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Contro il quotidiano della rinuncia

di Die­go Benec­chi

Ini­ziò con una Jac­que­rie, quan­te vol­te ce lo sia­mo ripe­tu­to, ed entram­mo nel­la sto­ria.
Vole­va­mo eli­mi­na­re tut­ti i miti, ne abbia­mo distrut­ti tan­ti, ma anche costrui­ti di nuo­vi, a tal pun­to che fini­ta la mera­vi­glio­sa illu­sio­ne, il sogno, ci sia­mo tro­va­ti schiac­cia­ti dal­la sto­ria, quel­la pub­bli­ca, degli altri. La nostra, fat­ta di tene­rez­ze, scrit­te sui muri, cor­tei gio­io­si e mili­ta­ri, ten­sio­ni, rima­ne nostal­gi­co ricor­do, per alcu­ni nean­che con­sa­pe­vo­le memo­ria.
L’i­ro­nia spa­ven­tò il pote­re, l’in­con­trol­la­bi­le lo spiaz­zò, ma con abi­li­tà esso ini­ziò il lun­go cor­teg­gia­men­to, si rese dispo­ni­bi­le, offri spa­zi. Tan­ti com­pa­gni rima­se­ro invi­schia­ti, e, pure attra­ver­so loro, il pote­re fat­to­si con­su­ma­bi­le ria­dat­tò rapi­da­men­te le sue for­me di con­trol­lo alla nuo­va real­tà. La ricer­ca del­la media­zio­ne e del con­sen­so intel­let­tua­le, fra chi ave­va già da tem­po fat­to le sue scel­te, ridus­se­ro come un tumo­re mali­gno a sto­ria bor­ghe­se l’in­com­men­su­ra­bi­le e mai tra­scri­vi­bi­le poe­sia dei nostri gesti di rivol­ta.
Attual­men­te fio­ri­sco­no i fogli, pia­ce­reb­be scri­ve­re d’a­gi­ta­zio­ne, ma non è pos­si­bi­le, altro non con­ten­go-no che: pri­va­to, cen­tri alter­na­ti­vi, qual­che elu­cu­bra­zio­ne. La cono­scen­za si impo­ne su tut­to, gio­va­ni desi­de­ro­si di gio­ca­re a fare gli intel­let­tua­li, scrit­to­ri in erba, poe­ti in ritar­do che par­la­no del ’77, dopo che i muri sono sta­ti ripu­li­ti, sono inte­res­san­ti ma non suf­fi­cien­ti. Non ci si sen­te libe­ri quan­do solo si leg­ge o si scri­ve o si seguo­no i vari dibat­ti­ti acca­de­mi­ci, si è più libe­ri in un car­ce­re orga­niz­zan­do­si con i dete­nu­ti, per miglio­ra­re le con­di­zio­ni di esi­sten­za, che con­ti­nua­re a cir­co­la­re fra fan­ta­smi lamen­to­si del­la man­can­za di cer­tez­ze.
Ebbe­ne, mai come ora la situa­zio­ne è eccel­len­te, la fine del­le ideo­lo­gie costrin­ge, final­men­te, ad affron­ta­re il socia­le arma­ti solo del­la nostra sog­get­ti­vi­tà, e que­sta è l’ar­ma miglio­re.
Non più pas­sa­to né futu­ro, entram­bi ci ricon­dur­reb­be­ro a cer­ca­re la media­zio­ne men­tre l’u­ni­ca alter­na­ti­va risie­de nel­la ricer­ca di una con­ti­nua rot­tu­ra imme­dia­ta e nel­la sod­di­sfa­zio­ne del­le pro­prie azio­ni, sia­no esse paci­fi­che o vio­len­te, poco impor­ta se gra­tui­te. Non c’è più vita, a meno di esse­re Pote­re, sen­za ritor­no alla pras­si, alla spe­ri­men­ta­zio­ne del­la liber­tà attra­ver­so l’au­to­va­lo­riz­za­zio­ne del­l’an­ta­go­ni­smo quo­ti­dia­no. L’au­to­va­lo­riz­za­zio­ne (con­qui­sta di liber­tà, supe­ra­men­to degli sche­mi) è pos­si­bi­le se fon­da­ta sul­la ripe­ti­zio­ne rit­mi­ca, di mas­sa, dei gesti che distrug­go­no il Pote­re. Stia­mo inol­tre gua­ren­do dal­la malat­tia del­le ideo­lo­gie, di fron­te al crol­lo dei pun­ti di rife­ri­men­to, dal nien­te rea­liz­za­to altro­ve, pos­sia­mo erger­ci con­sa­pe­vo­li che l’u­ni­co vero ribal­ta­men­to è la rivo­lu­zio­ne del tut­to. E’ in que­sto che sen­tia­mo e vivia­mo luci­da­men­te, che dive­nia­mo sto­ri­ci ed entria­mo in sce­na come pro­ta­go­ni­sti. Innan­zi­tut­to per­ché non stan­do con nes­su­no sce­glia­mo la stra­da di chi dice no a qual­sia­si pote­re-oppres­sio­ne, quel­la dei rivol­to­si. Da que­sta stra­da è dif­fi­ci­le usci­re, dato che la fon­te del­le lot­te, le radi­ci del­le con­trad­di­zio­ni sono pure in noi, quan­do la si ini­zia biso­gna per­cor­rer­la fino in in fon­do. Chi vive lo sfrut­ta­men­to tut­ti i gior­ni, chi non ha la pos­si­bi­li­tà di goder­si un’e­si­sten­za decen­te, chi sen­te l’op­pres­sio­ne sul suo cor­po, nel­la sua men­te, nel suo san­gue, non può che vive­re sen­za riser­ve per­ché que­sta è la sua ulti­ma pos­si­bi­li­tà. Chi lasce­rà la stra­da but­tan­do via il far­del­lo del­le sue esi­gen­ze e del­la sua vio­len­za di oppo­si­zio­ne non potrà che fini­re avve­le­na­to dal­le pro­prie veri­tà ucci­se. Per gli avve­le­na­ti sarà allo­ra l’i­ni­zio del quo­ti­dia­no del­la rinun­cia, una mor­te sen­za fine, a que­sto vuo­le por­tar­ci il Pote­re.
Cer­to ci offre i mirag­gi del­la pro­du­zio­ne e del con­su­mo. Non fac­cia­mo­ci fre­ga­re, non fer­mia­mo­ci, libe­ria­mo con­ti­nua­men­te la pas­sio­ne crea­ti­va d’a­mo­re e di ribel­lio­ne, que­sto l’u­ni­co modo per bat­te­re la dif­fu­sa coscien­za a livel­lo di mas­sa del­le costri­zio­ni neces­sa­rio.
L’in­du­stria­liz­za­zio­ne, il neces­sa­rio con­trol­lo limi­ta­ti­vo del­lo svi­lup­po tec­ni­co-scien­ti­fi­co da par­te del Pote­re, lo costrin­go­no ad uni­for­ma­re gli stru­men­ti del con­trol­lo, del­lo sfrut­ta­men­to, del domi­nio: par­cel­liz­zan­do­li, arti­co­lan­do­li, auto­ma­tiz­zan­do­li. Ed è pro­prio in que­sta dif­fu­sio­ne mole­co­la­re del pote­re che emer­ge la pos­si­bi­li­tà rea­le di una per­ma­nen­te lot­ta di libe­ra­zio­ne, è la gran­de occa­sio­ne sto­ri­ca per una bat­ta­glia per una liber­tà sostan­zia­le. Non a caso è esi­sti­to un rap­por­to diret­to, nel l’e­spe­rien­za del ’77 e nel­le recen­ti lot­te degli ospe­da­lie­ri, fra libe­ra­zio­ne di crea­ti­vi­tà indi­vi­dua­le e col­let­ti­va, fon­da­men­ti di nuo­ve dina­mi­che di liber­tà e la disar­ti­co­la­zio­ne del con­trol­lo dif­fu­so e lo sma­sche­ra­men­to del­le pra­ti­che di demo­cra­zia auto­ri­ta­ria por­ta­ta avan­ti dai par­ti­ti.
Nel­la fase del­la media­zio­ne, post-mar­zo ’77, i caval­li di tro­ia del pote­re nel movi­men­to han­no per­mes­so a que­sti di recu­pe­ra­re allo spet­ta­co­lo le for­me più emer­gen­ti del­la crea­ti­vi­tà col­let­ti­va. Ma per for­tu­na nei sot­ter­ra­nei del­la nostra civil­tà, nel nostro popo­lo, con­ti­nua a pro­ce­de­re il fiu­me impe­tuo­so di ciò che ognu­no di noi fa nascon­den­do­si. Quel­lo che è emer­so nel pas­sa­to non è nul­la rispet­to al tur­bi­na­re di con­trad­di­zio­ni, pen­sie­ri, ener­gie che ci agi­ta­no inin­ter­rot­ta­men­te gior­no dopo giorno.Questo fiu­me è ingo­ver­na­bi­le ed ha ripre­so a scor­re­re, è un flui­do com­po­si­to di fan­ta­sti­che­rie, desi­de­ri insod­di­sfat­ti, idee, sen­sa­zio­ni, è la pre­pa­ra­zio­ne del­l’ir­ra­zio­na­le mag­ma­ti­co di razio­na­li gesti scon­vol­gen­ti.
Con­su­ma­re è accu­mu­la­re di tut­to: amo­re, dana­ro, miti, cono­scen­ze, poli­ti­ca, que­sta la pro­po­sta per illu­der­ci di esse­re libe­ri. Ma il tem­po del­l’il­lu­sio­ne è bre­ve ed effi­me­ro, cre­sco­no il sen­so di males­se­re e i cona­ti di vomi­to, cre­sce la rete di liber­tà totale.Fare dimen­ti­ca­re all’uo­mo di esse­re un pro­dut­to­re, alie­na­to nel­la crea­ti­vi­tà del lavo­ro for­za­to, del­lo sfrut­ta­men­to, ecco le ragio­ni per cui il siste­ma ripie­ga nel con­su­mo e nel­la pic­co­la accu­mu­la­zio­ne bot­te­ga­ia. Guai a far­si invi­schia­re in que­sta dimen­sio­ne, il cui cen­tro pro­get­ta di con­trol­la­re nel­lo spa­zio di tem­po libe­ro dal lavo­ro, la crea­ti­vi­tà del­l’uo­mo. Dob­bia­mo asso­lu­ta­men­te fina­liz­za­re i nostri sfor­zi cer­can­do una rispo­sta cre­di­bi­le, di vita, per nega­re il con­trol­lo per tut­to il tem­po sul­la nostra crea­ti­vi­tà.
Ciò è fon­da­bi­le a par­ti­re dal rifiu­to del­l’i­deo­lo­gia del lavo­ro, non c’è alter­na­ti­va sen­za que­sto essen­zia­le pre­sup­po­sto che si con­cre­tiz­za, per ora, nel­la cri­ti­ca distrut­ti­va del­l’at­tua­le asset­to socia­le e del­la strut­tu­ra di pro­du­zio­ne e con­su­mo. Il pote­re ciber­ne­ti­co ten­ta di tra­sfor­ma­re cia­scu­no in sin­go­lo orga­niz­za­to­re del­la pro­pria dispo­ni­bi­li­tà, sia alla pro­du­zio­ne che al con­su­mo. Rifiu­tia­mo que­sto ruo­lo di pas­si­vi­tà con una ricer­ca con­ti­nua di quei gesti spon­ta­nei, con­se­guen­za del­la nostra cana­liz­za­zio­ne del­la crea­ti­vi­tà. Que­sto è pos­si­bi­le attra­ver­so una per­ma­nen­te e lun­ga resi­sten­za alla pene­tra­zio­ne del pote­re in noi. Da qui rie­mer­ge quel­la auto­va­lo­riz­za­zio­ne, tan­to neces­sa­ria per vive­re. Dia­mo l’ul­ti­mo col­po di pic­co­ne affin­chè il fiu­me tor­ni in super­fi­cie per un’al­tra Jacquerie.

CONTRO L’ESISTENTE PER IL POSSIBILE

di Fran­co Berar­di Bifo

Non sarà cer­to con ordi­ne che pro­ce­de­re­mo. Pro­ce­de­re­mo per allu­sio­ni e appros­si­ma­zio­ni. Per doman­de e per ipo­te­si.
In que­sta situa­zio­ne in cui chi pre­ten­de di spac­cia­re con arro­gan­za nuo­ve cer­tez­ze è gene­ral­men­te un imbe­cil­le, e chi si acque­ta all’in­ter­no del­l’in­cer­tez­za facen­do­ne moti­vo di sicu­rez­za, maga­ri pro­fes­sio­na­le e gior­na­li­sti­ca è un oppor­tu­ni­sta.
Una osser­va­zio­ne per comin­cia­re.
Mol­to simi­li per cer­ti ver­si, sono i gior­ni pre­sen­ti ai gior­ni che segui­ro­no l’in­sur­re­zio­ne di Mira­fio­ri.
Due anni nei qua­li ogni bat­ta­glia si svol­ge­va su un ter­re­no ina­de­gua­to, in cui il movi­men­to rea­le non si rico­no­sce­va nel­le rap­pre­sen­ta­zio­ni poli­ti­che (grup­pi, orga­ni­smi di mas­sa) che.erano ere­di­tà del pas­sa­to e osta­co­lo al movi­men­to pos­si­bi­le.
Oggi cer­to la cri­si che attra­ver­sia­mo è più gra­ve, più pro­fon­da. Coin­vol­ge radi­cal­men­te il con­cet­to stes­so di rivo­lu­zio­ne, met­te in cri­si la pos­si­bi­li­tà di fon­da­re il pro­ces­so di auto­no­miz­za­zio­ne su un sog­get­to ben defi­ni­to. Oggi si trat­ta di rico­no­sce­re lo scol­la­men­to e la distan­za fra imma­gi­na­rio rea­le di mas­sa e il sim­bo­li­co tra­sfor­ma­ti­vo e rivo­lu­zio­na­rio.
E su tut­to que­sto si trat­ta di pun­ta­re sen­za pudo­re la nostra atten­zio­ne. Ma un dato appa­re ana­lo­go ad allo­ra. E que­sto dato è la scle­ro­si cul­tu­ra­le del­le for­me di rap­pre­sen­ta­zio­ne (poli­ti­ca, ideo­lo­gi­ca) rispet­to al movi­men­to rea­le. E, se le for­me di rap­pre­sen­ta­zio­ne del dopo 68–69 era­no i grup­pi e i loro orga­ni­smi di mas­sa, oggi le for­me di rap­pre­sen­ta­zio­ne sono più com­ples­se e sfran­gia­te ma non meno defor­man­ti.
Guar­dia­mo alla situa­zio­ne di Bolo­gna, per mol­ti ver­si anco­ra la più viva­ce. Il «movi­men­to di Bolo­gna» è dive­nu­to — nel com­ples­so qua­dro che lo costi­tui­sce — una rap­pre­sen­ta­zio­ne poli­ti­ca o mili­ta­re che con­ti­nua a par­la­re «a nome» di una base socia­le che è scom­par­sa dai luo­ghi di aggre­ga­zio­ne dele­ga­ta, per fug­gi­re in mil­le dire­zio­ni ben più inte­res­san­ti di Piaz­za Ver­di o di Radio Ali­ce. Ver­so la fab­bri­ca o ver­so la rete dif­fu­sa del lavo­ro nero o mobi­le, ver­so lo stu­dio e la poe­sia, ver­so l’e­roi­na o il pun­krock, ver­so l’In­dia o ver­so la deri­va. È scon­for­tan­te, ma è così: il movi­men­to di Bolo­gna, che era il pun­to di aggre­ga­zio­ne di for­ze susci­ta­te per disgre­ga­zio­ne, che era il pun­to di arri­vo di una cri­ti­ca di mas­sa alle for­me di rap­pre­sen­ta­zio­ne poli­ti­ca, in quan­to tali ripe­ti­ti­ve ed impo­ten­ti, ora fini­sce per ripro­dur­si esat­ta­men­te come rap­pre­sen­ta­zio­ne poli­ti­ca, esat­ta­men­te come osta­co­lo all’in­sor­ge­re di nuo­ve pos­si­bi­li­tà di ricom­po­si­zio­ne e di inven­zio­ne.
La for­ma poli­ti­ca di rap­pre­sen­ta­zio­ne che ci tro­via­mo di fron­te come osta­co­lo è in pri­mo luo­go l’Au­to­no­mia. E quan­do par­lia­mo di auto­no­mia orga­niz­za­ta non ci rife­ria­mo ai diver­si par­ti­ti rea­liz­za­ti o in pec­to­re che a mala pena reg­go­no al ridi­co­lo, ma par­lia­mo pro­prio di un atteg­gia­men­to, di un com­por­ta­men­to, di un modo di pen­sa­re all’or­ga­niz­za­zio­ne, che è dif­fu­sa fra i resi­dui auto­no­mi del movi­men­to del ’77. Non è pos­si­bi­le non esse­re col­pi­ti dal­la roz­zez­za e dal­l’ar­ro­gan­za del qua­dro medio del­l’au­to­no­mia, oggi. Ma que­sta non è che una con­se­guen­za di una caren­za ana­li­ti­ca e stra­te­gi­ca, di un rifiu­to di misu­rar­si coi temi del­la con­tro­ri­vo­lu­zio­ne pla­ne­ta­ria in cor­so, del­le for­me di rivo­lu­zio­ne dal­l’al­to capi­ta­li­sti­co, e del­la cosid­det­ta restau­ra­zio­ne cul­tu­ra­le (o piut­to­sto del­la disto­nia fra imma­gi­na­rio rea­le del­le mas­se e sim­bo­li­co tra­sfor­ma­ti­vo). Sosti­tui­re a una ana­li­si di que­sti pro­ces­si asso­lu­ta­men­te deter­mi­nan­ti la coc­ciu­tag­gi­ne di una pra­ti­ca arro­gan­te e cie­ca non è che segno di arte­rio­scle­ro­si galop­pan­te o, il che è lo stes­so, di infan­ti­li­smo insu­pe­ra­bi­le.
Dob­bia­mo rico­no­scer­lo e dir­lo ad alta voce: l’au­to­no­mia pos­si­bi­le, la libe­ra­zio­ne di pro­ces­si di auto­no­miz­za­zio­ne tro­va oggi sul­la sua stra­da come osta­co­lo atti­vo e non solo come ritar­do l’au­to­no­mia esi­sten­te, rap­pre­sen­ta­zio­ne poli­ti­ca e cul­tu­ra­le del pas­sa­to. Occor­re rom­pe­re la cro­sta cul­tu­ra­le e orga­niz­za­ti­va del­l’au­to­no­mia esi­sten­te il suo per­ma­ne­re nel­l’am­bi­to del­la tra­di­zio­ne del «movi­men­to comu­ni­sta» se si vuo­le deli­nea­re il cam­po di emer­gen­za del­l’au­to­no­mia pos­si­bi­le.
Occor­re rico­no­sce­re nel­la rivo­lu­zio­ne dal­l’al­to del capi­ta­le l’u­ni­co ter­re­no inte­res­san­te per una rior­ga­niz­za­zio­ne del­la pra­ti­ca rivo­lu­zio­na­ria del­la libe­ra­zio­ne. Ogni rife­ri­men­to ed ogni lega­me alle for­me esi­sten­ti del­l’i­deo­lo­gia socia­li­sta, del movi­men­to e del­la clas­se non è che un bloc­co all’au­to­no­miz­za­zio­ne. Che pra­ti­ca auto­no­ma è pos­si­bi­le svol­ge­re, che pro­ces­so di auto­no­miz­za­zio­ne è pos­si­bi­le susci­ta­re, fin quan­do non avre­mo defi­ni­ti­va­men­te spaz­za­to via ogni resi­duo del­le ipo­te­si che han­no pro­dot­to il socia­li­smo esi­sten­te, quel­lo del­l’URSS, del­la Cina, del Viet­nam o del­la Cam­bo­gia? Fin quan­do non avre­mo rico­no­sciu­to che ogni iden­ti­fi­ca­zio­ne del pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio col pote­re non è che vio­len­za smi­su­ra­ta sul­la vita, sul­la socia­li­tà rea­le? Fin quan­do non avre­mo, in ulti­ma ana­li­si, rico­no­sciu­to che solo lo svi­lup­po del capi­ta­li­smo, che solo la rivo­lu­zio­ne dal­l’al­to inin­ter­rot­ta è ter­re­no per­cor­ri­bi­le dal­l’i­ni­zia­ti­va di auto­no­miz­za­zio­ne.

Cor­ren­te tra­sver­sa­le e insurrezione

La ric­chez­za tra­sfor­ma­ti­va ed inno­va­ti­va che la for­ma domi­nio com­pri­me, e che vie­ne poi anni­chi­li­ta e svi­li­ta dal­l’or­ga­niz­za­zio­ne del lavo­ro che coniu­ga il mas­si­mo di decen­tra­men­to pro­dut­ti­vo con il mas­si­mo di con­cen­tra­zio­ne for­ma­ti­va e tec­ni­co-scien­ti­fi­ca (oltre che finan­zia­ria) ten­de e pre­me­re con­tro le pare­ti del l’or­ga­niz­za­zio­ne esi­sten­te del Sape­re e del Lavo­ro. E que­sta pres­sio­ne, que­sta volon­tà di rom­pe­re la strut­tu­ra esi­sten­te del Sape­re è la for­ma in cui si darà il movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio post-comu­ni­sta, dopo la fine di ogni pos­si­bi­le ideo­lo­gia sul socia­li­smo o su una gestio­ne del pote­re che non sia quel che è da sem­pre la gestio­ne del pote­re: vio­len­za, oppres­sio­ne, men­zo­gna, ripro­du­zio­ne del­l’e­si­sten­te. Su que­sto trac­cia­to, di rot­tu­ra del limi­te del pos­si­bi­le, deve riu­sci­re a muo­ver­si il per­cor­so insur­re­zio­na­le attra­ver­so il qua­le l’au­to­no­mia pos­si­bi­le potrà emer­ge­re.
Ma pro­prio su que­sto nes­so di pro­ble­mi, sul con­ca­te­nar­si del­la rot­tu­ra insur­re­zio­na­le con la rot­tu­ra del Sape­re e con la spe­ri­men­ta­zio­ne di altri siste­mi semio­ti­ci pos­si­bi­li, si trat­ta di ripren­de­re in mano il filo del­la pro­po­sta. Su que­sto ter­re­no la cor­ren­te tra­sver­sa­le ha sco­per­to dal ’77 la sua spe­ci­fi­ci­tà, rima­nen­do però fino­ra inca­pa­ce di libe­rar­si defi­ni­ti­va­men­te dal­l’in­tral­cio del­la poli­ti­ca, del movi­men­to esi­sten­te, ed anche di garan­ti­re coe­ren­za e con­ti­nui­tà alla sua pra­ti­ca dis­se­mi­na­ta e mol­te­pli­ce nel­la pro­du­zio­ne d’im­ma­gi­na­rio. La cor­ren­te tra­sver­sa­le non è che l’in­sie­me di ope­ra­zio­ni, stru­men­ti, rot­tu­re, spo­sta­men­ti che deter­mi­na­no le con­di­zio­ni di for­ma­zio­ne di un ter­re­no cul­tu­ra­le capa­ce di pro­dur­re l’e­mer­gen­za e la ricom­po­si­zio­ne nel sog­get­to e di espli­ci­ta­re tut­te le poten­zia­li­tà che l’in­tel­li­gen­za socia­le con­tie­ne. Que­sta emer­gen­za si dà come insur­re­zio­ne, cioè rot­tu­ra del­l’e­qui­li­brio esi­sten­te del­la for­ma domi­nio, e quin­di dispie­ga­men­to del­le poten­zia­li­tà accu­mu­la­te nel­l’in­tel­li­gen­za socia­le.
Nel mar­zo ’77 cre­do sia­mo riu­sci­ti a con­ce­pi­re l’in­sur­re­zio­ne in que­sti ter­mi­ni post-poli­ti­ci.
E que­sta cur­va teo­ri­ca è tut­ta iscrit­ta nel per­cor­so teo­ri­co che va da «A/​traverso» del ’75-’76 fino a Final­men­te il cie­lo è cadu­to sul­la Ter­ra nel feb­bra­io, apri­le ’77, fino a La rivo­lu­zio­ne è fini­ta abbia­mo vin­to del giu­gno ’77.
Dap­pri­ma il per­cor­so sot­ter­ra­neo di accu­mu­la­zio­ne del­le con­di­zio­ni di urgen­za sog­get­ti­va del­la rot­tu­ra; poi la for­ma e il sen­so del­la rot­tu­ra del mar­zo; poi la per­ce­zio­ne del­l’im­pra­ti­ca­bi­li­tà di un pas­sag­gio neces­sa­rio, indi­ca­to ner­vo­sa­men­te, ma non espli­ci­ta­bi­le pra­ti­ca­men­te, per­ché tut­to da costrui­re attra­ver­so la pro­du­zio­ne del­le con­di­zio­ni di cono­scen­za del­la rot­tu­ra.
L’ul­ti­mo nume­ro di «Final­men­te», nel­l’a­pri­le ’77 indi­ca già un’al­ter­na­ti­va: o la capa­ci­tà di ricom­por­re le for­ze socia­li del­la tra­sfor­ma­zio­ne nel­la pro­spet­ti­va del­l’in­sur­re­zio­ne o la pro­spet­ti­va del­lo sfi­lac­cia­men­to del­la guer­ra civi­le.
La Rivo­lu­zio­ne è fini­ta indi­ca la trac­cia di un per­cor­so tut­to da com­pie­re: accu­mu­la­re le con­di­zio­ni di pos­si­bi­li­tà del­la rot­tu­ra del limi­te. Cono­sce­re la strut­tu­ra del Sape­re-con­trol­lo, simu­la­re altre con­ca­te­na­zio­ni del Sape­re. Ed è anco­ra su que­sta trac­cia che ci aggi­ria­mo.
La rot­tu­ra era inte­sa in modo espli­ci­ta­men­te post-poli­ti­co.
Come il momen­to in cui la ten­sio­ne e la dirom­pen­za del­le poten­zia­li­tà del­la socia­li­tà rea­le giun­go­no a pre­me­re incon­te­ni­bil­men­te con­tro le con­di­zio­ni deter­mi­na­te del­la for­ma data del domi­nio e deb­bo­no rom­per­la, insor­gen­do, e dun­que dan­do­si le pos­si­bi­li­tà di dispie­gar­si e rea­liz­zan­do­si come sog­get­ti­vi­tà. L’in­sur­re­zio­ne espri­me ciò che la socia­li­tà rea­le con­te­ne­va ed era com­pres­so, ma al con­tem­po mol­ti­pli­ca le capa­ci­tà pro­dut­ti­ve dei sog­get­ti socia­li che sco­pren­do dire­zio­ni di dispie­ga­men­to pos­si­bi­le la for­ma domi­nio occul­ta­va.
Il mar­zo ’77 ha rot­to la for­ma domi­nio del com­pro­mes­so sto­ri­co e del­la giun­zio­ne fra DC e PCI, la for­ma tota­li­ta­ria del­la social­de­mo­cra­zia sta­li­ni­sta. Que­sto è un fat­to. Ma il pro­ble­ma posto allo­ra, dopo quel­la rot­tu­ra resta inte­ra­men­te da svol­ge­re, nel­la pra­ti­ca teo­ri­ca, nel­la cri­ti­ca del Sape­re, e nel­la pra­ti­ca di orga­niz­za­zio­ne del­le for­ze socia­li capa­ci di pro­dur­re un Sape­re auto­no­mo dal­la valo­riz­za­zio­ne.
La cosa più urgen­te per poter­ci muo­ve­re su que­sto ter­re­no è però rimuo­ve­re l’o­sta­co­lo da que­sto vero e pro­prio oscu­ran­ti­smo che è oggi rap­pre­sen­ta­to dal­l’au­to­no­mia esi­sten­te che si oppo­ne, con la sua pra­ti­ca infan­ti­le ed arte­rio­scle­ro­ti­ca ad un tem­po, tan­to più arro­gan­te quan­to più vuo­ta, gra­dua­li­sta e mini­ma­li­sta, ad una rifon­da­zio­ne radi­ca­le dei pro­ces­si di auto­no­miz­za­zio­ne.

Sbal­la­ti pro­dut­ti­vi e ope­rai parassiti

È su una ana­li­si del­la com­po­si­zio­ne di clas­se e del­le sue modi­fi­ca­zio­ni che, oggi come sem­pre, va fon­da­ta una cri­ti­ca del­le for­me di rap­pre­sen­ta­zio­ne poli­ti­ca. Ebbe­ne, pro­prio su que­sto ter­re­no si fon­da oggi la con­trad­di­zio­ne fra auto­no­mia pos­si­bi­le — ovve­ro i pro­ces­si di auto­no­miz­za­zio­ne che la socia­li­tà rea­le può dispie­ga­re — e auto­no­mia esi­sten­te — ovve­ro il pre­ci­pi­ta­to poli­ti­co, orga­niz­za­ti­vo, socia­le e cul­tu­ra­le del­le figu­re socia­li emer­se nel pas­sa­to e tra­vol­te dal­la rivo­lu­zio­ne dal­l’al­to.
Vedia­mo ad esem­pio il tema del­la rigi­di­tà del­la for­za-lavo­ro; su que­sto ter­re­no si è costi­tui­to una sor­ta di «fron­te garan­ti­sta» che va da set­to­ri di sini­stra sin­da­ca­le, a set­to­ri del­la base anzia­na del PCI, all’a­rea «estre­mi­sta», inten­ta a difen­de­re la strut­tu­ra del­la for­za-lavo­ro e la sta­bi­li­tà del posto di lavo­ro, e nel­lo impor­re al capi­ta­le il con­ge­la­men­to di con­di­zio­ni pro­dut­ti­ve che per­pe­tua­no la strut­tu­ra indu­stria­le al di là del­la sua obso­le­scen­za tec­no­lo­gi­ca. Ovvia­men­te si trat­ta­va di una bat­ta­glia difen­si­va tesa a copri­re una inca­pa­ci­tà ope­ra­ia di rove­scia­re la ristrut­tu­ra­zio­ne capi­ta­li­sti­ca nel suo stes­so com­pier­si, e quin­di si limi­ta­va ad oppor­si pura­men­te a que­sta ristrut­tu­ra­zio­ne.
Ma come ogni bat­ta­glia difen­si­va non è riu­sci­ta a com­pren­de­re tut­to lo spa­zio socia­le su cui il movi­men­to rea­le del capi­ta­le si svol­ge­va. E la resi­sten­za ope­ra­ia ha sor­ti­to un effet­to para­dos­sa­le ma pro­fon­dis­si­mo di ridi­slo­ca­zio­ne del­la pro­du­zio­ne nel cor­po socia­le, di cui oggi dob­bia­mo valu­ta­re a pie­no la por­ta­ta. La clas­se ope­ra­ia di fab­bri­ca ha fini­to per diven­ta­re un nodo trop­po duro per esse­re pie­ga­to alla rivo­lu­zio­ne dal­l’al­to, ma non, nel sen­so di una capa­ci­tà auto­no­ma di impo­si­zio­ne di con­di­zio­ni offen­si­ve, di tra­sfor­ma­zio­ne, di libe­ra­zio­ne dal lavo­ro; piut­to­sto nel seno di un sostan­zia­le immo­bi­li­smo che per­met­te alla rivo­lu­zio­ne dal­l’al­to del capi­ta­le di aggi­ra­re la resi­sten­za ope­ra­ia, di deter­mi­na­re un aumen­to del­la pro­dut­ti­vi­tà media socia­le attra­ver­so uno smi­su­ra­to allar­ga­men­to del­l’a­rea del lavo­ro decen­tra­to. Il risul­ta­to di que­sto aggi­ra­men­to (che emer­ge, oggi, in for­ma appa­ren­te­men­te con­trad­dit­to­ria, con la ripre­sa degli indi­ci di pro­dut­ti­vi­tà media socia­le men­tre la pro­dut­ti­vi­tà del­le gran­di fab­bri­che, con­si­de­ra­ta nel suo insie­me sal­vo alcu­ne ecce­zio­ni rista­gna) è un risul­ta­to para­dos­sa­le; la clas­se ope­ra­ia di fab­bri­ca divie­ne uno stra­to socia­le semi­pa­ras­si­ta­rio dal pun­to di vista di pro­du­zio­ne di plu­sva­lo­re rela­ti­vo, men­tre gli stra­ti che rifiu­ta­no (o che sono esclu­si) dal lavo­ro fis­so (i mar­gi­na­li, i gio­va­ni, i tep­pi­sti, i dro­ga­ti, i vaga­bon­di) sono i veri atto­ri di una ripre­sa di pro­dut­ti­vi­tà che pas­sa attra­ver­so una rete dif­fu­sis­si­ma di lavo­ro irre­go­la­re.
Nes­sun orgo­glio pro­dut­ti­vo, natu­ral­men­te, da par­te del­la base socia­le del movi­men­to degli emar­gi­na­ti. Dicia­mo sem­pli­ce­men­te che il mar­gi­na­le è al cen­tro, ma al cen­tro del­la orga­niz­za­zio­ne capi­ta­li­sti­ca del lavo­ro. Ma se andia­mo a con­si­de­ra­re qua­li sono poi i set­to­ri su cui stra­te­gi­ca­men­te que­sta sor­ta di con­ver­gen­za fra set­to­ri di capi­ta­le più dina­mi­ci e stra­ti di clas­se più mobi­li e più «auto­no­mi» si con­fi­gu­ra come pro­spet­ti­va stra­te­gi­ca, sco­pria­mo che que­sti set­to­ri sono pro­prio quel­li del­l’e­let­tro­ni­ca, del lavo­ro infor­ma­ti­vo e del lavo­ro intel­let­tua­le, del­la ricer­ca e del­la inven­zio­ne. Insom­ma sono i set­to­ri in cui vie­ne occu­pa­to quel lavo­ro par­ti­co­la­re che è il lavo­ro che sop­pri­me lavo­ro…
Su que­sto ter­re­no intel­li­gen­za pro­le­ta­ria e intel­li­gen­za capi­ta­li­sti­ca han­no già sta­bi­li­to una con­ver­gen­za di lun­go perio­do, men­tre noi ci attar­dia­mo die­tro al garan­ti­smo sin­da­ca­le, o all’e­la­bo­ra­zio­ne un pò idio­ta di nuo­vi socia­li­smi veri con­trap­po­sti a quel­li fal­si, o di nuo­vi movi­men­ti pro­le­ta­ri del­l’au­to­no­mia e chi più scioc­chez­ze ha più ne met­ta. L’au­to­no­mia esi­sten­te, su que­sto ter­re­no, ha pro­dot­to infat­ti un discor­so ed una pra­ti­ca di scon­cer­tan­te ottu­si­tà.
Da un lato dife­sa (sin­da­ca­le e cor­po­ra­ti­va) del­la rigi­di­tà del­la for­za-lavo­ro. Dal­l’al­tro «attac­co ai covi del lavo­ro nero», cioè, esat­ta­men­te, riven­di­ca­zio­ne di un cor­ret­to fun­zio­na­men­to del mer­ca­to del lavo­ro. E nel frat­tem­po i fra­tel­li sce­mi di quel che resta del movi­men­to del ’77 difen­do­no la loro par­ti­co­la­re rigi­di­tà: il dirit­to dei mar­gi­na­li a fare i mar­gi­na­li, a esse­re feli­ci o dispe­ra­ti, a bar­ri­car­si in Piaz­za Ver­di o far­si veni­re le malin­co­nie. Gli auto­no­mi cat­ti­vi voglio­no restau­ra­re un mer­ca­to del lavo­ro che non c’è più. I pro­le­ta­riz­za­ti se ne fot­to­no e cir­co­la­no nel ter­ri­to­rio com­ples­so del lavo­ro dif­fu­so. Sen­za orga­niz­za­zio­ne, sen­za iden­ti­tà cul­tu­ra­le, sen­za auto­no­mia, per­ché il movi­men­to non ha sapu­to tra­sfor­mar­si in orga­niz­za­to­re con­sa­pe­vo­le di que­sti stra­ti di lavo­ro che sop­pri­me lavo­ro. L’au­to­no­mia esi­sten­te divie­ne cosi rap­pre­sen­ta­zio­ne poli­ti­ca un po’ ottu­sa per­ché non rie­sce ad indi­vi­dua­re un asse stra­te­gi­co che col­le­ghi la mobi­li­tà del lavo­ro irre­go­la­re all’in­su­bor­di­na­zio­ne, e soprat­tut­to che col­le­ghi que­sta insu­bor­di­na­zio­ne alla for­za-inven­zio­ne che que­sti stra­ti pos­so­no svi­lup­pa­re e auto­no­miz­za­re fino al pun­to di sca­gliar­la con­tro l’or­ga­niz­za­zio­ne del lavo­ro esi­sten­te, e di rom­pe­re in con­ti­nua­zio­ne la for­ma del domi­nio che garan­ti­sce il fun­zio­na­men­to del Sape­re den­tro il limi­te del­la leg­ge del­la valo­riz­za­zio­ne. Ma la rot­tu­ra deve esse­re con­ti­nua­men­te lega­ta all’a­per­tu­ra di pos­si­bi­li­tà di con­ca­te­na­zio­ne pro­dut­ti­va intel­li­gen­te e non mera pres­sio­ne sin­da­ca­le sul­le con­di­zio­ni di uso del­la for­za-lavo­ro. È dun­que nel­la poten­zia­li­tà inven­ti­va che il lavo­ro mobi­le (alta­men­te sco­la­riz­za­to, por­ta­to­re del­l’in­tel­li­gen­za tec­ni­co-scien­ti­fi­ca) espri­me, e che la for­ma di domi­nio e di orga­niz­za­zio­ne del nes­so Sape­re-Tec­no­lo­gia-Lavo­ro com­pri­mo­no, che si trat­ta di pun­ta­re la nostra atten­zio­ne.
Dal momen­to in cui i pro­le­ta­ri mobi­li e non garan­ti­ti non sono più inte­si come mar­gi­na­li espul­si o autoe­spul­si dal­la pro­du­zio­ne, ben­sì come stra­ti più alta­men­te pro­dut­ti­vi e più ela­sti­ci, una vol­ta che si veda come la mobi­li­tà con­sen­te ad un tem­po di sot­trar­si alla tota­le dipen­den­za sala­ria­le e di entra­re come ele­men­to fon­da­men­ta­le nel­la strut­tu­ra pro­dut­ti­va, ecco che l’as­se stra­te­gi­co che ci inte­res­sa all’in­ter­no del­la com­po­si­zio­ne di clas­se com­ples­si­va è quel­lo che col­le­ga i pro­le­ta­ri mobi­li ai pro­dut­to­ri del­l’in­no­va­zio­ne ed ai deten­to­ri del­la cono­scen­za tec­ni­co-scien­ti­fi­ca.
Sot­to­li­neia­mo per altro il fat­to che il pro­le­ta­ria­to mobi­le vie­ne per gran par­te occu­pa­to nei set­to­ri a più alta com­po­si­zio­ne orga­ni­ca e dove più inten­sa è rin­no­va­zio­ne e l’ap­pli­ca­zio­ne del lavo­ro tec­ni­co-scien­ti­fi­co, dun­que il pro­le­ta­ria­to mobi­le è deten­to­re di un alto gra­do di for­za-inven­zio­ne, com­pres­sa e dis­si­pa­ta dal­la for­ma del domi­nio capitalistico.