi­smo, «Pro­ble­mi del socia­li­smo», 44, 1970, pp. 93–130 e Id., «Poli­ti­ca meri­dio­na­li­sti­ca e stru­men­ti d’intervento», in Aa.Vv., Nord-Sud.I nuo­vi ter­mi­ni di un pro­ble­ma nazio­na­le (a cura del Club Tura­ti e del­la Fon­da­zio­ne Oli­vet­ti), Mila­no 1970, pp. 3–30.

[7] Vedi, per tut­te, le sin­te­ti­che valu­ta­zio­ni di A. Cam­po­lon­go, Mez­zo­gior­no e obiet­ti­vi glo­ba­li, «Mone­ta e Cre­di­to», dic. 1970, pp. 367–380; e, del­lo stes­so auto­re, il suc­ces­si­vo inter­ven­to, Il Pia­no ex post, nel­la stes­sa rivi­sta (giu­gno 1971).

[8] L’insistenza sull’«integrazione» come gran­de fat­to nuo­vo del­la vicen­da meri­dio­na­le sta a esem­pio in A. Gra­zia­ni, Il Mez­zo­gior­no nell’economia ita­lia­na degli ulti­mi anni, in Aa.Vv., Nord e Sud nell’economia e nel­la socie­tà ita­lia­na di oggi (Atti a cura del­la Fon­da­zio­ne Einau­di), Tori­no 1968, pp. 23–27. Gra­zia­ni pre­ci­sa (a p. 25) che «il vero lega­me tra Nord e Mez­zo­gior­no nasce nel secon­do dopo­guer­ra e appar­tie­ne agli anni che van­no dal ’50 a oggi». Tut­to ciò non impli­ca affat­to la nega­zio­ne degli ele­men­ti dua­li­sti­ci pro­pri del­la socie­tà e dell’economia ita­lia­na: lo stes­so auto­re, pur insi­sten­do sull’idea che tali ele­men­ti sono in una cer­ta misu­ra ine­li­mi­na­bi­li in un pro­ces­so dina­mi­co di svi­lup­po e anzi in un cer­to sen­so iden­ti­fi­ca­bi­le con quel­lo, ne ha ten­ta­to la rico­stru­zio­ne in un model­lo espli­ca­ti­vo com­ples­si­vo: Id., Lo svi­lup­po di un’economia aper­ta, Napo­li 1969. Sul­la base di un approc­cio del tut­to diver­so, la ripro­du­zio­ne del dua­li­smo, nell’ambito però di un fon­da­men­ta­le pro­ces­so di inte­gra­zio­ne, è idea espres­sa fin nel tito­lo da L. Liber­ti­ni, Inte­gra­zio­ne capi­ta­li­sti­ca e sot­to­svi­lup­po, Bari 1968. Sul ruo­lo dell’internazionalizzazione del­la vita eco­no­mi­ca come qua­dro entro cui van­no «let­ti» feno­me­ni di depres­sio­ne inter­na come quel­lo meri­dio­na­le, vedi D. Tosi, For­me ini­zia­li di svi­lup­po e lun­go perio­do: la for­ma­zio­ne di un’economia dua­li­sti­ca, in A. Carac­cio­lo (a cura di), La for­ma­zio­ne dell’Italia indu­stria­le, Bari 1969, pp. 277 seg., e n. 26. Che il take-off del­lo svi­lup­po meri­dio­na­le, comun­que se ne defi­ni­sca la nozio­ne, pren­da avvio effet­ti­va­men­te nel ’50 è giu­di­zio cor­ren­te: vedi i recen­ti: F. Mar­za­no, Un’interpretazione del pro­ces­so di svi­lup­po eco­no­mi­co dua­li­sti­co in Ita­lia, Mila­no 1969, pp. 8 sgg., 38 sgg., 241; L. Cuo­co, Il pro­ces­so di svi­lup­po di un’area sovrap­po­po­la­ta: il Mez­zo­gior­no d’Italia, Roma 1971, pp. 5–52.

[9] «[…] il pro­ces­so di svi­lup­po che per la pri­ma vol­ta nel­la sto­ria dell’Italia uni­ta ha inve­sti­to il Mez­zo­gior­no, ha pro­vo­ca­to un feno­me­no di dif­fe­ren­zia­zio­ne al suo inter­no, tan­to che oggi è impos­si­bi­le par­la­re del Sud come di una vasta zona arre­tra­ta e omo­ge­nea»: Mini­ste­ro del bilan­cio e del­la pro­gram­ma­zio­ne eco­no­mi­ca, Pro­get­to 80 (ed. Libre­ria Fel­tri­nel­li), Mila­no 1969, p. 57, nota 1.

[10] Un cri­te­rio di meto­do va per­tan­to fis­sa­to: cri­te­rio di misu­ra­zio­ne del pro­ces­so non può esse­re né l’ideologia come tale – nel nostro caso l’ideologia del­lo svi­lup­po di vol­ta in vol­ta for­mu­la­ta a soste­gno del­le gran­di scel­te di inter­ven­to – né quel cat­ti­vo rove­scia­men­to di que­sto erro­re meto­do­lo­gi­co che con­si­ste nell’identificare i risul­ta­ti del pro­ces­so, come tali, con la «rea­le inten­zio­ne» di chi, fin dall’inizio, li ha per­se­gui­ti. Un esem­pio di que­sto secon­do orien­ta­men­to, che è alquan­to raro in veri­tà, nel­la cita­ta Rela­zio­ne di A. Col­li­dà al Con­ve­gno di Venezia.

[11] Una luci­da defi­ni­zio­ne del­lo Sta­to «respon­sa­bi­le» (in con­trap­po­si­zio­ne a quel­lo libe­ra­le») in G. Gua­ri­no, Effi­cien­za e legit­ti­mi­tà dell’azione del­lo Sta­to, in Sag­gi in ono­re del Cen­te­na­rio del­la Ragio­ne­ria Gene­ra­le del­lo Sta­to, Roma 1969, pp. 27 sgg. Lo stes­so feno­me­no, sul ter­re­no misti­fi­ca­to dell’odierna teo­ria gene­ra­le del­lo Sta­to, è col­to in altri modi, a esem­pio, come «for­ma del­lo Sta­to socia­le»; vedi su ciò in par­ti­co­la­re gli svol­gi­men­ti di E. For­sthoff, O. Bachof, Begriff und Wesen des sozialen Rech­ts­staa­tes, Ber­lin 1954, E. For­sthoff, Struk­tur­wand­lun­gen der moder­nen Demo­kra­tie, Ber­lin 1964.

[12] La let­te­ra­tu­ra in pro­po­si­to è ster­mi­na­ta. Vedi su ciò Cen­sis, L’idea del­lo svi­lup­po nel­la let­te­ra­tu­ra degli ulti­mi 20 anni. Biblio­gra­fia ragio­na­ta, Roma 1966. Un’utile ras­se­gna (cor­re­da­ta da una vasta biblio­gra­fia) dei prin­ci­pa­li nodi teo­ri­ci di essa negli anni Cin­quan­ta (gros­so modo la fase in cui si rife­ri­sce l’ideologia richia­ma­ta) in V. Ajmo­ne Mar­san, Recen­ti con­tri­bu­ti all’analisi eco­no­mi­ca del­le aree arre­tra­te, in De Maria (a cura di), Pro­ble­mi sul­lo svi­lup­po del­le aree arre­tra­te, Bolo­gna 1960, pp. 3–76.

[13] Cfr. P. Sara­ce­no, Ini­zia­ti­va pri­va­ta e azio­ne pub­bli­ca nei pia­ni di svi­lup­po eco­no­mi­co, Roma 1959, p. 103 («[…] il pia­no è lo stru­men­to attra­ver­so il qua­le i pae­si sot­to­svi­lup­pa­ti si pro­pon­go­no di entra­re nel mer­ca­to capi­ta­li­sti­co»), ma già Id., Pre­mes­se cul­tu­ra­li a una poli­ti­ca di svi­lup­po eco­no­mi­co del Mez­zo­gior­no (Rela­zio­ne al Con­ve­gno Cepes su «Sta­to e ini­zia­ti­va pri­va­ta per lo svi­lup­po del Mez­zo­gior­no», Paler­mo, nov. 1955), in Svi­mez, Il Mez­zo­gior­no nel­le ricer­che del­la Svi­mez 1947–1967, Roma 1968 pp. 237–248.

[14] Vasto è sta­to l’interesse di sin­go­li stu­dio­si e di isti­tu­zio­ni stra­nie­re per il «caso» ita­lia­no di svi­lup­po. Tra i pri­mi, oltre a quel­lo di Vöch­ting, basti ricor­da­re i nomi di P. Rosen­stein Rodan, G. Ackley, H. Che­ne­ry, V. Lutz, G. Hil­de­brand, E. Tosco, G. Scha­ch­ter, A. Geschen­kron, le cui ope­re saran­no indi­ca­te via via. Cfr. intan­to L. Ira­ci Fede­li, Gli eco­no­mi­sti stra­nie­ri sul Mez­zo­gior­no, in A. Pari­si, G. Zap­pa (a cura), Mez­zo­gior­no e poli­ti­ca di pia­no, Bari 1964, pp. 333–364.

[15] P.A. Baran, Il «sur­plus» eco­no­mi­co e la teo­ria mar­xi­sta del­lo svi­lup­po, trad. it., Mila­no 1962, p. 30. Il fug­ge­vo­le spun­to cri­ti­co del testo sul cri­te­rio del «red­di­to medio pro capi­te», che è in un cer­to sen­so un indi­ce per­si­no ovvio di un livel­lo di svi­lup­po, non ha nul­la a che fare (al con­tra­rio ha segno oppo­sto) con impo­sta­zio­ni «pau­pe­ri­sti­che»: ad es. U. Melot­ti, Per un con­cet­to non etno­cen­tri­co del­lo svi­lup­po e del sot­to­svi­lup­po, «Ter­zo Mon­do, i, luglio-set­tem­bre 1968. Una cri­ti­ca viva­ce ma non mol­to appro­fon­di­ta di posi­zio­ni simi­la­ri (in par­ti­co­la­re: di posi­zio­ni come quel­le di Fran­co Roda­no e del «grup­po» del­la «Rivi­sta Tri­me­stra­le»), in L. Ira­ci, Dall’opulenza al benes­se­re, Tori­no 1970.

[16] Ideo­lo­gi­ca è, a nostro avvi­so, la pre­te­sa di misu­ra­re lo svi­lup­po (e il sur­plus) poten­zia­le sul­la base di una sca­la di valo­ri alter­na­ti­vi. Cfr. P.A. Baran, Il «sur­plus» eco­no­mi­co e la teo­ria mar­xi­sta del­lo svi­lup­po, cit., pp. 40 sgg. La cate­go­ria di pro­du­zio­ne poten­zia­le, anche a livel­lo di siste­ma, resta per con­ver­so cen­tra­le in tut­ta la ela­bo­ra­zio­ne teo­ri­ca moder­na sul­lo svi­lup­po. Per un impor­tan­te ten­ta­ti­vo di cal­co­lo, vedi. A.M. Okun, Il pro­dot­to nazio­na­le lor­do poten­zia­le: misu­ra e signi­fi­ca­to, trad. it., in P. Ono­fri (a cura di), Red­di­to nazio­na­le e poli­ti­ca eco­no­mi­ca, Bolo­gna 1971, pp. 169–182.

[17] Un’efficace sin­te­si di que­sti temi in J. Freys­si­net, Le con­cept de sous-déve­lop­pe­ment, Paris La Haye 1970 2 (con ampia biblio­gra­fia). Sull’«ottimismo» dei clas­si­ci, A. Gam­bi­no, Lo svi­lup­po eco­no­mi­co nel­la con­ce­zio­ne dei clas­si­ci, in G.U. Papi (a cura di), Teo­ria e poli­ti­ca del­lo svi­lup­po eco­no­mi­co, Mila­no 1954. Una recen­te famo­sa varian­te del­la teo­ria dell’arretratezza come pre­svi­lup­po è quel­la di W.W. Rostow, Gli sta­di del­lo svi­lup­po eco­no­mi­co, trad. it., Tori­no 1962. Una linea di mar­xi­smo «sta­ti­co» è anco­ra, mal­gra­do tut­to, quel­la di A. Gun­der Frank, Capi­ta­li­smo e sot­to­svi­lup­po in Ame­ri­ca Lati­na, trad. it., Tori­no 1969, di cui vedi comun­que l’aspra pole­mi­ca con le domi­nan­ti teo­rie socio­lo­gi­che del­lo svi­lup­po in Id., Socio­lo­gia del­lo svi­lup­po e sot­to­svi­lup­po del­la socio­lo­gia, trad. it., Mila­no 1970.

[18] La «que­stio­ne meri­dio­na­le», come cor­pus ideo­lo­gi­co-poli­ti­co, nasce in Ita­lia come rifles­sio­ne sul bri­gan­tag­gio. L’estraneità, il rifiu­to arma­to del­lo Sta­to da par­te degli stra­ti «pro­fon­di» del pro­le­ta­ria­to meri­dio­na­le pro­du­co­no nel cer­vel­lo poli­ti­co bor­ghe­se un rifles­so che, men­tre asse­ve­ra la repres­sio­ne arma­ta in atto, vuo­le nel lun­go perio­do anda­re alle «cau­se» del feno­me­no – vuo­le la repres­sio­ne come momen­to «inter­no» del pro­ces­so. L’arretratezza del Mez­zo­gior­no, in que­sta visio­ne, sta alla base del­la ribel­lio­ne – in atto o poten­zia­le – in quan­to insuf­fi­cien­za capi­ta­li­sti­ca del­la socie­tà civi­le meri­dio­na­le: soprav­vi­ven­za di rap­por­ti «feu­da­li», gran­de pro­prie­tà assen­tei­sta, strut­tu­ra paras­si­ta­ria del­la cit­tà e via dicen­do. Que­sta ori­gi­ne va tenu­ta pre­sen­te non come curio­si­tà sto­ri­ca, ma in quan­to defi­ni­sce la strut­tu­ra e il ruo­lo poli­ti­ci per­ma­nen­ti dell’ideologia meri­dio­na­li­sti­ca, in quan­to pro­get­to di una immis­sio­ne o inte­gra­zio­ne del «popo­lo» nel­lo Sta­to, affi­da­ta alla for­za dei rap­por­ti di pro­du­zio­ne «moder­ni». Una lim­pi­da ras­se­gna dei temi fon­da­men­ta­li del meri­dio­na­li­smo clas­si­co in B. Caiaz­zi, Intro­du­zio­ne a Nuo­va Anto­lo­gia del­la que­stio­ne meri­dio­na­le, Mila­no 1962, pp. 3–76. Più ric­ca e meglio impo­sta­ta l’antologia cura­ta da R. Vil­la­ri, Il Sud nel­la sto­ria d’Italia, Bari 1961. Sul­la figu­ra cen­tra­le del meri­dio­na­li­smo clas­si­co – il Sal­ve­mi­ni – cen­tra­le non per­ché espres­si­va di tut­te le com­po­nen­ti di que­sta tra­di­zio­ne ma al con­tra­rio per­ché espres­si­va del pas­sag­gio e del­la cri­si di essa a una fase moder­na, pur den­tro una con­ti­nui­tà che è effet­ti­va e sostan­zia­le, vi è ora il lavo­ro, fon­da­men­ta­le per il pun­to di vista qui accol­to, di G. De Caro, Gae­ta­no Sal­ve­mi­ni, Tori­no 1970.

[19] Per una visio­ne d’insieme è suf­fi­cien­te il rin­vio a G. Amen­do­la, La demo­cra­zia nel Mez­zo­gior­no, Roma 1957. Lo svol­gi­men­to di que­sta linea nel­le sue varie arti­co­la­zio­ni è docu­men­ta­ta nel­la col­le­zio­ne del­la rivi­sta «Cro­na­che meri­dio­na­li» (in par­ti­co­la­re nei nume­ri scrit­ti di Chia­ro­mon­te, Napo­li­ta­no, Rei­chlin, ecc.).

[20] Nell’ambito di un cer­to tipo di recen­te revi­val gau­chi­ste sul pro­ble­ma meri­dio­na­le, si è spes­so insi­sti­to sul­la tesi di una vera e pro­pria con­trad­di­zio­ne tra l’«originaria» impo­sta­zio­ne gram­scia­na – che risa­le in effet­ti al perio­do «con­si­lia­re», cfr. A. Gram­sci, L’ordine nuo­vo 1919–1920, Tori­no 1955, pp. 22 sgg, e spec. 316–319; il più noto Alcu­ni temi sul­la que­stio­ne meri­dio­na­le, appar­so in «Sta­to ope­ra­io», gen­na­io 1930, poi in «Rina­sci­ta», feb­bra­io 1945, fu scrit­to nel ’26, poco pri­ma dell’arresto e del car­ce­re: cfr. R. Vil­la­ri, Il Sud nel­la sto­ria d’Italia, cit., pp. 535 – e la linea del meri­dio­na­li­smo comu­ni­sta, come poi vie­ne for­mu­la­ta e pra­ti­ca­ta nel secon­do dopo­guer­ra: Togliat­ti, insom­ma, che «tra­di­sce» Gram­sci. Tra le due posi­zio­ni pas­sa, in real­tà, la stes­sa dif­fe­ren­za che esi­ste, in gene­ra­le, tra il sen­so com­ples­si­vo dell’ondata rivo­lu­zio­na­ria inter­na­zio­na­le che pro­lun­ga il ’17 fin den­tro gli anni Ven­ti, e la tema­ti­ca ter­zin­ter­na­zio­na­li­sta, che si rea­liz­za, in occi­den­te, sul ter­re­no dei fron­ti popo­la­ri. Si trat­ta di un pas­sag­gio che non toglie la sostan­zia­le con­ti­nui­tà di un movi­men­to il cui dato ulti­mo uni­fi­can­te è pre­ci­sa­men­te l’idea di una riven­di­ca­zio­ne di «pote­re» per la clas­se ope­ra­ia fon­da­ta e resa matu­ra dal­la sua capa­ci­tà (e dal suo «dirit­to») a risol­ve­re le con­trad­di­zio­ni, i limi­ti, le insuf­fi­cien­ze del­lo svi­lup­po capitalistico.

[21] G. Galas­so, Vec­chi e nuo­vi orien­ta­men­ti del pen­sie­ro meri­dio­na­li­sti­co, in Aa.Vv., Nord e Sud nel­la socie­tà, cit., p. 69. Da que­sto per­spi­cuo sag­gio di Galas­so tra­ia­mo lo «sche­ma» accen­na­to nel testo.

[22] La Svi­mez ha rac­col­to nel volu­me Il Mez­zo­gior­no nel­le ricer­che del­la Svi­mez, cit., le espres­sio­ni più signi­fi­ca­ti­ve del lavo­ro teo­ri­co da essa susci­ta­to. In appen­di­ce vi sono con­te­nu­te noti­zie sul­la sto­ria dell’istituto e l’elenco com­ple­to degli stu­di e del­le pub­bli­ca­zio­ni pro­dot­te. Ovvia poi la men­zio­ne di M. Ros­si Doria, Rifor­ma agra­ria e azio­ne meri­dio­na­li­sti­ca, Bolo­gna 1956 e Id., Die­ci anni di poli­ti­ca agra­ria nel Mez­zo­gior­no, Bari 1958.

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Lucia­no Fer­ra­ri Bra­vo (1940–2000) è sta­to uno dei pro­ta­go­ni­sti del­l’o­pe­rai­smo a par­ti­re dai pri­mi anni Ses­san­ta e pro­fes­so­re di Sto­ria del­le Isti­tu­zio­ni Poli­ti­che e di Isti­tu­zio­ni poli­ti­che com­pa­ra­te all’Uni­ver­si­tà degli Stu­di di Pado­va.