Autonomia Milanese

IL DOPOGUERRA
Milano e il suo territorio hanno da sempre rappresentato uno dei centri nodali del movimento rivoluzionario italiano, più che per l’elaborazione teorica, per il fatto che qui le cose accadono, spesso con largo anticipo e maggior intensità rispetto al resto d’Italia. In particolare, è la sua classe operaia a rendersi protagonista dei nuovi comportamenti. È dalle fabbriche e dai quartieri operai che, il 25 aprile 1945, inizia la liberazione della città occupata dai nazifascisti, ma già prima i lavoratori dell’Alfa Romeo hanno dato vita agli scioperi del 1943 e alle prime mobilitazioni antifasciste, punite duramente, spesso con la deportazione nei campi di concentramento tedeschi. Questo protagonismo si caratterizza quindi per una forte coscienza politica antifascista e socialista, portatrice però anche di valori incentrati sull’ideologia del lavoro e sul «considerarsi la parte sana e produttiva della nazione contrapposta alla borghesia vista come corrotta, incapace e parassitaria».
Nell’immediato secondo dopoguerra, la città rappresenta buona parte del settore politico della “Resistenza tradita” che dà vita, tra il maggio 1945 e il febbraio 1949 a Milano e dintorni, alla Volante rossa, un gruppo armato di ex-partigiani che intende proseguire la lotta armata per passare dalla liberazione dal nazifascismo alla rivoluzione socialista; questa componente viene scaricata apertamente dal Partito Comunista Italiano (PCI) che ha già deciso di stringere un patto costituzionale con gli industriali e garantire così la ripresa economica e produttiva italiana, dentro il nuovo sistema dei partiti nati dalla Resistenza e nel rispetto delle sfere di influenza stabilite da Usa e Urss.
Gli operai milanesi però si sentono ancora protagonisti: chiusi nelle fabbriche, orgogliosi della propria capacità professionale, fiduciosi nella direzione politica del PCI, si considerano depositari di un compito storico da realizzare attraverso il mondo del lavoro: il continuo sviluppo delle forze produttive, l’attuazione della Costituzione nata dalla Resistenza.
Il modello di sviluppo scelto dal capitalismo italiano comporta un’altissima produttività garantita dall’ideologia del lavoro e bassissimi salari assicurati dalla totale inefficienza dei sindacati e permette, alla fine degli anni Cinquanta, enormi profitti al capitale monopolistico nazionale ma anche la necessità di una forte ristrutturazione produttiva per potersi proporre sui mercati internazionali, per incrementare i consumi interni, per aumentare la propria capacità di controllo sulle nuove generazioni e sulla stessa classe operaia. Questo obiettivo comporta l’introduzione massiccia della catena di montaggio utilizzando lavoro dequalificato, mettendo così in crisi la figura dell’operaio specializzato, fortemente politicizzata a differenza del “nuovo” operaio (l’operaio massa) che non ha una tradizione resistenziale e socialista. La classe operaia prende per tattica quella che per il partito è strategia, mentre il capitalismo porta avanti i suoi piani di ricostruzione e di riorganizzazione del proprio potere nelle fabbriche. L’istintivo comportamento operaio è di rifiuto, rifiuto del cottimo, rifiuto dei tempi sempre più stretti, rifiuto della gerarchia e della disciplina padronale del lavoro; quello delle organizzazioni politiche e sindacali è invece l’adeguamento alle regole del capitale.
GLI ANNI SESSANTA
La situazione inizia a cambiare a partire dal luglio 1960 con la rivolta antifascista genovese che segna la rottura con le centrali riformiste, le quali non riconoscono come propri i giovani (le “magliette a strisce”) che vogliono impedire il congresso neofascista in città.
Nel 1962 a Milano, durante una manifestazione contro la politica Usa nei confronti di Cuba, muore Giovanni Ardizzone, travolto da una camionetta della polizia. Anche in questo caso il PCI scarica sui manifestanti la responsabilità di quanto accaduto.
Il culmine della frattura tra riformismo e nuova classe operaia si registra però con gli scontri di piazza Statuto a Torino nel luglio 1962.
Nel mezzo, tra il settembre del 1960 e il marzo 1961, si registra la lotta «storica» degli elettromeccanici milanesi che si caratterizza per uno scontro duro col padronato e le forze dell’ordine, a colpi di scioperi, picchetti, manifestazioni di piazza e cariche della polizia, e che evidenzia un comportamento operaio di non integrazione nonostante il capitale tenti la politica degli alti salari e della “prosperità”. È la prima scintilla che porterà all’autunno caldo del ’69, il primo segnale che la classe operaia italiana non è integrata, che può vincere contro un padronato che baratta il “miracolo economico” con una politica di sfruttamento fatto di aumento dei ritmi, di lavoro a cottimo, mentre i salari restano al palo. È una lotta che anticipa molte delle rivendicazioni operaie degli anni successivi: orario di lavoro, aumenti salariali, parità retributiva tra uomini e donne, indennità di malattia e di infortunio. Il capo degli industriali metalmeccanici Ferdinando Borletti scrive che «le lotte in corso si propongono obiettivi che toccano la struttura stessa del rapporto di lavoro, in quanto tendono a togliere al datore di lavoro la responsabilità della gestione dell’azienda». Ovvero il potere operaio.

Il desiderio di cambiamento però non interessa solo la classe lavoratrice, è tutta la società che lancia grandi segnali di malessere, la distanza tra istituzioni e cittadini è sempre più grande. A entrare in crisi sono le grandi forme di rappresentanza (partiti, sindacato, associazionismo) ma anche gran parte dei modelli consolidati del vivere quotidiano. La risposta istituzionale a questo cambiamento è il governo di centrosinistra che appare immediatamente funzionale allo sviluppo capitalistico e non espressione di una volontà politica di rinnovamento.
Al nuovo fermento che proviene dai lavoratori e dai giovani, lo Stato risponde con una dura repressione. La riforma della scuola media, apparentemente egualitaria, mostra che poco è cambiato rispetto a prima, anzi si presenta ancora più rigida e selettiva. A metà anni Sessanta si va formando una coscienza politica studentesca, non ci sono ancora forme radicali di contestazione, ma i segni del malessere sono diffusi e rivelatori della frattura tra condizione giovanile e istituzioni. Ne è testimonianza la vicenda del giornale studentesco «La Zanzara» del liceo Parini di Milano che, nel febbraio 1966, pubblica un’inchiesta su cosa pensano le studentesse della sessualità e dei rapporti prematrimoniali nella quale si denuncia «una grave deficienza pedagogica della società, e in particolare della scuola» nei confronti dei giovani e della loro libertà. Contro questa inchiesta si schiera Gioventù studentesca, gruppo diretto da don Luigi Giussani, il futuro fondatore di Comunione e Liberazione, e lo “scandalo” finisce sulle prime pagine dei giornali. Interviene la magistratura che rinvia a giudizio per direttissima i tre redattori-studenti del Parini, il preside Daniele Mattalia e la titolare della tipografia. Tra gli avvocati difensori vi sono Sergio Spazzali e Giuliano Spazzali, protagonisti per tutti gli anni Settanta della difesa di militanti e lavoratori comunisti.

Grazie all’influenza di personaggi come Jack Kerouac e Allen Ginsberg, nasce anche in Italia un’area della controcultura. Le prime forme del movimento beat italiano si registrano a Milano nel 1965, quando un gruppo di “capelloni” prende in affitto un negozio di viale Montenero e lo trasforma in un luogo di incontro. Nel novembre 1966, sempre a Milano, esce «Mondo Beat», il primo giornale underground italiano, che diventa rapidamente il foglio di collegamento e comunicazione dei vari gruppi operanti in Italia, fra cui Onda verde, senza dubbio il più importante per spessore culturale e progettualità, fondato da Andrea Valcarenghi, poi promotore di «Re Nudo» e uno dei principali esponenti dell’area della controcultura italiana. Il movimento beat viene duramente represso ma ciò non impedisce la pratica degli spazi liberati (comuni, uso di piazze e strade): a Milano si cerca di realizzare una Comune all’aperto affittando un terreno in via Ripamonti (estate 1967) che il «Corriere della Sera» non esita a definire Barbonia City, alludendo a «sacrileghe nozze di sangue», droghe, stupri e orge, di essere ricettacolo di malattie infettive e rifugio di minorenni scappati da casa. Le forze dell’ordine procedono allo sgombero in modo violento.
Nel frattempo, l’intensità delle lotte operaie cresce in tutta Italia, il PCI rimane fedele alla “politica di piano” cioè una politica che permetta di pianificare lo sviluppo economico, produttivo e politico. Il PCI chiede solo la partecipazione “democratica” dei comunisti e dei sindacati all’elaborazione di queste strategie di sviluppo capitalistico: è il mito della classe operaia che si fà Stato. La maggior parte dei lavoratori rimane fedele al partito e al sindacato, ciò anche per mancanza di alternative politiche ma è chiaro che la tendenza operaia è di spezzare le regole contrattuali, di separare salario e produttività. Le forme di lotta dell’operaio-massa: il “gatto selvaggio” o sciopero “a fischietto”, quelli “a scacchiera” e “a singhiozzo”, sono tutte al di fuori della tradizione sindacale e corrispondono al lento formarsi dei “comportamenti autonomi di classe”.
Questo clima di cambiamento produce riviste come i «Quaderni Piacentini», i «Quaderni Rossi» e «Classe Operaia» che introducono punti di vista critici e radicali in campo politico e culturale, in particolare nasce l’operaismo. Nei primi anni della sua esperienza, l’intervento “operaista” sul territorio milanese è da considerarsi di scarsa efficacia, ma è indubbio che molti dei percorsi documentati nel nostro archivio sono da inserirsi nell’area dell’autonomia operaia (quella con la a minuscola) e del rifiuto del lavoro. A Milano, l’intervento è sistematico ma produce pochi risultati organizzativi. Sergio Bologna menziona «uno sciopero spontaneo con corteo alla prefettura dell’Innocenti di Lambrate nel maggio 1965, ricordo le lotte di reparto alla Siemens di piazzale Lotto, all’Autobianchi di Desio, alla Farmitalia, all’Alfa Portello. Avevamo compagni a Como, Varese, Pavia, Monza, Cremona, che intervenivano su altre grandi fabbriche lombarde. Ma alla Pirelli non conoscevamo nessuno. Il risultato di questo lavoro di talpe quale fu? Un “sapere” sulla fabbrica in tutte le sue articolazioni, come non ce l’aveva nessuno in Italia allora, né i torinesi, schiacciati dalla monocultura dell’auto né i veneti né i genovesi. Il panorama industriale dell’area milanese era più variegato, più sensibile all’innovazione, più aperto all’industria straniera». Con la chiusura di «Classe Operaia» però questo intervento in fabbrica si interrompe.
Tra gli episodi del periodo da ricordare: nel 1966 in occasione dell’inaugurazione della Fiera Campionaria di Milano migliaia di operai scendono in sciopero e si recano alla fiera per contestare l’allora presidente della Repubblica Giuseppe Saragat; i sindacati cercano di impedire la manifestazione, scoppia una vera e propria guerriglia tra i lavoratori dell’Alfa Romeo e i poliziotti, con tanto di scambio di “prigionieri”.
In occasione dei contratti del 1966 alla Siemens di Milano nasce il primo organismo operaio democratico di base, un consiglio di fabbrica ante litteram, sotto forma di comitato di sciopero e composto da delegati di reparto. Il Comitato ha vita breve a causa del duro sabotaggio sindacale ma l’indicazione è chiara, gli operai iniziano a considerare nuove forme della propria rappresentanza. Nel febbraio 1968, sempre alla Siemens si registra il primo sciopero degli impiegati e dei tecnici. Da quel momento riprendono le agitazioni e le iniziative dei lavoratori (con la costituzione dei cosiddetti Gruppi di studio) in tutte le fabbriche. È la prima volta nel dopoguerra che strati di forza-lavoro tradizionalmente usati in funzione antioperaia e veicolo sociale della disciplina padronale in fabbrica, rompono i loro legami di dipendenza e scelgono la strada della solidarietà di classe.
In queste significative esperienze di dissenso operaio, si inseriscono le prime forme di intervento dei gruppi della nascente sinistra rivoluzionaria (formati in maggioranza da studenti) le cui tematiche egualitarie e anti-produttive influenzano consistenti settori di avanguardie operaie e quadri sindacali.
IL BIENNIO ROSSO
Il 1968 trova Milano in prima fila, con le varie occupazioni dell’università cattolica del Sacro Cuore (la prima il 5 dicembre 1967) e ai relativi scontri di largo Gemelli (25 marzo), l’assedio del «Corriere della sera» (8 giugno) ma anche l’occupazione dell’ex albergo Commercio in piazza Fontana (28 novembre), «un pugnale nel cuore della città capitalista», la contestazione anticonsumistica alla prima del teatro La Scala (7 dicembre).
Le lotte nelle fabbriche milanesi nel 1967–68 esprimono una forte autonomia dei comportamenti operai rispetto alla politica riformista di PCI e sindacato, incapaci ormai di governare la conflittualità crescente.
La lotta contro il collaborazionismo sindacale si divide tra chi rimane all’interno delle strutture sindacali per cambiarle dall’interno e chi le considera irriformabili e dà vita a organismi autonomi operai in grado di sviluppare un’azione di massa su base di classe. Nella primavera del 1968, dopo i grandiosi e vittoriosi scioperi contro le gabbie salariali e per la riforma delle pensioni, si costituiscono a Milano i primi Comitati unitari di base (CUB).
Quello più noto e importante si forma alla Pirelli di Milano e si presenta senza etichette politiche ma come nucleo di organizzazione della lotta per il contratto aziendale. Questa nuova presenza incoraggia tutti i gruppi alla sinistra del PCI a svolgere intervento fuori dai cancelli della Bicocca (PCd’I, Avanguardia Operaia ma anche Classe Operaia prima e Potere Operaio poi): il CUB sembra impermeabile a questi interventi esterni mentre le sezioni sindacali dello stabilimento fanno pesanti pressioni per richiamare gli attivisti dissidenti.
La base dell’azione del CUB Pirelli è la condizione materiale operaia davanti allo sfruttamento capitalistico, la sua linea politica cioè deve aderire alla condizione operaia in fabbrica, verificando nell’azione i contenuti e gli strumenti di lotta, sviluppando così il livello della coscienza operaia. Il CUB è cosciente che nello scontro con il piano capitalistico la classe operaia ha raggiunto una maturità che fa intuire le tematiche dell’Autunno caldo. La lotta che il CUB sostiene è per il potere operaio, l’attacco al padrone è complessivo. Le contraddizioni del piano capitalistico emergono solo quando l’operaio comprende che ogni suo bisogno economico è un momento di una defraudazione più generale e che essi possono trovare soddisfazione attraverso una lotta generale per la presa del potere.
Organizzarsi solo per una lotta rivendicativa è fallimentare poiché solo i contenuti politici possono generare il rifiuto generale delle condizioni economiche. Da qui la necessità di individuare i diversi contenuti rivendicativi, i bisogni economici capaci di assumere concretamente significato politico. Per il CUB non ci si deve battere semplicemente per la regolamentazione del cottimo o il miglioramento dell’ambiente di lavoro, ma è vero che attraverso questa contestazione (come con la autoriduzione del ritmo di lavoro) si può mettere in discussione il potere decisionale al padrone.
Il CUB intende superare la fase in cui vi è la divisione tra momento economico della lotta, gestito dai sindacati, e momento politico, gestito dai partiti riformisti. Solo l’unione tra lotta economica e politica può mettere in crisi la società capitalistica. Il CUB, quindi, diventa il tentativo di ridare alla classe operaia il ruolo di soggetto sia della lotta economica che della lotta politica. Il CUB non si propone come struttura alternativa al sindacato, ma ne mette in discussione il ruolo oggettivo all’interno del sistema capitalistico con il preciso compito di ingabbiare le lotte operaie. Il CUB si trova dunque a fianco del sindacato nell’intervento in fabbrica, ma porta avanti un’impostazione diversa, spesso attaccata e rifiutata dal sindacato, a volte invece recuperata.
Il CUB non accusa i sindacati di essere i “traditori della classe operaia”, ma ne rileva i limiti intrinsechi che possono essere superati solo con una gestione politica autonoma delle lotte. Queste caratteristiche del CUB contengono tutto ciò che si intende per autonomia operaia, l’esperienza del CUB Pirelli prefigura i movimenti e il sindacato di base degli anni Settanta, non tanto come formula organizzativa ma come strategia contenuta nel rifiuto del lavoro racchiuso nella rivendicazione/realizzazione dell’abrogazione del salario a incentivo, nell’aver indicato la strada dell’egualitarismo contro gli aumenti di merito e il sistema di promozioni del padronato, nell’aver trovato il tipo di obiettivi che si potevano praticare senza passare per una negoziazione.
Viene riaffermata la capacità operaia di realizzare un diverso sistema di organizzazione del lavoro, un diverso clima in fabbrica senza passare per le mediazioni sindacali. Per Sergio Bologna, è dai tempi della Resistenza che non si attuano forme così complesse di autoriduzione della produzione, forme che richiedono una partecipazione e un’unità straordinarie da parte di tutti i lavoratori, tecnici compresi.

Nello stesso periodo nasce la collaborazione di alcuni militanti operaisti con un gruppo di lavoratori della Snam Progetti di San Donato Milanese che vanno a formare l’Assemblea permanente della Snam; qua la lotta scoppia a metà ottobre 1968 con l’occupazione degli uffici e si protrae fino alla metà di novembre, quando gli studenti occupano il Politecnico di Milano.
La questione dei “tecnici” viene posta con forza dai militanti e dagli intellettuali operaisti. A Milano nel novembre del ’68 si tiene un grande convegno nazionale delle facoltà tecnico-scientifiche in lotta che produce importanti analisi sulla ristrutturazione tecnologica in corso e sui compiti che il neocapitalismo assegna ai tecnici, e alla formazione di tecnici da parte della scuola e dell’università.
Nel suo intervento, Franco Piperno di Potere Operaio esalta l’intelligenza e la competenza tecnico-scientifica rivoluzionaria che rendono importante il percorso dei tecnici, in particolare il loro collocamento nello scontro di classe in corso. Il 15 febbraio 1969, si svolge a Milano la prima manifestazione nazionale di tecnici e impiegati delle grandi industrie.
I lavoratori milanesi sono alla testa delle lotte operaie durante tutto il 1969, in un crescendo che arriva all’«autunno caldo». A Milano un imponente corteo di 100 mila operai presidia l’Assolombarda; il 19 novembre si svolge un riuscitissimo sciopero nazionale per la casa, le città sono paralizzate, manifestazioni ovunque, la tensione aumenta tanto che a Milano, mentre il segretario della CISL, Bruno Storti, sta terminando un comizio al teatro Lirico, nell’adiacente via Larga, le camionette della Celere caricano un assembramento di operai e studenti. Gli scontri sono brevi e violentissimi. Muore l’agente Antonio Annarumma. La reazione delle istituzioni e dei mass media è furente, si associa il fatto alla tensione delle lotte in fabbrica, si scrive di caos e di pericolo eversivo. Si prepara la successiva tappa della strategia della tensione che porta a Milano, il 12 dicembre, alle bombe di piazza Fontana, la “strage di Stato”, all’arresto degli anarchici e alla morte di Giuseppe Pinelli.
L’evento è ampiamente preannunciato e preparato dalle bombe esplose il 25 aprile 1969 al padiglione Fiat della Fiera campionaria, che provoca diversi feriti gravi, e all’Ufficio Cambi della stazione Centrale della città lombarda. Senza dimenticare che il 12 dicembre, oltre a quella di piazza Fontana, viene trovata una seconda bomba inesplosa nella centralissima sede milanese della Banca commerciale italiana.
Fin dal 19 dicembre ’69 si può leggere sui muri di Milano un volantino firmato. Gli amici dell’INTERNAZIONALE (Situazionista) e intitolato Il Reichstag brucia? (chiaro riferimento all’episodio che ha contribuito all’ascesa al potere di Hitler nel 1933) che suggerisce da subito una corretta interpretazione di quanto è avvenuto: «Di fronte al montare del movimento rivoluzionario malgrado la metodica azione di recupero dei sindacati e dei burocrati della vecchia e nuova “sinistra”, diviene fatale per il Potere rispolverare ancora una volta la vecchia commedia dell’ordine, giocando questa volta la falsa carta del terrorismo, nel tentativo di scongiurare la situazione che lo costringerà a scoprire tutto il suo gioco di fronte alla chiarezza della rivoluzione».
I PRIMI ANNI SETTANTA
Dalla volontà di far luce su quanto sta avvenendo nascono, nel maggio 1970, il «Bollettino di controinformazione democratica» e il Comitato nazionale di lotta contro la strage di Stato («Strage di Stato»); viene pubblicato il libro La Strage di Stato i cui contenuti veicolano una battaglia collettiva in difesa degli arrestati e contro l’involuzione reazionaria, che sta alla base della formazione delle tematiche dell’antifascismo militante e della costruzione di strutture di difesa degli spazi di agibilità del movimento la cui sintesi può essere considerata il Soccorso Rosso (SR), formato da avvocati, intellettuali, artisti (su tutti Franca Rame e Dario Fo), militanti rivoluzionari, studenti e operai, e svolge nella prima metà degli anni Settanta un ruolo da protagonista sul piano della difesa legale e di appoggio alle lotte carcerarie.
Gli avvocati e i giornalisti che danno vita a queste esperienze sviluppano una riflessione che dà luogo a una scelta politica di rifiuto del ruolo e della professione del tecnico già iniziata dai «Quaderni Rossi». Rifiutare il ruolo (di giornalista, di avvocato) significa avere la consapevolezza che il “sapere del capitale” è “scienza ostile alla classe”, vuol dire disvelare le radici del dominio e dello sfruttamento: nasce la controinformazione.

Piazza Fontana è anche la “fine dell’innocenza” del movimento che ha caratterizzato il “biennio rosso” 1968–69, il movimento viene eroso e sopravvivono le ipotesi di partito: sorgono i gruppi extraparlamentari (marxisti-leninisti, operaisti, filo trotzkisti) che caratterizzano la scena rivoluzionaria italiana nella prima metà degli anni Settanta. A Milano tra gli altri si formano Avanguardia Operaia, l’Unione dei comunisti (m‑l) e il Movimento Studentesco, presenza questa con cui si dovranno misurare politicamente e “militarmente” tutti coloro che intendono intervenire nel movimento milanese. Questi gruppi recuperano la tradizione terzinternazionalista e sconfiggono le ipotesi più “creative”. In particolare, emarginano le aree operaiste e anarchiche, i situazionisti e i gruppi marxisti-leninisti più intransigenti. La frattura nel movimento tra l’area politica e quella controculturale e social-creativa (che a Milano è forte e molto attiva, pensiamo a «Re Nudo» e ai situazionisti) è pesante; solo da parte del Gruppo Gramsci e in occasione del Festival del parco Lambro del 1976 vi sono tentativi, generosi ma falliti, di ricomporre lo strappo.
Tra i gruppi che nascono a Milano c’è il Collettivo Politico Metropolitano (CPM), poi Sinistra Proletaria, che individua i limiti politici della lotta in fabbrica e sceglie di superare l’autonomia operaia, puntando tutto sui livelli di militanza, sull’organizzazione di quadri. Il CPM è il risultato organizzativo del dibattito che investe l’area dei CUB milanesi nel 1968–69 e nasce per estendere la propria azione dalla fabbrica al sociale, per superare le contraddizioni insite nella separatezza tra le lotte di fabbrica e quelle sociali e studentesche. Il CPM diventa rapidamente, in particolare a Milano, un organismo di massa presente in decine di fabbriche e di scuole. Viene visto con simpatia e interesse soprattutto dall’area dei militanti di Potere Operaio che nel CPM, pur nella differenza progettuale, individuano un esempio concreto di organismo dell’autonomia operaia. Nel corso del 1970, il CPM pubblica «Sinistra proletaria», strumento di informazione e collegamento tra lotte e situazioni, che dopo due numeri viene sostituito da «Nuova resistenza»; a Milano, il Collettivo conduce e appoggia (come Sinistra Proletaria e in alleanza con Potere Operaio e Lotta Continua) molte lotte di fabbrica, alcune grandi occupazioni di case al quartiere Gallaratese e in via Mac Mahon, lancia la campagna di lotte per i trasporti Prendiamoci i trasporti, Il trasporto si prende l’abbonamento non si paga. Importante anche la sua costante attività di intervento tra i lavoratori-studenti (Movimento Lavoratori studenti, Istituto tecnico Feltrinelli) e i lavoratori tecnici (CUB Pirelli, Gruppo di Studio Sit Siemens, Gruppo di Studio IBM).
Dal CPM, nel 1970, nascono le Brigate Rosse che mettono in atto le loro prime azioni armate all’interno delle fabbriche, in particolare alla Sit-Siemens e alla Pirelli di Milano. In precedenza, le BR effettuano un comizio volante nel quartiere operaio del Lorenteggio, sempre a Milano, e un lancio di volantini di fronte alla Sit-Siemens.
Nello stesso periodo nascono i Gruppi d’Azione Partigiana fondati dall’editore milanese Giangiacomo Feltrinelli che ritengono imminente un colpo di Stato in Italia e agiscono facendo riferimento alla resistenza partigiana.
Nel novembre 1970 Lotta Continua lancia il programma “Prendiamoci la città” che sposta l’attenzione dalla fabbrica, non più in grado di trainare il movimento, al terreno sociale.
Nel 1971 una frazione del Movimento Studentesco, guidata da Popi Saracino si scinde e forma il Gruppo Gramsci. I militanti del Gramsci stabiliscono quei contatti col resto della sinistra extraparlamentare rifiutati invece dal Movimento Studentesco, arroccato nell’università Statale. Il Gruppo Gramsci pubblica un mensile teorico, «Rassegna comunista».
Nel 1971, in corso di Porta Ticinese 106, apre la libreria Calusca di Primo Moroni, vero crocevia di innumerevoli percorsi di elaborazione teorica, controinformazione, controculture, pratiche sociali non omologate.
Nel giugno 1971, si svolge a Milano il primo convegno nazionale dei gruppi femministi a cui partecipano il Demau (Demistificazione dell’autoritarismo patriarcale, nato a Milano alla fine degli anni Sessanta) e Rivolta Femminile.
A dimostrazione dell’importanza che viene data all’intervento nella metropoli italiana per eccellenza, a settembre del 1971 arrivano a Milano per svolgere il proprio intervento politico nuovi militanti di Potere Operaio (Antonio Negri, Emilio Vesce, Giovanni Giovannelli, Gloria Pescarolo, Gianni Mainardi, Gianfranco Pancino, Oreste Scalzone) che affiancano Sergio Bologna, Giairo Daghini e Bruno Bezza. L’intervento milanese si concentra all’Alfa Romeo, Pirelli, Eni, Snia, Farmitalia, Telettra, alle scuole medie superiori e all’università, in particolare ad Architettura dove Alberto Magnaghi sviluppa un discorso tecnico e politico sul rapporto tra architettura e territorio. Vengono aperte le sedi di via Maroncelli e, per breve tempo, di Varedo (per tentare un intervento alla Snia).
Inizia la lunga stagione delle contestazioni ai concerti pop e rock stimolate e a volte organizzate da «Re Nudo» e Stampa alternativa, i protagonisti sono i giovani proletari che vogliono “riprendersi la musica” e protestare contro lo sfruttamento capitalista dei loro bisogni, reclamando perciò il loro diritto ad assistere gratuitamente ai concerti. Storica la contestazione al concerto dei Led Zeppelin al velodromo Vigorelli il 5 luglio 1971.
La grande opera di controinformazione e la campagna di massa Valpreda libero! e La strage è di stato fanno crollare la tesi menzognera costruita dai servizi segreti che vuole gli anarchici colpevoli della strage di piazza Fontana: nasce la controinformazione militante. Nel febbraio 1972 inizia il processo per la strage che si trasforma in un pesante atto di accusa delle “trame di stato”. Nell’occasione, l’11 marzo a Milano, si svolge una delle più violente manifestazioni di piazza che si ricordino, per ore la città viene “tenuta” dai compagni a colpi di bottiglie molotov che vengono scagliate in particolare contro il «Corriere della Sera».
Il 3 marzo, a Milano, viene sequestrato dalle Brigate rosse l’ingegnere della Siemens Macchiarini che subisce un “processo politico” lampo di una ventina di minuti prima di essere rilasciato. Questo primo sequestro politico viene visto con simpatia tra le avanguardie operaie e da alcune organizzazioni extraparlamentari come Potere Operaio e Lotta Continua.

Il 15 marzo 1972, sotto un traliccio a Segrate (Mi), viene trovato il cadavere di Giangiacomo Feltrinelli con accanto alcune cariche di esplosivo ancora innescate. La morte di Feltrinelli e le congetture che l’accompagnano segnano un episodio cruciale del dibattito di quegli anni. L’episodio rompe quel tessuto di collaborazione che si era venuto a creare tra il movimento rivoluzionario e aree “democratiche” composte da figure di rilievo del giornalismo, della magistratura, intellettuali della sinistra riformista: nasce la paranoia del “nemico interno”. In una prima fase i “democratici” e parte dei gruppi extraparlamentari interpretano la morte di Feltrinelli come l’ennesimo episodio della “strategia della tensione”, come un “omicidio di Stato”, non hanno dubbi che si tratti di una provocazione. Potere Operaio però rompe il fronte delle supposizioni complottiste e in un numero del suo giornale rivela la militanza di Feltrinelli nei GAP col nome di battaglia di “comandante Osvaldo”. Questa verità riaccende il dibattito sulle formazioni clandestine rompendo il fronte rivoluzionario: Lotta Continua si schiera in difesa di Potere Operaio, Avanguardia Operaia e le aree “democratiche” escono dal Comitato nazionale di lotta contro la strage di stato, accusando Potere Operaio e Lotta Continua di fare un’analisi folle della situazione italiana e dei compiti del movimento che li avvicina ai GAP e alle BR.
Il 17 maggio, a Milano, viene ucciso il commissario Luigi Calabresi, coinvolto nell’indagine sulla morte dell’anarchico Pinelli. Dopo una lunga serie di processi, la magistratura attribuisce l’omicidio a militanti di Lotta continua.
NASCE L’AUTONOMIA OPERAIA
Nel settembre del 1973 nasce «Primo maggio» (Sergio Bologna, Lapo Berti, Bruno Cartosio); nel 1974 inizia le pubblicazioni «Critica del diritto» a cui collaborano pretori del lavoro come Romano Canosa e Ezio Siniscalchi, ma anche Antonio Negri.
Nasce «Controinformazione», per i primi numeri sarà direttore Emilio Vesce, nella cui redazione iniziale partecipa tra gli altri Franco Tommei, uno dei leader dell’autonomia cittadina. Collaborazione che gli costa l’arresto dopo la scoperta da parte delle forze dell’ordine della base brigatista di Robbiano di Mediglia, all’interno della quale vengono trovati documenti che mettono in relazione il giornale, una parte dell’autonomia milanese e le stesse Brigate Rosse.
Nell’area anarchica, il Centro comunista di ricerche sull’autonomia proletaria (Ccrap) presenta «Proletari autonomi» (poi «Collegamenti Wobbly», rivista che rappresenta l’esperienza libertaria nel movimento dell’autonomia milanese – Cosimo Scarinzi, Roberto Brioschi fra i promotori).
Sempre in area libertaria si possono collocare i comontisti (Riccardo D’Este, Dada Fusco, Roberto Vinosa, Paolo Ranieri) che pubblicano «Comontismo» e si radicano in diverse occupazioni di case e collettivi. Tra di loro Giorgio Cesarano autore di numerosi testi fondamentali e tra gli animatori, insieme a Max Capa, della rivista «Puzz», giornale a fumetti underground, e di un collettivo di Quarto Oggiaro che esprime posizioni assolutamente radicali nel movimento autonomo milanese.
Il 1973 è un anno cruciale, in particolare è l’anno dell’occupazione della Fiat Mirafiori da parte degli operai in lotta, del golpe fascista in Cile e delle tesi del compromesso storico esposte da Enrico Berlinguer, segretario del PCI. Se all’interno del movimento rivoluzionario tutti sono d’accordo che la forza dell’autonomia operaia ha raggiunto un livello di forza che non si può superare all’interno delle mura della fabbrica, ci si divide però sulla strategia da seguire di fronte alla constatazione che il riformismo non ha ricevuto la spallata decisiva.
Occupazione di Mirafiori e golpe di Pinochet provocano tutta una serie di riflessioni da parte del PCI (che elabora il compromesso storico) e dei gruppi rivoluzionari ormai in crisi. Avanguardia Operaia, Movimento Studentesco e PDUP scelgono definitivamente la via istituzionale; Lotta Continua inizia un percorso che la porta a dare indicazione di voto al PCI nelle elezioni amministrative del 1975 e poi a aderire al cartello elettorale di Democrazia Proletaria. Diversa è la posizione di Potere Operaio e di una parte di dissidenti interni a Lotta Continua che traggono dal golpe cileno un’indicazione opposta a quella del PCI: l’errore di Salvador Allende, presidente del Cile, non è la mancata alleanza con la Democrazia Cristiana quanto non avere armato il popolo contro gli attacchi della destra. L’occupazione dello stabilimento di Mirafiori dimostra la capacità operaia di resistere agli attacchi padronali e una volontà di contrattaccare a livello di potere. L’autonomia operaia com’era intesa fino ad allora è superata, il potere operaio si deve esprimere non solo nei reparti ma deve uscire sul territorio, farsi potere.
Il cuore della nascente Autonomia Operaia sono le assemblee operaie, in particolare quelle della Sit Siemens, Alfa Romeo e Pirelli, ma anche quelle della Motta e della Alemagna. Nel laboratorio milanese si evidenzia la figura del lavoratore precario, quello dei contratti a termine, della stagionalità che dura tutto l’anno, del lavoro a domicilio e in nero, del lavoratore che non ha alcuno strumento di opposizione. Si aprono così orizzonti nuovi per l’intervento politico: esplode il movimento femminista, si diffonde una nuova coscienza di classe che mette la creatività e i bisogni al centro della propria pratica.
Questo fermento porta a diversi sviluppi e tentativi organizzativi. Si forma intorno agli organismi autonomi operai più importanti (Assemblea autonoma Pirelli, Assemblea autonoma Alfa Romeo, Comitato di lotta Sit-Siemens) un’area di discussione che intende costituire l’area dell’Autonomia operaia («Giornale degli organismi autonomi»). La generale crisi dei gruppi extraparlamentari interessa anche il Gruppo Gramsci («Rassegna comunista» e «Rosso»), presente a Milano e Varese fra insegnanti, intellettuali e lavoratori della zona Nord (Face Standard, IRE Ignis) e che da qualche tempo critica la forma del gruppo organizzato, del dirigismo leninista, cercando invece forme di organizzazione di base che prefigurino un percorso di socialità liberata (Collettivi politici operai (CPO), Collettivi politici studenteschi (CPS)).
Una parte consistente dei fuoriusciti da Potere Operaio dopo il convegno di Rosolina (Ro) (maggio-giugno 1973, qualche mese dopo i “fazzoletti rossi” di Mirafiori), decide di unirsi al Gruppo Gramsci e di sciogliersi all’interno della nascente Autonomia Operaia («Rosso»). A Milano viene costruita una struttura di intervento metropolitano alla quale partecipano operai della Sit-Siemens, dell’Alfa Romeo e, più tardi, di molte altre fabbriche della cintura Nord. È all’interno di queste dinamiche che si formano decine di collettivi nei quartieri, nelle scuole e nelle fabbriche di tutta la Lombardia, ognuna con la sua indipendenza organizzativa ma unite in quella che viene definita l’area dell’Autonomia Operaia. La nuova sede diventa quella dell’ex Gruppo Gramsci in via Disciplini. Avviene l’incontro anche con il Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano («Fuori») con cui la rivista «Rosso» collabora per qualche tempo.
Il collettivo operaio più agguerrito dei CPO è quello della Face Standard; molto importante è anche quello della Sit-Siemens. Nelle scuole milanesi nasce il Coordinamento collettivi autonomi studenteschi i cui aderenti sono presenti nelle scuole del centro città (Berchet, VIII Itis, Parini, Galilei, Ingegneria) mentre si sviluppano aggregazioni giovanili di quartiere a Baggio, Stadera, San Siro, Lambrate, Romana-Vittoria; a Rho il Coordinamento degli organismi autonomi organizza nella propria zona l’autoriduzione dei trasporti e delle bollette. Il 6 ottobre 1974 viene incendiato e distrutto un intero magazzino della Face Standard, industria appartenente alla multinazionale ITT accusata di aver favorito il golpe fascista cileno (11 settembre 1973). Nell’area milanese non era mai stato compiuto un attacco simile a un impianto industriale. L’azione nasce nell’ambito di «Rosso» e apre al suo interno una discussione sulle forme di lotta che coinvolge tutta l’organizzazione che condivide l’operazione. Il volantino di rivendicazione viene diffuso per una settimana nelle fabbriche, nelle scuole, nei locali frequentati da militanti di sinistra, nei cinema.
Il 1974 si apre con una forte ripresa dell’iniziativa operaia, in particolare alla Magneti Marelli, alla Breda, alla Telettra, alla Falck, nel settore chimico, alla Borletti e alla Pirelli. Il 7 febbraio iniziano una serie di mobilitazioni nazionali dei lavoratori metalmeccanici, chimici e tessili. Durante il corteo milanese vengono devastati i locali della Federazione Monarchica. Prosegue il 20 febbraio con uno sciopero delle grandi industrie. Si arriva al 27 febbraio con un nuovo sciopero generale che porta alle dimissioni del ministro del Tesoro Ugo La Malfa.
Il 1974 è l’anno della vittoria referendaria contro l’abolizione del divorzio, ma anche delle stragi fasciste: il 28 maggio 1974, durante una manifestazione sindacale in piazza della Loggia a Brescia, una bomba nascosta in un cestino dei rifiuti uccide otto persone mentre un centinaio rimangono ferite; il 4 agosto 1974 una bomba esplode su una carrozza del treno Italicus all’uscita della Grande galleria dell’Appennino, nei pressi di San Benedetto Val di Sambro, in provincia di Bologna, provocando dodici vittime e centocinque feriti. Dopo la strage di Brescia, la risposta di massa è imponente e all’insegna dell’antifascismo militante.
L’8 settembre muore a Roma, nel quartiere popolare di San Basilio, Fabrizio Ceruso durante i durissimi scontri tra polizia e occupanti di case spalleggiati dai militanti rivoluzionari. Ne seguono alcuni giorni di scontri violentissimi nei quali vengono impiegate anche armi da fuoco da entrambe le parti, ma alla fine la polizia è costretta ad andarsene.
L’ondata di antifascismo militante e l’uso di armi da fuoco durante una manifestazione diventano tema di dibattito nell’area dell’autonomia operaia nazionale e quindi anche milanese, per alcuni settori infatti diventa necessario pensare di “armare le masse”.
Dal 13 al 16 giugno, al parco Lambro di Milano, si svolge il Festival del proletariato giovanile organizzato dalla rivista «Re Nudo». Ottimo il successo di pubblico, così che l’evento viene replicato al parco Lambro anche nei due anni successivi.

A fronte dell’aumento delle tariffe elettriche, telefoniche e dei trasporti deciso dal governo, dall’agosto 1974 si diffonde in tutta Italia una campagna di massa sull’ autoriduzione. All’interno dell’area autonoma si organizzano azioni che colpiscono le centraline telefoniche della Sip, vengono manomessi decine di migliaia di contatori dell’Enel, si estende la pratica di non pagare i biglietti dei trasporti pubblici. Nell’ambito della campagna di autoriduzione, dal 30 settembre ha inizio in Lombardia il cosiddetto “sciopero lungo” contro il carovita. In questo ambito, il 19 ottobre vengono effettuati espropri proletari ai danni di due supermercati di Quarto Oggiaro e di via Padova. Per «Rosso» è un esempio concreto di ciò che si deve intendere «per rapporto tra esperienza di avanguardia e illegalità di massa».
Le diverse valutazioni sulla forza delle lotte operaie e sul compromesso storico aprono una frattura anche in Lotta Continua tra l’opzione neo-istituzionale della maggioranza del gruppo dirigente e la scelta di radicalizzare ulteriormente il conflitto da parte di chi poi sceglie di lasciare l’organizzazione. La posizione ufficiale di Lotta Continua è drastica: davanti al perpetuarsi dell’egemonia riformista occorre assumere il punto di vista della medietà della classe operaia, ripensando il rapporto con le sue organizzazioni di base e con la sua stessa base operaia.
Chi critica questa posizione se ne esce dall’organizzazione, in particolare dalla sede di Lotta Continua di Sesto San Giovanni; questi militanti, insieme ad una parte proveniente da Potere Operaio, decide di formare i Comitati Comunisti per il Potere Operaio (fine 1974). Di lì a poco si uniscono ai Comitati anche la Corrente e la Frazione, gruppi interni a Lotta Continua reduci dalla battaglia congressuale del gennaio 1975: sono soprattutto operai della Magneti Marelli di Crescenzago, della Falck di Sesto San Giovanni, della Telettra di Vimercate, della Carlo Erba di Rodano, il Circolo Lenin di Sesto San Giovanni, i collettivi di quartiere di Cinisello Balsamo, Cormano, del Ticinese, di Romana e Sempione, i servizi d’ordine di alcuni quartieri milanesi («Senza Tregua»).
Nel frattempo, nell’area milanese si sviluppa l’esperienza delle ronde operaie contro gli straordinari che, a Sesto San Giovanni, Cinisello Balsamo, Crescenzago e viale Monza, al sabato spazzano le piccole medie fabbriche, neutralizzando i guardioni e buttando fuori dai reparti quanti vi stanno lavorando. Crescono anche le pratiche di esproprio proletario, le autoriduzioni delle bollette e degli abbonamenti dei trasporti pubblici.
LA CRESCITA SBALORDITIVA DELL’AUTONOMIA OPERAIA
Il fatto politico-militare più importante del 1975 è ’’le giornate di aprile” (16–18 aprile) conseguenza degli omicidi di Claudio Varalli e Giannino Zibecchi. Sono il battesimo del fuoco dell’area dell’Autonomia a Milano (Comitati Comunisti, Rosso, Alfa Romeo), la piazza cambia la propria composizione diventando più radicale. Le giornate di aprile mostrano che il tempo delle parate sindacali è finito; si consolida la pratica di vere e proprie squadre armate, di spezzoni di servizio d’ordine che si staccano dal corteo per praticare una serie di obiettivi. Il nerbo dei cortei di quei giorni è raccolto dietro lo striscione delle fabbriche di Sesto San Giovanni che compatta gli operai più combattivi dimostrando che l’Autonomia Operaia esiste come soggetto politico. Contemporaneamente fallisce il tentativo dei gruppi (Avanguardia Operaia, Lotta Continua, Movimento Studentesco in particolare) di rinchiudere all’interno del superato schema dell’antifascismo militante il grande potenziale espresso da questa nuova generazione di militanti. La nuova stagione di lotte è tutta all’insegna dell’autonomia, i nuovi collettivi di fabbrica, scuola e territorio nascono come autonomi e così le loro lotte. Il modello organizzativo dei gruppi è fallito, si sviluppa la pratica dell’appropriazione (spese proletarie ma anche autoriduzioni dei concerti rock), le ronde contro il lavoro nero e lo spaccio d’eroina, l’occupazione di stabili, la creazione dei primi spazi autogestiti (il Fabbricone di via Tortona, il Virus di via Correggio 18, il Leoncavallo, il Garibaldi, il Centro sociale anarchico di via Conchetta, ma anche i centri della Stadera, Barona, Baggio, Città studi, Lambrate, Casoretto, Romana Vittoria, corso Garibaldi).
Tra le altre componenti dell’autonomia milanese ci sono anche i Collettivi comunisti autonomi che riuniscono il Centro sociale Argelati, il Centro sociale Panettone, il Centro di lotta contro il lavoro nero Carlo Sponta, i compagni autonomi del Romana-Vigentina.
Poco più a nord invece sono presenti il Coordinamento degli organismi autonomi della zona Rho, i Comitati autonomi della zona Venegono-Tradate, il Comitato politico di zona di Busto Arsizio, il Coordinamento dei Comitati autonomi della zona Saronno-Caronno, il Coordinamento anarchico della zona Legnano. Nel Bergamasco sono attivi i Collettivi politici autonomi; nel Lodigiano gli omonimi Collettivi politici autonomi.

L’anno si chiude con un crescendo di iniziative nelle fabbriche, in particolare alla Magneti Marelli contro ristrutturazione e licenziamenti politici (Comitato comunista Magneti) e all’Innocenti in fase di profonda ristrutturazione (Coordinamento operai Innocenti). L’atteggiamento remissivo del sindacato davanti allo smantellamento dell’Innocenti, diventa l’esempio più chiaro dell’azione “collaborazionista” riformista. Tra i vari episodi che contraddistinguono la vertenza, il 29 ottobre durante lo sciopero generale, un corteo autonomo prima occupa la stazione di Lambrate e poi tenta di fare il suo ingresso all’interno del vicino stabilimento Innocenti per portare la solidarietà agli operai in lotta ma trova la strada sbarrata dal servizio d’ordine sindacale spalleggiato da quello di Avanguardia Operaia: lo scontro fisico è inevitabile e porta a sostenere la ‘’fine dell’unità operaia’’.
Il 17 gennaio 1976, le femministe milanesi indicono una manifestazione per l’aborto in piazza Duomo nel corso della quale entrano nella cattedrale per contestare un secolare luogo di repressione delle donne (collettivo femminista di via Cherubini).
Il 6 febbraio 1976 i sindacati indicono quattro ore di sciopero generale a Milano, il comizio di Bruno Storti della CISL viene contestato dai gruppi della sinistra rivoluzionaria che tentano un assalto al palco sindacale; la manifestazione termina con un corteo autonomo che si dirige alla stazione Centrale e la occupa.
Nello stesso mese, al teatro Uomo, viene presentato lo spettacolo La traviata norma, organizzato dal collettivo autonomo omosessuale, il cui protagonista è Mario Mieli.
L’8 marzo le compagne femministe autonome organizzano una dura contromanifestazione davanti all’ingresso della clinica Mangiagalli.
Il 25 marzo, durante lo sciopero generale contro la crisi economica e l’aumento dei prezzi, in tutta Italia si svolgono manifestazioni che in alcune città, come Napoli e Bergamo, terminano con un vero e proprio assalto alle Prefetture ed espropri nei negozi del centro cittadino. A Milano, il corteo va all’occupazione della stazione ferroviaria di Lambrate e a spazzolate di massa in numerose aziende, durante la manifestazione viene dato l’assalto all’esattoria civica di Piazza Vetra, all’ufficio vendite della Dalmine, agli uffici della Ras, alla sede delle Assicurazioni milanesi, alla sede della Confapi.
Il 10 aprile 1976 esproprio proletario al supermercato GS di Bresso; l’azione viene ripetuta il 23 aprile all’UPIM di Cologno Monzese; il 20 maggio all’Esselunga del quartiere Bovisa; il 22 maggio all’Esselunga di via Bergamo.
Sempre in aprile, un gruppo di giovani interrompe il concerto di Francesco De Gregori al Palalido per contestare la sua falsa appartenenza al movimento e il costo eccessivo dei biglietti dei suoi concerti. Nei mesi successivi, i giovani proletari fanno fallire il tentativo di Comunione e Liberazione di organizzare il concerto di Alan Stivell, che viene annullato dopo minacce e attentati contro sedi dell’organizzazione cattolica; i circoli giovanili decidono di intervenire “criticamente” al concerto di Antonello Venditti organizzato dalla “democratica” radio Canale 96.
Il 2 aprile, un gruppo armato fa irruzione nella portineria della Magneti Marelli di Crescenzago e spara alle gambe del capo delle guardie della fabbrica: il Comitato operaio boicotta l’ora di sciopero di protesta indetta dai sindacati. Né una lacrima, né un minuto di sciopero per il capo dei guardioni, titola il volantino del Comitato.
Il 29 aprile 1976, a Milano, viene ucciso a colpi di pistola Enrico Pedenovi, consigliere provinciale missino: è il primo omicidio politico intenzionale rivendicato in Italia negli anni Settanta attribuibile alla sinistra. L’azione è la risposta militante all’aggressione fascista che costa la vita a Gaetano Amoroso, compagno della sinistra rivoluzionaria, e va inserito in un contesto che registra nella città lombarda un’intensa attività squadristica.
Di lì a pochi mesi, termina l’esperienza di Senza Tregua a seguito di una rottura interna su alcuni punti ritenuti fondamentali. In particolare, una parte dei Comitati Comunisti lancia dure accuse alla dirigenza costruita da singole soggettività e non per rappresentanza politica, caratterizzata da intellettualismo, che lavora per rigida divisione dei compiti e non promuove il dibattito interno. La conseguenza di queste dinamiche porta alla convivenza di progetti politici diversi e alla conseguente mancata realizzazione del progetto d’organizzazione. La rottura di Senza Tregua porta alla formazione di tre progetti organizzativi diversi: Prima Linea (PL), Unità Comuniste Combattenti (UCC) e Comitati Comunisti Rivoluzionari (CoCoRi).
Alle elezioni politiche del 20 giugno 1976, il cartello elettorale di Democrazia Proletaria (Avanguardia Operaia, Lotta Continua, Partito di unità proletaria (PDUP), Movimento Lavoratori per il Socialismo) punta al “governo delle sinistre”, nonostante il PCI non intende affatto coinvolgere DP e anzi ribadisca la propria fedeltà alla Nato e alle tesi del compromesso storico. Democrazia proletaria (DP) punta al 6/7%, è evidente che l’esito elettorale deciderà il futuro della ‘’vecchia’’ sinistra extraparlamentare. La campagna elettorale è molto violenta. Il risultato è deludente: il PCI non sorpassa la Dc, viene nominato il cosiddetto “governo delle astensioni” di Andreotti; DP arriva all’1,5%, percentuale che sancisce la crisi definitiva dei “gruppi” (al successivo congresso nazionale, Lotta Continua si scioglie con ulteriore travaso di militanti nei Comitati Comunisti e nel movimento) che però rifiutano di tornare al movimentismo condannandosi all’irrilevanza parlamentare. A fianco di questa scelta, la loro crisi si spiega anche con la cosiddetta “crisi della militanza” e la crescita “sbalorditiva” dell’autonomia operaia (che si è schierata apertamente per l’astensionismo elettorale).

Il 10 luglio 1976 scoppia una valvola dello stabilimento Icmesa di Seveso e fuoriesce una notevole quantità di diossina che inquina la zona circostante. Il disastro ambientale svela il ruolo delle multinazionali in Italia ma anche quello dei politici a tutti i livelli territoriali, della Chiesa cattolica, dei medici e dei ricercatori. Importante è l’intervento del Comitato popolare tecnico-scientifico formato da operai e studenti della zona, ma anche da lavoratori della Carlo Erba, dal collettivo di Architettura di Milano, da medici e scienziati. Il loro scopo è chiarire il legame indissolubile tra produzioni nocive, capitalismo e guerra, introdurre un metodo partecipativo tra la popolazione della zona sulla base della conoscenza diretta e dell’azione in prima persona nella difesa della propria salute (Volantone Contro le produzioni di morte di Rosso vivo e Senza Tregua).
Nell’area milanese, gli organismi autonomi operai più forti sono il Coordinamento dell’Alfa Romeo, il Collettivo politico della Sit-Siemens, i Comitati operai della Magneti Marelli di Crescenzago, della Carlo Erba di Rodano, della Telettra di Vimercate, della Falck di Sesto San Giovanni e della Philco di Ponte San Pietro, i Comitati di lotta della Fargas e della Fiat OM. Queste situazioni, questi punti di forza, diventano il traino delle lotte operaie autonome anche per quelle realtà oggettivamente più deboli come le piccole e medie fabbriche. Ciò vale soprattutto nell’area milanese dove si arriva alla costituzione del Coordinamento autonomo operaio milanese (promosso da Senza Tregua, Rosso e Pc(m‑l) I) che, tra il 1976 e il 1977, organizza scioperi e cortei autonomi di una certa importanza. A Milano c’è anche il Coordinamento per l’occupazione dell’Alfa Romeo («Senza padroni») e il Coordinamento lavoratori e delegati della zona Romana, che fa riferimento a Lotta Continua.
Alla Magneti Marelli si verifica uno degli episodi cardine dell’iniziativa operaia autonoma del periodo. Dopo una lotta dura contro la ristrutturazione che vede l’invasione violenta degli uffici della direzione aziendale, quattro avanguardie del Comitato vengono licenziate dall’azienda per la loro attività politica interna ai reparti dello stabilimento. Ogni mattina però questi lavoratori vengono portati in fabbrica da un corteo operaio (la Guardia rossa) contro la volontà del padrone, del sindacato e del tribunale che ha confermato i provvedimenti del padrone, e li trasforma in rivoluzionari a tempo pieno. Questa prassi si protrae per un anno intero. Il tribunale del lavoro di Milano sforna sentenze contraddittorie, a ogni grado di giudizio il verdetto cambia: decreti di riassunzione e conferme del licenziamento si alternano. Quando il tribunale del lavoro discute la causa di lavoro, viene regolarmente invaso da cortei operai, frequenti gli scontri con i carabinieri all’interno dello stesso Palazzo di Giustizia milanese.

Nel mese di luglio inizia la lotta contrattuale dei lavoratori ospedalieri che a Milano esprime grandi livelli di lotta che portano all’intervento dell’esercito per garantire l’apertura delle mense per i ricoverati. (Collettivo Policlinico, Comitato di lotta del Niguarda, Compagni autonomi del San Carlo).
Il 20 ottobre, sciopero generale, durante il corteo sindacale milanese operano numerosi gruppi di persone armate che assaltano e incendiano uffici e centri di calcolo di grosse aziende, saccheggiano un supermercato, distruggono la sede di Comunione e Liberazione (CL).
Per il 30 novembre, in occasione di un nuovo sciopero generale, l’Autonomia Operaia milanese e il PC(m‑l) I organizzano un corteo autonomo rispetto ai concentramenti sindacali. La manifestazione porta in piazza diverse migliaia di lavoratori, proletari e studenti «per lo sviluppo e l’organizzazione di un’opposizione di classe» e contro l’attacco padronale, contro il governo delle astensioni e il collaborazionismo sindacale.
Il 15 dicembre 1976, a Sesto San Giovanni muore il militante delle Brigate Rosse Walter Alasia (a cui viene poi intitolata la colonna milanese dell’organizzazione) durante un conflitto a fuoco con la polizia durante il quale muoiono anche due agenti. Alasia è un ex militante di Lotta Continua molto conosciuto a Sesto. La sua morte desta scalpore nei mass media, nel sindacato ma soprattutto nel movimento rivoluzionario. Quello che accade nelle fabbriche milanesi in occasione dei suoi funerali è la dimostrazione che la lotta armata è presente nel dibattito di massa, soprattutto operaio. Il fatto più significativo è la battaglia politica che viene combattuta in fabbriche come la Marelli, la Breda e la Falck dove i comitati operai si oppongono, giudicandolo antioperaio, allo sciopero contro il terrorismo indetto da PCI e sindacati. Importante anche il funerale di Alasia a cui partecipano centinaia di operai e militanti sestesi che lo ricordano come uno di loro.
In questo contesto si sviluppano impetuosamente i circoli del proletariato giovanile, tanto che si può dire che il ’77 a Milano viene anticipato dai giovani proletari delle periferie, dalle occupazioni delle case, dagli ingressi al cinema gratis, dagli assalti ai supermercati. I primi segnali si avvertono a Milano tra il 1975 e il 1976 quando consistenti strati giovanili delle estreme periferie della metropoli danno vita spontaneamente a forme di aggregazione basate sulla critica della miseria della loro condizione sociale: studenti, disoccupati, operai precari e sottopagati. Per loro esiste il problema del tempo libero, vissuto come obbligo coatto al vuoto, alla noia, all’alienazione. A partire da questa consapevolezza si costituiscono i Circoli del proletariato giovanile che, nel giro di pochi mesi, promuovono decine di occupazioni di edifici, anche in centro a Milano. Questi luoghi diventano i luoghi di aggregazione del proletariato giovanile milanese e raccolgono un grande successo. I Circoli si riversano dalle periferie al centro non più per bande o piccoli gruppi ma per divertirsi apertamente organizzando feste musicali oppure per scontrarsi con la polizia e rivendicare il proprio diritto a riunirsi a fare festa e “riappropriarsi della vita”. Durante queste manifestazioni iniziano a essere praticate forme sempre più esplicite di riappropriazione della merce con espropri di negozi di lusso e di generi alimentari.
Nella prima fase, i Circoli del proletariato giovanile trovano supporto organizzativo in strutture politiche e culturali già consolidate come «Re Nudo» che segue da vicino il movimento dei circoli.
A giugno 1976 si svolge il festival del parco Lambro a Milano, organizzato da «Re Nudo» e parte della sinistra rivoluzionaria: anarchici, Lotta Continua e autonomi. Da subito si presenta come un mega raduno, vi affluiscono 100.000 giovani da tutta Italia. Le contraddizioni politiche e culturali esplodono violentemente rivelando di colpo i limiti dell’ideologia della festa. L’esito del festival segna anche l’allontanamento definitivo tra le pratiche contro-culturali di «Re nudo» e l’area dell’Autonomia Operaia. Quest’ultima effettua importanti riflessioni sull’esito del festival per spiegarne il fallimento, per offrire un’indicazione di lotta che permetta al movimento di non impantanarsi nella propria apparente crisi.
Rosso scrive: ‘’Le occupazioni di case, le appropriazioni nei supermercati, le lotte per il salario, l’organizzazione contro lo spaccio dell’eroina, i movimenti di liberazione, l’esplosione del movimento femminista sono entrati come protagonisti in questa festa e hanno decretato la morte del Festival pop di Re Nudo. Una cosa è stata chiara a tutti: che i giovani proletari vogliono fare la festa per divertirsi, ma anche per affermare i propri bisogni. E questi vanno contro l’ordine della metropoli capitalistica, contro il lavoro della fabbrica del capitale, contro la repressione della cultura dei padroni. A tutto questo i giovani proletari vogliono fare la festa. La tensione a uscire dal parco Lambro, visto ormai come un ghetto, e a portare la festa nella città, contro la città, è la conquista di questo festival. L’indicazione venuta da molti compagni nel festival di tornare a portare nei quartieri i contenuti espressi nelle appropriazioni e nell’assemblea è un programma di lavoro politico e di continuità. È la consapevolezza della necessità di riunificare in forme di lotta e di organizzazione i bisogni espressi dal proletariato giovanile al Lambro con le lotte degli operai contro il lavoro, con le lotte dei disoccupati per il salario, con l’attacco dei carcerati allo stato repressivo, con il rifiuto dell’oppressione maschilista da parte delle donne. Torniamo nei quartieri e nelle fabbriche perché il fiore di rivolta sbocciato al Lambro si moltiplichi in cento fiori di organizzazione, in mille episodi di appropriazione, in solide basi di contropotere. In capacità di organizzare per il prossimo anno una grande festa: la nostra festa contro la metropoli’’. E così fu.

In autunno il Movimento dei Lavoratori per il Socialismo (MLS) decide di trasformare i suoi Comitati antifascisti di quartiere in Circoli giovanili. Il fatto suscita molte perplessità, poiché è risaputo che il Mls ha una posizione politica filostalinista e duramente contraria alle tendenze controculturali, l’opposto di quanto dichiarato dal movimento del proletariato giovanile. Il rapporto tra questi Circoli giovanili e i Circoli proletari giovanili si risolve, alla fine dell’anno dopo lunghe polemiche, con l’inevitabile rottura.
La comparsa dei circoli segna una ripresa di vitalità per l’intero movimento milanese, viene promossa e praticata la campagna per l’autoriduzione del biglietto del cinema e contro la distribuzione dei film di terza categoria nei circuiti periferici. Per alcune domeniche migliaia di giovani si autoriducono a 500 lire il prezzo dei biglietti di ingresso nelle sale di prima visione.
I circoli giovanili milanesi sono estremamente radicati nelle periferie della città, dove vivono quei giovani proletari che rappresentano i nuovi lavoratori della fabbrica diffusa, i protagonisti del decentramento produttivo e dell’economia sommersa. È dai propri territori che questi giovani proletari calano nel centro città dei negozi e dei cinema con l’intenzione di riappropriarsi, insieme alle merci che hanno prodotto, anche di una parte della propria esistenza. Rappresentano una parte consistente di quella che può definirsi l’autonomia diffusa, che dialoga ma non sempre coincide con l’Autonomia Operaia Organizzata. Una parte di questa intende egemonizzare l’area dei circoli per incamerarne il potenziale esplosivo nei confronti della metropoli e delle sue contraddizioni.
Si arriva alla convocazione, i primi di novembre, dell’Happening del proletariato giovanile che si svolge a Milano all’università Statale. Il manifesto di convocazione rappresenta un enorme tomahawk con lo slogan. Abbiamo dissotterrato l’ascia di guerra. Durante il convegno viene presa la decisione di boicottare la “prima” della Scala. «In pieno regime di sacrifici imposti ai proletari, la ricca borghesia milanese si concede l’emozione di pagare centomila lire per una poltrona all’inaugurazione della stagione teatrale della Scala».
Il 7 dicembre, la zona circostante il teatro milanese è presidiata da cinquemila poliziotti in assetto di guerra. È una sera di scontri violentissimi che si conclude con 250 fermati, 30 arrestati e 21 feriti. Di lì a poco si scioglie il coordinamento cittadino dei circoli, molte situazioni di quartiere sono disorientate e guardano a nuove proposte organizzative. Le conseguenze del disastro provocano ripercussioni anche all’interno dell’area autonoma milanese. Senza Tregua si è già dichiarata scettica in merito a individuare il proletariato giovanile come possibile soggetto politico; in Rosso si sviluppa un dibattito sulle forme di lotta e sulle scelte organizzative da compiere, arrivando alla conclusione che è necessaria una stretta organizzativa che formalizzi la presenza, all’interno di ogni collettivo, di una struttura logistica. Si formano le Brigate Comuniste.
Tra il 1976 e il 1977 si moltiplicano le pratiche di contropotere e di illegalità diffusa contro il lavoro nero (attentati e irruzioni presso ditte e piccole imprese), espropri proletari contro negozi di abbigliamento e supermercati, attentati contro i luoghi di spaccio dell’eroina, le istituzioni repressive (carabinieri, polizia, vigili urbani, carcere), la Democrazia Cristiana.
In particolare, a Milano (fine 1976-metà 1977) si sviluppa una forte iniziativa militante che ha al suo centro le ronde operaie contro i luoghi di sfruttamento del lavoro nero e della «fabbrica diffusa». Le ronde sono organismi informali che nascono nei quartieri della città (Lambrate, San Siro, Ticinese, Romana-Vittoria, Bovisa, Mecenate). La ronda è esercizio di potere nella pratica dell’appropriazione, della tassazione dei dirigenti, della punizione dei capetti e dei guardioni; è esercizio di attacco ai centri di potere e di ristrutturazione antioperaia (centri direzionali, calcolatori) e agli enti che gestiscono i servizi pubblici sul territorio (trasporti, luce, telefoni); è organizzazione di massa perché, raccogliendo immediatamente tutte le forze di organizzazione autonoma, supera e spezza la divisione operai-disoccupati-giovani-avanguardie di quartiere; è progetto di organizzazione perché esprime e sintetizza tutti i livelli di attacco dell’iniziativa autonoma. Decine sono gli interventi delle ronde che colpiscono quei microreparti sparsi nei quartieri periferici, spesso su commessa delle multinazionali, con la complicità delle organizzazioni sindacali e degli enti locali, e che alla faccia della crisi, utilizzano gli straordinari il sabato, licenziano gli assenteisti, sfruttano il lavoro nero, danno bassi salari per produrre merci a basso prezzo e ad alto profitto.
E ARRIVIAMO AL ‘77
L’area dell’Autonomia organizzata milanese è sempre stata estremamente variegata e non ha mai avuto un gruppo egemone come i Volsci a Roma o i Collettivi politici nel Veneto. In questo periodo le componenti principali sono quelle che si riuniscono intorno alle tesi esposte dalla rivista «Rosso» (i Collettivi politici operai) e «Senza Tregua» (i Comitati Comunisti per il potere operaio).
L’area di «Rosso» individua come soggetto politico l’operaio sociale che nasce nella diffusione sul territorio della fabbrica in seguito alla ristrutturazione economica che mette in enorme difficoltà la ricomposizione operaia all’interno dei grandi stabilimenti. In questo modo il conflitto si riduce nelle fabbriche ma si espande sul territorio, investendo la vita sociale delle persone e così lo scontro assume carattere globale, investe la vita complessiva delle persone, non solo il luogo di lavoro. A livello di fabbriche, «Rosso» è ben presente alla Siemens, alla Face e all’Alfa (CPO), nelle scuole organizza i Collettivi Politici Studenteschi, in particolare al liceo classico Berchet. Dalla sua area di dibattito nascono le Brigate Comuniste prima che portano poi alla formazione delle Formazioni Comuniste Combattenti.
Senza Tregua rivendica l’armamento operaio di massa, il decreto operaio, si riconosce nella centralità operaia (l’operaio della grande fabbrica) con buone presenze alla Magneti Marelli di Crescenzago, all’Innocenti di Lambrate, alla Philco di Brembate, alla Telettra di Vimercate, alla Carlo Erba di Rodano, alla Falck di Sesto San Giovanni.
A questi due gruppi principali si deve aggiungere il collettivo del quartiere popolare del Casoretto conosciuto anche come “banda Bellini”, dotato di un notevole servizio d’ordine. Il Comitato comunista (marxista-leninista) di unità e di lotta, il CoCuLo, (rivista «Addavenì»); il Partito comunista (marxista-leninista) italiano («La voce operaia»); il Coordinamento degli organismi autonomi di zona sud (via Momigliano); diverse componenti anarchiche («Collegamenti Wobbly») e situazioniste («Gatti selvaggi», «Puzz»). A questi settori si deve aggiungere una componente femminista non associabile direttamente a nessuna di queste posizioni ma vicina all’autonomia (collettivo di via dell’Orso); i giovani dei collettivi di quartiere (Romana-Vittoria, Baggio, Barona, Lambrate, Bovisa, San Siro, Stadera, Sempione-Garibaldi, Gallaratese, Olmi, Cesano Boscone, Arese-Rho-Pero; una parte dei circoli del proletariato giovanile; il Coordinamento dell’opposizione operaia (Alfa Romeo).
Non si può capire la complicatissima realtà autonoma milanese se non ci si rende conto che, nella città meneghina, a fianco delle organizzazioni combattenti si formano una incredibile quantità di microrganizzazioni mobili e informali che diffondono la pratica armata dalla metropoli ai centri più periferici, privilegiando l’attacco non tanto al «cuore dello Stato» quanto alle figure che costituiscono «l’articolazione del comando capitalistico sui territori». Accanto a coloro che militano nei gruppi combattenti come Prima Linea e Brigate Rosse, all’interno dell’Autonomia organizzata molti compagni, spesso giovanissimi, danno invece vita a microaggregazioni per affinità, legate spesso a territori come i quartieri popolari dove vivono, a collettivi di scuola o a collettivi nati per combattere in maniera militante la diffusione dell’eroina o per attaccare i “covi del lavoro nero” (entrambe le due forme di sfruttamento le vivono direttamente sulla loro pelle), ma anche per organizzare qualche azione armata o espropriare negozi di lusso. Questa area è mobile, non si dà vere strutture organizzative fisse, la loro credibilità spesso è affidata alla “piazza”. I gruppi autonomi più organizzati (combattenti compresi) tentano in ogni modo di tirare queste aggregazioni dalla loro parte, in un rapporto di simbiosi (i gruppi garantiscono il logistico, i microgruppi agiscono) più che su una reale cooptazione, ma il risultato, almeno per tutto il 1977, è deludente.
L’esplodere di iniziative armate nella metropoli milanese fa intravedere per le organizzazioni combattenti la possibilità di reclutare militanti. In questo contesto nascono, nell’area di dibattito di «Rosso», le Brigate Comuniste con lo scopo di arginare l’esodo di militanti dell’Autonomia verso l’area combattente, cercando di rapportare le azioni di sabotaggio e di contropotere alla figura dell’operaio sociale. L’esperimento organizzativo dura poco e già nell’estate 1977 le Brigate Comuniste si sciolgono sul modo di intendere funzioni e scopi di un’organizzazione armata. Da questa esperienza nascono poi le Formazioni Comuniste Combattenti; altri militanti entrano invece nei Proletari Armati per il Comunismo, Guerriglia Rossa, Prima Linea e Brigate Rosse.
Tutte le università italiane sono in grande fermento per contestare la riforma degli atenei voluta dal ministro della Pubblica Istruzione Franco Maria Malfatti. Nel febbraio 1977, analogamente a quanto sta avvenendo in tutta Italia, a Milano viene occupata l’Università statale.
Il 26 gennaio sindacati e Confindustria siglano, nella sede del CNEL, uno schema di accordo sulla riduzione del costo del lavoro e l’aumento della produttività. Immediate ma sporadiche le reazioni operaie alla notizia della firma dell’accordo, in alcune fabbriche i lavoratori scioperano autonomamente: Ctp Siemens, Fiat-Om, Magneti Marelli ed Ercole Marelli a Milano.
L’8 marzo vede una mobilitazione estremamente partecipata del movimento femminista che, nello sfilare per strade e piazze, ribadisce la propria autonomia non solo da partiti e istituzioni ma anche dallo stesso movimento degli studenti. A Milano i coordinamenti femministi di via dell’Orso e dell’università Bocconi organizzano una “militante” manifestazione che si pone come obiettivi politici la contestazione dell’Inam che combatte l’assenteismo delle lavoratrici, della clinica ginecologica Mangiagalli che nega aborti terapeutici e dei negozi di Luisa Spagnoli, accusata di sfruttare il lavoro delle detenute.
L’11 marzo a Bologna un carabiniere uccide il militante di Lotta continua Francesco Lorusso, seguono giorni di scontri di piazza violentissimi che portano i carri armati a presidiare le vie della città; il giorno dopo a Roma si svolge la manifestazione nazionale del movimento che si trasforma in uno dei cortei più violenti che l’Italia ricordi. Lo stesso giorno, a Milano durante un corteo estremamente combattivo si scatena una violenta sparatoria che manda in frantumi i vetri della sede dell’Assolombarda.

In occasione dello sciopero generale del 18 marzo, un corteo operaio autonomo sfila nel centro città andando a colpire numerosi obiettivi, in particolare la palazzina della direzione della Marelli (licenziamento di avanguardie operaie e ristrutturazione) e gli uffici della Bassani Ticino (sfruttamento del lavoro sottopagato delle detenute di San Vittore). Nel commentare il corteo, l’intera autonomia operaia milanese rivendica le discriminanti rivoluzionarie della manifestazione frutto della rottura dell’unità operaia operata dalla sinistra operaia nei confronti del PCI e del sindacato.
Nell’aprile del 1977, sette militanti dei Comitati Comunisti per il potere operaio vengono arrestati dai carabinieri al ritorno da un’esercitazione all’uso di armi da fuoco in Valgrande: sono operai del Milanese (Falck, Magneti Marelli). I Comitati operai della Magneti e della Falck gestiscono gli arresti politicamente, rivendicando il diritto all’armamento operaio di fronte al terrorismo antioperaio dei padroni. Distribuiscono un volantino a un comizio di Trentin in piazza Castello a Milano; il testo recita che i ceti della piccola e media borghesia commerciante si armano, che i padroni hanno i loro corpi armati privati, e che dunque è legittimo che gli operai facciano altrettanto. Al processo l’aula è piena di compagni che scandiscono slogan di solidarietà. Poco tempo dopo il processo, alla Magneti Marelli si svolgono delle elezioni per il consiglio dei delegati. Enrico Baglioni, uno dei licenziati e arrestati in Valgrande è tra i primi eletti.
Il primo maggio, l’Autonomia milanese organizza una partecipata contromanifestazione con i collettivi operai della Face e della Siemens in testa.
Il 12 maggio a Milano vengono arrestati i due avvocati del Soccorso rosso Sergio Spazzali e Giovanni “Nanni” Cappelli. Il giorno successivo a Roma viene uccisa dalla polizia in borghese Giorgiana Masi; il corteo milanese del 14 si svolge perciò in una atmosfera particolarmente tesa. La manifestazione sfila vicino al carcere di San Vittore, dove sono detenuti i due avvocati, un gruppo si stacca dal resto dei manifestanti e apre il fuoco contro la polizia: restano gravemente feriti due poliziotti, mentre un terzo muore.
L’episodio porta grosse conseguenze all’interno dell’area dell’Autonomia milanese, si crea una spaccatura tra chi spinge per un innalzamento del livello di scontro e un’organizzazione centralizzata dei microgruppi, chi critica apertamente l’episodio e chi lo reputa come la possibile fine del movimento autonomo cittadino. I circoli del proletariato giovanile sono in profonda crisi, risentono anche loro della spinta a uno scontro sempre più duro e, a Milano, apparentemente ingovernabile.
Si radicalizza anche lo scontro con il Movimento lavoratori per il socialismo, accusato di essere stalinista e in combutta con sindacato e proprietari di alcune case occupate dai proletari, in particolare nella popolare zona Ticinese della città.
La crisi del movimento del 77 si evidenzia al convegno contro la repressione che si svolge a Bologna nel mese di settembre. Nei mesi successivi i Collettivi Politici Operai milanesi e i Collettivi Politici Veneti per il potere operaio (che unificano i loro giornali, «Rosso» e «Per il potere operaio», in «Rosso per il potere operaio») concordano sulla necessità e urgenza di un progetto politico-organizzativo nazionale per i vari spezzoni dell’Autonomia Operaia Organizzata proponendo il Partito dell’Autonomia, innanzitutto ai Comitati Autonomi Operai romani (i Volsci), che rifiutano l’ipotesi.
Nell’autunno del 1977, a Milano, esplodono le lotte contro la repressione (continui arresti di militanti autonomi) e contro l’aumento delle tariffe dei trasporti pubblici con cortei, blocchi stradali, sabotaggi di massa delle macchinette obliteratrici.
Da segnalare il corteo del 12 novembre che protesta contro la chiusura da parte della magistratura di alcune sedi autonome a Roma e Torino; la manifestazione è caratterizzata da numerosi disarmi di vigili urbani e vigilantes e da un assalto armato alla Polfer della stazione ferroviaria di porta Genova.
Continua sempre più forte la lotta negli ospedali milanesi con cortei e assemblee ma anche licenziamenti, arresti e processi delle avanguardie espresse da quel movimento.
Il 26 dicembre muore in carcere, in maniera sospetta, il compagno autonomo Mauro Larghi, avanguardia del movimento studentesco saronnese. È stato arrestato pochi giorni prima con l’accusa di aver appena disarmato un agente di polizia.
DA MORO AL 7 APRILE
Nel 1978, Rosso concentra il proprio lavoro di massa in particolare sulla lotta contro i sabati lavorativi all’Alfa romeo, pubblica la rivista «Black out» (e poi «Magazzino») e apre radio Blackout.
Riprende slancio la lotta nelle scuole medie superiori, si forma il Coordinamento degli organismi proletari della scuola; il suo culmine viene raggiunto con la campagna per il 6 politico portata avanti dal Collettivo politico autonomo del Cesare Correnti sulla base di un volantino siglato anche dal Collettivo autonomo chimici di Bergamo e del Collettivo del IX Itis di Milano.
I rapporti con il Movimento lavoratori per il socialismo sono sempre più tesi, non si contano le aggressioni contro militanti e simpatizzanti autonomi, su tutte quella contro il pittore Fausto Pagliano nel quartiere Ticinese. Per protestare contro un’informazione ritenuta scorretta, gli autonomi milanesi occupano per mezz’ora l’emittente radio Popolare.
A Milano, il 16 marzo grande corteo autonomo in appoggio alla lotta dei lavoratori dell’Unidal (Comitato di lotta Unidal); durante il corteo arriva la notizia del sequestro dell’onorevole Aldo Moro che scatena un certo entusiasmo tra i partecipanti. Nelle assemblee successive, invece, le varie componenti autonome criticano in vario modo l’azione delle Brigate Rosse.
Due giorni dopo, i fascisti uccidono Fausto Tinelli e Lorenzo “Iaio” Iannucci, militanti del centro sociale Leoncavallo, impegnati in un’inchiesta sullo spaccio di eroina nei quartieri popolari di Milano.
Alla fine di aprile, il Collettivo autonomo operaio dell’Alfa Romeo organizza una serie di giornate di picchettaggio fuori dallo stabilimento di Arese per impedire ai lavoratori di lavorare il sabato. All’iniziativa partecipa tutta l’Autonomia operaia milanese che supporta la mobilitazione anche con azioni di sabotaggio nei confronti delle proprietà Alfa. Durante i picchetti si registrano incidenti con il servizio d’ordine del PCI interno all’azienda.
Esplode clamorosa la lotta degli ospedalieri con fortissime punte di critica al sindacato e al riformismo. Milano insieme a Bergamo (Coordinamento lombardo ospedali in lotta), Firenze, Roma e il Veneto, è una delle sedi principali della protesta.
Si consolida il Coordinamento degli organismi autonomi di zona sud che raccoglie tantissimi collettivi e piccoli gruppi nati sul territorio metropolitano. È formato da giovani provenienti dall’ex circolo Vittoria, Collettivo Stadera, Collettivo Chiesa Rossa, circoli di Gratosoglio, Rozzano, Locate Triulzi, Barona, Corvetto, Sant’Ambrogio, operai della Soilax e del Coordinamento operaio di via Crema. Enorme è la domanda di organizzarsi e farsi sentire, in particolare su temi come il lavoro nero e la lotta allo spaccio di eroina (Milano come Algeri).
Nell’area più contro-culturale del movimento nasce l’esperienza di Macondo, “luogo magico” della controcultura milanese.
Il 1979 è un anno in cui il movimento autonomo non riesce a esprimere grandi iniziative politiche e di piazza. A parte qualche iniziativa antifascista e antirepressiva (processo studenti del Cattaneo), non si registrano manifestazioni al di fuori delle istituzioni, nessuna lotta significativa in fabbrica e sul territorio su interessi autonomi di classe. L’unico conflitto extrasindacale di rilievo è la lotta dei precari della scuola, agitazione che però non riesce a generalizzarsi.
Aumenta esponenzialmente invece l’intervento delle organizzazioni combattenti (BR, PL, PAC ecc.) che vivono un’escalation di adesioni e di azioni.
L’area di Rosso si avvicina a quella della neonata Lotta continua per il comunismo.
Ad aumentare la crisi del movimento arrivano gli arresti del 7 aprile («salto di qualità decisivo nella tecnica del dominio») e del 21 dicembre che anche a Milano colpiscono alcuni dei dirigenti storici del movimento autonomo cittadino.
APPELLO
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