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Organismi autonomi e ”area dell’autonomia’’

PUZZ edi­to­ria­le

Una com­pren­sio­ne esat­ta del­la pro­ble­ma­ti­ca orga­niz­za­ti­va, che l’au­to­no­mia ope­ra­ia in gene­ra­le e le strut­tu­re già for­ma­te che essa ha espres­so si tro­va­no ad affron­ta­re, richie­de la defi­ni­zio­ne la più esat­ta pos­si­bi­le dei pro­ces­si di aggre­ga­zio­ne che han­no deter­mi­na­to il for­mar­si del­la cosid­det­ta “area del­l’au­to­no­mia”.
Le com­po­nen­ti che inte­ra­gi­sco­no in que­sto pro­ces­so sono:
- il nasce­re, lo svi­lup­par­si e l’in­te­ra­gi­re di orga­niz­za­zio­ni rea­li in fab­bri­ca e, in misu­ra mino­re sul ter­ri­to­rio.
Que­ste orga­niz­za­zio­ni sono costi­tui­te da fran­ge ope­ra­ie più o meno con­si­sten­ti che rom­po­no in manie­ra net­ta con la tra­di­zio­ne rifor­mi­sta e buro­cra­ti­ca per affer­ma­re l’e­si­gen­za di una dire­zio­ne pro­le­ta­ria sul­le lot­te; – la cri­si di una fascia “estre­mi­sta” di quel ” per­so­na­le poli­ti­co” pro­dot­to dai grup­pi neo­le­ni­ni­sti (Pote­re ope­ra­io, Grup­po Gram­sci, ele­men­ti di sini­stra di Lot­ta con­ti­nua).
Que­sta cri­si, moti­va­ta dal­l’im­pos­si­bi­li­tà di costi­tui­re un par­ti­to coe­ren­te­men­te rivo­lu­zio­na­rio, vale a dire capa­ce di por­re la pro­pria can­di­da­tu­ra alla dire­zio­ne del­la clas­se sot­traen­do­la ai rifor­mi­sti, com­por­ta un’a­de­sio­ne di que­sti mili­tan­ti a un’i­po­te­si orga­niz­za­ti­va nuo­va e si defi­ni­sco­no area del­l’au­to­no­mia; – l’a­zio­ne di pic­co­le buro­cra­zie tra­di­zio­na­li di tipo sta­li­no-maoi­sta (Avan­guar­dia comu­ni­sta, W il comu­ni­smo, il Comi­ta­to comu­ni­sta m‑l di uni­tà e di lot­ta) che taglia­te o taglia­te­si fuo­ri dal pro­ces­so di aggre­ga­zio­ne dei grup­pi mag­gio­ri cer­ca­no di dia­let­tiz­zar­si con i grup­pi ope­rai auto­no­mi per tro­va­re uno “spa­zio a sini­stra” nel­la spe­ran­za abba­stan­za assur­da di poter­si pro­por­re come par­ti­to gui­da. Non è d’uo­po occu­par­si infi­ne degli ondeg­gian­ti “auto­no­mi­sti”, di rag­grup­pa­men­ti come Re Nudo, il Fuo­ri e le fem­mi­ni­ste, che godo­no del­l’in­vi­dia­bi­le pre­ro­ga­ti­va di poter fare ciò che desi­de­ra­no sen­za reca­re alcun distur­bo o gio­va­men­to di rilie­vo né alla bor­ghe­sia né al pro­le­ta­ria­to, se non per rile­va­re che ciò con­tri­bui­sce ad aumen­ta­re la con­fu­sio­ne gio­can­do sul­l’o­mo­ni­mia che può esser­ci tra auto­no­mia di clas­se e auto­no­mie loca­li o set­to­ria­li. Un qua­dro così com­ples­so gene­ra ine­vi­ta­bil­men­te una cer­ta con­fu­sio­ne, l’au­to­no­mia sem­bra un vaso adat­to a qual­sia­si con­di­men­to per ogni mine­stra: chi non è o non può defi­nir­si “qual­co­s’al­tro” è “auto­no­mo”.
In que­sta situa­zio­ne gio­va­no poco sia i ten­ta­ti­vi di sta­bi­li­re chi “ha capi­to pri­ma” le cose, sia i richia­mi ai prin­ci­pi e soprat­tut­to è inu­ti­le un dibat­ti­to “ideo­lo­gi­co”. Si trat­ta di ricon­dur­si ai pro­ble­mi con­cre­ti che affron­ta il movi­men­to del pro­le­ta­ria­to dal pun­to di vista teo­ri­co e pra­ti­co, tenen­do pre­sen­te che la pra­ti­ca a cui si rife­ri­sce non è, secon­do una dif­fu­sa con­ce­zio­ne bece­ra e maoi­sta, quel­la dei “mili­tan­ti” che su di essa si “con­fron­ta­no”, ma sem­mai quel­la del­la clas­se nel­la misu­ra in cui si muo­ve in manie­ra anta­go­ni­sta al capi­ta­le. L’au­to­no­mia pro­le­ta­ria e i grup­pi Il pri­mo mito, accre­di­ta­to da una visio­ne poli­zie­sca e gior­na­li­sti­ca del­la que­stio­ne dif­fu­sa abbon­dan­te­men­te da «Pano­ra­ma», «l’E­spres­so», «Il Cor­rie­re del­la Sera» e le veli­ne del­la Que­stu­ra, è che i grup­pi ope­rai auto­no­mi com­po­sti da ex-stu­den­ti e sot­to­pro­le­ta­ri (sic!) sia­no il grup­po più cat­ti­vo che “pre­di­ca il rifiu­to del lavo­ro e la riap­pro­pria­zio­ne, cioè il fur­to”. È evi­den­te che que­sta con­ce­zio­ne tra­vi­sa volu­ta­men­te e com­ple­ta­men­te il rifiu­to del fron­ti­smo con i rifor­mi­sti, del con­trat­tua­li­smo e del­l’op­por­tu­ni­smo, rifiu­to che carat­te­riz­za gli attua­li embrio­ni di auto­no­mia orga­niz­za­ta assie­me alla dife­sa intran­si­gen­te del­la lot­ta pro­le­ta­ria in tut­te le sue for­me lega­li e ille­ga­li. Secon­do l’o­pi­nio­ne dei que­stu­ri­ni la discri­mi­nan­te fra “grup­pet­ta­ri” e “auto­no­mi” è che i pri­mi sono ragio­ne­vo­li, i secon­di vio­len­ti; i pri­mi paro­lai i secon­di duri. Gli auto­no­mi sareb­be­ro insom­ma il frut­to più matu­ro o più acer­bo, a secon­da dei gusti o del­le valu­ta­zio­ne, del­la sini­stra extra. Per­tan­to, l’au­to­no­mia sareb­be sor­ta dal­la cri­si dei grup­pi come nuo­va for­ma orga­niz­za­ti­va di un non meglio pre­ci­sa­to movi­men­to che com­pren­de­reb­be spon­ta­nei­tà ope­ra­ia, stu­den­te­sca, cul­tu­ra­le, mar­gi­na­le, grup­pi e tron­co­ni di grup­pi e chi più ne ha più ne met­ta. Una valu­ta­zio­ne in ter­mi­ni rea­li por­ta inve­ce a defi­ni­re l’au­to­no­mia pro­le­ta­ria come la con­trad­di­zio­ne irri­nun­cia­bi­le tra le clas­si, esi­sten­te come movi­men­to aper­to o sot­ter­ra­neo capa­ce di dar­si pro­prie for­me orga­niz­za­te fun­zio­na­li ai livel­li di scon­tro che affron­ta. Cer­ta­men­te esi­ste quin­di una pro­ble­ma­ti­ca orga­niz­za­ti­va, un’e­si­gen­za di cen­tra­liz­za­zio­ne in ter­mi­ni rea­li dato che la clas­se non può eman­ci­par­si come som­ma di grup­pi loca­li ma al con­tra­rio deve, per abo­li­re lo sfrut­ta­men­to, acqui­si­re la capa­ci­tà di espro­pria­re i capi­ta­li­sti e di rior­ga­niz­za­re la pro­du­zio­ne su base mon­dia­le. D’al­tra par­te que­sta cen­tra­liz­za­zio­ne non può esse­re con­ce­pi­ta come for­za­tu­ra volon­ta­ri­sta del movi­men­to rea­le den­tro un pro­gram­ma pre­co­sti­tui­to. Al con­tra­rio dev’es­se­re la defi­ni­zio­ne con­ti­nua di un pro­gram­ma teo­ri­co-pra­ti­co da par­te dei pro­le­ta­ri stes­si. Chi si fa pro­pu­gna­to­re di un’or­ga­niz­za­zio­ne con­ce­pi­ta come pas­sag­gio dal­la spon­ta­nei­tà alla dire­zio­ne di una mino­ran­za è per sua stes­sa logi­ca all’in­ter­no del pro­get­to social­de­mo­cra­ti­co (non impor­ta se aper­ta­men­te rifor­mi­sta o “rivo­lu­zio­na­rio” di stam­po leni­ni­sta) di fun­ge­re da cer­vel­lo del­la clas­se ope­ra­ia. In real­tà il “sal­to” che pro­pon­go­no è quel­lo dal­l’or­ga­niz­za­zio­ne ope­ra­ia lega­ta a pre­ci­si inte­res­si di clas­se alla mili­tan­za di grup­po, all’il­lu­sio­ne di “diri­ge­re” un movi­men­to che si annun­cia ano­ni­mo, sprez­zan­te di capi e di pro­fe­ti, deter­mi­na­to solo dal­l’in­te­res­se ope­ra­io. Il grup­po non è insom­ma un’or­ga­niz­za­zio­ne “sba­glia­ta” degli ope­rai ma al con­tra­rio l’ul­ti­mo visi­bi­le pro­dot­to del­la cri­si del­la pic­co­la bor­ghe­sia in cer­ca di un ruo­lo da copri­re.
Poco impor­ta se riflui­sce nel fron­te con i rifor­mi­sti come i grup­pi mag­gio­ri o si “mili­ta­riz­za” per affron­ta­re lo scon­tro con lo Sta­to in ter­mi­ni trat­ti dal­l’e­spe­rien­za di rivo­lu­zio­ne nazio­nal-popo­la­re (rivo­lu­zio­ne cine­se e cuba­na) o di “fron­te popo­la­re” (resi­sten­za). In ogni caso è al di fuo­ri del­la logi­ca di clas­se, in ogni caso deve recu­pe­ra­re una tema­ti­ca rifo­mi­sta (fron­te anti­fa­sci­sta e lot­ta alla rea­zio­ne assie­me alla bor­ghe­sia pro­gres­si­sta).
Nul­la insom­ma che riguar­di il pro­gram­ma ope­ra­io di riap­pro­pria­zio­ne dei mez­zi di pro­du­zio­ne, di dife­sa dei pro­pri inte­res­si di clas­se con­tro tut­te le altre clas­si, non impor­ta se con­ser­va­tri­ci o “pro­gres­si­ste”. Rivo­lu­zio­ne poli­ti­ca e rivo­lu­zio­ne socia­le La dif­fe­ren­za fon­da­men­ta­le tra comu­ni­smo come espres­so dal pro­gram­ma pro­le­ta­rio e il “comu­ni­smo” del­la pic­co­la bor­ghe­sia intel­let­tua­le sta nel­le con­tro­par­ti e nel­le fina­li­tà che que­ste due clas­si assu­mo­no. La pic­co­la bor­ghe­sia intel­let­tua­le in quan­to clas­se ester­na alla pro­du­zio­ne, addet­ta all’am­mi­ni­stra­zio­ne e alla cir­co­la­zio­ne del valo­re si pone il pro­ble­ma del pote­re come pote­re poli­ti­co, cioè come pote­re sul­l’ap­pro­pria­zio­ne del­le mer­ci pro­dot­te.
Il pic­co­lo bor­ghe­se non com­bat­te il modo di pro­du­zio­ne capi­ta­li­sta, ma il fat­to che la ric­chez­za ven­ga distri­bui­ta in base al cri­te­rio (pro­prie­tà pri­va­ta di tipo bor­ghe­se) che lo esclu­de e lo emar­gi­na. (…) Il pro­le­ta­ria­to come clas­se dei pro­dut­to­ri si oppo­ne alla pro­prie­tà capi­ta­li­sta nel­la sua essen­za di coman­do sul­la pro­du­zio­ne.
I pro­le­ta­ri non lot­ta­no sem­pli­ce­men­te con­tro que­sto o quel gesto­re del­la pro­du­zio­ne: ma con­tro il mec­ca­ni­smo stes­so del­la leg­ge del valo­re. Il pote­re al qua­le i pro­le­ta­ri mira­no non è un astrat­to pote­re poli­ti­co dele­ga­to a qual­cu­no, ma il pote­re sul­la pro­du­zio­ne che per­met­te di rove­sciar­ne la natu­ra e le fina­li­tà. (…) Auto­no­mia pro­le­ta­ria e gli obiet­ti­vi inter­me­di Un evi­den­te ten­ta­ti­vo di ridur­re l’au­to­no­mia pro­le­ta­ria a sup­por­to di strut­tu­re buro­cra­ti­che è quel­lo di defi­nir­la come un’in­sie­me di obiet­ti­vi “qua­li­fi­can­ti”: riap­pro­pria­zio­ne, sala­rio garan­ti­to, rifiu­to del lavo­ro. Vede­re così la cosa signi­fi­ca con­fon­de­re il movi­men­to con del­le for­me che a vol­te assu­me, con del­le tap­pe inter­me­die che si dà o che, peg­gio, si cer­ca di dar­gli. Al con­tra­rio, gli obiet­ti­vi che la clas­se di vol­ta in vol­ta per­se­gue sono ine­vi­ta­bil­men­te deter­mi­na­ti da con­tin­gen­ze par­ti­co­la­ri di luo­go e di tem­po, dal­la for­za ope­ra­ia, dal­l’or­ga­niz­za­zio­ne capi­ta­li­sta, dal peso del­le clas­si inter­me­die e per­si­no da fat­to­ri casua­li.
Come esem­pio di que­sta logi­ca abbia­mo visto in que­sti ulti­mi anni il ten­ta­ti­vo di gene­ra­liz­za­re a tut­ta la clas­se ope­ra­ia ita­lia­na gli obiet­ti­vi e le for­me di lot­ta di un suo set­to­re impor­tan­te ma spe­ci­fi­co, cioè quel­li por­ta­ti avan­ti dagli ope­rai del­la Fiat nel­la ver­ten­za del ’68–69. Lot­ta con­ti­nua, attra­ver­so le assem­blee ope­rai-stu­den­ti, si fece cari­co del­la gene­ra­liz­za­zio­ne di que­sta espe­rien­za, in pra­ti­ca del­la sua mitiz­za­zio­ne.
La suc­ces­si­va sto­ria del­l’e­vo­lu­zio­ne di Lc da pre­te­so “coor­di­na­men­to del­le avan­guar­die rea­li” a reg­gi­co­da del rifor­mi­smo è esem­pla­re per com­pren­de­re come que­sto stra­vol­gi­men­to del ruo­lo del­l’or­ga­niz­za­zio­ne rivo­lu­zio­na­ria sia la pre­pa­ra­zio­ne se non la coper­tu­ra a ope­ra­zio­ni neo-buro­cra­ti­che. Un rischio del gene­re oggi è cor­so dal­l’a­rea del­l’au­to­no­mia nel­la misu­ra in cui vie­ne pro­po­sta una cen­tra­liz­za­zio­ne sugli obiet­ti­vi. Attra­ver­so que­sto discor­so una serie di tron­co­ni di grup­pi si uni­fi­ca e cer­ca di uni­fi­ca­re anche orga­ni­smi rea­li sul­l’i­dea che oggi il com­pi­to del­l’Au­to­no­mia ope­ra­ia orga­niz­za­ta sia quel­lo di col­pi­re il capi­ta­li­smo visto in una cri­si gra­vis­si­ma. Que­sta via con­du­ce ad allon­ta­nar­si dagli inte­res­si con­cre­ti del­la clas­se ope­ra­ia, a cen­tra­liz­zar­si sui livel­li “alti” del­lo scon­tro sot­to­va­lu­tan­do tut­ta una serie di tap­pe inter­me­die neces­sa­rie.
Peg­gio anco­ra si da spa­zio a due posi­zio­ni non pro­le­ta­rie: – il vel­lei­ta­ri­smo con­fu­sio­na­rio degli emar­gi­na­ti, la cui spon­ta­nea radi­ca­li­tà è assun­ta come refe­ren­te poli­ti­co, quan­do al mas­si­mo è un aspet­to secon­da­rio del­lo scon­tro; – le mene dei pic­co­li grup­pi m‑l che solo un ingua­ri­bi­le oppor­tu­ni­smo può far con­si­de­ra­re come for­za di clas­se. (…) Com­pi­to di una mino­ran­za rivo­lu­zio­na­ria non è quel­lo di espro­pria­re i pro­le­ta­ri del­la com­pren­sio­ne del­la loro lot­ta attra­ver­so il ten­ta­ti­vo di fun­zio­na­liz­zar­la a uno sche­ma pre­co­sti­tui­to, ma al con­tra­rio di ope­ra­re per uno svi­lup­po di que­sta com­pren­sio­ne. (…) Auto­no­mia pro­le­ta­ria e pro­ble­ma­ti­ca insur­re­zio­na­le Il sal­to da lot­ta di fab­bri­ca a lot­ta con­tro lo Sta­to sul pia­no gene­ra­le e insur­re­zio­na­le è uno dei pas­sag­gi obbli­ga­ti del movi­men­to che richie­de la mas­si­ma chia­rez­za di valu­ta­zio­ne. Anco­ra una vol­ta è neces­sa­rio ricon­dur­si alla natu­ra del­lo scon­tro di clas­se e ai suoi spe­ci­fi­ci fini. Per il pro­le­ta­ria­to il pro­ble­ma mili­ta­re è essen­zial­men­te quel­lo del­la dife­sa sul ter­re­no del­lo scon­tro con l’ap­pa­ra­to mili­ta­re del­la fab­bri­ca e del­lo Sta­to dei livel­li di orga­niz­za­zio­ne rag­giun­ta.
Nel­la misu­ra in cui il comu­ni­smo è uno spe­ci­fi­co rap­por­to di pro­du­zio­ne, non è ne impo­ni­bi­le né difen­di­bi­le dal­la “volon­tà” di un cor­po mili­ta­re sepa­ra­to. Gli ulti­mi anni han­no visto il nasce­re di ipo­te­si orga­niz­za­ti­ve basa­te sul­lo scon­tro “duro e diret­to” con lo Sta­to. È neces­sa­rio cri­ti­car­le nel­la misu­ra in cui i loro pro­po­ni­to­ri pre­ten­do­no di esse­re fuo­ri dal­la logi­ca rifor­mi­sta e neo-buro­cra­ti­ca dei grup­pi. L’ar­go­men­to por­ta­to è che essi non pre­ten­do­no di diri­ge­re il movi­men­to ope­ra­io, ma si limi­ta­no ad agi­re a un livel­lo supe­rio­re. Le due ipo­te­si su cui si muo­vo­no sono: – quel­la clas­si­ca che mira a un’or­ga­niz­za­zio­ne for­te­men­te cen­tra­liz­za­ta il cui com­pi­to è di dare del­le indi­ca­zio­ni al movi­men­to duran­te lo scon­tro e il col­po fina­le allo Sta­to nel­la cri­si rivo­lu­zio­na­ria.
Que­sta non è che la fac­cia mili­ta­re del­la vec­chia logi­ca di par­ti­to, e non meri­ta un appro­fon­di­men­to; – l’i­po­te­si gra­dua­li­sta del­la costru­zio­ne di “basi ros­se” all’in­ter­no del­la socie­tà capi­ta­li­sti­ca come pote­re alter­na­ti­vo a quel­lo del­lo Sta­to, capa­ce di svi­lup­par­si pre­fi­gu­ran­do la nuo­va socie­tà. Anche se que­sta con­ce­zio­ne può sem­bra­re più fun­zio­na­le a un’or­ga­niz­za­zio­ne non buro­cra­ti­ca del­la lot­ta, è oppor­tu­no chia­ri­re che si trat­ta di un pro­ces­so orga­niz­za­ti­vo pro­dot­to in situa­zio­ni sto­ri­che com­ple­ta­men­te diver­se da quel­le dei pae­si indu­stria­li e quin­di ela­bo­ra­to da clas­si che nul­la han­no a che vede­re col pro­le­ta­ria­to. (…) Le situa­zio­ni che han­no pro­dot­to que­sta ipo­te­si sono quel­le di eco­no­mia agri­co­la al cui inter­no soprav­vi­ve una net­ta o alme­no rile­van­te sepa­ra­zio­ne tra Sta­to e socie­tà civi­le. (…) In effet­ti, il capi­ta­li­smo svi­lup­pan­do­si ha distrut­to que­sto tipo di con­di­zio­ni, uni­fi­can­do il pro­le­ta­ria­to al di là del­le appa­ren­ti divi­sio­ni nazio­na­li, raz­zia­li e cul­tu­ra­li e spaz­zan­do via o subor­di­nan­do a sé ogni for­ma pro­dut­ti­va pre­ce­den­te. Insom­ma, for­me mili­ta­ri-orga­niz­za­ti­ve rical­ca­te in una logi­ca socio­lo­gi­ca da quel­le di que­sto tipo non pos­so­no che abor­ti­re in bre­ve a nuo­ve for­me di rifor­mi­smo, al di là del­le vel­lei­tà radi­ca­li. Nel­la real­tà il pro­le­ta­ria­to ten­de a uti­liz­za­re la vio­len­za nel­la misu­ra in cui gli è uti­le a fini spe­ci­fi­ci, crean­do le for­me orga­niz­za­ti­ve più adat­te. Il pro­le­ta­ria­to è per­fet­ta­men­te capa­ce di far­si cari­co del­l’or­ga­niz­za­zio­ne mili­ta­re fun­zio­na­le ai suoi inte­res­si e di sedi­men­ta­re al suo inter­no gli ele­men­ti in gra­do di por­tar­la avan­ti, sen­za biso­gno di alcun mae­stro ester­no in quan­to è uti­liz­za­ta come mez­zo spe­ci­fi­co in con­di­zio­ni sto­ri­ca­men­te deter­mi­na­te. (…) Da “Col­le­ga­men­ti” n. 6 – dicem­bre 1974 – Auto­no­mia come area La pro­le­ta­riz­za­zio­ne non è affat­to la sini­striz­za­zio­ne dei ceti medi e alto­bor­ghe­si.
Que­sta sini­striz­za­zio­ne, che è quan­to “sostan­zial­men­te” è appar­so di nuo­vo negli ulti­mi die­ci anni in occi­den­te, più che pre­li­mi­na­re o nel­la pro­spet­ti­va del­la pro­le­ta­riz­za­zio­ne è sta­ta la fogna ideo­lo­gi­ca che l’ha esor­ciz­za­ta.
L’e­co­no­mi­sta Pao­lo Sylos Labi­ni – ideo­lo­go del “com­pro­mes­so sto­ri­co” – nel Sag­gio sul­le clas­si socia­li (non a caso abbon­dan­te­men­te recen­si­to dai gior­na­li del­la sini­stra bor­ghe­se e del­la bor­ghe­sia sini­stri­sta) tira come con­clu­sio­ne trion­fa­li­sti­ca e posi­ti­va «… la cre­sci­ta poli­ti­ca e quan­ti­ta­ti­va del­le clas­si medie» men­tre Umber­to Fusi sul quo­ti­dia­no del Par­ti­to Sedi­cen­te Comu­ni­sta tro­va in que­sto il «pre­sup­po­sto per usci­re real­men­te a sini­stra dal­la cri­si che attra­ver­sia­mo».
Que­sti sica­ri sono sod­di­sfat­ti. La pro­le­ta­riz­za­zio­ne che è sta­to l’in­cu­bo sul ter­re­no del­le pos­si­bi­li­tà per i capi del­la sini­stra sto­ri­ca e nuo­va ha tro­va­to la solu­zio­ne nel gela­ti­no­so ottun­di­men­to del­l’i­deo­lo­gia, è abor­ti­ta nel demo­cra­ti­ci­smo auto­ge­stio­na­rio acce­le­ra­to e dife­so mali­zio­sa­men­te dal­la cri­si oriz­zon­ta­le e ver­ti­ca­le del­l’e­si­sten­te capi­ta­li­sti­co come sua ulti­ma auto­di­fe­sa.
La ripro­du­zio­ne del capi­ta­le avvie­ne dun­que per abor­ti, la sini­stra trion­fan­te è la fab­bri­ca di ristrut­tu­ra­zio­ne dei modi di pro­du­zio­ne este­si­si – domi­nio rea­le del capi­ta­le – su tut­to l’e­si­sten­te socia­le, i sica­ri sod­di­sfat­ti pre­pa­ra­no già la loro “not­te dei lun­ghi col­tel­li”: l’in­de­fi­ni­bi­le Pajet­ta, igno­ran­te e anti­co­mu­ni­sta, ne espri­me i pre­pa­ra­ti­vi rila­scian­do una inter­vi­sta a «Pano­ra­ma»: il pos­si­bi­le ser­ba­to­io di voti extra­par­la­men­ta­ri ver­so cui il Pic­cì ha sem­pre mostra­to un bur­be­ro inte­res­se, un affet­to mane­sco, nel ten­ta­ti­vo dei grup­pi di soprav­vi­ve­re a se stes­si tra­sfor­man­do­si in mini­par­ti­ti si sta tra­sfor­man­do in ser­ba­to­io di voti per sé: di con­se­guen­za gli Hitler e i Goe­ring del­la sini­stra clas­si­ca stan­no affi­lan­do le lame. Per quan­to li con­cer­ne, gli extra­par­la­men­ta­ri di sini­stra, pom­po­sa­men­te cata­lo­ga­ti­si come “sini­stra rivo­lu­zio­na­ria”, pote­va­no – for­se… – rea­liz­za­re dei pun­ti di pro­le­ta­riz­za­zio­ne (cer­ta­men­te di pro­le­ta­riz­za­zio­ne anche per i pro­le­ta­ri stes­si) da cui si sareb­be­ro autoor­ga­niz­za­ti – in ogni sen­so, non in un signi­fi­ca­to poli­ti­co – gli stes­si pro­le­ta­riz­za­ti.
Ma i grup­pi si sono sem­pre acca­ni­ta­men­te oppo­sti a ciò; si può com­pren­de­re: la fun­zio­ne a cui li ha deter­mi­na­ti il pro­ces­so capi­ta­li­sti­co era appun­to di esor­ciz­za­re la pro­le­ta­riz­za­zio­ne, e la sua radi­ca­liz­za­zio­ne auto­no­ma, men­tre la gesti­va­no ideo­lo­gi­ca­men­te e orga­niz­za­ti­va­men­te.
Le sco­rie auto­no­mi­sti­che che i grup­pi si sono lascia­ti alle spal­le, com­pre­sa la cosid­det­ta “area del­l’au­to­no­mia”, riper­cor­ro­no d’al­tron­de i pas­sag­gi di un grup­pu­sco­la­ri­smo sen­za grup­po: l’au­to­no­mia sepa­ra­ta dal­la radi­ca­liz­za­zio­ne, dal­la cri­ti­ca radi­ca­le e dia­let­ti­ca di tut­to l’e­si­sten­te capi­ta­li­sti­co – e va pun­tua­liz­za­to: anche e soprat­tut­to dal­la poli­ti­ca, anche e soprat­tut­to del­la Sini­stra – non ha sen­so.
L’au­to­no­mia non può esse­re solo un fat­to di orga­niz­za­zio­ne, l’e­stre­mi­smo auto­no­mi­sti­co è solo una far­sa dram­ma­ti­ca rap­pre­sen­tan­te la radi­ca­liz­za­zio­ne, l’e­stre­mi­smo è solo lo spet­ta­co­lo del­la radi­ca­li­tà. Tut­ta­via le con­trad­di­zio­ni e lo spet­ta­co­lo dell’ ”area del­l’au­to­no­mia” cela­no – anche a se stes­sa e soprat­tut­to – l’u­ni­co fat­to che si pos­sa rite­ne­re inte­res­san­te sca­tu­ri­to dal recen­te pas­sa­to: l’u­ni­co fat­to poli­ti­co che con­ten­ga ine­spres­so il pro­prio supe­ra­men­to radi­ca­le, la pro­pria pos­si­bi­le radi­ca­liz­za­zio­ne.
Non vi è radi­ca­liz­za­zio­ne se non vi è la pre­sen­za con­cre­ta del­la sog­get­ti­vi­tà radi­ca­le, del­la cri­ti­ca radi­ca­le por­ta­ta nel­la sua tota­li­tà con­tro la tota­li­tà alie­na­ta ed alie­nan­te, del­la nega­zio­ne non sepa­ra­ta dal­la crea­ti­vi­tà, del­la crea­ti­vi­tà non sepa­ra­ta dal­la nega­zio­ne. O in que­sta pro­spet­ti­va.
Tut­to il resto è spet­ta­co­lo, rap­pre­sen­ta­to o uni­la­te­ral­men­te rece­pi­to, nel­la pas­si­vi­tà del­la rap­pre­sen­ta­zio­ne e nel­la pas­si­vi­tà del­la rice­zio­ne. Soprat­tut­to ora che la cri­si ver­ti­ca­le del­l’e­si­sten­te capi­ta­li­sti­co incon­tra la sua cri­si radi­ca­le, e pro­du­ce la pro­pria radi­ca­liz­za­zio­ne che non può non pro­dur­si, e dia­let­ti­ca­men­te la radi­ca­liz­za­zio­ne di ogni momen­to del­la vita quo­ti­dia­na. La sto­ria non offre due vol­te lo stes­so let­to, la secon­da vol­ta è una bara. Tan­to per ini­zia­re si trat­ta di non scam­biar­la, tut­ta­via, per un let­to. È poco, ed è già qual­co­sa. Auto­no­mia, radi­ca­liz­za­zio­ne… La stra­te­gia è il pro­ces­so orga­ni­co, la sim­bio­si pos­si­bi­le e neces­sa­ria, fra teo­ria e cri­ti­ca radi­ca­le, fra cri­ti­ca radi­ca­le e pra­ti­ca, e, dia­let­ti­ca­men­te, vice­ver­sa. Men­tre la poli­ti­ca è la media­zio­ne – la sepa­ra­zio­ne per­pe­tua­ta, il cane da guar­dia del­le sepa­ra­zio­ni, e la garan­zia del­la loro ine­li­mi­na­bi­li­tà – gesti­ta da altri o auto­ge­sti­ta da se stes­si, di momen­ti socia­li sepa­ra­ti l’un l’al­tro, la stra­te­gia è la nega­zio­ne del­la poli­ti­ca ed è la stra­te­gia del­la nega­zio­ne, del­la dia­let­ti­ca nega­zio­ne-crea­ti­vi­tà, del­la crea­ti­vi­tà del­la nega­zio­ne.
Teo­ria, cri­ti­ca, pra­ti­ca, ven­go­no stra­vol­te nel­la poli­ti­ca in ideo­lo­gia, nel “pen­sie­ro” fis­sa­to, rei­fi­ca­to, del­le idee mor­te – pro­prio men­tre tut­ta la socie­tà è già bloc­ca­ta nel suo ripro­dur­si in quan­to ideo­lo­gia e solo in quan­to tale – cioè la socie­tà è la poli­ti­ca gene­ra­liz­za­ta – la cri­ti­ca poli­ti­ca del­la socie­tà capi­ta­liz­za­ta non ha sen­so, non è una cri­ti­ca, è la “cri­ti­ca” costrut­ti­va del­la socie­tà così come è, immu­ta­ta e immu­ta­bi­le; la poli­ti­ca anche nel­le sue estre­miz­za­zio­ni mas­si­me e ter­ro­ri­sti­che è la par­te del puzz­le socia­le che va a com­por­re la fini­tez­za e rei­fi­ca­zio­ne del­l’i­deo­lo­gia gene­ra­le, del puzz­le socia­le del­la poli­ti­ca gene­ra­liz­za­ta; anche se que­sta par­te del puzz­le si scom­po­ne vio­len­te­men­te, scen­de nel­la clan­de­sti­ni­tà, si dà a un ter­ro­ri­smo ragio­na­to e poli­ti­ca­men­te gesti­to, non pro­du­ce il pro­prio supe­ra­men­to e radi­ca­liz­za­zio­ne – che è il supe­ra­men­to del­l’i­deo­lo­gia – esso ha già lo spa­zio capi­ta­li­sti­co in cui inca­strar­si e far­si inca­stra­re.
Que­sti imbe­cil­li in armi, che defi­ni­sco­no ambi­gui­tà la cri­ti­ca radi­ca­le del­la poli­ti­ca, men­tre offro­no un fio­re a Lenin, pre­pa­ra­no i cri­san­te­mi per il pro­le­ta­ria­to, in suo nome; che essi sia­no in buo­na fede non cam­bia mol­to, men­tre è con­tro il cam­bia­men­to, fede­li alle uni­la­te­ra­li­tà del capi­ta­le che tut­to pro­du­ce tran­ne il cam­bia­men­to; il rifiu­to del puzz­le è l’ac­cet­ta­zio­ne inte­rio­riz­za­ta del puzz­le: non per­ché sia una nostra idea, ma per­ché così è la sto­ria. Il dire “qui si fa poli­ti­ca”, il dire “qui non si fa poli­ti­ca”, sono entram­bi due atteg­gia­men­ti poli­ti­ci: la nega­zio­ne del­la poli­ti­ca non è il suo rifiu­to (che è anco­ra un rifiu­to poli­ti­co, la poli­ti­ca e la non-poli­ti­ca essen­do entram­bi la poli­ti­ca del­l’e­si­sten­te capi­ta­li­sta) ma il suo supe­ra­men­to nel­la sog­get­ti­vi­tà radi­ca­le e real­men­te socia­le nel­la sua cri­ti­ca radi­ca­le all’e­si­sten­te socia­le rei­fi­ca­to, sog­get­ti­vi­tà che ha nel­la stra­te­gia il modo di por­tar­si e di rap­por­tar­si, che è arma­ta del­la cri­ti­ca radi­ca­le all’e­si­sten­te socia­le nel­la sua tota­li­tà per la tota­li­tà del suo stra­vol­gi­men­to; la teo­ria e la pra­ti­ca non ven­go­no pri­ma o dopo la cri­ti­ca radi­ca­le, ma sono dia­let­ti­ca­men­te inse­pa­ra­bi­li e l’un l’al­tra pro­du­cen­ti­si. O così dovreb­be esse­re: la sepa­ra­zio­ne di una dal­l’al­tra, la loro reci­pro­ca auto­no­miz­za­zio­ne crea il vuo­to che nei fat­ti è riem­pi­to dal­la ideo­lo­gia e dal­la poli­ti­ca, come una trap­po­la per orsi riem­pi­ta alla super­fi­cie.
Il voler fare poli­ti­ca, la poli­ti­ciz­za­zio­ne di se stes­si e del­la pro­pria vita quo­ti­dia­na, dei pro­pri rap­por­ti inter­per­so­na­li, del pro­prio cor­po, è la rap­pre­sen­ta­zio­ne – lo spet­ta­co­lo vis­su­to come alie­na­zio­ne in pri­ma per­so­na – del­la pro­pria neces­si­tà vita­le di nega­zio­ne del­l’e­si­sten­te capi­ta­li­sta stra­vol­ta (recu­pe­ra­ta) come momen­to di ripro­du­zio­ne di que­sto esi­sten­te; ciò che spin­ge alla vita – la vita stes­sa repres­sa ma non sop­pres­sa – tro­va come espres­sio­ne solo quel­lo che il capi­ta­le vuoi far­gli espri­me­re: su que­sto pun­to milio­ni di gio­va­ni e non gio­va­ni sono scop­pia­ti ovun­que negli anni pre­ce­den­ti; dove e in chi è man­ca­ta la radi­ca­liz­za­zio­ne – la cri­ti­ca radi­ca­le del­l’i­deo­lo­gia (mol­ti scam­bia­no la radi­ca­liz­za­zio­ne per estre­miz­za­zio­ne di una spe­ci­fi­ca ideo­lo­gia…) e imme­dia­ta­men­te la cri­ti­ca radi­ca­le del­la tota­li­tà del­l’e­si­sten­te socia­le capi­ta­liz­za­to che è que­sta ideo­lo­gia auto­ri­pro­du­cen­re­si – è suben­tra­ta la poli­ti­ca e la non poli­ti­ca – momen­ti stra­te­gi­ci del­l’i­deo­lo­gia auto­ri­pro­du­cen­te­si – come pal­lia­ti­vo, come impo­ten­za nar­ci­si­sti­ca­men­te ripie­ga­ta su se stes­sa e sod­di­sfat­ta del­la pro­pria rap­pre­sen­ta­zio­ne.
Una sod­di­sfa­zio­ne pro­dot­ta da nes­sun pia­ce­re! Che ponen­do­si pri­ma di ogni pia­ce­re lo esor­ciz­za! Se la poli­ti­ca è que­sto, gli “apo­li­ti­ci”, gli “impo­li­ti­ci”, i feti­ci­sti del fare, non sono diver­sa­men­te: costo­ro cre­do­no che il riflus­so sia sta­to pro­dot­to da un ecces­so di teo­ria e di cri­ti­ca e pri­vi­le­gia­no imme­dia­ti­sti­ca­men­te la pra­ti­ca: ma que­sto spon­ta­nei­smo del caz­zo e tra­co­tan­te igno­ra che a guar­dar bene negli anni pas­sa­ti poco o nul­la vi è sta­to di teo­ria e di cri­ti­ca, solo la loro rap­pre­sen­ta­zio­ne ideo­lo­gi­ca, il loro model­lo capi­ta­li­sta ridot­to a con­su­mo uni­la­te­ra­le, lo spet­ta­co­lo del­la teo­ria e del­la cri­ti­ca smer­cia­to a com­pen­sa­re l’as­sen­za di teo­ria e di cri­ti­ca (que­sto per la “sini­stra rivo­lu­zio­na­ria” e l’ul­tra­si­ni­stra; men­tre il capi­ta­le è anda­to giù più tran­quil­lo: egli – esso – sa che l’i­deo­lo­gia pro­du­ce mer­ce e nul­l’al­tro).
La dia­let­ti­ca non è un’i­dea ma è la sto­ria sve­la­ta nel suo pro­ce­de­re, chi non vive que­sto, chi solo lo pen­sa, chi lo igno­ra, non coglie di esse­re pro­dot­to dal­la sto­ria né coglie dia­let­ti­ca­men­te la pos­si­bi­li­tà di fare la sto­ria, cade nel­l’il­lu­sio­ne di un “fare” che è in real­tà un esse­re fat­to: egli – esso – è un sem­pli­ce e sem­pli­ci­sti­co ogget­to.
Ciò che sfug­ge alla dia­let­ti­ca non sfug­ge al capi­ta­le, men­tre la dia­let­ti­ca è pro­prio un non sfug­gi­re alla deter­mi­na­zio­ne del capi­ta­le rove­scian­do­la come nega­zio­ne del capi­ta­le stes­so, e lo sa.
Che la sto­ria di tut­ti coin­ci­da infi­ne – ma a par­ti­re da ora, nel­la nostra mise­ria! – con la sto­ria di ognu­no è la sola uto­pia che ci inte­res­sa, l’u­to­pia non inte­sa come una fan­ta­scien­za del futu­ro ma una pro­spet­ti­va che par­te qui e ora fra noi, e fra noi e noi stes­si. All’au­to­no­miz­zar­si – il sepa­rar­si da tut­ti e da tut­to col­man­do que­sta sepa­ra­zio­ne con il vuo­to del­l’i­deo­lo­gia, ope­ra­zio­ne in cui il capi­ta­le è mae­stro – si trat­ta di con­trap­por­re radi­cal­men­te l’au­to­no­mia: la sog­get­ti­vi­tà dia­let­ti­ca, fra se stes­sa e la sto­ria, fra se stes­sa e gli altri sog­get­ti, fra se stes­sa e se stes­sa; autoor­ga­niz­za­ta oltre la poli­ti­ca e oltre il rifiu­to poli­ti­co del­la poli­ti­ca nel­la comu­ni­tà in atto di un grup­po, di un nucleo, di una comu­ne, di un luo­go sta­bi­le o prov­vi­so­rio e autor­ga­niz­za­ta come pre­fi­gu­ra­zio­ne in atto, come ini­zio imme­dia­to del­la rea­liz­za­zio­ne del­la comu­ni­tà futu­ra, del­la comu­ni­tà rea­le, comu­ni­sta, non cer­to di quel “comu­ni­smo” gesti­to poli­ti­ca­men­te dai fasci­sti ros­si da cui ci sepa­ra sem­pre più lo spa­zio di una pal­lot­to­la pro­prio per­ché i par­ti­gia­ni del­la vita non si lasce­ran­no paci­fi­ca­men­te ucci­de­re, ma non con­sen­ti­ran­no alla mor­te di impa­dro­nir­si del­la loro “pas­sio­ne”; arma­ta dia­let­ti­ca­men­te, del­le armi che dia­let­ti­ca­men­te la pas­sio­ne la por­te­rà ad armar­si, da fuo­co o ero­ti­che, per scon­fig­ge­re la noia e l’a­lie­na­zio­ne, la soprav­vi­ven­za bru­ta e la mor­te dei desi­de­ri; arma­ta stra­te­gi­ca­men­te e dia­let­ti­ca­men­te del­la cri­ti­ca radi­ca­le, sen­za sepa­ra­zio­ni; con­scia di esse­re, e non di rap­pre­sen­ta­re, la nega­zio­ne dia­let­ti­ca del­l’e­si­sten­te capi­ta­li­sta crea­ti­va­men­te nega­to nel­la sua tota­li­tà e in ogni suo spe­ci­fi­co momen­to, non pri­vi­le­gian­do un momen­to sul­l’al­tro, sca­te­nan­do la nega­zio­ne del­la cri­ti­ca radi­ca­le su tut­ti i momen­ti con la stes­sa effi­cien­za qua­li­ta­ti­va con un’ef­fi­ca­cia vis­su­ta pie­na­men­te, non lascian­do­si in nes­sun spe­ci­fi­co (nel­le fab­bri­che, nel­le scuo­le, nel pro­prio cor­po, nel pro­prio gene­re, maschi­le o fem­mi­ni­le, nel­la fami­glia, nel grup­po poli­ti­co, o nel­l’an­ti­grup­po poli­ti­co ecc.), in nes­sun ruo­lo né con­tro­ruo­lo. Trat­to da «Puzz» n. 17–18 – gen­na­io-mar­zo 1975. Il nodo del­la decom­po­si­zio­ne Men­tre la cri­si è la mer­ce più con­su­ma­ta, il pro­dot­to più lavo­ra­to, la far­sa socia­le san­gui­no­len­ta stan­tuf­fa a vapo­re sui bina­ri usua­li, il tre­no capi­ta­li­sta fila attra­ver­so le bar­ba­rie di que­sto medio evo, fra i sicu­ri bina­ri del pro­gres­so demo­cra­ti­co e del suo con­trap­pun­to rea­zio­na­rio, sal­da­ti dal­la cer­tez­za – per entram­bi – del­la con­ser­va­zio­ne. Ben poco o nul­la, pochi o nes­su­no, pre­me per usci­re dal car­ce­re del siste­ma bina­rio, men­tre si può assi­ste­re al gran lavo­ra­re per il gran pro­gres­so del­la fer­ro­via.
La cri­si non è la cri­si del siste­ma bina­rio: è la sua for­za. Infat­ti la cri­si è il “nemi­co di clas­se” che sta pren­den­do il posto svuo­tan­te­si dei ruo­li sto­ri­ci bor­ghe­sia-pro­le­ta­ria­to, ruo­li in mas­si­ma decom­po­si­zio­ne e scom­po­si­zio­ne.
I rea­zio­na­ri inde­bo­li­ti e abban­do­na­ti dal­la logi­ca sto­ri­ca del domi­nio capi­ta­li­sti­co – che asso­lu­ta­men­te neces­si­ta di ave­re una stam­pel­la demo­cra­ti­ca e pro­gres­si­sta ora – sono la rota­ia debo­le del siste­ma bina­rio e ciò che squi­li­bra la ripro­du­zio­ne del­l’e­si­sten­te socia­le capi­ta­liz­za­to: allo­ra fra i cat­ti­vi la cri­si assu­me il suo ruo­lo: i cat­ti­vi padro­ni e la cat­ti­va cri­si sono i nemi­ci che minac­cia­no il lavo­ro (l’at­ti­vi­tà pro­dut­ti­va di Valo­re e l’at­ti­vi­tà con­su­ma­ti­va di Valo­re), dun­que ecco ricom­po­sto nel fit­ti­zio – per il momen­to – il defun­to scon­tro di clas­si, il moto­re del­la sto­ria – e la sto­ria non è mai sta­ta altro che la sto­ria del Capi­ta­le. Dun­que Car­lo ave­va ragio­ne: la sto­ria si ripe­te, solo che la secon­da vol­ta è una far­sa. San­gui­no­sa, occor­re aggiun­ge­re, mor­ta­le, squal­li­da­men­te bana­liz­za­ta. Ma, si aggiun­ga, la pri­ma vol­ta lo scon­tro ha una pos­si­bi­li­tà “comu­ni­sta”, è nega­zio­ni­sta, cioè sen­za regia; ma la secon­da vol­ta la regia c’è ed è tut­ta del capi­ta­le.
I comu­ni­sti pos­si­bi­li diven­ta­no i burat­ti­ni lega­ti a tut­ti i fili in cui si intrec­cia la logi­ca capi­ta­li­sti­ca. Il riflus­so, segui­to ai pru­ri­ti con­te­sta­ti­vi e ope­rai del­l’e­si­sten­te capi­ta­li­sti­co che tal­vol­ta furo­no cona­ti rivo­lu­zio­na­ri negli anni Ses­san­ta, negli anni Set­tan­ta divie­ne il luo­go dei rim­bam­bi­ti: l’i­na­de­gua­tez­za – il ritar­do – del­le ideo­lo­gie stret­ta­men­te poli­ti­che che soprat­tut­to se mono­li­ti­che si scon­tra­no buf­fa­men­te con la vasti­tà e la radi­ca­li­tà di quan­to sta avve­nen­do, lo disco­no­sce, non lo coglie nep­pu­re, e rim­bam­bi­sce deter­mi­na­ta­men­te nel­lo sfor­zo di ridur­re il tut­to agli sche­mi cal­di e usua­li (il che signi­fi­ca il tem­pio del ter­zin­ter­na­zio­na­li­smo con la biz­zar­ria alter­na­ti­va del quar­tin­ter­na­zio­na­li­smo trotz­ko­fo­ro come secon­da rota­ia del bina­rio leni­ni­sta). Sul­l’i­ni­zio degli anni Set­tan­ta la stra­na ultra­si­ni­stra, che ave­va dis­se­pol­to il cada­ve­re inu­ti­le di un perio­do rivo­lu­zio­na­rio che si con­clu­se defi­ni­ti­va­men­te ed eroi­ca­men­te scon­fit­to nel ’39 in Spa­gna, ave­va con­ti­nua­to a lan­cia­re molo­tov, cor­tei saba­to­po­me­rig­gio e quo­ti­dia­ni “auto­ge­sti­ti” con­tro il muro (l’al­ter ego bina­rio) che si sta­va tra­sfor­man­do nel­le sue sab­bie mobi­li.
Non affon­de­rà tan­to pre­sto.
L’i­sti­tu­zio­ne ha neces­si­tà di que­sta isti­tu­zio­na­le ultra­si­ni­stra dive­nu­ta ancor più isti­tu­zio­na­le.
L’i­sti­tu­zio­ne sta­ta­liz­za­ta usa­va un tem­po – e fino al ’69 – le cor­de per impic­ca­re, ora le lan­cia a que­sti fero­ci ragaz­zi, per­ché resti­no nel­le sab­bie mobi­li, ma che affio­ri­no in par­te, per reci­ta­re il ruo­lo degli imbe­cil­li che lan­cia­no qual­co­sa con­tro un muro in scom­po­si­zio­ne. Tan­to non fa più male a nes­su­no. Fa solo bene: qual­sia­si cosa lan­ci­no. E dif­fi­ci­le affron­ta­re la que­stio­ne cosid­det­ta extra­par­la­men­ta­re sen­za dover tener con­to del­la psi­co­pa­to­lo­gia del­la nor­ma­li­tà, del rien­tro nel­la nor­ma­li­tà e che vuoi esse­re nor­ma­ti­vo, che rea­liz­za l’au­to­re­pres­sio­ne e che è repres­si­vo in ogni suo estrin­se­car­si, che non è sem­pli­ce­men­te sta­li­ni­smo o social­fa­sci­smo. Né sta­li­ni­smo né social­fa­sci­smo furo­no e sono moti tra­scen­den­ti la logi­ca di pro­du­zio­ne e di ripro­du­zio­ne del­l’e­si­sten­te capi­ta­li­sti­co, ne van­no asso­lu­ta­men­te col­ti auto­no­ma­men­te.
Così il capi­ta­le divie­ne un mito demo­cra­ti­ci­sti­co, un nemi­co astrat­to, dove lo si bana­liz­zi come vago ter­mi­ne rap­pre­sen­tan­te il vago cat­ti­vo (cat­ti­vo che, si badi bene, – tra­gi­co del­l’i­ro­nia… – è la ver­sio­ne capi­ta­liz­za­ta del male cri­stia­no: l’al­ter ego del bene: cioè il bene al nega­ti­vo…), rei­te­ra­to nel lin­guag­gio, qua­lun­qui­stiz­za­to nel­l’a­bi­tu­di­ne del par­la­re e del “pen­sie­ro” colo­niz­za­to, men­tre il capi­ta­le è que­sta mate­ria­li­tà mici­dia­le, que­sto intrec­cio di repres­sio­ne, pro­fit­to, alie­na­zio­ne, soprav­vi­ven­za, mor­te ambu­lan­te nei cor­pi, vio­len­za repres­si­va, auto­re­pres­sio­ne, con­trol­lo socia­le e auto­con­trol­lo, que­sta meto­di­ca e logi­ca­men­te mec­ca­ni­ca model­la­zio­ne del­la nor­ma­li­tà e la nor­ma­li­tà ruo­liz­za­ta che model­la rei­te­ra­ta­men­te e oppres­si­va­men­te; è que­sta strut­tu­ra di base del lavo­ro – e non solo dei suoi momen­ti sti­pen­dia­ti e sala­ria­ti – che domi­na e con­trol­la l’in­sie­me socia­le. L’ex­tra­par­la­men­ta­ri­smo, la nuo­va sini­stra, l’ul­tra­si­ni­stri­smo, il gau­chi­sme, furo­no e “sono” la rispo­sta con­su­mi­sta che la socie­tà dei con­su­mi (del con­su­mo tout court) die­de e dà alle sue nuo­ve con­trad­di­zio­ni non più media­bi­li e pro­prio per mediar­le.
Que­sta con­clu­sio­ne risul­ta vio­len­te­men­te liqui­da­to­ria a com­pa­gni del tut­to degni del nostro apprez­za­men­to, ma occor­re accet­ta­re il dram­ma non spet­ta­co­la­riz­za­to del­la discon­ti­nui­tà, in ogni suo aspet­to con­se­guen­te: la liqui­da­zio­ne cri­ti­ca di quan­to ci ha pro­dot­to è il solo modo di situa­re sto­ri­ca­men­te ciò che nel­la sto­ria si è pro­dot­to.
Se “la nostra ever­sio­ne scat­ta dal­la discon­ti­nui­tà”, non sare­mo noi a lamen­tar­ci del­le con­se­guen­ze.
E a que­sto pun­to non abbia­mo dif­fi­col­tà a chia­ri­re il nostro fal­li­men­to. Che è ben più un suc­ces­so di ogni altro “suc­ces­so” – poli­ti­co o meno. Si fal­li­sce (o si ha “suc­ces­so”) dove anco­ra abi­ta e si è abi­ta­ti dal pas­sa­to. Si trat­ta di radi­ca­liz­za­re ulte­rior­men­te la discon­ti­nui­tà, ben più vio­len­te­men­te e pro­vo­ca­to­ria­men­te di quan­to abbia­mo fat­to fino ad ora. Poe­sia Metro­po­li­ta­na-Gat­ti Sel­vag­gi n. 4 Novem­bre-Dicem­bre 1975, Mila­no. Auto­no­mia, radi­ca­liz­za­zio­ne, aggre­ga­zio­ne infor­ma­le…
1) La dia­let­ti­ca del supe­ra­men­to, la luci­da visio­ne che spac­ca il vis­su­to (e il non-vis­su­to quo­ti­dia­no), la cri­ti­ca vio­len­ta del­l’e­si­sten­te, nel­l’e­si­sten­te, del­la pro­pria espe­rien­za, l’af­fer­ma­zio­ne radi­ca­le del diver­so come pra­ti­ca e cre­sci­ta o meglio come ori­gi­ne del­l’uo­mo tota­le, del­la don­na tota­le, del­la spe­cie nel­la sua tota­li­tà; ciò che squar­cia i ten­di­ni che lega­no al pas­sa­to, che azzan­na la lugu­bre con­ti­nui­tà ripro­dut­ti­va di ognu­no, vio­len­tan­do­ne i ner­vi e scor­ti­can­do­ne la gola, tut­to que­sto e solo que­sto è inscri­vi­bi­le in quel pro­get­to ori­gi­na­rio
(poi­ché si pone come fine l’o­ri­gi­ne del­l’es­se­re) che è il comunismo.

2) Ciò che non si espri­me nel­la pra­ti­ca del rifiu­to (del­la nega­zio­ne), rim­bal­za impo­ten­te, nel­le latri­ne gerar­chiz­za­te e ruo­liz­za­te del­la social­de­mo­cra­zia o in qual­che infa­me sot­to­pro­dot­to di mar­ca nazi­sta. Ciò che il diver­so espri­me è crea­ti­vi­tà poi­ché scol­la vio­len­te­men­te la sua essen­za del­l’e­si­sten­te traen­do dal pro­prio far­si (e non dal ripro­dur­si) le indi­ca­zio­ni del­la vera guer­ra.
Ciò che dif­fe­ren­zia il diver­so dal nuo­vo è il suo por­si come cer­tez­za in atto e non come novi­tà di mer­ca­to.
L’e­stre­mi­smo, con tut­te le fred­de accoz­za­glie che lo accom­pa­gna­no, coi gesti roman­ti­ci dei mar­ti­ri scia­gu­ra­ti, con i con­sun­ti movi­men­ti che ripro­du­co­no, sot­to la ver­ni­ce fre­sca del rivo­lu­zio­na­rio, i vec­chi pas­si che il capi­ta­le meglio e altro­ve sa fare e con­trol­la­re, resta il pun­to fer­mo del­l’e­si­sten­te; (…)
L’e­stre­mi­smo è l’ul­ti­ma cor­da con cui si alle­sti­sco­no le for­che del capi­ta­le, l’ac­cet­ta­zio­ne del ripro­dur­si del capi­ta­le come svi­lup­po inte­rio­riz­za­to.
Inu­ti­li gli esem­pi a chi pos­sie­de lo sguar­do disin­can­ta­to e la mise­ria rea­le dell’ultrasinistra.

3) La pra­ti­ca del rifiu­to e lo sgan­ciar­si vio­len­to dal pro­gram­ma capi­ta­li­sti­co, la disin­te­gra­zio­ne pra­ti­ca del­l’io, la tena­glia che spez­za il cavo teso che con­giun­ge il pro­prio pro­get­to al pro­get­to gene­ra­le pre­fab­bri­ca­to. L’e­stre­mi­sta e il devian­te cado­no, sot­to la man­na­ia del­la sto­ria, nel cesto di vimi­ni cui sono rife­ri­ti.
Si muo­re e si nasce nel­la stan­za di sem­pre, ma la vita è altro­ve.
Il rom­pi­ca­po seman­ti­co ridu­ce estre­mi­smo e devian­za al nodo scor­so­io del rife­ri­men­to gram­ma­ti­ca­le e ato­no di un com­ple­men­to di spe­ci­fi­ca­zio­ne: estre­mi­sti di chi, di che cosa?
Devian­ti di chi, di che cosa?
Rivo­lu­zio­na­ri di chi, di che cosa?
L’in­ter­ro­ga­ti­vo si esau­ri­sce nel­la scal­tra deter­mi­na­zio­ne del sog­get­to nasco­sto: il capi­ta­le. (…)
Il signi­fi­ca­to del domi­nio rea­le come momen­to sto­ri­co del capi­ta­le inte­rio­riz­za­to sve­la, del resto, gli ulti­mi appi­gli psi­coa­na­li­ti­ci.
I vec­chi totem e i misti­ci tabù cui si rife­ri­sce Reich in Psi­co­lo­gia di mas­sa del fasci­smo lascia­no il posto, sot­to lo sguar­do con­sen­zien­te del­la nor­ma­li­tà impe­ran­te e del suo recu­pe­ro spet­ta­co­la­re qual è la paz­zia nor­ma­liz­za­ta, agli ido­li recen­ti aleg­gian­ti tra le pie­ghe del­le novi­tà del mer­ca­to rivo­lu­zio­na­rio, su cui si con­trab­ban­da­no le nuo­ve paro­le d’or­di­ne da valorizzare.

4) Si trat­ta alla fine di non ave­re più ido­li, né mer­ca­ti o paro­le d’or­di­ne a cui ubbi­di­re. Si trat­ta alla fine di insor­ge­re nel­la pra­ti­ca del rifiu­to, spez­zan­do la nor­ma­li­tà ras­se­gna­ta e i suoi ecces­si, estre­mi. Ciò che fran­tu­ma la con­ti­nui­tà del­l’e­si­sten­te è l’es­sen­za che sta­bi­li­sce, insor­gen­do, la di/​visione tra il nor­ma­le e il diver­so, ossia ciò che abo­li­sce il ful­cro laten­te cui le fal­se insur­re­zio­ni fan­no rife­ri­men­to.
La vera ever­sio­ne, la coscien­za del­la diver­si­tà che pul­sa, si rife­ri­sce solo a se stes­sa, come momen­to cor­po­reo del­la rivo­lu­zio­ne in pro­ces­so. Si trat­ta, alla fine, di ave­re se stes­si a por­ta­ta di mano come arma indi­vi­dua­le inne­sca­ta dal­la plu­ra­li­tà del­la lot­ta.
Pos­se­de­re se stes­si vuol dire pari­men­ti esse­re pos­se­du­ti dai pro­pri desi­de­ri che squar­cia­no i veli del fit­ti­zio indi­can­do la real­tà pro­pria e del mon­do. (…) Ogni sor­ti­ta che non muo­va dal­la vita cor­ren­te inte­sa come rot­tu­ra in atto del­la quo­ti­dia­na pia­ni­fi­ca­zio­ne capi­ta­li­sti­ca, si pone sem­pre come fase ripro­dut­ti­va (sep­pu­re estre­ma) del­l’e­si­sten­te.
Le armi, in que­sto caso, diven­ta­no le arma­tu­re con cui si valo­riz­za la pro­pria essen­za.
Al con­tra­rio, la luci­da chia­rez­za di ciò che si sta viven­do, del come si sta viven­do, del per­ché non si può vive­re, del­la vita cor­ren­te come momen­to di scon­tro, fan­no del­l’es­se­re più nudo, l’u­ni­ca vera poten­za armata.

5) (…).
Da quan­do il domi­nio rea­le del capi­ta­le ha tra­sfor­ma­to il pia­ne­ta socia­le (la socie­tà spet­ta­co­la­re-mer­can­ti­le) in un uni­co mer­ca­to, ognu­no fa del­la pro­pria esi­sten­za il mer­ca­ti­no del­la pro­pria assen­za.
Ognu­no, nel­le attua­li con­di­zio­ni, è for­za pro­dut­ti­va cir­co­lan­te e inter­scam­bia­bi­le del­la pro­pria mise­ria. I rap­por­ti tra gli indi­vi­dui non sono altro che l’im­ma­gi­ne misti­fi­ca­ta (epi­fe­no­me­ni) dei rap­por­ti di pro­du­zio­ne. Il movi­men­to di valo­riz­za­zio­ne del capi­ta­le e dei suoi pro­dot­ti ideo­lo­gi­ci (pro­du­zio­ne-scam­bio-cir­co­la­zio­ne di mer­ci, al pari del­la pro­du­zio­ne-scam­bio-cir­co­la­zio­ne di idee) si è fuso e depo­si­ta­to nel­l’es­se­re, gesto­re auto­ge­sti­to di una dina­mi­ca che non gli appar­tie­ne.
Si guar­di per un atti­mo l’in­ter­scam­bia­bi­li­tà dei ruo­li, le mise­re rap­pre­sen­ta­zio­ni del­la figlia-moglie-madre come momen­to mani­fe­sto di que­sta uni­tà dia­let­ti­ca del capi­ta­le. Il capi­ta­le, anche in ter­mi­ni di inte­gra­zio­ne posi­ti­va, pre­ce­de sem­pre le mos­se del suo popolo.

12) (…)
quan­do i mor­ti sep­pel­li­sco­no i loro mor­ti i vivi resta­no soli. Que­sta è, d’im­pat­to, l’im­ma­gi­ne che coglie il par­ti­gia­no del­l’es­se­re alle pre­se con la sto­ria.
Nel supe­ra­men­to qua­li­ta­ti­vo, nel­la cre­sci­ta che accom­pa­gna la .cor­po­rei­tà in rivol­ta, le file si assot­ti­glia­no, le pre­sen­ze fisi­che si sfol­ti­sco­no. Ne potreb­be esse­re diver­sa­men­te in un movi­men­to sto­ri­co in cui la lot­ta e la crea­zio­ne stes­sa esi­go­no la nega­zio­ne degli altri, il riget­to del­l’op­por­tu­ni­smo.
Il vomi­to che accom­pa­gna l’e­spul­sio­ne del capi­ta­le inte­rio­riz­za­to gio­ca puz­zo­len­te nel­la gola del par­ti­gia­no, pri­ma di esse­re spu­ta­to. È in que­sto sen­so che la gola si sen­te sof­fo­ca­re, che la paro­la sem­bra impos­si­bi­le, che lo sguar­do si fa allu­ci­nan­te.
Ma sia­mo nel­l’e­si­sten­te e resi­sten­te rima­ne anche per noi il rife­ri­men­to del­la lot­ta sep­pur in ter­mi­ni distrut­ti­vi e non ripro­dut­ti­vi.
Non basta sogna­re la libe­ra­zio­ne o par­lar­ne, biso­gna pra­ti­car­la, ed è in que­sta pra­ti­ca che la scre­po­la­tu­ra e gli incen­di inne­sca­no la gio­ia, men­tre le delu­sio­ni attiz­za­no il peso enor­me del­la schia­vi­tù.
Più il cor­po pro­ce­de disin­can­ta­to ver­so la pro­pria con­qui­sta, più il peso del­le cate­ne si fa intol­le­ra­bi­le, più la spe­cie pro­ce­de ver­so la pro­pria unio­ne, ver­so la pro­pria ori­gi­ne, più la sepa­ra­zio­ne e la soli­tu­di­ne piom­ba­no come cor­vi sui cor­pi in rivol­ta.
È lo scot­to che da sem­pre l’op­pres­so paga all’op­pres­so­re, ma per l’ul­ti­ma vol­ta! La fal­sa socia­li­tà, del resto, nutre gli uomi­ni del­la fal­sa illu­sio­ne di esse­re insie­me, di vive­re insie­me men­tre altro non sono che ele­men­ti tran­si­sto­riz­za­ti di un com­pu­ter socia­le la cui sche­da per­fo­ra­ta por­ta il mar­chio del capi­ta­le.
Divi­der­si dagli assen­ti non signi­fi­ca pro­pria­men­te soli­tu­di­ne ma auto­no­mia. Chi non coglie la radi­ca­li­tà del tem­po che stia­mo per abbat­te­re, è sog­get­to agli abba­gli del­l’i­so­la­men­to, men­tre una mini­ma inver­sio­ne di pen­sie­ro lo ren­de­reb­be con­scio del­la pro­pria dirom­pen­te autonomia.

13) Tut­to ciò che non pos­sie­de e non ten­de alla tota­li­tà tra­smu­ta impec­ca­bil­men­te nel­le fon­de­rie del­l’i­deo­lo­gia, men­tre tut­to ciò che si sfuo­ca nel­l’i­deo­lo­gia si erge con­tro l’es­se­re, assu­men­do il com­pi­to (la cin­ghia di tra­smis­sio­ne) con cui il capi­ta­le recu­pe­ra ogni movi­men­to. Ciò che esi­ste sot­to il nome di auto­no­mia non tro­ve­rà cer­to il suo signi­fi­ca­to nei col­let­ti­vi orga­niz­za­ti (…). L’au­to­no­mia non è un movi­men­to ma l’es­se­re in movi­men­to, il diver­so che diven­ta padro­ne del­la pro­pria dina­mi­ca e del­la dina­mi­ca socia­le. L’au­to­no­mia è il risco­prir­si come tota­li­tà agen­te, come uni­tà inte­gra­ta del cor­po con il mon­do, come coscien­za rea­le dei biso­gni e desi­de­ri che sot­ten­do­no il cor­po nel­la sua indi­vi­dua­li­tà e la spe­cie nel­la sua plu­ra­li­tà. Si trat­ta, alla fine di esse­re auto­no­mi dal­la, e nel­la, auto­no­mia stessa.

«Puzz» – La fab­bri­ca del­la repres­sio­ne – nume­ro uni­co-set­tem­bre 1975 Auto­no­mia ope­ra­ia e auto­no­mia dei proletari 

Sono cir­ca due anni che i gior­na­li del Kapi­ta­le ita­lia­no (tut­te le sue ten­den­ze, dal «Tem­po» all’«Unità») sbrai­ta­no con­tro un nuo­vo “grup­po”: Auto­no­mia Ope­ra­ia, auto­re a loro dire di tut­te le “pro­vo­ca­zio­ni” e del­le “azio­ni tep­pi­sti­che” com­piu­te negli ulti­mi tem­pi. In que­sti gior­ni poi la cam­pa­gna gior­na­li­sti­ca (soprat­tut­to da par­te del­la sini­stra capi­ta­li­sti­ca) con­tro i “pro­vo­ca­to­ri” si è accen­tua­ta poi­ché in fase di ristrut­tu­ra­zio­ne il capi­ta­le ita­lia­no non può sop­por­ta­re l’at­ti­vi­tà “sov­ver­si­va” dei com­pa­gni che non inten­do­no più paga­re sul­la pro­pria pel­le il prez­zo del­le varie “cri­si” capi­ta­li­sti­che o meglio il prez­zo del­l’e­si­sten­za capi­ta­li­sti­ca stes­sa.
Com­pa­gni che sono usci­ti dal­la logi­ca “poli­ti­ca” dei par­ti­ti o grup­pet­ti sta­li­no-leni­ni­sti e che supe­ran­do la fal­sa sfe­ra del­la “poli­ti­ca”, alie­nan­te e sepa­ra­ta, por­ta­no avan­ti un discor­so basa­to sul­l’e­si­gen­za di nega­re la soprav­vi­ven­za capi­ta­li­sti­ca, la dit­ta­tu­ra spet­ta­co­lar-mer­can­ti­le che il domi­nio rea­le del capi­ta­le ha impo­sto. Sto­ri­ca­men­te la clas­se ope­ra­ia nei momen­ti di esplo­sio­ne rivo­lu­zio­na­ria ha sem­pre man­da­to affan­cu­lo i pre­ti radi­cal-bor­ghe­si socia­li­sti, sedi­cen­ti comu­ni­sti, che eri­gen­do­si a suoi rap­pre­sen­tan­ti si era­no innal­za­ti i pro­pri tem­pli impo­nen­do ai “pro­tet­ti” il pel­le­gri­nag­gio dopo­la­vo­ri­sti­co.
Fin dal­le sue ori­gi­ni la clas­se ope­ra­ia ha tro­va­to momen­ti di orga­niz­za­zio­ne e di col­le­ga­men­to al di là degli sche­mi del­le varie orga­niz­za­zio­ni radi­cal-bor­ghe­si, non ha cer­to aspet­ta­to il mes­sia rivo­lu­zio­na­rio per rea­gi­re al capi­ta­li­smo. Ha sapu­to tro­va­re pro­pri mez­zi e modi: dagli scio­pe­ri sel­vag­gi agli atti di sabo­tag­gio. Comin­cian­do dal 1811 in Inghil­ter­ra con il movi­men­to lud­di­sta, pri­ma e gros­sa espres­sio­ne del­l’au­to­no­mia ope­ra­ia, pas­san­do per il giu­gno 1848 con le gior­na­te del pro­le­ta­ria­to rivo­lu­zio­na­rio pari­gi­no, con­ti­nuan­do con La Comu­ne e con i movi­men­ti del Nove­cen­to, con la rivo­lu­zio­ne sovie­ti­ca (fino a quan­do rima­ne tale), fino al ’68.
In que­ste espe­rien­ze il pro­le­ta­ria­to ha però supe­ra­to l’am­bi­to ridut­ti­vo del­le riven­di­ca­zio­ni eco­no­mi­co-poli­ti­che; o meglio nel momen­to in cui il capi­ta­le supe­ran­do la fase di domi­nio for­ma­le ha instau­ra­to il suo domi­nio rea­le, il pro­le­ta­ria­to, e con esso i pro­le­ta­riz­za­ti, ha comin­cia­to un discor­so tota­le con­tro il suo esse­re pro­le­ta­rio (o pro­le­ta­riz­za­to), con­tro il lavo­ro, con­tro la soprav­vi­ven­za capi­ta­li­sti­ca rifiu­tan­do la sfe­ra sepa­ra­ta del­la “poli­ti­ca”. Con­clu­den­do, si può par­la­re del­l’au­to­no­mia degli ope­rai che ten­do­no a nega­re la loro soprav­vi­ven­za in quan­to tali e ad affer­ma­re la loro vita in quan­to comu­ni­sti, del­l’au­to­no­mia dei pro­le­ta­riz­za­ti che nega­no la socie­tà spet­ta­co­lar-mer­can­ti­le ponen­do­si con­tro di essa (al di fuo­ri non ci cre­de nes­su­no).
Cosa diver­sa è inve­ce l’or­ga­niz­za­zio­ne “Auto­no­mia Ope­ra­ia”, rima­sta inter­na alla logi­ca poli­ti­ca, all’i­deo­lo­gia marx-leni­ni­sta, all’i­po­te­si del “par­ti­to rivo­lu­zio­na­rio”, negan­do il con­tra­sto tra i due con­cet­ti: di par­ti­to, che impli­ca una ideo­lo­gia, una strut­tu­ra ver­ti­ca­le, dei qua­dri diri­gen­ti, dei mili­ta­ri, dei sim­pa­tiz­zan­ti, degli iscrit­ti, dei mili­ta­riz­za­ti e dei non…; e di rivo­lu­zio­na­rio, che nega tut­to ciò e affer­ma se stes­so, il pro­prio cor­po, le pro­prie esi­gen­ze (comu­ni­ste). Que­sti com­pa­gni (Aut. Op.) par­to­no da una real­tà rivo­lu­zio­na­ria: l’e­si­gen­za di svi­lup­po auto­no­mo di biso­gni pro­le­ta­ri, per ripro­por­re tut­ta­via la “mili­tan­za rivo­lu­zio­na­ria” (pro­fes­sio­na­le) e il par­ti­to, con l’u­ni­co risul­ta­to di inca­na­la­re que­ste esi­gen­ze rivo­lu­zio­na­rie negli sche­mi capi­ta­li­sti­ci del­la “poli­ti­ca” e dell’ ”ideo­lo­gia”.
Pur muo­ven­do­si da pre­mes­se anti­re­vi­sio­ni­ste (il rifiu­to del­la figu­ra coscien­zia­le del par­ti­to e l’in­ne­sco del movi­men­to auto­no­mo) l’au­to­no­mia ope­ra­ia orga­niz­za­ta fa rien­tra­re il par­ti­to dal­la fine­stra, buro­cra­tiz­zan­do lo stes­so con­cet­to di “auto­no­mia”.

Da Neg/​azione 1976 Provocazione

L’ag­gra­var­si del­la situa­zio­ne eco­no­mi­ca pla­ne­ta­ria, disoc­cu­pa­zio­ne, caro vita, sva­lu­ta­zio­ne del­la mone­ta, incer­tez­za negli inve­sti­men­ti, (dif­fi­col­tà di un pie­no con­trol­lo poli­ti­co, che pure rima­ne ten­den­zia­le) come esau­rir­si del­l’e­tà del­l’E­co­no­mia Pura all’in­ter­no del­la pre­i­sto­ria è oggi il rin­fo­co­lar­si visi­bi­le del­l’e­stre­mi­smo covan­te sot­to bra­ci non anco­ra ince­ne­ri­te.
L’e­stre­mi­smo tor­na ad esse­re di mas­sa in Ita­lia dopo aver ser­ra­to sui­ci­da­men­te le fila in avan­guar­dia distac­ca­ta.
Oggi, al cen­tro del suo occhio i Com­man­dos del­l’au­to­no­mia; in peri­fe­ria i resti del­le BR e NAP; nel tes­su­to lo spon­ta­nei­smo ma anche la spon­ta­nei­tà che lo ecce­de. È il rina­sce­re del ’68–69 di cui già da tem­po cian­cia­no gli psi­co­so­ció­lo­gi più atti­vi del moder­ni­smo capi­ta­li­sta, i Gal­li, gli Albe­ro­ni e i mass-media che li sosten­go­no: Repub­bli­ca, Pano­ra­ma, La Stam­pa, il Cor­rie­re, ecc…
La con­te­sta­zio­ne anti­ci­pa­ta, com­pu­te­riz­za­ta e rin­chiu­sa in pro­vet­ta, agi­ta­ta al momen­to giu­sto, depo­si­ta il nuo­vo asset­to socie­ta­rio capi­ta­li­sti­co, men­tre il capi­ta­le è alle cor­de per impos­si­bi­li­tà pla­ne­ta­ria di espan­sio­ne del­l’E­co­no­mia Pura.
Capi­ta­le del rista­gno, del­la pol­lu­zio­ne, del­la cri­si, neces­sa­ria­men­te alla ricer­ca di nuo­vi valo­ri eco­no­mi­ci con la mer­ci­fi­ca­zio­ne di ciò che ecce­de la mate­ria pri­ma (Tran­se­co­no­mia, fase di eco­no­mi­ciz­za­zio­ne di ogni atti­vi­tà ed espres­sio­ne uma­na ridot­ta a valo­re con­su­ma­bi­le). A que­sto pro­po­si­to sor­ge oppo­nu­na­ta­men­te quel­l’A­rea com­po­si­ta di radu­no che si defi­ni­sce Auto­no­mia Ope­ra­ia, area di par­cheg­gio nel poli­ti­co per gli scon­ten­ti dei grup­pi:
1) ex mili­tan­ti di P.O., L.C., Grup­po Gram­sci; 2) fran­ge gio­va­ni­li, ex freaks pas­sa­ti ad una misti­ca più mate­ria­li­sti­ca, gen­te che non ha fat­to il ’68–69.
L’u­so del­lo spon­ta­nei­smo è chia­ro, il ten­ta­ti­vo di gestio­ne poli­ti­ca attec­chi­to sul­la mate­ria degli ini­zia­li espro­pri, sabo­tag­gi, assal­ti ai gran­di magaz­zi­ni.
Si noti l’u­so di Auto­no­mia Ope­ra­ia da par­te del radi­ca­li­smo bor­ghe­se (es. l’a­po­lo­ge­ti­ca di «Tem­pi Moder­ni» – set­tem­bre ’75 “Auto­cen­si­men­to dei grup­pi di base”). Dila­ta­zio­ne del­la poli­ti­ciz­za­zio­ne di que­sti momen­ti.
Sol­tan­to l’il­lu­sio­ne del­l’ot­ti­ca alter­na­ti­va tar­do-pro­le­ta­ria, Auto­no­mia Ope­ra­ia si pone come momen­to di gestio­ne com­ples­si­va del­la rab­bia socia­le con una linea popu­li­sta-ter­ro­ri­sta la cui ope­ra­zio­ne si dispie­ga a livel­lo sto­ri­co nei due poli del­la rivo­lu­zio­ne alie­na­ta e del­la con­tro­ri­vo­lu­zio­ne che la incap­su­la.
Tale orga­niz­za­zio­ne è sem­pli­ce­men­te il modo inca­na­la­te­si del­l’au­to­no­miz­za­zio­ne del­lo spon­ta­nei­smo, che con­tie­ne oggi mol­to più che nel pas­sa­to, i mec­ca­ni­smi del­la logi­ca del domi­nio e del­l’au­to­re­go­la­men­ta­zio­ne capi­ta­li­sti­ca. La carat­te­ri­sti­ca prin­ci­pa­le del­l’or­ga­niz­za­zio­ne del­l’Au­to­no­mia rispet­to alle orga­niz­za­zio­ni del­la destra sta­li­no-leni­ni­sta è l’ab­bi­na­men­to del­l’i­deo­lo­gia col­let­ti­vi­sti­ca e di quel­la indi­vi­dua­li­sti­ca, la sua decen­tra­liz­za­zio­ne. L’am­mo­der­na­men­to del capi­ta­le è nel­l’a­rea del­l’Au­to­no­mia il rit­mo di scam­bio-ricam­bio ideo­lo­gi­co, più rapi­do, mobi­le; la libe­riz­za­zio­ne di ogni con­su­mo di mer­ce.
Tale meto­do­lo­gia di con­trol­lo vie­ne ad espli­car­si negli ambi­ti più inquie­ti, come rein­tro­du­zio­ne del poli­ti­co, del biso­gno di sog­get­ti­vi­tà inca­pa­ce di espri­mer­si nel­la cri­ti­ca radi­ca­le.
La pro­du­zio­ne in pro­prio di ideo­lo­gia e la par­te­ci­pa­ti­vi­tà al grup­po del­la pos­si­bi­li­tà qua­li­ta­ti­va. Area del­l’Au­to­no­mia:
a) Strut­tu­ra neo­le­ni­ni­sta di fon­do. b) Ampio spa­zio per l’i­deo­lo­gia per­so­na­le in cui il sin­go­lo recu­pe­ra da ambi­ti dispa­ra­ti, for­me pri­va­tiz­za­te e par­cel­la­ri di alter­na­ti­va, di ultra­mo­der­ni­smo.
Il recu­pe­ro non è gesti­to in un’u­ni­ca dire­zio­ne (la linea) dal­l’ap­pa­ra­to gerar­chi­co, ma dai sin­go­li che rove­scia­no nel reci­pien­te comu­ne l’ap­por­to del­l’i­deo­lo­gia par­ti­co­la­re, con­te­nu­ta d’al­tra par­te (e qui sta l’im­pos­si­bi­li­tà del­la cri­ti­ca) nel­l’i­deo­lo­gia neo­le­ni­ni­sta di base che la sostie­ne. La spe­cia­li­tà del­l’Or­ga­niz­za­zio­ne del­l’Au­to­no­mia Ope­ra­ia sta nel­lo sce­neg­gia­re i momen­ti che sfug­go­no alle orga­niz­za­zio­ni ritar­da­ta­rie del­la destra sta­li­no-leni­ni­sta ita­lia­na, raf­fi­nan­do il gio­co abboz­za­to roz­za­men­te da LC nel ’69–70: la poli­ti­ciz­za­zio­ne di que­sti momen­ti e la loro addo­me­sti­ca­zio­ne. Edi­to­ria­le Puzz

Il diritto all’odio

Da «Neg/​azione», 1976

AUTONOMIA COME AREA

La pro­le­ta­riz­za­zio­ne non è affat­to la sini­striz­za­zio­ne dei ceti medi e alto­bor­ghe­si. Que­sta sini­striz­za­zio­ne, che è quan­to «sostan­zial­men­te» è appar­so di nuo­vo negli ulti­mi die­ci anni in occi­den­te, più che pre­li­mi­na­re o nel­la pro­spet­ti­va del­la pro­le­ta­riz­za­zio­ne è sta­ta la fogna ideo­lo­gi­ca che l’ha esor­ciz­za­ta. L’e­co­no­mi­sta Pao­lo Sylos Labi­ni – ideo­lo­go del «com­pro­mes­so sto­ri­co» – nel «Sag­gio sul­le clas­si socia­li» (non a caso abbon­dan­te­men­te recen­si­to dai gior­na­li del­la sini­stra bor­ghe­se e del­la bor­ghe­sia sini­stri­sta) tira come con­clu­sio­ne trion­fa­li­sti­ca e posi­ti­va «…la cre­sci­ta poli­ti­ca e quan­ti­ta­ti­va del­le clas­si medie» men­tre Umber­to Fusi sul quo­ti­dia­no del Par­ti­to Sedi­cen­te Comu­ni­sta tro­va in que­sto il «pre­sup­po­sto per usci­re real­men­te a sini­stra dal­la cri­si che attra­ver­sia­mo». Que­sti sica­ri sono sod­di­sfat­ti. La pro­le­ta­riz­za­zio­ne che è sta­to l’in­cu­bo sul ter­re­no del­le pos­si­bi­li­tà per i capi del­la sini­stra sto­ri­ca e nuo­va ha tro­va­to la solu­zio­ne nel gela­ti­no­so ottun­di­men­to del­l’i­deo­lo­gia, è abor­ti­ta nel demo­cra­ti­ci­smo auto­ge­stio­na­rio acce­le­ra­to e dife­so mali­zio­sa­men­te dal­la cri­si oriz­zon­ta­le e ver­ti­ca­le del­l’e­si­sten­te capi­ta­li­sti­co come sua ulti­ma auto­di­fe­sa. La ripro­du­zio­ne del capi­ta­le avvie­ne dun­que per abor­ti, la sini­stra trion­fan­te è la fab­bri­ca di ristrut­tu­ra­zio­ne dei modi di pro­du­zio­ne este­si­si – domi­nio rea­le del capi­ta­le – su tut­to l’e­si­sten­te socia­le, i sica­ri sod­di­sfat­ti pre­pa­ra­no già la loro «not­te dei lun­ghi col­tel­li»: l’in­de­fi­ni­bi­le Paiet­ta – igno­ran­te e anti­co­mu­ni­sta ne espri­me i pre­pa­ra­ti­vi rila­scian­do una inter­vi­sta a «Pano­ra­ma»: il pos­si­bi­le ser­ba­to­io di voti extra­par­la­men­ta­ri ver­so cui il Pic­cì ha sem­pre mostra­to un bur­be­ro inte­res­se, un affet­to mane­sco, nel ten­ta­ti­vo dei grup­pi di soprav­vi­ve­re a se stes­si tra­sfor­man­do­si in mini­par­ti­ti si sta tra­sfor­man­do in ser­ba­to­io di voti per sé: di con­se­guen­za gli Hitler e i Goe­ring del­la sini­stra clas­si­ca stan­no affi­lan­do le lame.

Per quan­to li con­cer­ne gli extra­par­la­men­ta­ri di sini­stra, pom­po­sa­men­te cata­lo­ga­ti­si come «sini­stra rivo­lu­zio­na­ria», pote­va­no – for­se… – rea­liz­za­re dei pun­ti di pro­le­ta­riz­za­zio­ne (cer­ta­men­te di pro­le­ta­riz­za­zio­ne anche per i pro­le­ta­ri stes­si) da cui si sareb­be­ro autoor­ga­niz­za­ti – in ogni sen­so, non in un signi­fi­ca­to poli­ti­co – gli stes­si pro­le­ta­riz­za­ti. Ma i grup­pi si sono sem­pre acca­ni­ta­men­te oppo­sti a ciò; si può com­pren­de­re: la fun­zio­ne a cui li ha deter­mi­na­ti il pro­ces­so capi­ta­li­sti­co era appun­to di esor­ciz­za­re la pro­le­ta­riz­za­zio­ne, e la sua radi­ca­liz­za­zio­ne auto­no­ma, men­tre la gesti­va­no ideo­lo­gi­ca­men­te e orga­niz­za­ti­va­men­te. Le sco­rie auto­no­mi­sti­che che i grup­pi si sono lascia­ti alle spal­le, com­pre­sa la cosid­det­ta «area del­l’au­to­no­mia», riper­cor­ro­no d’al­tron­de i pas­sag­gi di un grup­pu­sco­la­ri­smo sen­za grup­po: l’au­to­no­mia sepa­ra­ta dal­la radi­ca­liz­za­zio­ne, dal­la cri­ti­ca radi­ca­le e dia­let­ti­ca di tut­to l’e­si­sten­te capi­ta­li­sti­co – e va pun­tua­liz­za­to: anche e soprat­tut­to dal­la poli­ti­ca, anche e soprat­tut­to del­la Sini­stra – non ha sen­so. L’au­to­no­mia non può esse­re solo un fat­to di orga­niz­za­zio­ne, l’e­stre­mi­smo auto­no­mi­sti­co è solo una far­sa dram­ma­ti­ca rap­pre­sen­tan­te la radi­ca­liz­za­zio­ne, l’e­stre­mi­smo è solo lo spet­ta­co­lo del­la radi­ca­li­tà. Tut­ta­via le con­trad­di­zio­ni e lo spet­ta­co­lo dell’«area del­l’au­to­no­mia» cela­no – anche a se stes­sa e soprat­tut­to – l’u­ni­co fat­to che si pos­sa rite­ne­re inte­res­san­te sca­tu­ri­to dal recen­te pas­sa­to: l’u­ni­co fat­to poli­ti­co che con­ten­ga ine­spres­so – il pro­prio supe­ra­men­to radi­ca­le, la pro­pria pos­si­bi­le radi­ca­liz­za­zio­ne. Non vi è radi­ca­liz­za­zio­ne se non vi è la pre­sen­za con­cre­ta del­la sog­get­ti­vi­tà radi­ca­le, del­la cri­ti­ca radi­ca­le por­ta­ta nel­la sua tota­li­tà con­tro la tota­li­tà alie­na­ta ed alie­nan­te, del­la nega­zio­ne non sepa­ra­ta dal­la crea­ti­vi­tà, del­la crea­ti­vi­tà non sepa­ra­ta dal­la nega­zio­ne. O in que­sta pro­spet­ti­va. Tut­to il resto è spet­ta­co­lo, rap­pre­sen­ta­to o uni­la­te­ral­men­te rece­pi­to, nel­la pas­si­vi­tà del­la rap­pre­sen­ta­zio­ne e nel­la pas­si­vi­tà del­la rece­zio­ne. Soprat­tut­to ora che la cri­si ver­ti­ca­le del­l’e­si­sten­te capi­ta­li­sti­co incon­tra la sua cri­si radi­ca­le, e pro­du­ce la pro­pria radi­ca­liz­za­zio­ne che non può non pro­dur­si, e dia­let­ti­ca­men­te la radi­ca­liz­za­zio­ne di ogni momen­to del­la vita quo­ti­dia­na.
La sto­ria non offre due vol­te lo stes­so let­to, la secon­da vol­ta è una bara.
Tan­to per ini­zia­re si trat­ta di non scam­biar­la, tut­ta­via, per un let­to.
E poco, ed è già qualcosa.

AUTONOMIA OPERAIA E AUTONOMIA DEI PROLETARI

Sono cir­ca due anni che i gior­na­li del Kapi­ta­le ita­lia­no (tut­te le sue ten­den­ze, dal Tem­po all’U­ni­tà) sbrai­ta­no con­tro un nuo­vo «grup­po»:
Auto­no­mia Ope­ra­ia, auto­re a loro dire di tut­te le «pro­vo­ca­zio­ni» e del­le «azio­ni tep­pi­sti­che» com­piu­te negli ulti­mi tem­pi.
In que­sti gior­ni poi la cam­pa­gna gior­na­li­sti­ca (soprat­tut­to da par­te del­la sini­stra capi­ta­li­sti­ca) con­tro i «pro­vo­ca­to­ri» si è accen­tua­ta poi­ché in fase di ristrut­tu­ra­zio­ne il capi­ta­le ita­lia­no non può sop­por­ta­re l’at­ti­vi­tà «sov­ver­si­va» dei com­pa­gni che non inten­do­no più paga­re sul­la pro­pria pel­le il prez­zo del­le varie «cri­si» capi­ta­li­sti­che o meglio il prez­zo del­l’e­si­sten­za capi­ta­li­sti­ca stes­sa.
Com­pa­gni che sono usci­ti dal­la logi­ca «poli­ti­ca» dei par­ti­ti o grup­pet­ti sta­li­no-leni­ni­sti e che supe­ran­do la fal­sa sfe­ra del­la «poli­ti­ca», alie­nan­te e sepa­ra­ta, por­ta­no avan­ti un discor­so basa­to sul­l’e­si­gen­za di nega­re la soprav­vi­ven­za capi­ta­li­sti­ca, la dit­ta­tu­ra spet­ta­co­lar-mer­can­ti­le che il domi­nio rea­le del capi­ta­le ha impo­sto.
Sto­ri­ca­men­te la clas­se ope­ra­ia nei momen­ti di esplo­sio­ne rivo­lu­zio­na­ria ha sem­pre man­da­to affan­cu­lo i pre­ti radi­cal-bor­ghe­si socia­li­sti, sedi­cen­ti comu­ni­sti, che eri­gen­do­si a suoi rap­pre­sen­tan­ti si era­no innal­za­ti i pro­pri tem­pli impo­nen­do ai «pro­tet­ti» il pel­le­gri­nag­gio dopo­la­vo­ri­sti­co.
Fin dal­le sue ori­gi­ni la clas­se ope­ra­ia ha tro­va­to momen­ti di orga­niz­za­zio­ne e di col­le­ga­men­to al di là degli sche­mi del­le varie orga­niz­za­zio­ni radi­cal-bor­ghe­si, non ha cer­to aspet­ta­to il mes­sia rivo­lu­zio­na­rio per rea­gi­re al capi­ta­li­smo. Ha sapu­to tro­va­re pro­pri mez­zi e modi: dagli scio­pe­ri sel­vag­gi agli atti di sabo­tag­gio.
Comin­cian­do dal 1811 in Inghil­ter­ra con il movi­men­to Lud­di­sta, pri­ma e gros­sa espres­sio­ne del­l’au­to­no­mia ope­ra­ia, pas­san­do per il giu­gno 1848 con le gior­na­te del pro­le­ta­ria­to rivo­lu­zio­na­rio pari­gi­no, con­ti­nuan­do con La Comu­ne e con i movi­men­ti del Nove­cen­to con la rivo­lu­zio­ne sovie­ti­ca (fino a quan­do rima­ne tale), fino al ’68.
In que­ste espe­rien­ze il pro­le­ta­ria­to ha però supe­ra­to l’am­bi­to ridut­ti­vo del­le riven­di­ca­zio­ni eco­no­mi­co-poli­ti­che; o meglio nel momen­to in cui il capi­ta­le supe­ran­do la fase di domi­nio for­ma­le ha instau­ra­to il suo domi­nio rea­le, il pro­le­ta­ria­to e con esso i pro­le­ta­riz­za­ti ha comin­cia­to un discor­so tota­le con­tro il suo esse­re pro­le­ta­rio (o pro­le­ta­riz­za­to), con­tro il lavo­ro, con­tro la soprav­vi­ven­za capi­ta­li­sti­ca rifiu­tan­do la sfe­ra sepa­ra­ta del­la «poli­ti­ca».
Con­clu­den­do si può par­la­re del­l’au­to­no­mia degli ope­rai che ten­do­no a nega­re la loro soprav­vi­ven­za in quan­to tali e ad affer­ma­re la loro vita in quan­to comu­ni­sti, del­l’au­to­no­mia dei pro­le­ta­riz­za­ti che nega­no la socie­tà spet­ta­co­lar-mer­can­ti­le ponen­do­si con­tro di essa (al di fuo­ri non ci cre­de nes­su­no). Cosa diver­sa è inve­ce l’or­ga­niz­za­zio­ne «Auto­no­mia Ope­ra­ia», rima­sta inter­na alla logi­ca poli­ti­ca, all’i­deo­lo­gia marx-leni­ni­sta, all’i­po­te­si del «par­ti­to rivo­lu­zio­na­rio», negan­do il con­tra­sto tra i due con­cet­ti: di par­ti­to, che impli­ca una ideo­lo­gia, una strut­tu­ra ver­ti­ca­le, dei qua­dri diri­gen­ti, dei mili­ta­ri, dei sim­pa­tiz­zan­ti, degli iscrit­ti, dei mili­ta­riz­za­ti e dei non…; e di rivo­lu­zio­na­rio, che nega tut­to ciò e affer­ma se stes­so, il pro­prio cor­po, le pro­prie esi­gen­ze (comu­ni­ste).
Que­sti com­pa­gni (Aut. Op.) par­to­no da una real­tà rivo­lu­zio­na­ria: l’e­si­gen­za di svi­lup­po auto­no­mo di biso­gni pro­le­ta­ri, per ripro­por­re tut­ta­via la «mili­tan­za rivo­lu­zio­na­ria» (pro­fes­sio­na­le) e il par­ti­to, con l’u­ni­co risul­ta­to di inca­na­la­re que­ste esi­gen­ze rivo­lu­zio­na­rie negli sche­mi capi­ta­li­sti­ci del­la «poli­ti­ca» e dell’«ideologia».
Pur muo­ven­do­si da pre­mes­se anti­re­vi­sio­ni­ste (il rifiu­to del­la figu­ra coscien­zia­le del par­ti­to e l’in­ne­sco del movi­men­to auto­no­mo) l’au­to­no­mia ope­ra­ia orga­niz­za­ta fa rien­tra­re il par­ti­to dal­la fine­stra, buro­cra­tiz­zan­do lo stes­so con­cet­to di «auto­no­mia».

Da «Puzz» – La fab­bri­ca del­la repres­sio­ne – nume­ro uni­co-set­tem­bre 1975

AUTONOMIA, RADICALIZZAZIONE, AGGREGAZIONE INFORMALE…

1) La dia­let­ti­ca del supe­ra­men­to, la luci­da visio­ne che spac­ca il vis­su­to (e il non-vis­su­to quo­ti­dia­no), la cri­ti­ca vio­len­ta del­l’e­si­sten­te, nel­l’e­si­sten­te, del­la pro­pria espe­rien­za, l’af­fer­ma­zio­ne radi­ca­le del diver­so come pra­ti­ca e cre­sci­ta o meglio come ori­gi­ne del­l’uo­mo tota­le, del­la don­na tota­le, del­la spe­cie nel­la sua tota­li­tà; ciò che squar­cia i ten­di­ni che lega­no al pas­sa­to, che azzan­na la lugu­bre con­ti­nui­tà ripro­dut­ti­va di ognu­no, vio­len­tan­do­ne i ner­vi e scor­ti­can­do­ne la gola, tut­to que­sto e solo que­sto è inscri­vi­bi­le in quel pro­get­to ori­gi­na­rio (poi­ché si pone come fine l’o­ri­gi­ne del­l’es­se­re) che è il comu­ni­smo.


2) Ciò che non si espri­me nel­la pra­ti­ca del rifiu­to (del­la nega­zio­ne), rim­bal­za impo­ten­te, nel­le latri­ne gerar­chiz­za­te e ruo­liz­za­te del­la social­de­mo­cra­zia o in qual­che infa­me sot­to­pro­dot­to di mar­ca nazi­sta.
Ciò che il diver­so espri­me è crea­ti­vi­tà poi­ché scol­la vio­len­te­men­te la sua essen­za del­l’e­si­sten­te traen­do dal pro­prio far­si (e non dal ripro­dur­si) le indi­ca­zio­ni del­la vera guer­ra. Ciò che dif­fe­ren­zia il diver­so dal nuo­vo è il suo por­si come cer­tez­za in atto e non come novi­tà di mer­ca­to. L’e­stre­mi­smo, con tut­te le fred­de accoz­za­glie che lo accom­pa­gna­no, coi gesti roman­ti­ci dei mar­ti­ri scia­gu­ra­ti, con i con­sun­ti movi­men­ti che ripro­du­co­no, sot­to la ver­ni­ce fre­sca del rivo­lu­zio­na­rio, i vec­chi pas­si che il capi­ta­le meglio e altro­ve sa fare e con­trol­la­re, resta il pun­to fer­mo del­l’e­si­sten­te; (…)
L’e­stre­mi­smo è l’ul­ti­ma cor­da con cui si alle­sti­sco­no le for­che del capi­ta­le, l’ac­cet­ta­zio­ne del ripro­dur­si del capi­ta­le come svi­lup­po inte­rio­riz­za­to. Inu­ti­li gli esem­pi a chi pos­sie­de lo sguar­do disin­can­ta­to e la mise­ria rea­le del­l’ul­tra­si­ni­stra.


3) La pra­ti­ca del rifiu­to e lo sgan­ciar­si vio­len­to dal pro­gram­ma capi­ta­li­sti­co, la disin­te­gra­zio­ne pra­ti­ca del­l’io, la tena­glia che spez­za il cavo teso che con­giun­ge il pro­prio pro­get­to al pro­get­to gene­ra­le pre­fab­bri­ca­to.
L’e­stre­mi­sta e il devian­te cado­no, sot­to la man­na­ia del­la sto­ria, nel cesto di vimi­ni cui sono rife­ri­ti.
Si muo­re e si nasce nel­la stan­za di sem­pre, ma la vita è altro­ve.
Il rom­pi­ca­po seman­ti­co ridu­ce estre­mi­smo e devian­za al nodo scor­so­io del rife­ri­men­to gram­ma­ti­ca­le e ato­no di un com­ple­men­to di spe­ci­fi­ca­zio­ne: estre­mi­sti di chi, di che cosa? Devian­ti di chi, di che cosa? Rivo­lu­zio­na­ri di chi, di che cosa?
L’in­ter­ro­ga­ti­vo si esau­ri­sce nel­la scal­tra deter­mi­na­zio­ne del sog­get­to nasco­sto: il capi­ta­le. (…)
Il signi­fi­ca­to del domi­nio rea­le come momen­to sto­ri­co del capi­ta­le inte­rio­riz­za­to sve­la, del resto, gli ulti­mi appi­gli psi­coa­na­li­ti­ci.
I vec­chi totem e i misti­ci tabù cui si rife­ri­sce Reich in «Psi­co­lo­gia di mas­sa del fasci­smo» lascia­no il posto, sot­to lo sguar­do con­sen­zien­te del­la nor­ma­li­tà impe­ran­te e del suo recu­pe­ro spet­ta­co­la­re qual è la paz­zia nor­ma­liz­za­ta, agli ido­li recen­ti aleg­gian­ti tra le pie­ghe del­le novi­tà del mer­ca­to rivo­lu­zio­na­rio, su cui si con­trab­ban­da­no le nuo­ve paro­le d’or­di­ne da valo­riz­za­re.


4) Si trat­ta alla fine di non ave­re più ido­li, né mer­ca­ti o paro­le d’or­di­ne a cui ubbi­di­re. Si trat­ta alla fine di insor­ge­re nel­la pra­ti­ca del rifiu­to, spez­zan­do la nor­ma­li­tà ras­se­gna­ta e i suoi ecces­si, estre­mi.
Ciò che fran­tu­ma la con­ti­nui­tà del­l’e­si­sten­te è l’es­sen­za che sta­bi­li­sce, insor­gen­do, la di/​visione tra il nor­ma­le e il diver­so, ossia ciò che abo­li­sce il ful­cro laten­te cui le fal­se insur­re­zio­ni fan­no rife­ri­men­to.
La vera ever­sio­ne, la coscien­za del­la diver­si­tà che pul­sa, si rife­ri­sce solo a se stes­sa, come momen­to cor­po­reo del­la rivo­lu­zio­ne in pro­ces­so.
Si trat­ta, alla fine, di ave­re se stes­si a por­ta­ta di mano come arma indi­vi­dua­le inne­sca­ta dal­la plu­ra­li­tà del­la lot­ta.
Pos­se­de­re se stes­si vuoi dire pari­men­ti esse­re pos­se­du­ti dai pro­pri desi­de­ri che squar­cia­no i veli del fit­ti­zio indi­can­do la real­tà pro­pria e del mon­do. (…)
Ogni sor­ti­ta che non muo­va dal­la vita cor­ren­te inte­sa come rot­tu­ra in atto del­la quo­ti­dia­na pia­ni­fi­ca­zio­ne capi­ta­li­sti­ca, si pone sem­pre come fase ripro­dut­ti­va (sep­pu­re estre­ma) del­l’e­si­sten­te.
Le armi, in que­sto caso, diven­ta­no le arma­tu­re con cui si valo­riz­za la pro­pria essen­za. Al con­tra­rio, la luci­da chia­rez­za di ciò che si sta viven­do, del come si sta viven­do, del per­ché non si può vive­re, del­la vita cor­ren­te come momen­to di scon­tro, fan­no del­l’es­se­re più nudo, l’u­ni­ca vera poten­za arma­ta.


5) (…). Da quan­do il domi­nio rea­le del capi­ta­le ha tra­sfor­ma­to il pia­ne­ta socia­le (la socie­tà spet­ta­co­la­re-mer­can­ti­le) in un uni­co mer­ca­to, ognu­no fa del­la pro­pria esi­sten­za il mer­ca­ti­no del­la pro­pria assen­za.
Ognu­no, nel­le attua­li con­di­zio­ni è for­za pro­dut­ti­va cir­co­lan­te e inter­scam­bia­bi­le del­la pro­pria mise­ria.
I rap­por­ti tra gli indi­vi­dui non sono altro che l’im­ma­gi­ne misti­fi­ca­ta (epi­fe­no­me­ni) dei rap­por­ti di pro­du­zio­ne.
Il movi­men­to di valo­riz­za­zio­ne del capi­ta­le e dei suoi pro­dot­ti ideo­lo­gi­ci (pro­du­zio­ne-scam­bio-cir­co­la­zio­ne di mer­ci, al pari del­la pro­du­zio­ne-scam­bio-cir­co­la­zio­ne di idee) si è fuso e depo­si­ta­to nel­l’es­se­re, gesto­re auto­ge­sti­to di una dina­mi­ca che non gli appar­tie­ne.
Si guar­di per un atti­mo l’in­ter­scam­bia­bi­li­tà dei ruo­li, le mise­re rap­pre­sen­ta­zio­ni del­la figlia-moglie-madre come momen­to mani­fe­sto di que­sta uni­tà dia­let­ti­ca del capi­ta­le.
Il capi­ta­le, anche i ter­mi­ni di inte­gra­zio­ne posi­ti­va, pre­ce­de sem­pre le mos­se del suo popo­lo.


12) (…) quan­do i mor­ti sep­pel­li­sco­no i loro mor­ti i vivi resta­no soli.
Que­sta è, d’im­pat­to, l’im­ma­gi­ne che coglie il par­ti­gia­no del­l’es­se­re alle pre­se con la sto­ria.
Nel supe­ra­men­to qua­li­ta­ti­vo, nel­la cre­sci­ta che accom­pa­gna la .cor­po­rei­tà in rivol­ta, le file si assot­ti­glia­no, le pre­sen­ze fisi­che si sfol­ti­sco­no. Ne potreb­be esse­re diver­sa­men­te in un movi­men­to sto­ri­co in cui la lot­ta e la crea­zio­ne stes­sa esi­go­no la nega­zio­ne degli altri, il riget­to del­l’op­por­tu­ni­smo.
Il vomi­to che accom­pa­gna l’e­spul­sio­ne del capi­ta­le inte­rio­riz­za­to gio­ca puz­zo­len­te nel­la gola del par­ti­gia­no, pri­ma di esse­re spu­ta­to. È in que­sto sen­so che la gola si sen­te sof­fo­ca­re, che la paro­la sem­bra impos­si­bi­le, che lo sguar­do si fa allu­ci­nan­te.
Ma sia­mo nel­l’e­si­sten­te e resi­sten­te rima­ne anche per noi il rife­ri­men­to del­la lot­ta sep­pur in ter­mi­ni distrut­ti­vi e non ripro­dut­ti­vi.
Non basta sogna­re la libe­ra­zio­ne o par­lar­ne, biso­gna pra­ti­car­la, ed è in que­sta pra­ti­ca che la scre­po­la­tu­ra e gli incen­di inne­sca­no la gio­ia, men­tre le delu­sio­ni attiz­za­no il peso enor­me del­la schia­vi­tù.
Più il cor­po pro­ce­de disin­can­ta­to ver­so la pro­pria con­qui­sta, più il peso del­le cate­ne si fa intol­le­ra­bi­le, più la spe­cie pro­ce­de ver­so la pro­pria unio­ne, ver­so la pro­pria ori­gi­ne, più la sepa­ra­zio­ne e la soli­tu­di­ne piom­ba­no come cor­vi sui cor­pi in rivol­ta. È lo scot­to che da sem­pre l’op­pres­so paga all’op­pres­so­re, ma per l’ul­ti­ma vol­ta!
La fal­sa socia­li­tà, del resto, nutre gli uomi­ni del­la fal­sa illu­sio­ne di esse­re insie­me, di vive­re insie­me men­tre altro non sono che ele­men­ti tran­si­sto­riz­za­ti di un com­pu­ter socia­le la cui sche­da per­fo­ra­ta por­ta il mar­chio del capi­ta­le.
Divi­der­si dagli assen­ti non signi­fi­ca pro­pria­men­te soli­tu­di­ne ma auto­no­mia. Chi non coglie la radi­ca­li­tà del tem­po che stia­mo per abbat­te­re, è sog­get­to agli abba­gli del­l’i­so­la­men­to, men­tre una mini­ma inver­sio­ne di pen­sie­ro lo ren­de­reb­be con­scio del­la pro­pria dirom­pen­te auto­no­mia.


13) Tut­to ciò che non pos­sie­de e non ten­de alla tota­li­tà, tra­smu­ta impec­ca­bil­men­te nel­le fon­de­rie del­l’i­deo­lo­gia, men­tre tut­to ciò che si sfuo­ca nel­l’i­deo­lo­gia si erge con­tro l’es­se­re, assu­men­do il com­pi­to (la cin­ghia di tra­smis­sio­ne) con cui il capi­ta­le recu­pe­ra ogni movi­men­to.
Ciò che esi­ste sot­to il nome di auto­no­mia non tro­ve­rà cer­to il suo signi­fi­ca­to nei col­let­ti­vi orga­niz­za­ti (…).
L’au­to­no­mia non è un movi­men­to ma l’es­se­re in movi­men­to, il diver­so che diven­ta padro­ne del­la pro­pria dina­mi­ca e del­la dina­mi­ca socia­le. L’au­to­no­mia è il risco­prir­si come tota­li­tà agen­te, come uni­tà inte­gra­ta del cor­po con il mon­do, come coscien­za rea­le dei biso­gni e desi­de­ri che sot­ten­do­no il cor­po nel­la sua indi­vi­dua­li­tà e la spe­cie nel­la sua plu­ra­li­tà.
Si trat­ta, alla fine di esse­re auto­no­mi dal­la, e nel­la, auto­no­mia stessa.

Da «Puzz» n. 17–18, gen­na­io-mar­zo 1975.

AUTONOMIA, RADICALIZZAZIONE…

La stra­te­gia è il pro­ces­so orga­ni­co, la sim­bio­si pos­si­bi­le e neces­sa­ria, fra teo­ria e cri­ti­ca radi­ca­le, fra cri­ti­ca radi­ca­le e pra­ti­ca, e, dia­let­ti­ca­men­te, vice­ver­sa.
Men­tre la poli­ti­ca è la media­zio­ne – la sepa­ra­zio­ne per­pe­tua­ta, il cane da guar­dia del­le sepa­ra­zio­ni, e la garan­zia del­la loro ine­li­mi­na­bi­li­tà – gesti­ta da altri o auto­ge­sti­ta da se stes­si, di momen­ti socia­li sepa­ra­ti l’un l’al­tro, la stra­te­gia è la nega­zio­ne del­la poli­ti­ca ed è la stra­te­gia del­la nega­zio­ne, del­la dia­let­ti­ca nega­zio­ne-crea­ti­vi­tà, del­la crea­ti­vi­tà del­la nega­zio­ne.
Teo­ria, cri­ti­ca, pra­ti­ca, ven­go­no stra­vol­te nel­la poli­ti­ca in ideo­lo­gia, nel «pen­sie­ro» fis­sa­to, rei­fi­ca­to, del­le idee mor­te – pro­prio men­tre tut­ta la socie­tà è già bloc­ca­ta nel suo ripro­dur­si in quan­to ideo­lo­gia e solo in quan­to tale – cioè la socie­tà è la poli­ti­ca gene­ra­liz­za­ta – la cri­ti­ca poli­ti­ca del­la socie­tà capi­ta­liz­za­ta non ha sen­so, non è una cri­ti­ca, è la «cri­ti­ca» costrut­ti­va del­la socie­tà così come è, immu­ta­ta e immu­ta­bi­le; la poli­ti­ca anche nel­le sue estre­miz­za­zio­ni mas­si­me e ter­ro­ri­sti­che è la par­te del puzz­le socia­le che va a com­por­re la fini­tez­za e rei­fi­ca­zio­ne del­l’i­deo­lo­gia gene­ra­le, del puzz­le socia­le del­la poli­ti­ca gene­ra­liz­za­ta; anche se que­sta par­te del puzz­le si scom­po­ne vio­len­te­men­te, scen­de nel­la clan­de­sti­ni­tà, si dà a un ter­ro­ri­smo ragio­na­to e poli­ti­ca­men­te gesti­to, non pro­du­ce il pro­prio supe­ra­men­to e radi­ca­liz­za­zio­ne – che è il supe­ra­men­to del­l’i­deo­lo­gia – esso ha già lo spa­zio capi­ta­li­sti­co in cui inca­strar­si e far­si inca­stra­re.
Que­sti imbe­cil­li in armi, che defi­ni­sco­no ambi­gui­tà la cri­ti­ca radi­ca­le del­la poli­ti­ca, men­tre offro­no un fio­re a Lenin, pre­pa­ra­no i cri­san­te­mi per il pro­le­ta­ria­to, in suo nome; che essi sia­no in buo­na fede non cam­bia mol­to, men­tre è con­tro il cam­bia­men­to, fede­li alle uni­la­te­ra­li­tà del capi­ta­le che tut­to pro­du­ce tran­ne il cam­bia­men­to; il rifiu­to del puzz è l’ac­cet­ta­zio­ne inte­rio­riz­za­ta del puzz­le: non per­ché sia una nostra idea, ma per­ché così è la sto­ria.
Il dire «qui si fa poli­ti­ca», il dire «qui non si fa poli­ti­ca» sono entram­bi due atteg­gia­men­ti poli­ti­ci: la nega­zio­ne del­la poli­ti­ca non è il suo rifiu­to (che è anco­ra un rifiu­to poli­ti­co, la poli­ti­ca e la non-poli­ti­ca essen­do entram­bi la poli­ti­ca del­l’e­si­sten­te capi­ta­li­sta) ma il suo supe­ra­men­to nel­la sog­get­ti­vi­tà radi­ca­le e real­men­te socia­le nel­la sua cri­ti­ca radi­ca­le all’e­si­sten­te socia­le rei­fi­ca­to, sog­get­ti­vi­tà che ha nel­la stra­te­gia il modo di por­tar­si e di rap­por­tar­si, che è arma­ta del­la cri­ti­ca radi­ca­le all’e­si­sten­te socia­le nel­la sua tota­li­tà per la tota­li­tà del suo stra­vol­gi­men­to; la teo­ria e la pra­ti­ca non ven­go­no pri­ma o dopo la cri­ti­ca radi­ca­le, ma sono dia­let­ti­ca­men­te inse­pa­ra­bi­li e l’un l’al­tra pro­du­cen­ti­si. O così dovreb­be esse­re: la sepa­ra­zio­ne di una dal­l’al­tra, la loro reci­pro­ca auto­no­miz­za­zio­ne crea il vuo­to che nei fat­ti è riem­pi­to dal­la ideo­lo­gia e dal­la poli­ti­ca, come una trap­po­la per orsi riem­pi­ta alla super­fi­cie.
Il voler fare poli­ti­ca, la poli­ti­ciz­za­zio­ne di se stes­si e del­la pro­pria vita quo­ti­dia­na, dei pro­pri rap­por­ti inter­per­so­na­li, del pro­prio cor­po, è la rap­pre­sen­ta­zio­ne – lo spet­ta­co­lo vis­su­to come alie­na­zio­ne in pri­ma per­so­na – del­la pro­pria neces­si­tà vita­le di nega­zio­ne del­l’e­si­sten­te capi­ta­li­sta stra­vol­ta (recu­pe­ra­ta) come momen­to di ripro­du­zio­ne di que­sto esi­sten­te; ciò che spin­ge alla vita – la vita stes­sa repres­sa ma non sop­pres­sa – tro­va come espres­sio­ne solo quel­lo che il capi­ta­le vuoi far­gli espri­me­re: su que­sto pun­to milio­ni di gio­va­ni e non gio­va­ni sono scop­pia­ti ovun­que negli anni pre­ce­den­ti; dove e in chi è man­ca­ta la radi­ca­liz­za­zio­ne – la cri­ti­ca radi­ca­le del­l’i­deo­lo­gia (mol­ti scam­bia­no la radi­ca­liz­za­zio­ne per estre­miz­za­zio­ne di una spe­ci­fi­ca ideo­lo­gia…) e imme­dia­ta­men­te la cri­ti­ca radi­ca­le del­la tota­li­tà del­l’e­si­sten­te socia­le capi­ta­liz­za­to che è que­sta ideo­lo­gia auto­ri­pro­du­cen­te­si – è suben­tra­ta la poli­ti­ca e la non poli­ti­ca – momen­ti stra­te­gi­ci del­l’i­deo­lo­gia auto­ri­pro­du­cen­te­si – come pal­lia­ti­vo, come impo­ten­za nar­ci­si­sti­ca­men­te ripie­ga­ta su se stes­sa e sod­di­sfat­ta del­la pro­pria rap­pre­sen­ta­zio­ne. Una sod­di­sfa­zio­ne pro­dot­ta da nes­sun pia­ce­re!
Che ponen­do­si pri­ma di ogni pia­ce­re lo esor­ciz­za!
Se la poli­ti­ca è que­sto, gli «apo­li­ti­ci», gli «impo­li­ti­ci», i feti­ci­sti del fare, non sono diver­sa­men­te: costo­ro cre­do­no che il riflus­so sia sta­to pro­dot­to da un ecces­so di teo­ria e di cri­ti­ca e pri­vi­le­gia­no imme­dia­ti­sti­ca­men­te la pra­ti­ca: ma que­sto spon­ta­nei­smo del caz­zo e tra­co­tan­te igno­ra che a guar­dar bene negli anni pas­sa­ti poco o nul­la vi è sta­to di teo­ria e di cri­ti­ca, solo la loro rap­pre­sen­ta­zio­ne ideo­lo­gi­ca, il loro model­lo capi­ta­li­sta ridot­to a con­su­mo uni­la­te­ra­le, lo spet­ta­co­lo del­la teo­ria e del­la cri­ti­ca smer­cia­to a com­pen­sa­re l’as­sen­za di teo­ria e di cri­ti­ca (que­sto per la «sini­stra rivo­lu­zio­na­ria» e l’ul­tra­si­ni­stra; men­tre il capi­ta­le è anda­to giù più tran­quil­lo: egli – esso – sa che l’i­deo­lo­gia pro­du­ce mer­ce e nul­l’al­tro). La dia­let­ti­ca non è un’i­dea ma è la sto­ria sve­la­ta nel suo pro­ce­de­re, chi non vive que­sto, chi solo lo pen­sa, chi lo igno­ra, non coglie di esse­re pro­dot­to dal­la sto­ria né coglie dia­let­ti­ca­men­te la pos­si­bi­li­tà di fare la sto­ria, cade nel­l’il­lu­sio­ne di un «fare» che è in real­tà un esse­re fat­to: egli – esso – è un sem­pli­ce e sem­pli­ci­sti­co ogget­to.
Ciò che sfug­ge alla dia­let­ti­ca non sfug­ge al capi­ta­le, men­tre la dia­let­ti­ca è pro­prio un non sfug­gi­re alla deter­mi­na­zio­ne del capi­ta­le rove­scian­do­la come nega­zio­ne del capi­ta­le stes­so, e lo sa.
Che la sto­ria di tut­ti coin­ci­da infi­ne – ma a par­ti­re da ora, nel­la nostra mise­ria! – con la sto­ria di ognu­no è la sola uto­pia che ci inte­res­sa, l’u­to­pia non inte­sa come una fan­ta­scien­za del futu­ro ma una pro­spet­ti­va che par­te qui e ora fra noi, e fra noi e noi stes­si.
All’au­to­no­miz­zar­si – il sepa­rar­si da tut­ti e da tut­to col­man­do que­sta sepa­ra­zio­ne con il vuo­to del­l’i­deo­lo­gia, ope­ra­zio­ne in cui il capi­ta­le è mae­stro – si trat­ta di con­trap­por­re radi­cal­men­te l’au­to­no­mia: la sog­get­ti­vi­tà dia­let­ti­ca, fra se stes­sa e la sto­ria, fra se stes­sa e gli altri sog­get­ti, fra se stes­sa e se stes­sa; autoor­ga­niz­za­ta oltre la poli­ti­ca e oltre il rifiu­to poli­ti­co del­la poli­ti­ca nel­la comu­ni­tà in atto di un grup­po, di un nucleo, di una comu­ne, di un luo­go sta­bi­le o prov­vi­so­rio e autoor­ga­niz­za­ta come pre­fi­gu­ra­zio­ne in atto, come ini­zio imme­dia­to del­la rea­liz­za­zio­ne del­la comu­ni­tà futu­ra, del­la comu­ni­tà rea­le, comu­ni­sta, non cer­to di quel «comu­ni­smo» gesti­to poli­ti­ca­men­te dai fasci­sti ros­si da cui ci sepa­ra sem­pre più lo spa­zio di una pal­lot­to­la pro­prio per­ché i par­ti­gia­ni del­la vita non si lasce­ran­no paci­fi­ca­men­te ucci­de­re, ma non con­sen­ti­ran­no alla mor­te di impa­dro­nir­si del­la loro «pas­sio­ne»; arma­ta dia­let­ti­ca­men­te, del­le armi che dia­let­ti­ca­men­te la pas­sio­ne la por­te­rà ad armar­si, da fuo­co o ero­ti­che, per scon­fig­ge­re la noia e l’a­lie­na­zio­ne, la soprav­vi­ven­za bru­ta e la mor­te dei desi­de­ri; arma­ta stra­te­gi­ca­men­te e dia­let­ti­ca­men­te del­la cri­ti­ca radi­ca­le, sen­za sepa­ra­zio­ni; con­scia di esse­re, e non di rap­pre­sen­ta­re, la nega­zio­ne dia­let­ti­ca del­l’e­si­sten­te capi­ta­li­sta crea­ti­va­men­te nega­to nel­la sua tota­li­tà e in ogni suo spe­ci­fi­co momen­to, non pri­vi­le­gian­do un momen­to sul­l’al­tro, sca­te­nan­do la nega­zio­ne del­la cri­ti­ca radi­ca­le su tut­ti i momen­ti con la stes­sa effi­cien­za qua­li­ta­ti­va con un’ef­fi­ca­cia vis­su­ta pie­na­men­te, non lascian­do­si in nes­sun spe­ci­fi­co (nel­le fab­bri­che, nel­le scuo­le, nel pro­prio cor­po, nel pro­prio gene­re, maschi­le o fem­mi­ni­le, nel­la fami­glia, nel grup­po poli­ti­co, o nel­l’an­ti­grup­po poli­ti­co ecc.), in nes­sun ruo­lo né controruolo.

Da «Gat­ti Sel­vag­gi» – n. 1 – dicem­bre ’74 – gen­na­io ’75 – edi­to­ria­le – Milano

AUTONOMIA

Pro­prio in un momen­to dif­fi­ci­le, come que­sto, è nata den­tro di noi una con­sa­pe­vo­lez­za irre­si­sti­bi­le: la neces­si­tà di muo­ver­ci poli­ti­ca­men­te in modo diver­so. Al di fuo­ri di ogni «sche­ma ideo­lo­gi­co tra­di­zio­na­le».
Noi non abbia­mo «miti» di fron­te ai qua­li inchi­nar­ci!!!
Non sia­mo mar­xi­sti, tan­to meno leni­ni­sti o sta­li­ni­sti.
Sia­mo del­le coscien­ze rivo­lu­zio­na­rie.
Ci sta bene tut­to ciò che è real­men­te radi­ca­le.
Sep­pel­lia­mo i cada­ve­ri del­le vec­chie ideo­lo­gie!!!
I rivo­lu­zio­na­ri si stan­no pre­pa­ran­do, con ogni mez­zo e nel­le loro spe­ci­fi­che situa­zio­ni, in for­ma spon­ta­nea, auto­no­ma, clan­de­sti­na, allo scon­tro aper­to con­tro il capi­ta­le e il suo sta­to-fasci­sta.
Noi non ci ponia­mo come «avan­guar­dia», ma come una par­te di que­sto movi­men­to rea­le.
La nostra lot­ta non ha come fine, sem­pli­ce­men­te, «miglio­ri con­di­zio­ni di vita», ma ha, come obiet­ti­vo ulti­mo, l’a­bo­li­zio­ne del­la pro­prie­tà pri­va­ta e del capi­ta­le di sta­to.
La nostra lot­ta vuo­le rag­giun­ge­re la liber­tà rea­le e il dirit­to a una nuo­va vita nel­la sua tota­li­tà.
Ci oppo­nia­mo a tut­te le for­me di orga­niz­za­zio­ne che abbia­no in sé il prin­ci­pio del­la «dele­ga».
Secon­do il nostro pare­re è bene costrui­re orga­ni­smi di pochi ele­men­ti nei qua­li o si deci­de tut­ti insie­me o non si deci­de nul­la.
Que­sti orga­ni­smi dovreb­be­ro pren­de­re ispi­ra­zio­ne, per le loro azio­ni, dal­la loro spe­ci­fi­ca real­tà. Ci sarà, natu­ral­men­te, un col­le­ga­men­to tra que­sti grup­pi, ma non sarà a livel­lo di comi­ta­ti con pote­ri deci­sio­na­li, sarà solo per infor­ma­zio­ni.
Que­ste for­me di orga­niz­za­zio­ni devo­no por­ta­re a uno svol­gi­men­to del­la vita socia­le per quar­tie­re e, quin­di, a un con­trol­lo poli­ti­co e diret­to del­la real­tà.
Sia­mo con­tra­ri ai «Comi­ta­ti di Libe­ra­zio­ne Nazio­na­li» e alle vie «Nazio­na­li al Socia­li­smo». All’in­ter­no del­la logi­ca capi­ta­li­sta non pos­so­no esser­ci del­le «oasi di para­di­so» per l’u­ma­ni­tà ricat­ta­ta dal­la fame e dai can­no­ni. La nostra tota­le libe­ra­zio­ne dipen­de diret­ta­men­te dal­la tota­le distru­zio­ne del capi­ta­li­smo mon­dia­le.
Dob­bia­mo però saper rico­no­sce­re il capi­ta­le nel­le sue for­me più nasco­ste e rico­no­sce­re gli stru­men­ti e i mez­zi che esso usa per con­di­zio­na­re la nostra vita quo­ti­dia­na. Non basta indi­vi­dua­re i padro­ni, i mili­ta­ri, la poli­zia e la chie­sa; biso­gna sma­sche­ra­re i fal­si par­ti­ti di «sini­stra», i sin­da­ca­ti, le strut­tu­re sta­li­ni­ste di tut­ti i grup­pi extra­par­la­men­ta­ri, la scuo­la, il mito del­lo sta­to «demo­cra­ti­co». Dob­bia­mo rove­scia­re nel loro posto natu­ra­le, cioè il cimi­te­ro, le imma­gi­ni «sacre» di que­sta socie­tà dove tut­to è mer­ce, la nostra vita com­pre­sa. Basta col cre­de­re «reli­gio­sa­men­te» nel­la fami­glia, nel­la sicu­rez­za del doma­ni, nel­la mac­chi­na, lo sta­dio, le ferie ecc. ecc…
Que­sta è la spaz­za­tu­ra ideo­lo­gia-mer­ce attra­ver­so la qua­le il capi­ta­le ci domi­na!!!
Ci sono anco­ra mol­ti ope­rai che si iden­ti­fi­ca­no negli obiet­ti­vi, nei desi­de­ri, nel­le aspi­ra­zio­ni, negli idea­li «del­l’or­di­ne costi­tui­to». Essi sono degli sfrut­ta­ti che si pon­go­no come «aspi­ran­ti bor­ghe­si».
Que­sta è una real­tà lon­ta­na dal­la coscien­za rivo­lu­zio­na­ria. Dob­bia­mo sra­di­car­la per­ché il dove­re di cam­bia­re è matu­ro per tut­ti colo­ro che si pon­go­no indi­vi­dual­men­te o come clas­se, di fron­te alla neces­si­tà di lot­ta­re con­tro que­sta socie­tà infa­me.
Noi sia­mo con­tro il «mito» del­la clas­se ope­ra­ia per­ché è dan­no­so, soprat­tut­to alla clas­se ope­ra­ia.
«L’o­pe­rai­smo» o il «popu­li­smo» è det­ta­to solo dal dise­gno mil­le­na­rio di usa­re le «mas­se» come pedi­ne per spor­chi gio­chi di «pote­re».
Dia­mo alla clas­se ope­ra­ia un ruo­lo rivo­lu­zio­na­rio deter­mi­nan­te per la cre­sci­ta del­la sov­ver­sio­ne gene­ra­le con­tro il capi­ta­li­smo e il suo sta­to-fasci­sta.
Comun­que non sia­mo per la «dit­ta­tu­ra del pro­le­ta­ria­to», che poi si ridu­ce sem­pre ad esse­re una dit­ta­tu­ra sul pro­le­ta­ria­to.
Dal­la clas­se ope­ra­ia, dai quar­tie­ri e dal­le scuo­le arri­va, pro­prio in que­sto momen­to, l’e­si­gen­za e la volon­tà di orga­niz­zar­si in modo auto­no­mo, sgan­cia­ti dai sin­da­ca­ti, dal P.C.I. e dai grup­pi extra­par­la­men­ta­ri, i qua­li rap­pre­sen­ta­no sem­pre più «l’a­la sini­stra del capi­ta­le».
Gene­ra­liz­zia­mo la lot­ta auto­no­ma con­tro il capi­ta­le e il suo sta­to-fasci­sta!!!
Nucleo Auto­no­mo di Quar­to Oggiaro

Da «Voglia­mo Tut­to!», n. 10, esta­te 1976 Milano.

CONTROCULTURA E AUTONOMIA PROLETARIA

Par­la­re di con­tro­cul­tu­ra e di auto­no­mia pro­le­ta­ria è una cosa che non si può fare in modo dog­ma­ti­co e cat­te­drat­ti­co da buo­ni spac­cia­to­ri di teo­ria. Sono feno­me­ni trop­po com­ples­si per­ché si pos­sa ave­re una coscien­za e una opi­nio­ne in pro­po­si­to sen­za ave­re vis­su­to i momen­ti di orga­niz­za­zio­ne e di lot­ta e soprat­tut­to sen­za far par­te del pro­get­to poli­ti­co che mag­gior­men­te ne espri­me i con­te­nu­ti: il gio­va­ne pro­le­ta­rio, coscien­te del­lo sfrut­ta­men­to, dell’emarginazione, del rim­bam­bi­men­to ideo­lo­gi­co che quo­ti­dia­na­men­te subi­sce, e soprat­tut­to deci­so a libe­rar­se­ne respin­gen­do ogni ten­ta­ti­vo di recu­pe­ro o di stru­men­ta­liz­za­zio­ne del­la pro­pria sog­get­ti­vi­tà rivo­lu­zio­na­ria.
La cul­tu­ra e la poli­ti­ca impe­ran­ti uffi­cial­men­te dal 15 giu­gno, diso­rien­ta­te e spa­ven­ta­te dall’ampiezza del feno­me­no «gio­va­ni­le», si affret­ta­no a misti­fi­car­lo ricor­ren­do alle più dispa­ra­te ana­li­si socio­lo­gi­che, inter­pre­tan­do come «cri­si gene­ra­zio­na­le» momen­ti pro­pria­men­te poli­ti­ci, o meglio che espri­mo­no una nascen­te cri­ti­ca del­la poli­ti­ca e una pre­ci­sa volon­tà di riap­pro­pria­zio­ne.
Più a sini­stra il pano­ra­ma è ugual­men­te deso­lan­te: i pro­fes­so­ri­ni dei grup­pi, in man­can­za di testi sto­ri­ci sul gio­va­ne pro­le­ta­ria­to, oltre a ripe­te­re con­ti­nua­men­te che l’estremismo è malat­tia infan­ti­le del comu­ni­smo, si affret­ta­no ad ela­bo­ra­re una linea poli­ti­ca, fon­da­no com­mis­sio­ni e indi­co­no semi­na­ri, rea­gen­do al loro diso­rien­ta­men­to e ai loro ritar­di con il soli­to oppor­tu­ni­smo e la soli­ta poli­ti­ca stru­men­ta­le, ovve­ro sem­pre pron­ti a inter­ve­ni­re impo­nen­do la loro dire­zio­ne poli­ti­ca quan­do pos­so­no, e sem­pre pron­ti a «respin­ge­re le pro­vo­ca­zio­ni» quan­do non ci rie­sco­no.
Rifiu­tia­mo quin­di a prio­ri qual­sia­si inter­ven­to estra­neo, qual­sia­si Mon­ta­nel­li o Boc­ca di tur­no, qua­lun­que ten­ta­ti­vo di insab­bia­men­to o di recu­pe­ro del nostro biso­gno di pote­re e riba­dia­mo la nostra auto­no­mia di pro­le­ta­ri che vivo­no la rivo­lu­zio­ne come una real­tà all’ordine del gior­no, sen­za sche­mi impo­sti dal «par­ti­to» o dal momen­to sto­ri­co, e soprat­tut­to sen­za dele­ga­re nes­su­no alla sod­di­sfa­zio­ne dei nostri biso­gni.
Cer­chia­mo, inve­ce, di svi­lup­pa­re il dibat­ti­to all’interno e pro­por­re e con­fron­ta­re diver­se espe­rien­ze e diver­se valu­ta­zio­ni, ma sem­pre pro­dot­ti da una lot­ta in pri­ma per­so­na.
Innan­zi­tut­to dichia­ria­mo che per noi non deve esi­ste­re sepa­ra­zio­ne tra cul­tu­ra e poli­ti­ca o tra libe­ra­zio­ne per­so­na­le e libe­ra­zio­ne col­let­ti­va. Pur con­si­de­ran­do le diver­se spe­ci­fi­ci­tà di ogni ter­re­no di lot­ta, li vedia­mo e li vivia­mo come inscin­di­bi­li tra loro in un uni­co pro­get­to poli­ti­co: il biso­gno di comu­ni­smo che con­trad­di­stin­gue sia la richie­sta di una nuo­va cul­tu­ra-modo di vive­re-rap­por­ti per­so­na­li, sia una diver­sa orga­niz­za­zio­ne del­le lot­te in fab­bri­ca e nel ter­ri­to­rio. Ai nuo­vi modi di vive­re cor­ri­spon­do­no nuo­vi modi di lot­ta­re.
Sepa­ra­re l’autonomia pro­le­ta­ria dall’autonomia cul­tu­ra­le signi­fi­ca oltre che far arre­tra­re il Movi­men­to, non aver com­pre­so il signi­fi­ca­to di libe­ra­zio­ne tota­le del pen­sie­ro mar­xi­sta, è impor­tan­te riba­di­re con­ti­nua­men­te que­sta inscin­di­bi­li­tà che già carat­te­riz­za l’esplosione pre­po­ten­te del­le istan­ze gio­va­ni­li, scon­vol­gen­do le abi­tua­li for­me di lot­ta e di orga­niz­za­zio­ne.
Il dato che ci sem­bra più impor­tan­te rile­va­re, è la tra­sfor­ma­zio­ne dell’arma del­la cri­ti­ca in cri­ti­ca arma­ta, un sal­to qua­li­ta­ti­vo ogget­ti­va­men­te rea­le e giu­sti­fi­ca­to, che ponia­mo come discri­mi­nan­te rispet­to al «rifor­mi­smo con­tro­cul­tu­ra­le» dei grup­pi e a chi si illu­de anco­ra che basti un festi­val all’anno o una rivi­sta ben fat­ta al mese per cam­bia­re il modo di pen­sa­re e di vive­re dei com­pa­gni e per scon­vol­ge­re l’ordine bor­ghe­se.
Cri­ti­ca arma­ta sono le occu­pa­zio­ni di case, sono i cen­tri per i gio­va­ni pro­le­ta­ri, sono le don­ne che inva­do­no il Duo­mo, sono le ron­de con­tro gli spac­cia­to­ri di eroi­na, sono le feste sel­vag­ge per le stra­de del cen­tro, è la «madon­ni­na che pian­ge», sono i prez­zi poli­ti­ci e quan­do non basta­no la riap­pro­pria­zio­ne di tut­to ciò che ser­ve.
Oggi il Movi­men­to non si accon­ten­ta più di pro­por­re nuo­ve istan­ze e di bat­ter­le cer­can­do una teo­ria che giu­sti­fi­chi il tut­to, la teo­ria nasce dal­la pras­si coscien­te, dal vive­re quo­ti­dia­na­men­te sul­la pro­pria pel­le le for­me di com­bat­ti­men­to ade­gua­te al pro­ces­so di costru­zio­ne di momen­ti di con­tro­po­te­re pro­le­ta­rio.
Il pote­re rispon­de a tut­to que­sto con la cri­mi­na­liz­za­zio­ne di ogni com­por­ta­men­to di estra­nei­tà e di rifiu­to del capi­ta­le in ogni sua for­ma. Chi non accet­ta la rego­la del gio­co bor­ghe­se o il com­por­ta­men­to sto­ri­co o l’alternativa socia­li­sta vie­ne dichia­ra­to uffi­cial­men­te «fuo­ri­leg­ge» e diven­ta ogget­to di lin­ciag­gio sia attra­ver­so gli orga­ni repres­si­vi del­lo sta­to, sia attra­ver­so una nascen­te pub­bli­ci­sti­ca sul­la «que­stio­ne gio­va­ni­le» che vede lac­chè e pen­ni­ven­do­li di ieri e di oggi dif­fa­ma­re il Movi­men­to distor­cen­do­ne il signi­fi­ca­to e negan­do­ne il carat­te­re rivoluzionario.

Da «Puzz», giu­gno 1976 Milano

PROVOCAZIONE



L’ag­gra­var­si del­la situa­zio­ne eco­no­mi­ca pla­ne­ta­ria, disoc­cu­pa­zio­ne, caro vita, sva­lu­ta­zio­ne del­la mone­ta, incer­tez­za negli inve­sti­men­ti, (dif­fi­col­tà di un pie­no con­trol­lo poli­ti­co, che pure rima­ne ten­den­zia­le) come esau­rir­si del­l’e­tà del­l’E­co­no­mia Pura all’in­ter­no del­la pre­i­sto­ria è oggi il rin­fo­co­lar­si visi­bi­le del­l’e­stre­mi­smo covan­te sot­to bra­ci non anco­ra ince­ne­ri­te.
L’e­stre­mi­smo tor­na ad esse­re di mas­sa in Ita­lia dopo aver ser­ra­to sui­ci­da­men­te le fila in avan­guar­dia distac­ca­ta.
Oggi, al cen­tro del suo occhio i Com­man­dos del­l’au­to­no­mia; in peri­fe­ria i resti del­le BR e NAP; nel tes­su­to lo spon­ta­nei­smo ma anche la spon­ta­nei­tà che lo ecce­de.
È il rina­sce­re del ’68–69 di cui già da tem­po cian­cia­no gli psi­co­so­ció­lo­gi più atti­vi del moder­ni­smo capi­ta­li­sta, i Gal­li, gli Albe­ro­ni e i mass-media che li sosten­go­no: Repub­bli­ca, Pano­ra­ma, La Stam­pa, il Cor­rie­re, ecc…
La con­te­sta­zio­ne anti­ci­pa­ta, com­pu­te­riz­za­ta e rin­chiu­sa in pro­vet­ta, agi­ta­ta al momen­to giu­sto, depo­si­ta il nuo­vo asset­to socie­ta­rio capi­ta­li­sti­co, men­tre il capi­ta­le è alle cor­de per impos­si­bi­li­tà pla­ne­ta­ria di espan­sio­ne del­l’E­co­no­mia Pura.
Capi­ta­le del rista­gno, del­la pol­lu­zio­ne, del­la cri­si, neces­sa­ria­men­te alla ricer­ca di nuo­vi valo­ri eco­no­mi­ci con la mer­ci­fi­ca­zio­ne di ciò che ecce­de la mate­ria pri­ma (Tran­se­co­no­mia, fase di eco­no­mi­ciz­za­zio­ne di ogni atti­vi­tà ed espres­sio­ne uma­na ridot­ta a valo­re con­su­ma­bi­le).
A que­sto pro­po­si­to sor­ge oppor­tu­na­ta­men­te quel­l’A­rea com­po­si­ta di radu­no che si defi­ni­sce Auto­no­mia Ope­ra­ia, area di par­cheg­gio nel poli­ti­co per gli scon­ten­ti dei grup­pi:

1) ex mili­tan­ti di P.O., L.C., Grup­po Gram­sci;
2) fran­ge gio­va­ni­li, ex freaks pas­sa­ti ad una misti­ca più mate­ria­li­sti­ca, gen­te che non ha fat­to il 68–69.

L’u­so del­lo spon­ta­nei­smo è chia­ro, il ten­ta­ti­vo di gestio­ne poli­ti­ca attec­chi­to sul­la mate­ria degli ini­zia­li espro­pri, sabo­tag­gi, assal­ti ai gran­di magaz­zi­ni. Si noti l’u­so di Auto­no­mia Ope­ra­ia da par­te del radi­ca­li­smo bor­ghe­se (es. l’a­po­lo­ge­ti­ca di «Tem­pi Moder­ni» – set­tem­bre ’75 «Auto­cen­si­men­to dei grup­pi di base»).
Dila­ta­zio­ne del­la poli­ti­ciz­za­zio­ne di que­sti momen­ti. Sol­tan­to l’il­lu­sio­ne del­l’ot­ti­ca alter­na­ti­va tar­do-pro­le­ta­ria, Auto­no­mia Ope­ra­ia si pone come momen­to di gestio­ne com­ples­si­va del­la rab­bia socia­le con una linea popu­li­sta-ter­ro­ri­sta la cui ope­ra­zio­ne si dispie­ga a livel­lo sto­ri­co nei due poli del­la rivo­lu­zio­ne alie­na­ta e del­la con­tro­ri­vo­lu­zio­ne che la incap­su­la.
Tale orga­niz­za­zio­ne è sem­pli­ce­men­te il modo inca­na­la­te­si del­l’au­to­no­miz­za­zio­ne del­lo spon­ta­nei­smo, che con­tie­ne oggi mol­to più che nel pas­sa­to, i mec­ca­ni­smi del­la logi­ca del domi­nio e del­l’au­to­re­go­la­men­ta­zio­ne capi­ta­li­sti­ca.
La carat­te­ri­sti­ca prin­ci­pa­le del­l’or­ga­niz­za­zio­ne del­l’Au­to­no­mia rispet­to alle orga­niz­za­zio­ni del­la destra sta­li­no-leni­ni­sta è l’ab­bi­na­men­to del­l’i­deo­lo­gia col­let­ti­vi­sti­ca e di quel­la indi­vi­dua­li­sti­ca, la sua decen­tra­liz­za­zio­ne.
L’am­mo­der­na­men­to del capi­ta­le è nel­l’a­rea del­l’Au­to­no­mia il rit­mo di scam­bio-ricam­bio ideo­lo­gi­co, più rapi­do, mobi­le; la libe­riz­za­zio­ne di ogni con­su­mo di mer­ce.
Tale meto­do­lo­gia di con­trol­lo vie­ne ad espli­car­si negli ambi­ti più inquie­ti, come rein­tro­du­zio­ne del poli­ti­co del biso­gno di sog­get­ti­vi­tà inca­pa­ce di espri­mer­si nel­la cri­ti­ca radi­ca­le. La pro­du­zio­ne in pro­prio di ideo­lo­gia e la par­te­ci­pa­ti­vi­tà al grup­po del­la pos­si­bi­li­tà qua­li­ta­ti­va.
Area del­l’Au­to­no­mia:

a) Strut­tu­ra neo­le­ni­ni­sta di fon­do.
b) Ampio spa­zio per l’i­deo­lo­gia per­so­na­le in cui il sin­go­lo recu­pe­ra da ambi­ti dispa­ra­ti, for­me pri­va­tiz­za­te e par­cel­la­ri di alter­na­ti­va, di ultra­mo­der­ni­smo.

Il recu­pe­ro non è gesti­to in un’u­ni­ca dire­zio­ne (la linea) dal­l’ap­pa­ra­to gerar­chi­co, ma dai sin­go­li che rove­scia­no nel reci­pien­te comu­ne l’ap­por­to del­l’i­deo­lo­gia par­ti­co­la­re, con­te­nu­ta d’al­tra par­te (e qui sta l’im­pos­si­bi­li­tà del­la cri­ti­ca) nel­l’i­deo­lo­gia neo­le­ni­ni­sta di base che la sostie­ne.
La spe­cia­li­tà del­l’Or­ga­niz­za­zio­ne del­l’Au­to­no­mia Ope­ra­ia sta nel­lo sce­neg­gia­re i momen­ti che sfug­go­no alle orga­niz­za­zio­ni ritar­da­ta­rie del­la destra sta­li­no-leni-nista ita­lia­na, raf­fi­nan­do il gio­co abboz­za­to roz­za­men­te da LC nel 69–70: la poli­ti­ciz­za­zio­ne di que­sti momen­ti e la loro addomesticazione.







ROSSO n°9 ‑nuova serie-

gior­na­le den­tro il movimento

ROSSO n°10–11 ‑nuova serie-

gior­na­le den­tro il movimento

In que­sto nume­ro gli erra­ta cor­ri­ge per gli erro­ri soprat­tut­to di tito­la­zio­ne riscon­tra­ti nel n° 9 di ROS­SO-nuo­va serie-