Filtra per Categoria
Autonomia Bolognese
Autonomie del Meridione
Fondo DeriveApprodi
Collettivi Politici Veneti
Autonomia Toscana
Blog

Malgrado voi

Enri­co Scu­ro, Mal­gra­do voi, Imma­gi­ni di due anni di bat­ta­glie del movi­men­to di Bolo­gna, testi di Die­go Benec­chi e Fran­co Berar­di “Bifo”, L’oc­chio impu­ro N.1.



Ini­ziò con una Jac­que­rie, quan­te vol­te ce lo sia­mo ripe­tu­to, ed entram­mo nel­la sto­ria.
Vole­va­mo eli­mi­na­re tut­ti i miti, ne abbia­mo distrut­ti tan­ti, ma anche costrui­ti di nuo­vi, a tal pun­to che fini­ta la mera­vi­glio­sa illu­sio­ne, il sogno, ci sia­mo tro­va­ti schiac­cia­ti dal­la sto­ria, quel­la pub­bli­ca, degli altri. La nostra, fat­ta di tene­rez­ze, scrit­te sui muri, cor­tei gio­io­si e mili­ta­ri, ten­sio­ni, rima­ne nostal­gi­co ricor­do, per alcu­ni nean­che con­sa­pe­vo­le memo­ria.
L’i­ro­nia spa­ven­tò il pote­re, l’in­con­trol­la­bi­le lo spiaz­zò, ma con abi­li­tà esso ini­ziò il lun­go cor­teg­gia­men­to, si rese dispo­ni­bi­le, offri spa­zi. Tan­ti com­pa­gni rima­se­ro invi­schia­ti, e, pure attra­ver­so loro, il pote­re fat­to­si con­su­ma­bi­le ria­dat­tò rapi­da­men­te le sue for­me di con­trol­lo alla nuo­va real­tà. La ricer­ca del­la media­zio­ne e del con­sen­so intel­let­tua­le, fra chi ave­va già da tem­po fat­to le sue scel­te, ridus­se­ro come un tumo­re mali­gno a sto­ria bor­ghe­se l’in­com­men­su­ra­bi­le e mai tra­scri­vi­bi­le poe­sia dei nostri gesti di rivol­ta.
Attual­men­te fio­ri­sco­no i fogli, pia­ce­reb­be scri­ve­re d’a­gi­ta­zio­ne, ma non è pos­si­bi­le, altro non con­ten­go­no che: pri­va­to, cen­tri alter­na­ti­vi, qual­che elu­cu­bra­zio­ne. La cono­scen­za si impo­ne su tut­to, gio­va­ni desi­de­ro­si di gio­ca­re a fare gli intel­let­tua­li, scrit­to­ri in erba, poe­ti in ritar­do che par­la­no del ’77, dopo che i muri sono sta­ti ripu­li­ti, sono inte­res­san­ti ma non suf­fi­cien­ti. Non ci si sen­te libe­ri quan­do solo si leg­ge o si scri­ve o si seguo­no i vari dibat­ti­ti acca­de­mi­ci, si è più libe­ri in un car­ce­re orga­niz­zan­do­si con i dete­nu­ti, per miglio­ra­re le con­di­zio­ni di esi­sten­za, che con­ti­nua­re a cir­co­la­re fra fan­ta­smi lamen­to­si del­la man­can­za di cer­tez­ze.
Ebbe­ne, mai come ora la situa­zio­ne è eccel­len­te, la fine del­le ideo­lo­gie costrin­ge, final­men­te, ad affron­ta­re il socia­le arma­ti solo del­la nostra sog­get­ti­vi­tà, e que­sta è l’ar­ma miglio­re.
Non più pas­sa­to né futu­ro, entram­bi ci ricon­dur­reb­be­ro a cer­ca­re la media­zio­ne men­tre l’u­ni­ca alter­na­ti­va risie­de nel­la ricer­ca di una con­ti­nua rot­tu­ra imme­dia­ta e nel­la sod­di­sfa­zio­ne del­le pro­prie azio­ni, sia­no esse paci­fi­che o vio­len­te, poco impor­ta se gra­tui­te. Non c’è più vita, a meno di esse­re Pote­re, sen­za ritor­no alla pras­si, alla spe­ri­men­ta­zio­ne del­la liber­tà attra­ver­so l’au­to­va­lo­riz­za­zio­ne del­l’an­ta­go­ni­smo quo­ti­dia­no. L’au­to­va­lo­riz­za­zio­ne (con­qui­sta di liber­tà, supe­ra­men­to degli sche­mi) è pos­si­bi­le se fon­da­ta sul­la ripe­ti­zio­ne rit­mi­ca, di mas­sa, dei gesti che distrug­go­no il Pote­re. Stia­mo inol­tre gua­ren­do dal­la malat­tia del­le ideo­lo­gie, di fron­te al crol­lo dei pun­ti di rife­ri­men­to, dal nien­te rea­liz­za­to altro­ve, pos­sia­mo erger­ci con­sa­pe­vo­li che l’u­ni­co vero ribal­ta­men­to è la rivo­lu­zio­ne del tut­to. È in que­sto che sen­tia­mo e vivia­mo luci­da­men­te, che dive­nia­mo sto­ri­ci ed entria­mo in sce­na come pro­ta­go­ni­sti. Innan­zi­tut­to per­ché non stan­do con nes­su­no sce­glia­mo la stra­da di chi dice no a qual­sia­si pote­re-oppres­sio­ne, quel­la dei rivol­to­si. Da que­sta stra­da è dif­fi­ci­le usci­re, dato che la fon­te del­le lot­te, le radi­ci del­le con­trad­di­zio­ni sono pure in noi, quan­do la si ini­zia biso­gna per­cor­rer­la fino in in fon­do. Chi vive lo sfrut­ta­men­to tut­ti i gior­ni, chi non ha la pos­si­bi­li­tà di goder­si un’e­si­sten­za decen­te, chi sen­te l’op­pres­sio­ne sul suo cor­po, nel­la sua men­te, nel suo san­gue, non può che vive­re sen­za riser­ve per­ché que­sta è la sua ulti­ma pos­si­bi­li­tà. Chi lasce­rà la stra­da but­tan­do via il far­del­lo del­le sue esi­gen­ze e del­la sua vio­len­za di oppo­si­zio­ne non potrà che fini­re avve­le­na­to dal­le pro­prie veri­tà ucci­se. Per gli avve­le­na­ti sarà allo­ra l’i­ni­zio del quo­ti­dia­no del­la rinun­cia, una mor­te sen­za fine, a que­sto vuo­le por­tar­ci il Pote­re. Cer­to ci offre i mirag­gi del­la pro­du­zio­ne e del con­su­mo. Non fac­cia­mo­ci fre­ga­re, non fer­mia­mo­ci, libe­ria­mo con­ti­nua­men­te la pas­sio­ne crea­ti­va d’a­mo­re e di ribel­lio­ne, que­sto l’u­ni­co modo per bat­te­re la dif­fu­sa coscien­za a livel­lo di mas­sa del­le costri­zio­ni neces­sa­rio.
L’in­du­stria­liz­za­zio­ne, il neces­sa­rio con­trol­lo limi­ta­ti­vo del­lo svi­lup­po tec­ni­co-scien­ti­fi­co da par­te del Pote­re, lo costrin­go­no ad uni­for­ma­re gli stru­men­ti del con­trol­lo, del­lo sfrut­ta­men­to, del domi­nio: par­cel­liz­zan­do­li, arti­co­lan­do­li, auto­ma­tiz­zan­do­li. Ed è pro­prio in que­sta dif­fu­sio­ne mole­co­la­re del pote­re­che emer­ge la pos­si­bi­li­tà rea­le di una per­ma­nen­te lot­ta di libe­ra­zio­ne, è la gran­de occa­sio­ne sto­ri­ca per una bat­ta­glia per una liber­tà sostan­zia­le. Non a caso è esi­sti­to un rap­por­to diret­to, nel l’e­spe­rien­za del ’77 e nel­le recen­ti lot­te degli ospe­da­lie­ri, fra libe­ra­zio­ne di crea­ti­vi­tà indi­vi­dua­le e col­let­ti­va, fon­da­men­ti di nuo­ve dina­mi­che di liber­tà e la disar­ti­co­la­zio­ne del con­trol­lo dif­fu­so e lo sma­sche­ra­men­to del­le pra­ti­che di demo­cra­zia auto­ri­ta­ria por­ta­ta avan­ti dai par­ti­ti.
Nel­la fase del­la media­zio­ne, post-mar­zo ’77, i caval­li di Tro­ia del pote­re nel movi­men­to han­no per­mes­so a que­sti di recu­pe­ra­re allo spet­ta­co­lo le for­me più emer­gen­ti del­la crea­ti­vi­tà col­let­ti­va. Ma per for­tu­na nei sot­ter­ra­nei del­la nostra civil­tà, nel nostro popo­lo, con­ti­nua a pro­ce­de­re il fiu­me impe­tuo­so di ciò che ognu­no di noi fa nascon­den­do­si. Quel­lo che è emer­so nel pas­sa­to non è nul­la rispet­to al tur­bi­na­re di con­trad­di­zio­ni, pen­sie­ri, ener­gie che ci agi­ta­no inin­ter­rot­ta­men­te gior­no dopo gior­no. Que­sto fiu­me è ingo­ver­na­bi­le ed ha ripre­so a scor­re­re, è un flui­do com­po­si­to di fan­ta­sti­che­rie, desi­de­ri insod­di­sfat­ti, idee, sen­sa­zio­ni, è la pre­pa­ra­zio­ne del­l’ir­ra­zio­na­le mag­ma­ti­co di razio­na­li gesti scon­vol­gen­ti.
Con­su­ma­re è accu­mu­la­re di tut­to: amo­re, dana­ro, miti, cono­scen­ze, poli­ti­ca, que­sta la pro­po­sta per illu­der­ci di esse­re libe­ri. Ma il tem­po del­l’il­lu­sio­ne è bre­ve ed effi­me­ro, cre­sco­no il sen­so di males­se­re e i cona­ti di vomi­to, cre­sce la rete di libe­tà tota­le.
Fare dimen­ti­ca­re all’uo­mo di esse­re un pro­dut­to­re, alie­na­to nel­la crea­ti­vi­tà del lavo­ro for­za­to, del­lo sfrut­ta­men­to, ecco le ragio­ni per cui il siste­ma ripie­ga nel con­su­mo e nel­la pic­co­la accu­mu­la­zio­ne bot­te­ga­ia. Guai a far­si invi­schia­re in que­sta dimen­sio­ne, il cui cen­tro pro­get­ta di con­trol­la­re nel­lo spa­zio di tem­po libe­ro dal lavo­ro, la crea­ti­vi­tà del­l’uo­mo. Dob­bia­mo asso­lu­ta­men­te fina­liz­za­re i nostri sfor­zi cer­can­do una rispo­sta cre­di­bi­le, di vita, per nega­re il con­trol­lo per tut­to il tem­po sul­la nostra crea­ti­vi­tà.
Ciò è fon­da­bi­le a par­ti­re dal rifiu­to del­l’i­deo­lo­gia del lavo­ro, non c’è alter­na­ti­va sen­za que­sto essen­zia­le pre­sup­po­sto che si con­cre­tiz­za, per ora, nel­la cri­ti­ca distrut­ti­va del­l’at­tua­le asset­to socia­le e del­la strut­tu­ra di pro­du­zio­ne e con­su­mo. Il pote­re ciber­ne­ti­co ten­ta di tra­sfor­ma­re cia­scu­no in sin­go­lo orga­niz­za­to­re del­la pro­pria dispo­ni­bi­li­tà, sia alla pro­du­zio­ne che al con­su­mo. Rifiu­tia­mo que­sto ruo­lo di pas­si­vi­tà con una ricer­ca con­ti­nua di quei gesti spon­ta­nei, con­se­guen­za del­la nostra cana­liz­za­zio­ne del­la crea­ti­vi­tà. Que­sto è pos­si­bi­le attra­ver­so una per­ma­nen­te e lun­ga resi­sten­za alla pene­ne­tra­zio­ne del pote­re in noi. Da qui rie­mer­ge quel­la auto­va­lo­riz­za­zio­ne, tan­to neces­sa­ria per vive­re. Dia­mo l’ul­ti­mo col­po di pic­co­ne affin­chè il fiu­me tor­ni in super­fi­cie per un’al­tra Jac­que­rie.

di Die­go Benecchi

Lavoro zero n° 9/​10

  • Scien­za e genea­lo­gia del­la libe­ra­zio­ne comunista
  • Manua­le di soprav­vi­ven­za dei sog­get­ti comunisti
  • Espe­rien­ze: il PAVILLON di Hannover
  • Espe­rien­ze: Tec­ni­che del cor­po: qua­le salute?
  • Guer­re produttive
  • Le due società
  • Note

Classe operaia e ”individuo sociale”

Da ”Magaz­zi­no” n.2 di Rober­ta Tomassini


Il ten­ta­ti­vo di Bra­ver­man (H. BRAVERMAN, Lavo­ro e capi­ta­le mono­po­li­sti­co, trad. it., Einau­di, Tori­no, 1978) di met­te­re a fuo­co le più rile­van­ti tra­sfor­ma­zio­ni del pro­ces­so lavo­ra­ti­vo, dagli ini­zi del­la rivo­lu­zio­ne indu­stria­le ai nostri gior­ni, si risol­ve in un ambi­guo pastic­cio di socio­lo­gia vol­ga­re e di vel­lei­tà filo­so­fi­co-spe­cu­la­ti­ve.
L’ap­pa­ren­te arti­co­la­zio­ne ana­li­ti­ca del­l’in­da­gi­ne di Bra­ver­man ha per­ciò un anda­men­to tal­men­te sche­ma­ti­co e ripe­ti­ti­vo che è facil­men­te sin­te­tiz­za­bi­le: il lavo­ro sala­ria­to dipen­den­te, che si gene­ra­liz­za con la pri­ma rivo­lu­zio­ne indu­stria­le, con­sen­te al capi­ta­le non solo di coman­da­re il lavo­ro “imme­dia­to”, ma di con­ti­nua­re anche ad appro­priar­si del­le con­di­zio­ni ogget­ti­ve di ero­ga­zio­ne del lavo­ro con­cre­to.
La ricer­ca di Bra­ver­man inten­de appun­to descri­ve­re le fun­zio­ni che deter­mi­na­no l’a­strat­tiz­za­zio­ne rea­le del lavo­ro ope­ra­io che per­de così ogni indi­pen­den­za, ogni auto­no­mia rispet­to al domi­nio capi­ta­li­sti­co. Agli ini­zi, l’o­riz­zon­te del pote­re capi­ta­li­sti­co scon­ta i limi­ti che gli deri­va­no dal­lo svi­lup­po del­la scien­za come “teoria”-“rappresentazione” del­la real­tà sepa­ra­ta e distin­ta dal­lo svi­lup­po del saper-fare, dal­la intel­li­gen­za tec­ni­ca e stru­men­ta­le del­l’o­pe­ra­io di mestie­re.
In tut­ta la fase del­la “mec­ca­niz­za­zio­ne” è anco­ra l’in­tel­li­gen­za tec­ni­ca espro­pria­ta all’o­pe­ra­io di mestie­re il moto­re del­l’in­no­va­zio­ne capi­ta­li­sti­ca del­l’or­ga­niz­za­zio­ne del pro­ces­so lavo­ra­ti­vo: tale uni­tà fra idea­zio­ne ed ese­cu­zio­ne nel lavo­ro ope­ra­io è il limi­te del­la divi­sio­ne del lavo­ro e del­la sua mas­si­ma disci­pli­na. Sol­tan­to la for­ma­zio­ne di un cer­vel­lo socia­le, ade­gua­to alle esi­gen­ze capi­ta­li­sti­che di sfrut­ta­men­to del lavo­ro, avreb­be potu­to garan­ti­re uno svi­lup­po tec­no­lo­gi­co e scien­ti­fi­co, che pro­prio per­ché rela­ti­va­men­te “sepa­ra­to” dal lavo­ro ope­ra­io, si costi­tuis­se appun­to come intel­li­gen­za del­le for­me di coman­do e di mas­si­mo sfrut­ta­men­to del­la for­za lavo­ro. La nasci­ta del­le scuo­le poli­tec­ni­che per la “for­ma­zio­ne” del­l’in­ge­gne­re deter­mi­na la defi­ni­ti­va scis­sio­ne all’in­ter­no del pro­ces­so lavo­ra­ti­vo fra idea­zio­ne ed ese­cu­zio­ne: il pas­sag­gio dal­la “mec­ca­niz­za­zio­ne” all“ ‘auto­ma­zio­ne” non a caso si veri­fi­ca, nei diver­si pae­si indu­stria­liz­za­ti, sul rit­mo del­l’e­span­sio­ne e del­la dif­fu­sio­ne del­le scuo­le poli­tec­ni­che. Con la scis­sio­ne fra idea­zio­ne ed ese­cu­zio­ne, l’in­no­va­zio­ne tec­ni­ca non è più sepa­ra­ta dal­la inno­va­zio­ne orga­niz­za­ti­va: lo svi­lup­po tec­no­lo­gi­co e scien­ti­fi­co è infat­ti con­ti­nua­men­te infor­ma­to dal­la socio­lo­gia indu­stria­le che osser­va i com­por­ta­men­ti ope­rai, li codi­fi­ca, li clas­si­fi­ca e li misu­ra in quan­to fun­zio­ni pura­men­te mec­ca­ni­che ed ese­cu­ti­ve che come tali pos­so­no esse­re com­bi­na­te ed ordi­na­te in una serie di ipo­te­si orga­niz­za­ti­ve sino ad indi­vi­dua­re quel­la più “pro­dut­ti­va”. La razio­na­li­tà capi­ta­li­sti­ca, secon­do Bra­ver­man, ha con­ti­nua­to a spin­ge­re in que­sta dire­zio­ne impo­nen­do la sepa­ra­tez­za fra idea­zio­ne ed ese­cu­zio­ne anche al lavo­ro impie­ga­ti­zio, ammi­ni­stra­ti­vo e dei ser­vi­zi.
Lo svi­lup­po del­l’in­for­ma­ti­ca e del­la com­pu­te­riz­za­zio­ne pro­le­ta­riz­za infat­ti la for­za lavo­ro intel­let­tua­le media­men­te qua­li­fi­ca­ta ridot­ta a svol­ge­re man­sio­ni pura­men­te ese­cu­ti­ve, ripe­ti­ti­ve e par­cel­liz­za­te.
Il lavo­ro vivo, come capa­ci­tà di inno­va­zio­ne che si dif­fe­ren­zia dal­l’u­ni­ver­so del lavo­ro astrat­to ugua­le, ten­de per­ciò a rea­liz­zar­si nel­la ristret­ta cer­chia di una sor­ta di “man­da­ri­na­to” che si iden­ti­fi­ca con gli inte­res­si di capi­ta­le e che resta inac­ces­si­bi­le alla mas­si­fi­ca­zio­ne del lavo­ro socia­le ese­cu­ti­vo.
La degra­da­zio­ne del lavo­ro, come base e con­di­zio­ne del­l’ac­cu­mu­la­zio­ne capi­ta­li­sti­ca, gene­ra però assen­tei­smo, disaf­fe­zio­ne, dere­spon­sa­bi­liz­za­zio­ne rispet­to ad un’at­ti­vi­tà lavo­ra­ti­va che per­de ogni attrat­ti­va e ogni pos­si­bi­li­tà di gra­ti­fi­ca­zio­ne.
Nel­la logi­ca di Bra­ver­man comun­que tale resi­sten­za spon­ta­nea e mas­si­fi­ca­ta alla degra­da­zio­ne del lavo­ro è di per sé inca­pa­ce di tra­dur­si in un effet­ti­vo supe­ra­men­to del­le attua­li con­di­zio­ni alie­na­te del­la pro­du­zio­ne. Se e nel­la misu­ra in cui il capi­ta­le detie­ne il lavo­ro vivo – in quan­to “orga­niz­za” e “for­ma” il cer­vel­lo socia­le come sua pro­pria fun­zio­ne di svi­lup­po – solo il pro­ces­so di tran­si­zio­ne che ricom­pon­ga idea­zio­ne ed ese­cu­zio­ne e rico­sti­tui­sca la pro­fes­sio­na­li­tà attra­ver­so l’au­to­ge­stio­ne può ricon­qui­sta­re l’in­tel­li­gen­za ed il con­trol­lo dei mez­zi di pro­du­zio­ne. Bra­ver­man sem­bra rie­su­ma­re dal­le cene­ri un dibat­ti­to che, nel mar­xi­smo ita­lia­no, si è rapi­da­men­te con­su­ma­to fra la fine degli anni cin­quan­ta e l’i­ni­zio degli anni ses­san­ta; il capi­ta­le mono­po­li­sti­co divi­de­va allo­ra la cul­tu­ra mar­xi­sta ita­lia­na fra l’ot­ti­mi­smo di quan­ti attri­bui­va­no all’au­to­ma­zio­ne il supe­ra­men­to del­l’i­dio­ti­smo del mestie­re e quin­di la for­ma­zio­ne di un’in­di­vi­dua­li­tà socia­le ric­ca e libe­ra­ta dal­la fati­ca, ed il pes­si­mi­smo di quan­ti coglie­va­no nel­le nuo­ve con­di­zio­ni del­la pro­du­zio­ne il bara­tro del­la robo­tiz­za­zio­ne, del con­su­mi­smo, del­la cul­tu­ra di mas­sa, del­l’in­te­gra­zio­ne.
Le lot­te dell’ ”ope­ra­io mas­sa” e gli ini­zi di una ricer­ca mar­xi­sta – l’o­pe­rai­smo – che ne assu­me­va il “pun­to di vista”, dimo­stra­no come una pro­ble­ma­ti­ca di que­sto gene­re non avreb­be potu­to tro­va­re solu­zio­ne sul pia­no del­la futu­ro­lo­gia, del gusto pro­fe­ti­co degli intel­let­tua­li, indi­pen­den­te­men­te cioè dal­le carat­te­ri­sti­che del­lo scon­tro di clas­se. Quan­to più infat­ti la ricer­ca mar­xi­sta si con­fron­ta con la qua­li­tà del­le lot­te ope­ra­ie tan­to più sco­pre che non è il valo­re del lavo­ro che fon­da la pos­si­bi­li­tà sto­ri­ca del­l’e­ge­mo­nia ope­ra­ia: è uni­ca­men­te la stra­te­gia del rifiu­to del lavo­ro che svi­lup­pa comu­ni­smo. Que­sto è il solo pun­to di vista che, pur “scan­da­liz­zan­do” la cul­tu­ra mar­xi­sta uffi­cia­le, per­met­te di affer­ra­re il sen­so del pen­sie­ro mar­xia­no al di là del­la sua appa­ren­te insu­pe­ra­bi­le con­trad­di­zio­ne su cui tan­to si è affa­ti­ca­to il mar­xi­smo filo­so­fi­co: non vi è dub­bio che quan­do Marx ana­liz­za lo svi­lup­po tec­no­lo­gi­co e scien­ti­fi­co, e quin­di le tra­sfor­ma­zio­ni del pro­ces­so lavo­ra­ti­vo sot­to il coman­do capi­ta­li­sti­co, coglie nel­la sus­sun­zio­ne rea­le del lavo­ro ope­ra­io al capi­ta­le l’in­ten­si­fi­ca­zio­ne del­lo sfrut­ta­men­to del­la for­za lavo­ro e la sua sva­lo­riz­za­zio­ne.
Eppu­re, per Marx, quan­to più il capi­ta­le astrat­tiz­za il lavo­ro, e quan­to più lo assog­get­ta, tan­to più si svi­lup­pa la sog­get­ti­vi­tà comu­ni­sta.
Come è pos­si­bi­le che lo svi­lup­po del­le for­ze pro­dut­ti­ve, come svi­lup­po del pote­re di capi­ta­le sul lavo­ro socia­le, sia svi­lup­po del­le con­di­zio­ni che fon­da­no la neces­si­tà sto­ri­ca del comu­ni­smo?
Per l’o­pe­rai­smo non è l’au­to­no­ma capa­ci­tà civi­liz­za­tri­ce di capi­ta­le che imme­dia­ta­men­te innal­za il valo­re del­la for­za lavo­ro, al di là del­la sua appa­ren­te sva­lo­riz­za­zio­ne, ma è il rifiu­to del lavo­ro che costrin­ge il capi­ta­le a ren­der­si sem­pre più “indi­pen­den­te” dal lavo­ro ope­ra­io, a ridur­re il lavo­ro social­men­te neces­sa­rio sino al pun­to in cui non può più por­si come “misu­ra” del­le poten­zia­li­tà pro­dut­ti­ve che ha evo­ca­to. Sino a che l’in­no­va­zio­ne del pro­ces­so lavo­ra­ti­vo dipen­de dal saper-fare del­l’o­pe­ra­io di mestie­re, la pro­fes­sio­na­li­tà ope­ra­ia valo­riz­za il capi­ta­le ma rap­pre­sen­ta anche fat­to­re di rigi­di­tà e di auto­no­mia nel­la pro­du­zio­ne, che il capi­ta­le ten­de a distrug­ge­re sus­su­men­do l’in­tel­li­gen­za tec­ni­ca e scien­ti­fi­ca e ren­den­do il lavo­ro ope­ra­io ese­cu­ti­vo.
Nel­la misu­ra in cui però il capi­ta­le sva­lo­riz­za la for­za lavo­ro è la clas­se ope­ra­ia che si valo­riz­za come tale: la valo­riz­za­zio­ne capi­ta­li­sti­ca dipen­de ora dal rifiu­to del lavo­ro che “coman­da” lo svi­lup­po capi­ta­li­sti­co costrin­gen­do­lo a tra­sfor­ma­re le con­di­zio­ni del­la pro­du­zio­ne ver­so una cre­scen­te auto­ma­zio­ne. La sva­lo­riz­za­zio­ne del­la for­za lavo­ro svi­lup­pa un anta­go­ni­smo qua­li­ta­ti­va­men­te nuo­vo che ren­de sto­ri­ca­men­te matu­ra la pos­si­bi­li­tà sog­get­ti­va per la clas­se ope­ra­ia di valo­riz­zar­si come for­za poli­ti­ca, nel­la con­ti­nua nega­zio­ne di sé come mer­ce che si scam­bia con capi­ta­le. Marx nel­la gene­ra­liz­za­zio­ne del lavo­ro astrat­to-ugua­le, nel­la par­cel­liz­za­zio­ne del­le man­sio­ni, nel­la loro inter­scam­bia­bi­li­tà, indi­vi­dua infat­ti la base mate­ria­le del­la dis­so­lu­zio­ne del­la divi­sio­ne del­la socie­tà in clas­si, del­la sop­pres­sio­ne del­la leg­ge del valo­re.
Astrat­tiz­za­zio­ne del lavo­ro social­men­te com­bi­na­to, auto­ma­zio­ne e quin­di ridu­zio­ne del tem­po di lavo­ro social­men­te neces­sa­rio impli­ca­no per Marx l’au­to­ne­ga­zio­ne del­la clas­se ope­ra­ia in quan­to for­za lavo­ro, nel­la sua fun­zio­ne cioè di mez­zo di pro­du­zio­ne.
La cri­si di tale fun­zio­ne stru­men­ta­le non impli­ca affat­to sva­lo­riz­za­zio­ne del­la sog­get­ti­vi­tà ope­ra­ia e pro­le­ta­ria: ne ele­va al con­tra­rio l’in­tel­let­tua­li­tà, le capa­ci­tà che ces­sa­no di esse­re deter­mi­na­te dal tem­po di lavo­ro.
L’in­dif­fe­ren­za fra i vari lavo­ri è la base mate­ria­le del­la “uni­ver­sa­liz­za­zio­ne” del­l’in­di­vi­duo socia­le il cui pote­re non è più deter­mi­na­to dal­le com­pe­ten­ze “par­zia­li” del­la for­za lavo­ro imme­dia­ta. Ma è esat­ta­men­te il Marx teo­ri­co del comu­ni­smo che Bra­ver­man si rifiu­ta di leg­ge­re, rive­lan­do­si chiu­so ad ogni logi­ca di supe­ra­men­to del­la divi­sio­ne del­la socie­tà in clas­si. Non gli resta per­ciò che con­si­de­ra­re la degra­da­zio­ne del lavo­ro per vagheg­gia­re il lavo­ro “uma­niz­za­to” anco­ra­to all’i­deo­lo­gia socia­li­sta.
È un modo come un altro per con­vin­ce­re la clas­se ope­ra­ia del­la impos­si­bi­li­tà sto­ri­ca del supe­ra­men­to del­la sua con­di­zio­ne, e del­la neces­si­tà per­ciò di lot­ta­re con­tro la degra­da­zio­ne del lavo­ro per poter incon­tra­re sen­ti­men­ti di gra­ti­fi­ca­zio­ne e di orgo­glio nel­la pro­pria con­di­zio­ne subor­di­na­ta, nel­la intel­li­gen­za del pro­prio ruo­lo stru­men­ta­le, di for­za lavo­ro, nel­la ripro­du­zio­ne socia­le. In tale fun­zio­ne ideo­lo­gi­ca il libro di Bra­ver­man, per quan­to roz­zo e supe­ra­to, susci­ta sim­pa­tie e con­sen­si da par­te di tut­te quel­le for­ze poli­ti­che impe­gna­te a repe­ri­re nuo­ve vie per sfug­gi­re il comu­ni­smo.
Ma la lot­ta con­tro la degra­da­zio­ne del lavo­ro, per la nuo­va pro­fes­sio­na­li­tà, per la ricom­po­si­zio­ne fra idea­zio­ne ed ese­cu­zio­ne, per la nuo­va qua­li­fi­ca­zio­ne, con cui Pci e sin­da­ca­ti han­no inte­so far dige­ri­re la “ristrut­tu­ra­zio­ne” all’au­tun­no cal­do, è una lot­ta che sa solo di scon­fit­ta, di rinun­cia al comu­ni­smo: come tale non pre­sen­ta nes­su­na attrat­ti­va per una clas­se ope­ra­ia esclu­si­va­men­te inte­res­sa­ta a orga­niz­za­re il rifiu­to del lavo­ro. Al pun­to che la ristrut­tu­ra­zio­ne, al di là di ogni pro­gram­ma di nuo­va pro­fes­sio­na­li­tà, attra­ver­so la robo­tiz­za­zio­ne, l’in­for­ma­ti­ca, la com­pu­te­riz­za­zio­ne, il decen­tra­men­to, le ipo­te­si di intro­du­zio­ne del tem­po di lavo­ro fles­si­bi­le ha inte­so col­pi­re le for­me di orga­niz­za­zio­ne del rifiu­to del lavo­ro. E nel­la nuo­va divi­sio­ne del lavo­ro, nel­la nuo­va orga­niz­za­zio­ne di impre­sa, si riscon­tra un’ul­te­rio­re acce­le­ra­zio­ne dei pro­ces­si di astrat­tiz­za­zio­ne del­la stes­sa socia­liz­za­zio­ne dal lavo­ro.
È pro­prio l’in­di­spo­ni­bi­li­tà a valo­riz­za­re il capi­ta­le del lavo­ra­to­re com­ples­si­vo che spin­ge il cer­vel­lo orga­niz­za­ti­vo di capi­ta­le a sot­trar­re ogni deci­sio­ne, ogni respon­sa­bi­li­tà, ogni resi­duo di lavo­ro con­cre­to alla com­bi­na­zio­ne del­le man­sio­ni che potreb­be tra­sfor­mar­si in occa­sio­ne di anta­go­ni­smo e di sabo­tag­gio.
La ten­den­za, in que­sto sen­so, al supe­ra­men­to del­la cate­na di mon­tag­gio non mira cer­to a eli­mi­na­re la disaf­fe­zio­ne e l’as­sen­tei­smo del­l’o­pe­ra­io sin­go­lo, giu­sta­men­te disin­te­res­sa­to a un lavo­ro mono­to­no e ripe­ti­ti­vo: è piut­to­sto il lavo­ro social­men­te com­bi­na­to con un pote­re di deci­sio­na­li­tà che diven­ta temi­bi­le per il capi­ta­le e che quin­di deve esse­re eli­mi­na­to. Da que­sto pun­to di vista, sem­bre­reb­be giu­sti­fi­ca­ta la moti­va­zio­ne che, al limi­te degli anni ses­san­ta, ha indot­to alcu­ni espo­nen­ti del­l’o­pe­rai­smo a rien­tra­re nel­le fila del Pei: il rifiu­to del lavo­ro – e non cer­to la degra­da­zio­ne del lavo­ro -, in quan­to non capi­ta­le, in quan­to cri­si del rap­por­to di capi­ta­le, valo­riz­za il capi­ta­le.
Il rifiu­to del lavo­ro tra­sfor­ma atti­va­men­te il rap­por­to di pro­du­zio­ne capi­ta­li­sti­co, ma non è suf­fi­cien­te a met­ter­ne in cri­si le con­di­zio­ni di ripro­du­zio­ne poli­ti­ca.
Il dina­mi­smo di capi­ta­le capi­ta­liz­za l’an­ta­go­ni­smo ope­ra­io, attra­ver­so la tra­sfor­ma­zio­ne del pro­ces­so lavo­ra­ti­vo che non si risol­ve nel­l’in­no­va­zio­ne tec­no­lo­gi­ca in quan­to avvia pro­ces­si eco­no­mi­co-poli­ti­ci, rela­ti­va­men­te indi­pen­den­ti, che tra­sfor­ma­no dal­l’al­to la com­po­si­zio­ne tec­ni­ca di clas­se. Oggi que­sti stes­si ex-ope­rai­sti nel­l’au­to­no­mia del poli­ti­co final­men­te ci sono entra­ti.
E si sono accor­ti, a quan­to pare, che lo Sta­to post-key­ne­sia­no è ben diver­so dal castel­lo kaf­kia­no, e da ogni mito che vede aggi­rar­si nel palaz­zo “i man­da­ri­ni” del­l’au­to­no­mia del poli­ti­co. Nel­le sue più recen­ti rifles­sio­ni in pro­po­si­to M. Cac­cia­ri (Cfr. M. CACCIARI, Tra­sfor­ma­zio­ni del­lo Sta­to e pro­get­to poli­ti­co, “Cri­ti­ca Mar­xi­sta”, 5, 1978) affer­ma che lo Sta­to attua­le non si iden­ti­fi­ca più né con lo Sta­to Otto­cen­te­sco orga­ni­co agli inte­res­si del­la bor­ghe­sia, né con lo Sta­to key­ne­sia­no come luo­go del­la media­zio­ne e del­la neu­tra­liz­za­zio­ne dei con­flit­ti socia­li.
Lo Sta­to oggi è inca­pa­ce sia di espri­me­re la “com­po­si­zio­ne sin­te­ti­ca dei con­flit­ti”, sia di far­se­ne asso­lu­ta­men­te indi­pen­den­te; in que­sto sen­so, mal­gra­do l’am­pio mar­gi­ne di mano­vra degli stru­men­ti di poli­ti­ca mone­ta­ria, mal­gra­do i pro­ces­si di buro­cra­tiz­za­zio­ne, mal­gra­do la cre­scen­te fun­zio­ne di coman­do che il capi­ta­le socia­le è in gra­do di eser­ci­ta­re rispet­to ai capi­ta­li sin­go­li, la razio­na­li­tà del­lo Sta­to sem­bra ridur­si ad un asset­to fun­zio­na­le inca­pa­ce di “pro­gram­ma­zio­ne”.
La razio­na­li­tà del­lo Sta­to con­tem­po­ra­neo si ride­fi­ni­sce quin­di gior­no per gior­no a fron­te di una con­flit­tua­li­tà dif­fu­sa, per­ma­nen­te: non vi è per­ciò “supe­ra­men­to” del­la cri­si poli­ti­ca, in quan­to lo Sta­to pro­du­ce cri­si dei rap­por­ti poli­ti­ci e si pre­sen­ta più come una fun­zio­ne, solo rela­ti­va­men­te indi­pen­den­te, del­la con­flit­tua­li­tà del­la socie­tà civi­le che come supe­rio­re sin­te­si poli­ti­ca. In altre paro­le, la ricom­po­si­zio­ne poli­ti­ca è inces­san­te scom­po­si­zio­ne dei rap­por­ti di for­za che si costi­tui­sco­no fra i diver­si grup­pi di inte­res­se e le diver­se “auto­no­mie” socia­li, e quin­di non è che fun­zio­ne di svi­lup­po di cri­si poli­ti­ca mano­vra­ta. Quan­to più per­ciò lo Sta­to, nel­la gestio­ne del­la finan­za pub­bli­ca, accen­tra fun­zio­ni diret­ta­men­te pro­dut­ti­ve, tan­to più il “poli­ti­co” costi­tui­sce una fun­zio­ne del­la con­flit­tua­li­tà che ne sovra­de­ter­mi­na lo svi­lup­po com­pa­ti­bi­le alla ripro­du­zio­ne dei rap­por­ti di pro­du­zio­ne.
Tut­ta­via Cac­cia­ri sot­to­li­nea come tale pro­du­zio­ne di cri­si dei rap­por­ti poli­ti­ci che iden­ti­fi­ca lo Sta­to post-key­ne­sia­no non sia inter­pre­ta­bi­le come sem­pli­ce mano­vra di accer­chia­men­to e di iso­la­men­to del­la clas­se ope­ra­ia; “esi­ste – piut­to­sto – una mate­ria­le dif­fu­sio­ne di com­por­ta­men­ti con­flit­tua­li, di obiet­ti­vi poli­ti­ci e di valo­ri… è que­sta sto­ria… che mol­ti­pli­ca il peso quan­ti­ta­ti­vo e qua­li­ta­ti­vo di nuo­vi stra­ti socia­li – è que­sta sto­ria che ope­ra un’au­ten­ti­ca “rivo­lu­zio­ne cul­tu­ra­le” all’in­ter­no del­la stes­sa clas­se ope­ra­ia, e che quin­di pro­du­ce rap­por­ti del tut­to nuo­vi con il com­ples­so del­la for­ma­zio­ne socia­le…” (Ivi, pp. 46–48).
La cri­si del ruo­lo di media­zio­ne e di neu­tra­liz­za­zio­ne dei con­flit­ti del­lo Sta­to key­ne­sia­no non è l’au­to­no­ma stra­te­gia del “poli­ti­co”: è piut­to­sto sin­to­mo del­l’ef­fet­ti­va impos­si­bi­li­tà per lo Sta­to post-key­ne­sia­no di pia­ni­fi­ca­re lo svi­lup­po dei biso­gni socia­li in base alla socia­liz­za­zio­ne dei rap­por­ti di pro­du­zio­ne, in base cioè a una teo­ria del­le clas­si socia­li ogget­ti­va­men­te deter­mi­na­ta dai rap­por­ti di pro­du­zio­ne. Lo Sta­to post-key­ne­sia­no rive­la anche ai teo­ri­ci del­l’au­to­no­mia del poli­ti­co che la stra­te­gia del rifiu­to del lavo­ro non è sem­pli­ce moto­re del­la valo­riz­za­zio­ne capi­ta­li­sti­ca ma è soprat­tut­to fun­zio­ne del­l’au­to­va­lo­riz­za­zio­ne ope­ra­ia e pro­le­ta­ria.
L’an­ta­go­ni­smo ope­ra­io e pro­le­ta­rio, nel tem­po dispo­ni­bi­le e libe­ra­to dal lavo­ro, ride­fi­ni­sce la com­po­si­zio­ne di clas­se, ne tra­sfor­ma la ripro­du­zio­ne su una com­ples­si­tà di biso­gni e di com­por­ta­men­ti sog­get­ti­vi di cui sem­bra qua­si indif­fe­ren­te la spe­ci­fi­ci­tà “ope­ra­ia”.
Gli anni set­tan­ta sono infat­ti carat­te­riz­za­ti da com­por­ta­men­ti di insu­bor­di­na­zio­ne, da situa­zio­ni dif­fu­se di rigi­di­tà, da un insie­me di lot­te che han­no “poli­ti­ciz­za­to” il pri­va­to: non è sol­tan­to il tem­po di lavo­ro, la gior­na­ta lavo­ra­ti­va il luo­go di costi­tu­zio­ne dei biso­gni di clas­se, ma l’e­si­sten­za quo­ti­dia­na, il tem­po in cui l’in­di­vi­duo ripro­du­ce, rige­ne­ra se stes­so ces­sa di esse­re media­to dal­l’i­deo­lo­gia del valo­re del lavo­ro.
La lot­ta con­tro il lavo­ro capi­ta­li­sti­co, la lot­ta per gli aumen­ti sala­ria­li sono obiet­ti­vi limi­ta­ti che ricon­se­gna­no all’in­di­vi­duo, al “pri­va­to” o meglio all’e­co­no­mia del­la fami­glia, le con­di­zio­ni pro­le­ta­rie del­la vita quo­ti­dia­na.
L’au­to­ne­ga­zio­ne del­la for­za lavo­ro si esten­de, con gli anni set­tan­ta, dal­l’im­me­dia­tez­za dei rap­por­ti di pro­du­zio­ne ai modi di ripro­du­zio­ne: la com­po­si­zio­ne di clas­se atti­va nuo­vi pro­ces­si di socia­liz­za­zio­ne, non è l’in­di­vi­duo che rimuo­ve le con­di­zio­ni pro­le­ta­rie di ripro­du­zio­ne che limi­ta­no lo svi­lup­po del­la sua sog­get­ti­vi­tà, ma l’in­di­vi­duo socia­le che tra­sfor­ma i rap­por­ti socia­li in fun­zio­ne del­la pro­pria valo­riz­za­zio­ne.
Al di là di ogni ideo­lo­gia del­la dequa­li­fi­ca­zio­ne e del­la degra­da­zio­ne del lavo­ro, gli anni set­tan­ta atte­sta­no come l’in­dif­fe­ren­za fra i diver­si lavo­ri, la libe­ra­zio­ne dal­l’i­deo­lo­gia del valo­re del lavo­ro, abbia signi­fi­ca­to per la clas­se ope­ra­ia in quan­to for­za poli­ti­ca un innal­za­men­to intel­let­tua­le e cul­tu­ra­le tale da costi­tui­re for­me di pote­re a livel­lo del­la gene­ra­li­tà del­la ripro­du­zio­ne socia­le.
E non si trat­ta uni­ca­men­te del­la tra­sfor­ma­zio­ne dei valo­ri eti­ci, mora­li o gene­ri­ca­men­te cul­tu­ra­li, ma del­la capa­ci­tà del­l’in­tel­li­gen­za socia­le, che si for­ma nel­la insu­bor­di­na­zio­ne allo sfrut­ta­men­to, di saper coman­da­re per­fi­no il cer­vel­lo socia­le “orga­niz­za­to” dal capi­ta­le, quel­lo per inten­der­ci che osses­sio­na Bra­ver­man; al pun­to che lo stes­so “man­da­ri­na­to” è spes­so costret­to a fun­zio­na­re come stru­men­to ese­cu­ti­vo del­l’i­dea­zio­ne di biso­gni qua­li­ta­ti­va­men­te nuo­vi Le lot­te han­no dimo­stra­to che non c’è pos­si­bi­li­tà di svi­lup­po del­la “medi­ci­na” che non dipen­da dai biso­gni del mala­to, e così pure che non c’è avve­ni­re per qual­sia­si peda­go­gia che non dipen­da dai biso­gni di cono­scen­za e dai com­por­ta­men­ti di colo­ro che stu­dia­no, che non c’è svi­lup­po di nuo­ve fon­ti di ener­gia se non facen­do i con­ti con la resi­sten­za socia­le al pia­no nuclea­re, che non c’è svi­lup­po del­l’ur­ba­ni­sti­ca che pos­sa pre­scin­de­re dal­l’in­nal­za­men­to del teno­re di vita. A meno che fra il sape­re dei man­da­ri­ni e l’in­tel­li­gen­za socia­le non si apra una con­flit­tua­li­tà che deve esse­re “media­ta” (se non neu­tra­liz­za­ta) dal­la poli­ti­ca.
Sareb­be inte­res­san­te ana­liz­za­re a que­sto pro­po­si­to le ragio­ni per cui le isti­tu­zio­ni del sape­re si tro­va­no oggi a dover fun­zio­na­re come isti­tu­zio­ni diret­ta­men­te “poli­ti­che”, inces­san­te­men­te attra­ver­sa­te dal­la con­flit­tua­li­tà del pro­le­ta­ria­to intel­let­tua­le e dai nuo­vi biso­gni socia­li. La nuo­va intel­li­gen­za socia­le, la nuo­va con­ce­zio­ne dei rap­por­ti socia­li non è cer­to espres­sio­ne del­la coscien­za esa­spe­ra­ta che nasce all’om­bra del­l’e­mar­gi­na­zio­ne dal lavo­ro o dal­la sot­toc­cu­pa­zio­ne nel­l’i­deo­lo­gia del­l’im­me­dia­ti­smo dei biso­gni: si radi­ca al con­tra­rio nel­la fami­glia pro­le­ta­ria, anche se a vol­te in modo con­flit­tua­le, e si gene­ra­liz­za con sor­pren­den­te rapi­di­tà met­ten­do in cri­si i codi­ci del­la cul­tu­ra domi­nan­te. Que­sta enor­me poten­zia­li­tà di tra­sfor­ma­zio­ne dei rap­por­ti socia­li sca­te­na infat­ti le più sva­ria­te rea­zio­ni di riget­to da par­te del­la cul­tu­ra “uffi­cia­le”: si denun­cia la devian­za col­let­ti­va, la cri­si dei valo­ri, la regres­sio­ne del­la coscien­za poli­ti­ca a for­me di neo esi­sten­zia­li­smo, sino al momen­to in cui la nuo­va eti­ca, la nuo­va cul­tu­ra diven­ta “nor­ma” sot­ter­ra­nea da rico­no­sce­re come tale. La “for­ma­zio­ne del­l’in­di­vi­duo socia­le” ha susci­ta­to però mol­te per­ples­si­tà e pro­ble­mi anche all’in­ter­no del­la nuo­va sini­stra, così come del resto tut­to il pro­ces­so di poli­ti­ciz­za­zio­ne del “pri­va­to”: come è pos­si­bi­le l’e­man­ci­pa­zio­ne dei rap­por­ti socia­li, la for­ma­zio­ne di nuo­vi sog­get­ti, nel­la spe­ci­fi­ci­tà del­le loro esi­gen­ze, in una rela­ti­va indi­pen­den­za dal­la com­po­si­zio­ne tec­ni­ca di clas­se, dal­la ogget­ti­vi­tà dei rap­por­ti di pro­du­zio­ne? Non è casua­le però il fat­to che Marx non si rife­ri­sca più all’ ”ope­ra­io com­ples­si­vo” ma all’ ”uomo” o all’ ”indi­vi­duo socia­le” quan­do descri­ve le con­di­zio­ni di svi­lup­po del­l’an­ta­go­ni­smo di clas­se: quan­to più la clas­se ope­ra­ia e pro­le­ta­ria ten­de alla pro­pria dis­so­lu­zio­ne come clas­se deter­mi­na­ta dai rap­por­ti capi­ta­li­sti­ci, tan­to più rap­pre­sen­ta l’ ”indi­vi­duo socia­le” che pren­de coscien­za dei pro­pri biso­gni al di là del­la base limi­ta­ta del­la pro­du­zio­ne capi­ta­li­sti­ca.
La ridu­zio­ne del tem­po di lavo­ro social­men­te neces­sa­rio con­sen­te “il libe­ro svi­lup­po del­le indi­vi­dua­li­tà”, infat­ti “le for­ze pro­dut­ti­ve e le rela­zio­ni socia­li” sono “entram­bi lati diver­si del­lo svi­lup­po del­l’in­di­vi­duo socia­le” che “figu­ra­no per il capi­ta­le solo come mez­zi per pro­dur­re la sua base limi­ta­ta. Ma in real­tà essi sono le con­di­zio­ni per fare sal­ta­re in aria que­sta base” (K. MARX, Linea­men­ti, trad. it., La Nuo­va Ita­lia, Firen­ze, 1968, voi. II, p. 402). Nel­la misu­ra in cui il rifiu­to del lavo­ro svi­lup­pa l’a­strat­tiz­za­zio­ne rea­le del lavo­ro “non è più tan­to il lavo­ro a pre­sen­tar­si inclu­so nel pro­ces­so di pro­du­zio­ne, quan­to piut­to­sto l’uo­mo a por­si in rap­por­to al pro­ces­so di pro­du­zio­ne come sor­ve­glian­te e rego­la­to­re” e ciò “vale anche per la com­bi­na­zio­ne del­le atti­vi­tà uma­ne e per lo svi­lup­po del­le rela­zio­ni uma­ne… Egli si col­lo­ca accan­to al pro­ces­so di pro­du­zio­ne, anzi­ché esser­ne l’a­gen­te prin­ci­pa­le”, (Ivi, p. 401). Sia­mo in un oriz­zon­te total­men­te rove­scia­to rispet­to a quel­lo angu­sto e capo­vol­to di Bra­ver­man: per l’in­di­vi­duo socia­le il suo supe­ra­men­to pos­si­bi­le del­la degra­da­zio­ne del lavo­ro è la sop­pres­sio­ne del­la sua deter­mi­na­zio­ne capi­ta­li­sti­ca.
Que­sto non ha nul­la a che fare con la “uma­niz­za­zio­ne” del lavo­ro imme­dia­to, né con la regres­sio­ne al lavo­ro con­cre­to: si iden­ti­fi­ca piut­to­sto con la sop­pres­sio­ne del­la leg­ge del valo­re, del­la cen­tra­li­tà del­la gior­na­ta lavo­ra­ti­va nel pote­re che essa ha di sosti­tui­re il valo­re del lavo­ro come “misu­ra” del­lo svi­lup­po dei biso­gni del­l’in­di­vi­duo socia­le. La sop­pres­sio­ne del­la leg­ge del valo­re è quin­di la rea­liz­za­zio­ne sto­ri­ca del­l’an­ta­go­ni­smo del­l’in­di­vi­duo socia­le e del­le carat­te­ri­sti­che radi­cal­men­te nuo­ve che qua­li­fi­ca­no la sua “pro­dut­ti­vi­tà gene­ra­le”: cioè la capa­ci­tà di “dire­zio­ne” e di “sor­ve­glian­za” rispet­to alle poten­zia­li­tà pro­dut­ti­ve in fun­zio­ne del­l’au­to­va­lo­riz­za­zio­ne dei rap­por­ti socia­li.
La stra­te­gia del rifiu­to del lavo­ro, del­l’au­to­ne­ga­zio­ne del­la for­za lavo­ro, svi­lup­pa la “pro­dut­ti­vi­tà gene­ra­le” come padro­nan­za del­le con­di­zio­ni del­la ripro­du­zio­ne socia­le, come inno­va­zio­ne dei rap­por­ti socia­li.
La “pro­dut­ti­vi­tà gene­ra­le” del­l’in­di­vi­duo socia­le oggi si pre­sen­ta effet­ti­va­men­te come “il gran­de pilo­ne di soste­gno del­la pro­du­zio­ne e del­la ric­chez­za” nel­la sua capa­ci­tà di inno­va­re le moda­li­tà di for­ma­zio­ne del­la ric­chez­za, nel­la socia­liz­za­zio­ne del lavo­ro som­mer­so, ma anche e soprat­tut­to nel­le nuo­ve for­me di lot­ta in cui l’an­ta­go­ni­smo socia­le si pre­sen­ta come con­di­zio­ne impre­scin­di­bi­le del­la “qua­li­tà” del­lo svi­lup­po. Il moto­re infat­ti del cer­vel­lo socia­le orga­niz­za­to dal capi­ta­le ces­sa di esse­re uni­ca­men­te il rifiu­to del lavo­ro, ma si pre­sen­ta come lavo­ro vivo, intel­li­gen­za socia­le che inces­san­te­men­te valo­riz­za le con­di­zio­ni del­la ripro­du­zio­ne, innal­zan­do i biso­gni socia­li: al pun­to che con­di­zio­ne del­lo svi­lup­po e del­la valo­riz­za­zio­ne di capi­ta­le è “l’ap­pro­pria­zio­ne del­la pro­dut­ti­vi­tà gene­ra­le”, la subor­di­na­zio­ne del­l’in­no­va­zio­ne dei rap­por­ti socia­li.
Tut­ta­via la “pro­dut­ti­vi­tà gene­ra­le” sus­sun­ta all’in­no­va­zio­ne poli­ti­ca ed orga­niz­za­ti­va di capi­ta­le è pro­dut­tri­ce di cri­si, di disgre­ga­zio­ne, di nuo­va con­flit­tua­li­tà che non con­sen­te nuo­ve for­me di dure­vo­le com­po­si­zio­ne poli­ti­ca; in quan­to la “pro­dut­ti­vi­tà gene­ra­le” del­l’in­di­vi­duo socia­le resta anco­ra­ta al valo­re d’u­so, come padro­nan­za del­le stra­te­gie di frui­zio­ne col­let­ti­va del­la ric­chez­za dispo­ni­bi­le e non è com­pa­ti­bi­le con le ragio­ni del­lo scam­bio e del­l’ac­cu­mu­la­zio­ne capi­ta­li­sti­ca. Ogni teo­ria dei gio­chi del­lo Sta­to post-key­ne­sia­no, ogni for­ma di ero­ga­zio­ne di red­di­to atta a ripri­sti­na­re il siste­ma del­la dise­gua­glian­za nel­la sod­di­sfa­zio­ne dei biso­gni del­l’in­di­vi­duo socia­le, svi­lup­pa cri­si poli­ti­ca e mol­ti­pli­ca la “pro­dut­ti­vi­tà gene­ra­le”: i cen­tri e i momen­ti dis­se­mi­na­ti del­l’an­ta­go­ni­smo. Sono que­sti i cen­tri e i momen­ti di svi­lup­po del­la stra­te­gia del­l’in­di­vi­duo socia­le nel suo pro­get­to di auto­de­ter­mi­na­zio­ne poli­ti­ca poi la nuo­va for­ma­zio­ne sociale

Magazzino n° 2

  • RUBRICHE E INTERVENTI
  • Foto­gra­fia – Napo­li: ma il vico­lo è solo un repar­to (T. Con­ti) pag. 7
  • Festa – Car­ne­va­le: la festa e l’im­ma­gi­na­rio (C. Funa­ro) pag. 8
  • Eroi­na 2 – Che sen­so ha il dibat­ti­to sul­la lega­liz­za­zio­ne? (D. Ceso­ni) pag. 11
  • Opi­nio­ni – Lavo­ro e poli­ti­co una nuo­va sin­te­si?… (da M. Tron­ti) pag. 13
  • DENTRO LA BALENA – testi­mo­nian­za di K. H. Roth pag.15
  • Mass-media – Addio Gutem­berg (P. Poz­zi) pag. 22
  • Libri – Auto­no­mia o ghet­to (T. Negri) pag. 23
  • Musi­ca – Min­gus, Min­gus (a cura di S. Rof­fe­ni) pag. 25
  • Don­ne – Pro­spet­ti­ve poli­ti­che da un’e­spe­rien­za di lot­ta nel e sul­l’o­spe­da­le (Coor­di­na­men­to don­ne Scuo­la-Uni­ver­si­tà-Ospe­da­le – Pado­va) pag. 26
  • IL LAVORO PORTUALE A S. FRANCISCO – rac­con­to di R. The­riault pag. 28
  • Osser­va­to­rio inter­no – inter­vi­sta ad alcu­ni com­pa­gni di LC x il Comu­ni­smo di Mila­no (a cura di F. Tom­mei) pag. 33
  • Osser­va­to­rio inter­na­zio­na­le – SME: stru­men­to del­la ristrut­tu­ra­zio­ne del­la com­po­si­zio­ne di clas­se (L. Fer­ra­ri Bra­vo) – Roll-back impe­ria­li­sta e lot­ta per la pace (L. Man­to­va) – “Il faut que ca cra­que” (coor­di­na­men­to auto­no­mo Pari­gi) pag. 42
  • DOSSIER 2: TRA GRANDE FABBRICA RISTRUTTURATA E FABBRICA DIFFUSA
  • La fab­bri­ca dif­for­me (T. Negri) pag. 46
  • Fiat: robo­tiz­za­zio­ne, ristrut­tu­ra­zio­ne e rifor­mi­smo (coor­di­na­men­to auto­no­mo Fiat di Tori­no) pag. 48
  • Nuo­vi assun­ti alla Fiat ( G. C. e E. F.) pag. 59
  • Alfa Romeo (E. Ate­na) pag. 68
  • Geno­va: il labo­ra­to­rio tede­sco (N. Dili­gu) pag. 72
  • Appun­ti sul pia­no nuclea­re (G. Moro­ni) pag. 80
  • P. Mar­ghe­ra: sche­de pag. 84
  • Ital­si­der (Napo­li): la fab­bri­ca assi­sti­ta fra mar­gi­na­li­tà e assi­sten­zia­li­smo (A. Flo­ra) pag. 87
  • Ristrut­tu­ra­zio­ne Mar­zot­to: auto­ma­zio­ne e decen­tra­men­to (L. Viso­nà) pag. 90
  • Dal tay­lo­ri­smo al post-tay­lo­ri­smo (S. Bon­fi­glio­li Perel­li e A. Magna­ghi) pag. 95
  • Gran­de fab­bri­ca e ope­ra­io socia­le: la coo­pe­ra­zio­ne sov­ver­si­va (col­let­ti­vi poli­ti­ci ope­rai – Mila­no) pag. 98
  • CONTRIBUTI
  • Sta­ti Uni­ti: for­ma sta­to e “nuo­vi eco­no­mi­sti” (C. Maraz­zi) pag. 103
  • Il pia­no Car­ter: la stan­ga­ta ener­ge­ti­ca (I. Gal­lim­ber­ti) pag. 109
  • Per una nuo­va sto­rio­gra­fia dei movi­men­ti di clas­se (F. Fox Piven e R. A. Clo­ward) pag. 116
  • La com­po­si­zio­ne tec­ni­ca e com­po­si­zio­ne poli­ti­ca di clas­se (R. Lau­ri­cel­la) pag. 120
  • Clas­se ope­ra­ia e “indi­vi­duo socia­le” (R. Tomas­si­ni) pag. 125
  • Apri­re la ver­ten­za poli­ti­ca con­tro lo sta­to pag. 130

ROSSO per il potere operaio n. 32

PER IL POTERE OPERAIO

  • La rivo­lu­zio­ne comu­ni­sta non si arresta
  • FIAT Tori­no
  • Il pro­gram­ma ever­si­vo del­l’o­pe­ra­io sociale
  • Discus­sio­ne di una fab­bri­ca di servizi

Guerriglia e guerra rivoluzionaria in Italia

Ideo­lo­gia, fat­ti, prospettive

Sabi­no S. Acqua­vi­va, Guer­ri­glia e guer­ra rivo­lu­zio­na­ria in ita­lia. Ideo­lo­gia, fat­ti, pro­spet­ti­ve, Riz­zo­li, Mila­no 1979


Que­sto libro di Sabi­no Acqua­vi­va è for­se la pri­ma ana­li­si orga­ni­ca del­la guer­ri­glia ita­lia­na, sen­za indul­ge­re, tut­ta­via, ad un lin­guag­gio com­ples­so e al pre­zio­si­smo scien­ti­fi­co. In manie­ra pia­na sono ana­liz­za­te le ori­gi­ni, le cau­se, le carat­te­ri­sti­che, i pos­si­bi­li svi­lup­pi del­la lot­ta arma­ta in Ita­lia, guar­dan­do anche all’i­deo­lo­gia e alle con­di­zio­ni socia­li che la reg­go­no. Ne emer­ge un qua­dro dram­ma­ti­co di una guer­ri­glia che ha alle spal­le uno spa­zio poli­ti­co e orga­niz­za­ti­vo radi­ca­to nel­le defi­cien­ze e nei biso­gni del­la socie­tà ita­lia­na di oggi. Appa­io­no chia­ra­men­te i lega­mi del­la lot­ta arma­ta con il Movi­men­to degli stu­den­ti, le sue lon­ta­ne ori­gi­ni poli­ti­che, cul­tu­ra­li e psi­co­lo­gi­che insie­me alla neces­si­tà e dif­fi­col­tà per la guer­ri­glia di con­ser­va­re que­sti lega­mi, di espri­me­re sem­pre i biso­gni del Movi­men­to.
Negli svel­ti capi­to­li del suo sag­gio, Sabi­no Acqua­vi­va ana­liz­za anche le linee stra­te­gi­che e tat­ti­che del­la guer­ri­glia: distin­gue fra guer­ri­glia urba­na, guer­ri­glia rura­le, guer­ri­glia «dei gran­di spa­zi», vaglian­do­ne carat­te­ri­sti­che e pos­si­bi­li­tà a bre­ve e lun­go ter­mi­ne. Met­te a fuo­co le tec­ni­che di lot­ta dei guer­ri­glie­ri: la pro­pa­gan­da arma­ta, la pos­si­bi­li­tà per la guer­ri­glia ita­lia­na di crea­re basi di appog­gio, lo spa­zio socia­le in cui cre­sce: scuo­la, car­ce­ri, emar­gi­na­ti, clas­se ope­ra­ia.
Il libro è insie­me una sin­te­si, un bilan­cio e una pre­vi­sio­ne, un’a­na­li­si che guar­da ad alcu­ni aspet­ti pos­si­bi­li del nostro futu­ro negli anni a veni­re.

Sabi­no Acqua­vi­va è uno dei più noti socio­lo­gi ita­lia­ni, è pro­fes­so­re ordi­na­rio di socio­lo­gia nel­l’U­ni­ver­si­tà di Pado­va e «Visi­ting Yel­low» del­l’All Souis Col­le­ge di Oxford. Si è affer­ma­to con alcu­ni libri di suc­ces­so tra i qua­li Auto­ma­zio­ne e nuo­va clas­se (3ed. 1968), in cui anti­ci­pa­va di anni alcu­ne tesi del nuo­vo sta­to indu­stria­le di Gal­bright, In prin­ci­pio era il cor­po (1976), Social Struc­tu­re in Ita­ly. Cri­sis of a System (in col­la­bo­ra­zio­ne con M. San­tuc­cio, 1976), un pro­fi­lo del­la cri­si del­la socie­tà ita­lia­na con­tem­po­ra­nea scrit­to per il mon­do cul­tu­ra­le anglo­sas­so­ne, L’e­clis­si del sacro nel­la socie­tà indu­stria­le (5° ed. 1978), tra­dot­to in più lin­gue. Col­la­bo­ra al «Cor­rie­re del­la Sera» ed a mol­ti altri quo­ti­dia­ni e perio­di­ci ita­lia­ni e stra­nie­ri, scien­ti­fi­ci e culturali.