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Operaisti

La pri­ma sede ope­rai­sta a Firen­ze, nel­la cen­tra­le piaz­za del­la Liber­tà, fu il “Cen­tro Gio­van­ni Fran­co­vich”. Era all’interno di una sede del “Cir­co­lo Ros­sel­li” e il nome era sta­to dato per ricor­da­re Gio­van­ni Fran­co­vich ricer­ca­to­re mili­tan­te mor­to nel gen­na­io 1966 a ven­ti­sei anni in un inci­den­te d’auto vici­no a Por­ti­co di Roma­gna. Gio­van­ni ave­va col­la­bo­ra­to con Qua­der­ni ros­si, per poi ade­ri­re a Clas­se ope­ra­ia, le cui riu­nio­ni reda­zio­na­li si tene­va­no spes­so a Firenze.

La sede di Firen­ze non si limi­ta­va ad eser­ci­ta­re il pro­prio ruo­lo geo­gra­fi­co, ospi­tan­do le riu­nio­ni nazio­na­li, ma ave­va una inten­sa atti­vi­tà di inchie­sta e di lavo­ro, pro­du­cen­do pub­bli­ca­zio­ni e incon­tri come il semi­na­rio sul­la com­po­si­zio­ne di clas­se “Capi­ta­le e clas­se ope­ra­ia alla Fiat: un pun­to medio nel ciclo inter­na­zio­na­le” (30 aprile‑1 mag­gio 1967).

Era il frut­to del­la gran­de espe­rien­za del­la lot­ta ope­ra­ia del­la fab­bri­ca metal­mec­ca­ni­ca “Gali­leo” nel 1959 e del peso di teo­ri­ci e mili­tan­ti impor­tan­ti: Clau­dio Grep­pi, Lapo Ber­ti, Lucia­no Arrighet­ti ope­ra­io col­tis­si­mo, pro­prio del­la “Gali­leo”, che tut­ti scam­bia­va­no per un intellettuale…

Un grup­po for­te­men­te atti­vo che por­ta­va in tut­te le fab­bri­che del­la Tosca­na, con il gior­na­le, il pun­to di vista operaista.

La facol­tà di Archi­tet­tu­ra, a par­ti­re dal 1967, diven­ne il pun­to di rife­ri­men­to prin­ci­pa­le nel­le lot­te uni­ver­si­ta­rie fio­ren­tine, ampli­fi­can­do la pras­si e il pen­sie­ro ope­rai­sta, ma anche e soprat­tut­to un luo­go di orga­niz­za­zio­ne e di for­ma­zio­ne. Nel­la lun­ghis­si­ma occu­pa­zio­ne del Ses­san­tot­to ad Archi­tet­tu­ra ven­ne azze­ra­to il pote­re dei baro­ni e il loro sape­re di clas­se; gli esa­mi veni­va­no pre­pa­ra­ti e supe­ra­ti sui testi stu­dia­ti, discus­si e pre­di­spo­sti dal movi­men­to. Esem­pli­fi­ca­ti­va la scrit­ta che domi­na­va la facol­tà: “La pro­gram­ma­zio­ne è una mac­chi­na: il capi­ta­li­smo la impo­ne, il tec­ni­co l’at­tua e la qua­li­fi­ca, l’o­pe­ra­io ed il con­ta­di­no la subi­sco­no e ne ven­go­no schiacciati”.

In Tosca­na agi­va, in par­ti­co­la­re tra Pisa e Car­ra­ra, pas­san­do per la Ver­si­lia, un’altra espe­rien­za ope­rai­sta cre­sciu­ta a con­tat­to con le loca­li lot­te ope­ra­ie che affer­ma­va un pun­to di vista rivo­lu­zio­na­rio: il Pote­re Ope­ra­io Pisa­no. 

Il Ses­san­tot­to tosca­no si nutrì del por­ta­to di que­ste pra­ti­che e di que­ste sog­get­ti­vi­tà, che si pone­va­no già come mili­tan­ti com­ples­si­vi. Pro­prio all’iniziativa del Pote­re Ope­ra­io Pisa­no si deve anche la con­te­sta­zio­ne del Capo­dan­no 1969 alla Bus­so­la con­tro l’ostentazione del­la ricchezza.

Dal­la facol­tà di Archi­tet­tu­ra nac­que­ro a Firen­ze le ini­zia­ti­ve più inte­res­san­ti di let­tu­ra del­la com­po­si­zio­ne di clas­se in col­le­ga­men­to con le lot­te ope­ra­ie nell’ambito del­le qua­li fu costi­tui­ta l’Assem­blea ope­rai-stu­den­ti, diret­ta con­se­guen­za di que­ste lot­te e del suo por­ta­to teorico.

Lotta Continua e Potere Operaio

La rot­tu­ra dell’Assemblea ope­rai-stu­den­ti, avve­nu­ta nel luglio del 1969, det­te vita anche a Firen­ze ai due grup­pi ope­rai­sti del­la sini­stra extra­par­la­men­ta­re: Lot­ta Con­ti­nua, che aprì la pri­ma sede in via del Ter­zol­le 19/​r, accan­to all’ITI,  nel­la zona allo­ra ope­ra­ia, di Novoli/​Rifredi, e Pote­re Ope­ra­io, la cui base mag­gio­re fu pro­prio la facol­tà di Archi­tet­tu­ra. A Firen­ze si svol­se il con­ve­gno nazio­na­le di fon­da­zio­ne di Pote­re Ope­ra­io pres­so il cir­co­lo “Falie­ro Puc­ci”, dal 9 all’11 gen­na­io 1970. La sede era in via dei Ser­ra­gli nel quar­tie­re popo­la­re di San Fre­dia­no  e fu spes­so uti­liz­za­ta per gli appun­ta­men­ti nazionali.

Due espe­rien­ze diver­se, anche se con­ver­gen­ti sul­le mobi­li­ta­zio­ni di piaz­za e nel­lo scon­tro socia­le: Lot­ta Con­ti­nua sem­pre pro­te­sa alla cir­co­la­zio­ne ed alla gene­ra­liz­za­zio­ne del­le lot­te; Pote­re Ope­ra­io costan­te­men­te alla ricer­ca del­la stret­ta orga­niz­za­ti­va, con un dibat­ti­to qua­si osses­si­vo sul par­ti­to. Pote­re ope­ra­io è  pro­ta­go­ni­sta del­le lot­te uni­ver­si­ta­rie più radi­ca­li che han­no por­ta­to a un costan­te scon­tro poli­ti­co e fisi­co con il PCI, garan­te del­le baro­nie uni­ver­si­ta­rie e degli equi­li­bri poli­ti­ci ed eco­no­mi­ci del­la cit­tà. Le lot­te alla Facol­tà di Archi­tet­tu­ra sono sta­te un model­lo di mobi­li­ta­zio­ni che a par­ti­re dal tes­su­to uni­ver­si­ta­rio si pro­iet­ta­va­no in città.

Nei pri­mi anni di vita (1969–71) entram­be le for­ma­zio­ni pro­va­ro­no a cer­ca­re le situa­zio­ni e i sog­get­ti per tra­dur­re ter­ri­to­rial­men­te la linea poli­ti­ca nazio­na­le, ten­ta­ti­vi che si svi­lup­pa­ro­no con carat­te­ri­sti­che estre­ma­men­te diver­se. Pote­re Ope­ra­io cer­ca­va poten­zia­li “qua­dri” da inse­ri­re nel pro­prio pro­get­to di par­ti­to leni­ni­sta, ed il rap­por­to con le lot­te si foca­liz­za­va spes­so e soprat­tut­to nel­le fab­bri­che con inve­sti­men­ti di tem­po ed ener­gie per con­qui­sta­re le avan­guar­die che aves­se­ro que­ste carat­te­ri­sti­che. Dia­me­tral­men­te oppo­sta la pras­si di Lot­ta Con­ti­nua che ten­de­va ad iden­ti­fi­car­si con le lot­te in cor­so, viven­do momen­ti di gran­de inten­si­tà poli­ti­ca, socia­le ed uma­na con i pro­ta­go­ni­sti del­le stes­se ed ante­po­nen­do la gene­ra­liz­za­zio­ne del con­flit­to all’organizzazione, la cui dire­zio­ne loca­le cam­bia­va costantemente.

L’estate del 1971 rap­pre­sen­tò un pri­mo momen­to di veri­fi­ca del­lo scon­tro socia­le e dei rap­por­ti di for­za. La lot­ta par­ti­ta attor­no alla chiu­su­ra del cen­tro sfrat­ta­ti di via Guel­fa (in mag­gio­ran­za sot­to­pro­le­ta­ri e solo in pic­co­la par­te ope­rai di fab­bri­ca, che saran­no poi quel­li che spin­ge­ran­no di più nel­la lot­ta), si este­se con l’occu­pa­zio­ne degli sta­bi­li in costru­zio­ne in via Man­ni (la poli­zia sgom­be­rò lo sta­bi­le con cen­toun­di­ci iden­ti­fi­ca­ti e denun­cia­ti) e cul­mi­nò nell’occu­pa­zio­ne del­la neo­na­ta Regio­ne Tosca­na.  Il gover­no loca­le veni­va iden­ti­fi­ca­to come con­tro­par­te per la pro­pria estra­nei­tà ai biso­gni pro­le­ta­ri. La mat­ti­na del 7 luglio la Giun­ta Regio­na­le vie­ne occu­pa­ta da un cor­teo gui­da­to da fami­glie di sfrat­ta­ti. Il cor­teo ammai­na il tri­co­lo­re e innal­za le ban­die­re ros­se. Lo slo­gan è: “casa per tut­ti imme­dia­ta­men­te!” Il pre­si­den­te Lago­rio del Par­ti­to socia­li­sta ita­lia­no, dopo ore di discus­sio­ne, chie­de agli occu­pan­ti l’impegno, una vol­ta otte­nu­ti i 20 appar­ta­men­ti pro­mes­si, a non gene­ra­liz­za­re la lot­ta a “tut­ta quel­la gen­te che a Firen­ze avreb­be biso­gno di case”, otte­nen­do un net­to rifiu­to. La rea­zio­ne del Par­ti­to comu­ni­sta ita­lia­no (PCI) fu imme­dia­ta e segnò la linea repres­si­va per tut­ti gli anni suc­ces­si­vi: «la clas­se ope­ra­ia si deve mobi­li­ta­re per sgom­be­ra­re i “fasci­sti ros­si” che han­no occu­pa­to la nostra isti­tu­zio­ne». Nel pome­rig­gio ven­ne ripri­sti­na­to l’ordine e il tri­co­lo­re in Regio­ne, dove arri­vò un cor­teo ope­ra­io orga­niz­za­to dal PCI per cac­cia­re gli “squa­dri­sti”.

La mat­ti­na del gior­no dopo, 8 luglio, alla facol­tà di Let­te­re vie­ne “pro­ces­sa­to” il pro­fes­so­re Erne­sto Ragio­nie­ri, teo­ri­co e mem­bro del comi­ta­to cen­tra­le del PCI, accu­sa­to di esse­re un “baro­ne ros­so” e di esse­re un man­dan­te ideo­lo­gi­co del­la repres­sio­ne mes­sa in atto alla Regio­ne. L’iniziativa assu­me imme­dia­ta­men­te un rilie­vo nazio­na­le e vie­ne suc­ces­si­va­men­te disco­no­sciu­ta da Lot­ta Con­ti­nua, i cui mili­tan­ti ne sono sta­ti pro­ta­go­ni­sti.  

Il PCI pro­vò a met­te­re in atto lo stes­so sche­ma repres­si­vo, que­sta vol­ta in modo fal­li­men­ta­re, nel­la lot­ta di Archi­tet­tu­ra, accom­pa­gnan­do­lo da minac­ce diret­te ai com­pa­gni che le diri­ge­va­no e dan­do il pie­no soste­gno all’azione repres­si­va del­la polizia.

La con­trap­po­si­zio­ne fron­ta­le che, comun­que, carat­te­riz­zò gli anni suc­ces­si­vi non rap­pre­sen­tò mai per il PCI una linea capa­ce di con­qui­sta­re il con­sen­so ope­ra­io, come testi­mo­nia il comu­ni­ca­to del Con­si­glio di Fab­bri­ca del­la STICE(una del­le più gran­di fab­bri­che del ter­ri­to­rio) del 14 luglio 1971: “non sia­mo per­sua­si nep­pu­re del­la cor­ret­tez­za poli­ti­ca del­la libe­ra­zio­ne del­la Regio­ne, ad ope­ra di alcu­ni ope­rai di qual­che fab­bri­ca fio­ren­ti­na. Noi cre­dia­mo che la Regio­ne, come qual­sia­si altra isti­tu­zio­ne del­lo Sta­to bor­ghe­se non vada dife­sa per quel­la che è. È solo l’u­so ope­ra­io del­la Regio­ne che deve esse­re dife­so, ma, ancor pri­ma, deve esse­re con­qui­sta­to. Non si può libe­ra­re, a nome del­la clas­se ope­ra­ia, quel­lo che alla clas­se ope­ra­ia non appar­tie­ne o che addi­rit­tu­ra la clas­se ope­ra­ia non è nep­pu­re riu­sci­ta ad uti­liz­za­re per la sua lot­ta con­tro lo sfrut­ta­men­to”.  

La lot­ta per la casa si este­se e si raf­for­zò già nel novem­bre del 1971 con le occu­pa­zio­ni del­le case del­lo IACP di via del­le Sciab­bie: fu que­sta la rispo­sta miglio­re alla poli­ti­ca repres­si­va del PCI.

Le due for­ma­zio­ni, Pote­re Ope­ra­io e Lot­ta Con­ti­nua, man­ten­ne­ro un livel­lo di uni­tà, anche con le altre espres­sio­ni del­la sini­stra extra­par­la­men­ta­re, sul­le cosid­det­te sca­den­ze gene­ra­li (la mobi­li­ta­zio­ne con­tro la stra­ge di sta­to su tut­to), men­tre rima­se un’unica azio­ne comu­ne nel col­let­ti­vo ope­rai-stu­den­ti di Sesto Fio­ren­ti­no. Anche in que­sto caso l’attenzione di Pote­re Ope­ra­io era foca­liz­za­ta­la sul­la costru­zio­ne di qua­dri, con­se­guen­te­men­te sede e strut­tu­ra rima­se­ro a Lot­ta Con­ti­nua che ebbe la capa­ci­tà di radi­car­si nel tes­su­to gio­va­ni­le e stu­den­te­sco costi­tuen­do una sezio­ne ter­ri­to­ria­le che rap­pre­sen­tò negli anni uno dei pun­ti di rife­ri­men­to del­la “sini­stra” dell’organizzazione.

Lot­ta Con­ti­nua e Pote­re Ope­ra­io si con­so­lidaro­no, in misu­ra diver­sa, nel tes­su­to stu­den­te­sco e urba­no. Nono­stan­te un mas­sic­cio inter­ven­to sul­le fab­bri­che era­no poche le avan­guar­die auto­no­me pre­sen­ti negli sta­bi­li­men­ti indu­stria­li. Il tes­su­to pro­dut­ti­vo è quel­lo del­la pic­co­la e media impre­sa. L’industrializzazione leg­ge­ra (tes­si­le, abbi­glia­men­to, cera­mi­che, cal­za­tu­re, pel­let­te­ria, vetre­ria, mobi­li­fi­ci…) è la for­ma deri­va­ta dal fit­to reti­co­lo di intrec­ci fra inven­ti­va tec­ni­ca, tipi­ca del­la tra­di­zio­ne arti­gia­na, e rap­por­ti con il mer­ca­to inter­na­zio­na­le. Una filie­ra pro­dut­ti­va spe­cia­liz­za­ta nel­la pro­du­zio­ne di beni dure­vo­li per l’esportazione e par­ti­co­lar­men­te favo­ri­ta dall’aumento del dol­la­ro sul mer­ca­to dei cam­bi. Fan­no ecce­zio­ne la STICE e le par­te­ci­pa­te sta­ta­li: Nuo­vo Pigno­ne e Gali­leo su tut­te. Due fab­bri­che metal­mec­ca­ni­che che han­no attra­ver­sa­to la sto­ria del movi­men­to ope­ra­io del Nove­cen­to (dal­le occu­pa­zio­ni di fab­bri­ca del 1921, all’attività del­le cel­lu­le comu­ni­ste duran­te la resi­sten­za anti­fa­sci­sta) e con un ciclo pro­dut­ti­vo anco­ra in gran par­te lega­to alla capa­ci­tà pro­fes­sio­na­le degli ope­rai. Alla Nuo­vo Pigno­ne e alla Gali­leo, sti­pen­di e sta­tus nor­ma­ti­vo era­no net­ta­men­te supe­rio­ri a quel­li del­le pic­co­le fab­bri­che, tan­to da far conia­re l’espressione “ari­sto­cra­zia ope­ra­ia” per defi­ni­re que­sti lavo­ra­to­ri. In più il tes­su­to del­la pic­co­la e media impre­sa eser­ci­ta­va il ricat­to costan­te sul­la for­za-lavo­ro: le ordi­na­zio­ni arri­va­va­no o non arri­va­va­no, i paga­men­ti ritar­da­va­no. Tut­ti siste­mi che ren­de­va­no più dif­fi­ci­le la lot­ta ope­ra­ia. Esi­ste­va comun­que un’area di sini­stra sin­da­ca­le, mol­to nume­ro­sa che inter­lo­qui­va con la sini­stra rivo­lu­zio­na­ria fin dall’autunno cal­do. Un’area che, sot­to cer­ti aspet­ti, usa­va i grup­pi e la loro pre­sen­za gior­na­lie­ra fuo­ri dal­la fab­bri­ca per gio­car­si un equi­li­brio più avan­za­to all’interno dei Con­si­gli di fab­bri­ca. Fra il 1969 e il 1972 nasco­no diver­si Col­let­ti­vi ope­rai di zona (con pre­sen­ze in fab­bri­che come l’OTE, la STICE, la Moran­duz­zo, l’Edi­son gio­cat­to­li, la Tar­get­ti e la Super­pi­la) come a Signa e tra gli arti­gia­ni di San Frediano.

 L’egemonia della piazza

Lot­ta Con­ti­nua è pro­ta­go­ni­sta del­la mobi­li­ta­zio­ne anti­fa­sci­sta alle ele­zio­ni del­la pri­ma­ve­ra 1972, ma anche del­la pre­sen­za mas­sic­cia nel­la lot­ta dei chi­mi­ci per il rin­no­vo del con­trat­to nel­l’e­sta­te-autun­no e diven­ta la dire­zio­ne poli­ti­ca del movi­men­to di lot­ta con­tro la repres­sio­ne. La rispo­sta alle con­dan­ne ad anni di gale­ra inflit­te ai mili­tan­ti anti­fa­sci­sti per esse­re sce­si in piaz­za con­tro i comi­zi di Almi­ran­te si sal­da alla rispo­sta che il movi­men­to ope­ra­io fio­ren­ti­no sta dan­do alla repres­sio­ne poli­zie­sca e padro­na­le in fab­bri­ca duran­te la lot­ta dei chi­mi­ci: i pic­chet­ti sfon­da­ti dal­la poli­zia (Testanera, Eli Lil­ly), gli arre­sti di com­pa­gni ope­rai duran­te i pic­chet­ti (Togna­rel­li e Zap­pul­la alla Quen­tin), il licen­zia­men­to poli­ti­co del com­pa­gno Cel­li­ni alla Carapelli.

Lot­ta Con­ti­nua pro­ve­ni­va da una sta­gio­ne di gran­de inquie­tu­di­ne inter­na, con cam­bi repen­ti­ni del­le strut­tu­re diri­gen­ti ed anche del­la sede. Lascia­ta quel­la di via del Ter­zol­le, pri­ma di tra­sfe­rir­si nel­la più cen­tra­le via dell’Oriuolo (feb­bra­io 1972), vie­ne ospi­ta­ta per diver­si mesi dal cir­co­lo anar­chi­co Vec­chio Pon­te, in via San Gal­lo. All’inizio del 1972, gra­zie all’ingresso di una for­te com­po­nen­te stu­den­te­sca pro­ve­nien­te da un grup­po loca­le, ven­ne rior­ga­niz­za­to l’intervento sul­le scuo­le medie supe­rio­ri che por­tò ad una pre­sen­za capil­la­re dell’organizzazione, esplo­sa con l’uscita del quo­ti­dia­no nell’aprile 1972.  

La mas­si­fi­ca­zio­ne del­la pre­sen­za di Lot­ta Con­ti­nua nel­le scuo­le medie supe­rio­ri, nell’anno sco­la­sti­co 1972–73, ave­va gio­co for­za mes­so tut­ti d’accordo sul­la gestio­ne del­la piaz­za e ne ave­va favo­ri­to la pro­ie­zio­ne all’esterno del­le scuo­le degli stu­den­ti medi. L’organizzazione di Lot­ta Con­ti­nua nel­le scuo­le era sta­ta resa pos­si­bi­le pro­prio dal muta­men­to del­le moda­li­tà che segna­va­no la vita dei grup­pi: anzi­ché ruo­ta­re all’interno del­la sede e del­le pro­prie dina­mi­che, scor­raz­za­va­no per la cit­tà. Un’anomalia che Lot­ta Con­ti­nua sarà costret­ta a rin­cor­re­re per anni. L’antifascismo mili­tan­te ne fu il ter­re­no costi­tu­ti­vo, con un appro­fon­di­to lavo­ro di con­tro­in­for­ma­zio­ne che denun­cia­va la pene­tra­zio­ne neo­fa­sci­sta nel­le scuo­le supe­rio­ri, con un appo­si­to libret­to, ”Al ban­do i fasci­sti”, com­ple­to di foto, nomi, rela­zio­ni, com­po­si­zio­ne dei nuclei di scuo­la. La con­tro­in­for­ma­zio­ne, con­te­stual­men­te, era accom­pa­gna­ta dall’azione del “non far­li nuo­ce­re”, impe­den­do ai fasci­sti l’agibilità poli­ti­ca. In ogni scuo­la veni­va orga­niz­za­to un ser­vi­zio d’ordine di mas­sa. Que­sti era­no soste­nu­ti e affian­ca­ti da uno stru­men­to cit­ta­di­no, mobi­le, che ogni mat­ti­na si riu­ni­va alla For­tez­za da Bas­so o in qual­che altra zona cen­tra­le. Era la ”volan­te ros­sa” pron­ta a inter­ve­ni­re nel­le scuo­le dove i fasci­sti si pre­sen­ta­va­no. Non c’erano cel­lu­la­ri, non c’era nes­sun altro modo di esse­re avver­ti­ti se non di per­so­na. Era un giro con­ti­nuo di staf­fet­te, a bor­do dei Ciao, che copri­va­no le scuo­le che non era­no con­si­de­ra­te in gra­do di difen­der­si da sole. Volan­ti­nag­gi con cate­ne, spran­ghe e col­tel­li: que­sto l’armamentario usa­to dai fasci­sti davan­ti alle scuo­le. Nel giro di un anno la mili­tan­za dei fasci­sti nel­le scuo­le fu costret­ta alla clan­de­sti­ni­tà. Una lot­ta mili­tan­te esal­tan­te, costel­la­ta da scon­tri, ma anche da pro­vo­ca­zio­ni cla­mo­ro­se come i col­pi di pisto­la spa­ra­ti dai fasci­sti davan­ti al Liceo scien­ti­fi­co Castel­nuo­vo.

«Le lot­te degli stu­den­ti non sono più una novi­tà […]. Il fat­to nuo­vo sono i pro­ta­go­ni­sti, gli obiet­ti­vi di que­ste lot­te. I pro­ta­go­ni­sti del­le lot­te sono com­ple­ta­men­te cam­bia­ti, non sono più come nel ’68 gli stu­den­ti bor­ghe­si matu­ra­ti sui testi sacri del mar­xi­smo-leni­ni­smo-mao tse tung pen­sie­ro […]. Sono i gio­va­ni pro­le­ta­ri che le con­trad­di­zio­ni del capi­ta­li­smo non le sco­pro­no sui libri, ma le sen­to­no sul­la pro­pria pel­le, sul­la pel­le del­le loro fami­glie. Il loro com­por­ta­men­to rispet­to alla lot­ta non si misu­ra più a par­ti­re dall’estraneità ai con­te­nu­ti del­lo stu­dio, ma a par­ti­re dall’estraneità, dal rifiu­to poli­ti­co del­la socie­tà bor­ghe­se, con­qui­sta­to nel­la vita socia­le che egli svol­ge (il gio­va­ne stu­den­te non vive cer­to in fun­zio­ne del­la scuo­la, anzi, la scuo­la si tro­va ai mar­gi­ni dei suoi inte­res­si, dei suoi pen­sie­ri). La nuo­va avan­guar­dia di mas­sa è il gio­va­ne che all’interno dei quar­tie­ri pro­le­ta­ri fin da pic­co­lo acqui­sta quel­la cari­ca ever­si­va che por­ta con sé nel­la lot­ta, fin da quan­do ha a che fare con la poli­zia per­ché gio­ca a cal­cio in piaz­za, o va in due su un moto­ri­no, fin da quan­do distin­gue la socie­tà in stron­zi sfrut­ta­to­ri e in pro­le­ta­ri sfrut­ta­ti. È il gio­va­ne che si scon­tra con la poli­zia per non paga­re il bigliet­to ai con­cer­ti pop. È il gio­va­ne che rico­no­sce nel­la pra­ti­ca dell’antifascismo mili­tan­te (dagli scon­tri ai comi­zi fasci­sti, al pestag­gio dei fasci­sti e degli aguz­zi­ni del luo­go) un ele­men­to costan­te del­la sua vita» (da: “Nasce una nuo­va gene­ra­zio­ne di stu­den­ti medi”, Sesto Fio­ren­ti­no, mag­gio 1973).

Autonomia

Il pro­ces­so di costi­tu­zio­ne dell’area dell’Autonomia fa tap­pa a Firen­ze nel gen­na­io 1973. L’occasione è la riu­nio­ne che deci­de le moda­li­tà di con­vo­ca­zio­ne e le linee di dibat­ti­to del­la “riu­nio­ne nazio­na­le del­le for­me di auto­no­mia ope­ra­ia orga­niz­za­ta” in pro­gram­ma a Bolo­gna il 3–4 marzo.

Due le situa­zio­ni ope­ra­ie fio­ren­ti­ne che par­te­ci­pa­no al con­ve­gno di Bolo­gna: la Gali­leo e la Cara­pel­li. Fab­bri­che dove non esi­sto­no grup­pi ope­rai orga­niz­za­ti, ma dove sono pre­sen­ti sog­get­ti­vi­tà signi­fi­ca­ti­ve. Lucia­no Arri­ghet­ti, lo sto­ri­co, in tut­ti i sen­si del ter­mi­ne, ope­ra­io del­la Gali­leo, cul­to­re del­la scien­za ope­ra­ia fin dal­la sua par­te­ci­pa­zio­ne alla rivi­sta Clas­se ope­ra­ia. Il Cel­li­ni, avan­guar­dia del­la Cara­pel­li che si era distin­to duran­te la lot­ta con­trat­tua­le dei chi­mi­ci e che ave­va subì­to un licen­zia­men­to poli­ti­co dal­la fab­bri­ca. Gli altri lavo­ra­no in posti trop­po pic­co­li per azzar­da­re la fir­ma in cal­ce al documento.

In cit­tà ci sono più aree mili­tan­ti che discu­to­no, den­tro e fuo­ri dai grup­pi, su come dare sboc­co alla situa­zio­ne di stal­lo poli­ti­co-orga­niz­za­ti­vo e usci­re dal­la cri­stal­liz­za­zio­ne grup­pu­sco­la­re. Sog­get­ti diver­si che si pon­go­no i mede­si­mi pro­ble­mi. Stan­chi dei discor­si e di una pra­ti­ca che si ridu­ce al mero pro­pa­gan­di­smo del­le idee o, tutt’al più, ad ampli­fi­ca­re i con­te­nu­ti più avan­za­ti del­le lot­te. C’è il Cir­co­lo comu­ni­sta anar­chi­co Dur­ru­ti, stan­co del­la testi­mo­nian­za a cui paio­no limi­tar­si i liber­ta­ri; c’è il Grup­po Gram­sci, tes­su­to di pro­le­ta­ria­to extra lega­le poli­ti­ciz­za­to­si nel­le rivol­te car­ce­ra­rie. Cul­tu­re poli­ti­che radi­ca­li e dif­fe­ren­ti moda­li­tà di ribel­lio­ne che non pos­so­no esse­re con­te­nu­te nel­la vita dei grup­pi. Sono «sini­stre del fare» non impri­gio­na­bi­li nel­la ver­bo­si­tà agi­ta­to­ria del­la sini­stra extraparlamentare.

Lo scio­gli­men­to del Grup­po Gram­sci, per pra­ti­ca­re «l’organizzazione dell’autonomia», anti­ci­pa quel­lo di Pote­re Ope­ra­io (sarà un pro­ces­so lun­go, a Firen­ze, resi­sto­no spez­zo­ni di grup­po come il Col­let­ti­vo per il pote­re ope­ra­io)  e segna l’inizio del­la dis­so­lu­zio­ne dei grup­pi. L’ingresso del Grup­po Gram­sci  nell’area dell’autonomia por­te­rà (in una situa­zio­ne dove la sua pre­sen­za era rela­ti­va come a Firen­ze, con sede in un fon­do di via San Zano­bi) a impor­tan­ti novi­tà di pra­ti­ca e di pen­sie­ro. La pra­ti­ca fem­mi­ni­sta, innan­zi­tut­to, come auto­no­mia dal maschi­le. I grup­pi d’auto­co­scien­za, la rete clan­de­sti­na per soste­ne­re gli abor­ti, la spin­ta all’apertura dei pri­mi con­sul­to­ri auto­ge­sti­ti sono i pri­mi effet­ti del­le ini­zia­ti­ve fem­mi­ni­ste comin­cia­te a caval­lo tra la fine del 1970 e l’inizio del 1971. Una stra­da che gene­ra­zio­ni di com­pa­gne pra­ti­che­ran­no negli anni suc­ces­si­vi e che si affer­me­rà con for­za impe­tuo­sa impo­nen­do la con­trad­di­zio­ne di gene­re, con effet­ti spes­so lace­ran­ti in ogni ambi­to organizzato.

Il Grup­po Gram­sci por­ta nell’autonomia fio­ren­ti­na una pre­sen­za stu­den­te­sca, ridot­ta ma signi­fi­ca­ti­va in alcu­ni isti­tu­ti come il III Liceo e l’Agra­rio. Vie­ne uti­liz­za­ta la sigla Col­let­ti­vi poli­ti­ci auto­no­mi e dif­fu­so Ros­so, non più orga­no del grup­po, ma «gior­na­le den­tro il movimento».

Il Gram­sci è sta­to, nel­la sua ulti­ma fase, anche un ter­re­no di spe­ri­men­ta­zio­ne sui lin­guag­gi di comu­ni­ca­zio­ne e sul­le cri­ti­che alle for­me del vive­re che per­pe­tua­no la socie­tà capi­ta­li­sti­ca. La cri­ti­ca all’istituzione “fami­glia” dà ori­gi­ne a una cam­pa­gna per­ma­nen­te a ope­ra del col­let­ti­vo con­tro­cul­tu­ra, impe­gna­to anche nel­le spe­ri­men­ta­zio­ni comu­ni­ca­ti­ve: dai muri alle varie moda­li­tà espres­si­ve. Il rap­por­to fra movi­men­to e arte in que­gli anni è sta­to spes­so bana­liz­za­to sul­la figu­ra del can­tau­to­re di tur­no o di qual­cun altro che met­te­va in rima poli­ti­ca qual­che accor­do. In real­tà la rot­tu­ra pro­vo­ca­ta dai movi­men­ti, come rot­tu­ra anche sim­bo­li­ca dell’ordine pro­dut­ti­vo capi­ta­li­sti­co, ha inve­sti­to in que­gli anni tut­te le isti­tu­zio­ni: dall’esercito all’ospedale psi­chia­tri­co, dal­la gale­ra alla scuo­la. Tut­ti luo­ghi che adde­stra­va­no alla disci­pli­na di fab­bri­ca e alla divi­sio­ne del lavo­ro fra manua­le e intel­let­tua­le. Quel­la cri­ti­ca pra­ti­ca ha segna­to pesan­te­men­te la pro­du­zio­ne arti­sti­ca: cine­ma, foto­gra­fia, l’arte pove­ra e popo­la­re, i fumet­ti, le for­me nar­ra­ti­ve, le tec­ni­che di comu­ni­ca­zio­ne di mas­sa: nasco­no allo­ra le radio libere.

La Firen­ze, dove agi­sce incom­pre­so ai più il col­let­ti­vo con­tro­cul­tu­ra, è la stes­sa cit­tà in cui si rea­liz­za un ten­ta­ti­vo di far incon­tra­re e cono­sce­re le arti­ste e gli arti­sti del­la nuo­va avan­guar­dia e le loro ope­re anti­si­ste­mi­che come la gal­le­ria AREA aper­ta da Lot­ta con­ti­nua, gra­zie a Pao­lo Mar­chi, Bru­no Corà, Miche­le Gui­du­gli.

Santa Croce

È nel popo­la­re quar­tie­re di San­ta Cro­ce, dove già han­no la loro sede diver­si grup­pi del­la sini­stra extra­par­la­men­ta­re, che vie­ne aper­ta la pri­ma sede autonoma.

San­ta Cro­ce por­ta nel­le sue stra­de i segni dell’alluvione del 1966, con l’acqua dell’Arno che inva­de la cit­tà rag­giun­gen­do oltre quat­tro metri d’altezza. Un’alluvione che ha inse­gna­to ai fio­ren­ti­ni ad autor­ga­niz­zar­si sen­za aspet­ta­re l’aiuto del­lo Sta­to per risol­le­var­si; a non aver pre­giu­di­zi sui «capel­lo­ni» che afflui­sco­no a spa­la­re via il fan­go dal­la cit­tà. Un’alluvione che ha anti­ci­pa­to la rior­ga­niz­za­zio­ne capi­ta­li­sti­ca dell’asse urba­no, anche gra­zie alla redi­stri­bu­zio­ne clas­si­sta dei «rim­bor­si» con il ridi­men­sio­na­men­to del­le pic­co­le bot­te­ghe arti­gia­na­li. Ini­zia il pro­ces­so di espul­sio­ne degli stra­ti pro­le­ta­ri dal cen­tro sto­ri­co che vie­ne con­sa­cra­to ai pro­fit­ti del com­ples­so turi­sti­co-alber­ghie­ro e del gran­de commercio.

A poche cen­ti­na­ia di metri da piaz­za San­ta Cro­ce c’è il cine­ma popo­la­re Alfie­ri, dive­nu­to poi Alfie­ri Ate­lier. Al pub­bli­co dei ragaz­zi­ni e degli anzia­ni del quar­tie­re si uni­sco­no le com­pa­gne e i com­pa­gni che fre­quen­ta­no la zona. La pro­gram­ma­zio­ne cine­ma­to­gra­fi­ca non era deci­sa­men­te all’avanguardia. Il pub­bli­co non dimi­nui­va se inve­ce del “Padri­no” o del­la “Stan­ga­ta” c’era qual­che boia­ta ita­li­ca. Cam­bia­va il modo di sta­re in sala, dove pren­de­va­no cor­po veri e pro­pri sketch, che for­se sareb­be più cor­ret­to defi­ni­re tor­men­to­ni. Un uso inte­rat­ti­vo del cine­ma. Una tra­di­zio­ne che si ripro­por­rà, con una pro­gram­ma­zio­ne diver­sa, ad hoc per il movi­men­to, negli anni suc­ces­si­vi al cine­ma Uni­ver­sa­le di via Pisana.

Il 24 feb­bra­io 1974 scop­pia una rivol­ta nel car­ce­re le Mura­te. Un grup­po di dete­nu­ti si arram­pi­ca sul tet­to per mani­fe­sta­re con­tro l’infinita atte­sa del­la rifor­ma car­ce­ra­ria, mil­le vol­te pro­mes­sa. Una raf­fi­ca di mitra, spa­ra­ta da un agen­te di custo­dia, ucci­de il dete­nu­to Gian­car­lo Del Padro­ne, 20 anni; altri quat­tro riman­go­no feri­ti. I dete­nu­ti resta­no sui tet­ti, il quar­tie­re di San­ta Cro­ce soli­da­riz­za con loro. La rivol­ta e l’assassinio di Gian­car­lo diven­ta­no la can­zo­ne  “Le Mura­te”, del Col­let­ti­vo Vic­tor Jara, una strut­tu­ra musi­ca­le e tea­tra­le di soste­gno al movi­men­to: «giu­sti­zia sarà fat­ta, fuo­ri e den­tro le prigioni».

Nel quar­tie­re vive, accan­to a stu­den­ti fuo­ri sede e arti­gia­ni, quel pro­le­ta­ria­to extra lega­le che cam­pa di espe­dien­ti: dai fur­ti negli appar­ta­men­ti e nel­le vil­le, al lavo­ro nel­le bische. Con­di­zio­ni di vita ai mar­gi­ni del­la mala­vi­ta: il car­ce­re era per loro un tap­pa obbli­ga­ta di pas­sag­gio, un pun­to di rife­ri­men­to del­le loro esi­sten­ze. Gen­te che entra ed esce dal car­ce­re, por­ta fuo­ri la comu­ni­ca­zio­ne e i salu­ti, e si avvi­ci­na al movi­men­to per­ché le lot­te car­ce­ra­rie l’hanno in qual­che modo politicizzata.

La rivol­ta del­le Mura­te è soste­nu­ta dall’esterno: gli strac­ci con il san­gue di Gian­car­lo e dei feri­ti ven­go­no get­ta­ti dai tet­ti e diven­ta­no gli stri­scio­ni con cui si mani­fe­sta sot­to il car­ce­re, strin­gen­do­lo d’assedio. Una dome­ni­ca da cani, di rab­bia infi­ni­ta. Lot­ta Con­ti­nua dà l’indicazione di abban­do­na­re l’assedio al car­ce­re, ma nem­me­no i suoi mili­tan­ti la seguo­no. È la con­fer­ma di quel­lo che si sape­va già da tem­po: con le rivol­te del luglio ’73 l’avanguardia dei dete­nu­ti ave­va rot­to con la Com­mis­sio­ne car­ce­ri di Lot­ta Con­ti­nua, dopo anni di lavo­ro comu­ne, sin­te­tiz­za­ti dall’esperienza rac­con­ta­ta dal volu­me “Libe­ra­re tut­ti i dan­na­ti del­la ter­ra. All’interno del­le pri­gio­ni la poli­ti­ciz­za­zio­ne anti­ca­pi­ta­li­sta era avve­nu­ta con il pas­sag­gio dall’esperienza dell’esproprio sin­go­lo alla con­vin­zio­ne del­la neces­si­tà di espro­pria­re tut­ta la clas­se degli sfrut­ta­to­ri. La coscien­za di mas­sa dei dete­nu­ti pone­va il pro­ble­ma di un livel­lo di orga­niz­za­zio­ne diver­so da quel­lo del­la denun­cia e del­la lot­ta per la rifor­ma dell’ordinamento car­ce­ra­rio. Il car­ce­re dove­va diven­ta­re una “base ros­sa”, per rom­pe­re i muri dell’isolamento con la società.

La not­ta­ta fini­sce con scon­tri duris­si­mi segui­ti dai rastrel­la­men­ti del­la poli­zia, con il quar­tie­re intos­si­ca­to dai lacrimogeni.

Di sicu­ro il rap­por­to con que­ste sog­get­ti­vi­tà e le loro pra­ti­che fu di for­te impat­to su gio­va­ni accul­tu­ra­ti, oltre che for­te­men­te poli­ti­ciz­za­ti. Oltre all’odio ideo­lo­gi­co ver­so la for­ma Sta­to e il domi­nio del capi­ta­le, veni­va­no cono­sciu­ti i mul­ti­for­mi accor­gi­men­ti del pro­cu­rar­si un red­di­to sen­za ingras­sa­re un padro­ne: dal­le die­ci­mi­la lire fal­se al rispon­de­re in modo uni­vo­co al reto­ri­co inter­ro­ga­ti­vo di Ber­told Bre­cht: ”è più cri­mi­na­le fon­da­re una ban­ca o rapi­na­re una banca’’.

Sui tet­ti del car­ce­re del­le Mura­te, in quei gior­ni di fine feb­bra­io, a par­la­re con i dimo­stran­ti che si sono radu­na­ti sot­to il peni­ten­zia­rio, c’è Gian­car­lo Paga­ni, pro­le­ta­rio comu­ni­sta. Uno di quel­li che non si tira­va mai indie­tro quan­do c’era da rischia­re, fos­se in cor­teo o con­tro un comi­zio fasci­sta. Gian­car­lo face­va par­te di un giro pro­le­ta­rio che ave­va anti­ci­pa­to l’esistenza del­la sini­stra extra­par­la­men­ta­re. Arti­gia­ni, pro­le­ta­ri auto­di­dat­ti, altri sog­get­ti che vive­va­no d’espedienti pur man­te­nen­do­si a distan­za dal­la mala­vi­ta. Com­pa­gni che negli anni si divi­se­ro, andan­do ognu­no per la loro stra­da, ma che ave­va­no dato vita ad espe­rien­ze asso­lu­ta­men­te ori­gi­na­li come quel­la del­la Lega Spar­ta­co, un rifiu­to dei grup­pi all’insegna del­la neces­sa­ria radi­ca­li­tà del­la rivol­ta, mes­sa in pie­di dall’inesauribile Pie­rot­to, ope­ra­io dei ser­vi­zi edu­ca­to al comu­ni­smo dal miti­co Bor­di­ga, e poi ani­ma­to­re del Comi­ta­to pro­le­ta­rio di Casel­li­na. Mol­ti di que­sti com­pa­gni ave­va­no fini­to per tra­sfor­ma­re la mode­sta trat­to­ria Schiop­po, in via degli Alfa­ni, in una vera e pro­pria sede. Pas­sa­vi di lì e ti nutri­vi più di lezio­ni pro­le­ta­rie («il movi­men­to di mas­sa ripar­te sem­pre da dove si è fer­ma­to nel pre­ce­den­te ciclo di lot­te»), di qual­che libro od ogget­to a buon prez­zo che di cibo, a buon mer­ca­to, solo per la gran fame e le poche lire in tasca.

Gian­car­lo era sta­to arre­sta­to nel dicem­bre 1973 per un espro­prio a un ore­fi­ce in via degli Alfa­ni, una zona dove era di casa. Vie­ne fer­ma­to e arre­sta­to dopo un inse­gui­men­to a pie­di. Qual­che mese dopo fini­sce sot­to pro­ces­so. Gian­car­lo non era uno di quel­li abi­tua­ti a camuf­fa­re i pro­pri com­por­ta­men­ti, né tan­to­me­no a fare i con­ti con l’entità del­le con­dan­ne. Nell’aula giu­di­zia­ria Paga­ni riven­di­ca il dirit­to dei pro­le­ta­ri all’esproprio «Non sarà la con­dan­na che mi dare­te a far­mi sen­ti­re in tor­to […]. L’impressione che mi fate è la soli­ta di quan­do ero bam­bi­no – che mi por­ta­va­no a vede­re il tea­tri­no dove c’erano tan­te mario­net­te che veni­va­no tira­te con i fili. Non aven­do nient’altro da dire vi ram­men­to che l’unica vali­da giu­sti­zia è quel­la proletaria».

«Paga­ni libe­ro!», è il volan­ti­no che dif­fon­de, anche in tri­bu­na­le, il Col­let­ti­vo Jack­son, nato nell’autunno del 1974 con sede in via dell’Agnolo 17/​R  e che ave­va già stam­pa­to un bol­let­ti­no ciclo­sti­la­to:  «Col san­gue agli occhi».

L’area che cer­ca­va una pro­pria for­ma orga­niz­za­ta lo face­va comun­que attor­no alla cen­tra­li­tà del­la figu­ra ope­ra­ia. Sen­za vive­re le con­trad­di­zio­ni del­le gros­se fab­bri­che del nord le avan­guar­die ope­ra­ie ave­va­no  ben chia­ro che il rap­por­to grup­po-dire­zio­ne poli­ti­ca ester­na alla clas­se è un mec­ca­ni­smo che li sfian­ca­va in un lavo­ro di retro­guar­dia, tra­sfor­man­do­li da pro­ta­go­ni­sti in mega­fo­ni uma­ni del­le giu­ste paro­le d’ordine. Per que­sto, anche nel mode­ra­ti­smo del­le lot­te ope­ra­ie dell’area fio­ren­ti­na, qual­co­sa si muo­ve­va, par­ten­do dal fat­to che la clas­se ope­ra­ia era anco­ra all’attacco. Può esse­re la Gover dell’Osmannoro o la Tipo­co­lor di Calen­za­no: quan­do c’è uno scio­pe­ro o una ver­ten­za aper­ta i capi repar­to dove­va­no misu­ra­re paro­le e com­por­ta­men­ti, altri­men­ti, come mini­mo, tor­na­va­no a casa a pie­di. I ricat­ti del­le dire­zio­ni azien­da­li non passano.

Le figu­re ope­ra­ie che par­te­ci­pa­no al pro­ces­so di orga­niz­za­zio­ne auto­no­ma non sono nume­ro­se. C’è comun­que un patri­mo­nio rap­pre­sen­ta­to dal­le lot­te e dai pic­chet­ti di mas­sa che accom­pa­gna­no le ver­ten­ze con­trat­tua­li,  come quel­la del­la STICE: “Chia­mia­mo auto­no­mia ope­ra­ia la capa­ci­tà del­la clas­se ope­ra­ia di lot­ta­re e orga­niz­zar­si auto­no­ma­men­te per le sue esi­gen­ze mate­ria­li”. A Firen­ze per la mino­re quan­ti­tà e con­ti­nui­tà del­le lot­te, il limi­te che si era riscon­tra­to e che ave­va avu­to un peso deci­si­vo era sta­to l’isolamento più asso­lu­to in cui si era­no tro­va­te le diver­se real­tà in lot­ta: que­sto era val­so tan­to per la STICE  quan­to per le pic­co­le fab­bri­che che ogni tan­to alza­va­no la testa (per esem­pio la Tar­get­ti duran­te il con­trat­to metal­mec­ca­ni­ci 1973, e a otto­bre ’73 sul­la ver­ten­za azien­da­le). Iso­la­men­to a livel­lo cit­ta­di­no, ma anche a livel­lo nazio­na­le (la STICE dal resto del grup­po Zanus­si, la Fiat di Firen­ze dagli altri sta­bi­li­men­ti) pas­san­do anche attra­ver­so la sem­pli­ce disin­for­ma­zio­ne di ciò che acca­de­va nel­le altre real­tà. Per supe­ra­re que­sti limi­ti alcu­ni com­pa­gni ten­ta­ro­no di dar vita a orga­ni­smi ope­rai che si riu­ni­va­no in sedi diver­se di grup­pi e par­ti­ti. Espe­rien­ze ne sono sta­te fat­te diver­se, ma non han­no avu­to con­ti­nui­tà,  sia che si trat­tas­se del CPO dell’Osmannoro, sia del Col­let­ti­vo ope­ra­io di Firen­ze, sia del­la Sini­stra sin­da­ca­le, sia del Grup­po ope­ra­io del­la STICE, sia del Col­let­ti­vo ope­ra­io Pdup-Mani­fe­sto di Rifre­di.

Dal­la pro­po­sta poli­ti­ca avan­za­ta nel luglio del 1974 all’interno del dibat­ti­to operaio:

«Noi sia­mo un grup­po di com­pa­gni pro­ve­nien­ti da alcu­ne di que­ste espe­rien­ze orga­niz­za­ti­ve. Secon­do noi que­sti orga­ni­smi non han­no avu­to con­ti­nui­tà per­ché sono sor­ti per esi­gen­za ideo­lo­gi­ca di alcu­ni grup­pi e non per esi­gen­za mate­ria­le del­la clas­se ope­ra­ia, cioè orga­niz­za­re i biso­gni ope­rai. E tut­to que­sto per­ché la pre­sun­zio­ne dei grup­pi di ave­re una linea com­ples­si­va che dica tut­to su tut­to, met­ta insie­me l’operaio del­le pic­co­le fab­bri­che con quel­lo del­le gros­se, il metal­mec­ca­ni­co con il chi­mi­co, l’operaio e lo stu­den­te face­va sì che la discus­sio­ne o era uno scon­tro di linee poli­ti­che gene­ra­li tra grup­pi (per cui veni­va­no esclu­si gli ope­rai che non mili­ta­va­no nei grup­pi o il grup­po più debo­le) oppu­re il dibat­ti­to era com­ple­ta­men­te gesti­to da un grup­po (per cui veni­va­no esclu­si tut­ti quel­li che non si rico­no­sce­va­no in quel­la linea poli­ti­ca). Il risul­ta­to che si è otte­nu­to è sta­to quel­lo di spac­ca­re tut­ti que­sti orga­ni­smi e di aver­li usa­ti solo per ingras­sa­re la pro­pria orga­niz­za­zio­ne. Secon­do noi l’ottica va com­ple­ta­men­te rove­scia­ta: non un grup­po di com­pa­gni che ela­bo­ra ester­na­men­te al movi­men­to una linea, che poi mol­to spes­so si rile­va teo­ria, ideo­lo­gia e in con­cre­to cosa non gesti­bi­le dai lavo­ra­to­ri in pri­ma per­so­na. Ma un pro­gram­ma, del­le pro­po­ste che ven­ga­no ela­bo­ra­te e veri­fi­ca­te dal­le espe­rien­ze di ogni sin­go­la situa­zio­ne. Un pro­gram­ma e del­le pro­po­ste che nascen­do e veri­fi­can­do­si nel movi­men­to di cui si è par­te sia­no sem­pre pra­ti­ca­bi­li e gesti­bi­li dagli ope­rai in pri­ma persona» .

Nell’estate del 1974 si svi­lup­pa, a San Bar­to­lo a Cin­to­ia, un movi­men­to di occu­pa­zio­ne del­le case sen­za pre­ce­den­ti: 96 appar­ta­men­ti, 600 pro­le­ta­ri pro­ta­go­ni­sti, un brac­cio di fer­ro dura­to per mesi e con­clu­so con la requi­si­zio­ne degli immo­bi­li da par­te del Comu­ne di Firenze.

Luca Mantini

«Il 29 otto­bre una rapi­na alla Cas­sa di Rispar­mio di Firen­ze si con­clu­de tra­gi­ca­men­te. I cara­bi­nie­ri sono a cono­scen­za del­la rapi­na, si appo­sta­no, e con fred­da deter­mi­na­zio­ne ucci­do­no due ‘rapi­na­to­ri’ che sono den­tro la mac­chi­na, feri­sco­no gli altri due che in segui­to sono cat­tu­ra­ti. Le peri­zie bali­sti­che par­la­no chia­ro: sono sta­ti col­pi­ti con armi di gran­de pre­ci­sio­ne da mili­ti che era­no ben appo­sta­ti. Il mas­sa­cro volu­to e con­cer­ta­to dal­lo Sta­to sem­bra con­clu­der­si con le con­gra­tu­la­zio­ni del Pci di Firen­ze e con le soli­te pro­mo­zio­ni dei cara­bi­nie­ri che vi han­no pre­so par­te. Ma c’è un par­ti­co­la­re: i ‘rapi­na­to­ri’ assas­si­na­ti sono due mili­tan­ti rivo­lu­zio­na­ri, due com­pa­gni cono­sciu­ti e sti­ma­ti: Ser­gio Romeo di Napo­li e Luca Man­ti­ni di Firen­ze […]. Luca e Ser­gio ave­va­no fat­to entram­bi, dopo la loro espe­rien­za di ex dete­nu­ti e di ex Lot­ta Con­ti­nua, la scel­ta di orga­niz­za­re i NAP, una for­ma­zio­ne clan­de­sti­na che si inte­res­sa prin­ci­pal­men­te del­le car­ce­ri e del­la vio­len­za bor­ghe­se […]. Non delin­quen­ti comu­ni, pro­vo­ca­to­ri o ribel­li, ma com­pa­gni che ave­va­no scel­to una stra­da da cui si può dis­sen­ti­re solo per l’immaturità del momen­to e per l’improvvisazione dell’organizzazione che ha lascia­to ampi var­chi al ter­ro­ri­smo poli­zie­sco. I loro erro­ri, la loro vita sono patri­mo­nio di noi tut­ti, per que­sto li difen­dia­mo come inter­ni al lun­go e tor­tuo­so cam­mi­no rivo­lu­zio­na­rio»  (da Ros­so n.15).

In tre­cen­to accom­pa­gna­ro­no la sal­ma di Luca Man­ti­ni spe­ri­men­tan­do le nuo­ve tec­no­lo­gie a dispo­si­zio­ne del­la sbir­ra­glia. Il video tape, che pro­prio in quel perio­do Pio Bal­del­li e Clau­dio Popo­vich ini­zia­va­no a spie­gar­ci come uti­le stru­men­to del­la con­tro­in­for­ma­zio­ne di clas­se per regi­stra­re inchie­ste e com­por­ta­men­ti di lot­ta, sche­da­va uno per uno i par­te­ci­pan­ti al fune­ra­le. Ripre­se che non ave­va­no pie­tà del­la mor­te e del dolo­re e che anti­ci­pa­va­no il futu­ro: quel­lo di un appa­ra­to poli­zie­sco dedi­to a entra­re in ogni mean­dro del­la nostra esi­sten­za per tra­sfor­mar­lo in lega­me asso­cia­ti­vo. Nien­te di fron­te alla luci­da deci­sio­ne di Anna Maria Man­ti­ni di dare con­ti­nui­tà alla scel­ta del fra­tel­lo fuci­la­to: “lot­ta arma­ta fino alla vittoria”

La mor­te di Luca gene­rò uno scon­quas­so. Man­ti­ni era un mili­tan­te rico­no­sciu­to, nes­su­no pote­va par­la­re di “infil­tra­to” o into­na­re la can­ti­le­na del “a chi gio­va”. Luca ave­va mili­ta­to per oltre due anni in Lot­ta Con­ti­nua, era sta­to arre­sta­to a Pra­to in un rastrel­la­men­to al ter­mi­ne di un comi­zio del Msi nel­la cam­pa­gna elet­to­ra­le del­la pri­ma­ve­ra ’72 e con­dan­na­to a due anni e otto mesi,  nell’onda nera del­la repres­sio­ne orche­stra­ta dal pro­cu­ra­to­re del­la Repub­bli­ca di Firen­ze Cala­ma­ri: oltre ses­san­ta arre­sti, miglia­ia di denun­ce, deci­ne di anni di gale­ra con­tro gli anti­fa­sci­sti – una cam­pa­gna elet­to­ra­le con­clu­sa­si con l’assassinio dell’anarchico Fran­co Seran­ti­ni lascia­to mori­re sen­za cure nel car­ce­re di Pisa, dopo esse­re sta­to pesta­to e arre­sta­to il 5 mag­gio per esse­re sce­so in piaz­za con­tro il comi­zio del Msi.

Luca ha per­se­gui­to le pro­prie idee: il ten­ta­ti­vo di dota­re il pro­le­ta­ria­to ita­lia­no di un orga­niz­za­zio­ne simi­le alle Pan­te­re nere. Per Luca la lot­ta arma­ta non era il fine, era il mez­zo attra­ver­so cui l’autonomia ope­ra­ia e pro­le­ta­ria, e con essa i dan­na­ti del­la ter­ra, apri­va­no var­chi e spa­zi per la loro ini­zia­ti­va, per la rivo­lu­zio­ne. La strut­tu­ra di lavo­ro in cui mili­ta­va e che ave­va for­te­men­te volu­to era il Col­let­ti­vo  Jack­son. L’obiettivo pri­ma­rio che si era posto era quel­lo di rom­pe­re l’isolamento del­le lot­te dei dete­nu­ti a Firen­ze. La soli­da­rie­tà mostra­ta in cit­tà nei con­fron­ti del­la rivol­ta di feb­bra­io ave­va mostra­to la fon­da­tez­za del suo impegno.

L’esecuzione di piaz­za Alber­ti segnò una linea di non ritor­no in cit­tà. Una linea dif­fi­cil­men­te attra­ver­sa­bi­le. Il Jack­son riven­di­cò, sen­za mez­zi ter­mi­ni, la figu­ra dei com­pa­gni assas­si­na­ti e di quel­li arre­sta­ti, e la con­se­quen­zia­li­tà tra mili­tan­za comu­ni­sta e azio­ne di espro­prio. Le for­ze del­lo Sta­to usa­ro­no l’azione come mol­la per setac­cia­re la nascen­te area dell’autonomia. L’antiterrorismo, che pre­sto diver­rà il Ser­vi­zio di Sicu­rez­za diret­to da San­til­lo, si inse­diò in cit­tà. Per­qui­si­zio­ni, inter­ro­ga­to­ri, pedi­na­men­ti… L’impatto del­la repres­sio­ne pro­vo­cò il suo effet­to prin­ci­pa­le: quel­lo di sepa­ra­re, divi­de­re, far dif­fi­da­re l’uno dell’altro azze­ran­do le pre­ce­den­ti comu­nan­ze. La cul­tu­ra del sospet­to fece il resto, ali­men­ta­ta da dichia­ra­zio­ni, «la rapi­na era sta­ta deci­sa in assem­blea», che con­fon­de­va­no l’azione con la riven­di­ca­zio­ne del­la legit­ti­mi­tà del «pren­der­si i sol­di dove i capi­ta­li­sti li depo­si­ta­no con­tro di noi». La sto­ria dell’autonomia pare­va già fini­ta pri­ma di nasce­re, stri­to­la­ta dal­la rela­zio­ne auto­no­mia e lot­ta armata.

L’effetto prin­ci­pa­le non fu quel­lo, peral­tro rile­van­te, di spar­pa­glia­re chi pro­va­va ad aggre­gar­si, ma quel­lo di fun­zio­na­re da fre­no per rot­tu­re che pare­va­no immi­nen­ti come quel­la inter­na a Lot­ta Con­ti­nua. Se la pro­spet­ti­va era quel­la dei NAP tan­to vale­va rima­ne­re all’interno di un grup­po che, su sca­la loca­le, garan­ti­va un suf­fi­cien­te radi­ca­men­to per l’esercizio del­la for­za in chia­ve anti­fa­sci­sta e con­tro le gerar­chie di scuo­la e di fab­bri­ca. 

La paghi la Sip? Nop!

La fine del 1974 segnò l’avvio di una del­le più for­mi­da­bi­li rispo­ste all’uso capi­ta­li­sti­co del­la cri­si: il movi­men­to dell’auto­ri­du­zio­ne del­le bol­let­te Enel e Sip. I comi­ta­ti ter­ri­to­ria­li cre­sco­no da Var­lun­go a Sesto Fio­ren­ti­no, inte­res­san­do ogni quar­tie­re. In ogni comi­ta­to si crea una dia­let­ti­ca nuo­va: vec­chi mili­tan­ti dei grup­pi e nuo­ve sog­get­ti­vi­tà auto­no­me discu­to­no su come orga­niz­zar­si. In alcu­ni casi, come a San­ta Cro­ce, per l’attività del comi­ta­to è fon­da­men­ta­le il ban­chi­no. Vie­ne piaz­za­to davan­ti alle poste di via Pie­tra­pia­na, il secon­do uffi­cio per ampiez­za in cit­tà, e inter­cet­ta, con la pro­po­sta e i modu­li dell’autoriduzione, chi va a paga­re le bol­let­te. Il ban­chi­no fa lo stes­so ora­rio dell’ufficio e nel “comi­ta­to” mili­tan­ti dei grup­pi e dell’autonomia lavo­ra­no fian­co a fian­co. Il ter­re­no d’azione comu­ne è quel­lo del­la riap­pro­pria­zio­ne, dell’esercizio del con­tro­po­te­re: la deci­sio­ne dal bas­so di quan­to paga­re sul­le tarif­fe, di che per­cen­tua­le del sala­rio desti­na­re alle bol­let­te. A Sesto, per fare un altro esem­pio, per la dif­fu­sio­ne dell’autoriduzione ven­go­no uti­liz­za­te le for­me di orga­niz­za­zio­ne già esi­sten­ti: dal­la rete di dele­ga­ti di fab­bri­ca ai comi­ta­ti di caseg­gia­to, dal­le sedi poli­ti­che e sin­da­ca­li alle piaz­ze. La mobi­li­ta­zio­ne pro­le­ta­ria vede pro­ta­go­ni­sti ope­rai e casa­lin­ghe, pen­sio­na­ti e arti­gia­ni, e impe­di­sce all’Enel di pro­ce­de­re agli stac­chi – la socie­tà non era anco­ra infor­ma­tiz­za­ta. Ven­go­no orga­niz­za­ti tur­ni di guar­dia, stra­da per stra­da, per impe­di­re l’accesso ai fur­gon­ci­ni Enel che por­ta­no le squa­dre addet­te al distac­co. Una vicen­da che andrà avan­ti per un anno, con la cre­sci­ta del dibat­ti­to nei comi­ta­ti: si par­la di cri­si e di pro­spet­ti­va poli­ti­ca. I grup­pi del­la sini­stra extra­par­la­men­ta­re sono ora­mai domi­na­ti dall’autonomia del poli­ti­co, per cui toc­ca a que­sti orga­ni­smi di mas­sa, ai comi­ta­ti per l’autoriduzione, dare indi­ca­zio­ni alla clas­se sul­le for­me di lot­ta da met­te­re in pratica.

Uno degli inter­pre­ti miglio­ri del­la lot­ta per l’autoriduzione è il Comi­ta­to Pro­le­ta­rio di Casel­li­na.

Pagherete caro, pagherete tutto

È un moto insur­re­zio­na­le quel­lo che si sca­te­na in tutt’Italia con­tro l’uso siste­ma­ti­co dell’omicidio poli­ti­co da par­te dei fasci­sti e del­lo Sta­to. Quat­tro mor­ti in tre gior­ni, tra il 16 e il 18 apri­le 1975. Le gior­na­te d’aprile vedo­no alla gui­da del movi­men­to una nuo­va gene­ra­zio­ne. A Firen­ze il cor­teo, indet­to da tut­ta la sini­stra extra­par­la­men­ta­re, si scio­glie per attac­ca­re la sede del Msi. I diver­si ser­vi­zi d’ordine si diri­go­no ver­so piaz­za Indi­pen­den­za, dove in mat­ti­na­ta era già sta­to cari­ca­to lo spez­zo­ne stac­ca­to­si dal cor­teo degli stu­den­ti medi. La poli­zia difen­de gli acces­si alla piaz­za. Gli scon­tri sono imme­dia­ti e divam­pa­no in tut­to il cen­tro sto­ri­co, par­ti­co­lar­men­te inten­si nel quar­tie­re di San Loren­zo. Alle 20,00 le segre­te­rie di Lot­ta Con­ti­nua, Par­ti­to di uni­tà pro­le­ta­ria e Avan­guar­dia ope­ra­ia comu­ni­ca­no: «Anda­te a casa, è sta­ta una gran­de gior­na­ta anti­fa­sci­sta», ben pochi rac­col­go­no l’invito. Que­sta vol­ta alla poli­zia è dif­fi­ci­le fare i soli­ti arre­sti da rastrel­la­men­to: le stra­de sono pie­ne di grup­pi orga­niz­za­ti, la gior­na­ta non è fini­ta. Alle 21.30 c’è una mani­fe­sta­zio­ne indet­ta in piaz­za San Mar­co dall’Anpi, a cui ade­ri­sco­no PCI e PSI. Alla fine del comi­zio i com­pa­gni pre­sen­ti cer­ca­no di far par­ti­re un cor­teo ver­so piaz­za Indi­pen­den­za, ma il ser­vi­zio d’ordine del PCI si frap­po­ne vio­len­te­men­te e lo impe­di­sce. I com­pa­gni tor­na­no alla spic­cio­la­ta nei pres­si di Piaz­za Indi­pen­den­za, si era spar­sa la voce, vera, di squa­dre spe­cia­li in azio­ne. Sono grup­pi di die­ci poli­ziot­ti in bor­ghe­se con i faz­zo­let­ti al vol­to che avvi­ci­na­no i com­pa­gni iso­la­ti, li pesta­no e li tra­spor­ta­no alla vici­na caser­ma del­la poli­zia “Fadi­ni”, dove subi­sco­no nuo­vi pestag­gi. Sono quel­le squa­dre che vedran­no mas­sic­cia­men­te in azio­ne nel­le piaz­ze del ’77, respon­sa­bi­li, fra l’altro, dell’assassinio di Gior­gia­na Masi. In via Nazio­na­le si rag­grup­pa­no un cen­ti­na­io di com­pa­gni, mili­tan­ti del­la sini­stra rivo­lu­zio­na­ria, ma anche del­la Casa del popo­lo del vec­chio mer­ca­to, stan­chi di respi­ra­re l’aria dei lacri­mo­ge­ni e di assi­ste­re alle scor­re­rie del­le squa­dret­te. Vici­no alla sede del Movi­me­no Socia­le Ita­lia­no, un grup­po di nove agen­ti, una squa­dra spe­cia­le del­la poli­zia, sta mas­sa­cran­do di bot­te con basto­ni e cal­ci di pisto­le un com­pa­gno. «Fasci­sti assas­si­ni», vie­ne gri­da­to dai com­pa­gni. In quel momen­to il mili­tan­te auto­no­mo France­sco Pani­chi scen­de da una Fiat 500 con­vin­to, come tut­ti gli altri, di esse­re di fron­te a un pestag­gio ope­ra­to da mili­tan­ti fasci­sti. Dal­la squa­dra par­to­no i pri­mi col­pi di pisto­la con­tro i com­pa­gni che avan­za­no e che si spar­pa­glia­no. L’agente di Ps, Ora­zio Basi­le si ingi­noc­chia, pren­de la mira con la sua cali­bro nove e fa fuo­co. Rodol­fo Boschi vie­ne cen­tra­to alla nuca e cade ucci­so. Basi­le spa­ra anco­ra. Feri­sce Pani­chi a un brac­cio e un altro com­pa­gno che, col­pi­to a una gam­ba, rie­sce ad allontanarsi.

Al pro­ces­so che ne segui­rà, l’agente Basi­le sarà con­dan­na­to a otto mesi con la con­di­zio­na­le per «omi­ci­dio col­po­so in ecces­so di legit­ti­ma dife­sa». In pri­mo gra­do die­ci anni di reclu­sio­ne saran­no inflit­ti a Fran­ce­sco, impu­ta­to di rea­ti minori.

Lo scon­tro è con il PCI. Saba­to 19 apri­le piaz­za Signo­ria è stra­pie­na per la mani­fe­sta­zio­ne anti­fa­sci­sta. Lo scon­tro in piaz­za divam­pa subi­to: il ser­vi­zio d’ordine del PCI schie­ra­to nel­la sua inte­rez­za non rie­sce a fer­ma­re l’onda. Il tap­po sal­ta alla svel­ta, il cor­teo auto­no­mo tra­sci­na tut­ta la sini­stra rivo­lu­zio­na­ria e una par­te del­la base comu­ni­sta che non ha visto nes­su­na rispo­sta all’omicidio di un suo mili­tan­te per mano del­la poli­zia. In ven­ti­mi­la sfi­la­no per tut­to il cen­tro scio­glien­do­si in San Frediano.

Le gior­na­te d’aprile inne­sca­no una cri­si ver­ti­ca­le nell’organizzazione cit­ta­di­na di Lot­ta Con­ti­nua. Un duro scon­tro poli­ti­co si pro­trae per qual­che mese, con­clu­den­do­si con l’affermazione del­la sini­stra inter­na, par­te del­la qua­le sem­bra­va già fuo­ri dal grup­po. Si ritro­va­no fuo­ri dal­la gestio­ne del­la sede mili­tan­ti sto­ri­ci che han­no da sem­pre rap­por­ti diret­ti con la segre­te­ria nazio­na­le. Que­sta situa­zio­ne pro­du­ce una mag­gior pre­sen­za di Lot­ta Con­ti­nua nel­le lot­te socia­li con l’obiettivo di orga­niz­za­re la sini­stra nel­le scuo­le, nei ter­ri­to­ri, nel­le fab­bri­che. In quei mesi Lot­ta Con­ti­nua, in par­ti­co­la­re il suo ser­vi­zio d’ordine, ver­rà tac­cia­ta da par­te degli altri grup­pi di «deri­va auto­no­mi­sta», sim­bo­leg­gia­ta dai fischi a Lama (6 novem­bre ’75) e dal cor­teo dei medi del 12 dicem­bre:  Lot­ta Con­ti­nua e gli auto­no­mi sciol­go­no lo spez­zo­no del cosid­det­to car­tel­lo (Fede­ra­zio­ne gio­va­ni­le comu­ni­sta ita­lia­na, Par­ti­to d’ uni­tà pro­le­ta­ria, Avan­guar­dia Operaia).

L’area dell’Autonomia divie­ne un luo­go di ricer­ca e d’incontro dei diver­si pro­ces­si di libe­ra­zio­ne. Fem­mi­ni­ste, crea­ti­vi, tan­te con­tro­cul­tu­re pas­sa­no, guar­da­no, spes­so se ne van­no per la loro stra­da fino alle mani­fe­sta­zio­ni suc­ces­si­ve. Den­tro, fuo­ri, ai bor­di dell’area dell’Autonomia, come sot­to­li­nea­va, nel suo sot­to­ti­to­lo, un libro dell’epoca, “Dirit­to all’odio”.

Le gior­na­te di apri­le rap­pre­sen­ta­no l’inversione del pas­sag­gio segna­to nel ’69 dal movi­men­to ai grup­pi. Final­men­te si fa il per­cor­so con­tra­rio: dai grup­pi al movi­men­to. Il 1975–77 è un bien­nio insor­gen­te: appro­pria­zio­ne e ille­ga­li­tà di mas­sa, auto­ge­stio­ne del­lo scon­tro, ten­ta­ti­vi di cen­tra­liz­za­zio­ne dal bas­so del­le espe­rien­ze ne sono i trat­ti distintivi.

Il nodo dell’organizzazione

Nel 1976 nasco­no anche a Firen­ze i cir­co­li del pro­le­ta­ria­to gio­va­ni­le e orga­niz­za­no auto­no­ma­men­te la Festa del­la Pri­ma­ve­ra nel pra­to­ne di via Moran­di (alle Tre Pie­tre nel quar­tie­re di Rifre­di). Il pro­le­ta­ria­to gio­va­ni­le svi­lup­pa mil­le for­me d’appropriazione: il saba­to pome­rig­gio lo shop­ping è col­let­ti­vo e non si limi­ta più a fare il pie­no di libri alla Fel­tri­nel­li, da tem­po zona fran­ca. Non c’è biso­gno di com­ples­se ope­ra­zio­ni poli­ti­che per rifor­nir­si di maglie, giub­bot­ti, pan­ta­lo­ni. Per gli ali­men­ta­ri non è nep­pu­re il caso di sco­mo­dar­si: basta anda­re in tre per uscir­se­ne con i car­rel­li pie­ni. La Stan­da di via Pie­tra­pia­na inse­gna. Anco­ra Bre­cht: «Dato che noi altri avre­mo fame se ci lasce­re­mo deru­ba­re veri­fi­che­re­mo che tra il pane buo­no che ci man­ca e noi solo un vetro sta […] dato che lag­giù ci sono case men­tre sen­za tet­to ci lascia­te decre­tia­mo ci entre­re­mo e subi­to, sta­re nel­le tane non ci gar­ba più».

Si dif­fon­do­no e mol­ti­pli­ca­no le for­me crea­ti­ve di riap­pro­pria­zio­ne: dai mec­ca­ni­smi di bloc­co dei con­ta­to­ri dell’Enel (pel­li­co­le e altro inse­ri­te per non far gira­re la rile­va­zio­ne del con­su­mo) alle pic­co­le chia­vi per apri­re i tele­fo­ni e infi­la­re una cor­di­cel­la chia­man­do sen­za get­to­ni; la chia­vet­ta del­la Sim­men­thal, mul­tiu­so come il col­tel­li­no sviz­ze­ro, buo­na anche per «spa­di­na­re» le ser­ra­tu­re, non sofi­sti­ca­te, del­le auto­vet­tu­re di allora.

Pra­ti­che che si gene­ra­liz­za­no tra i gio­va­ni pro­le­ta­ri del­le peri­fe­rie e gli stu­den­ti medi: auto­no­mia come nega­zio­ne dell’ordine, del­la gerar­chia, del­la divi­sio­ne socia­le del lavo­ro; auto­no­mia come pic­co­li grup­pi in costan­te mol­ti­pli­ca­zio­ne. Ogni quar­tie­re ha una piaz­zet­ta, un giar­di­no, una casa del popo­lo in cui ritro­var­si, sape­re cosa suc­ce­de, deci­de­re dove anda­re, par­ti­re per fare le scrit­te, ammor­bi­di­re qual­che aguz­zi­no, pre­pa­ra­re la mani­fe­sta­zio­ne successiva.

Una gene­ra­zio­ne che cre­sce con quel­la che si potreb­be defi­ni­re «cul­tu­ra di stra­da». Abi­tu­di­ne al con­fron­to, anche fisi­co, a entra­re e a tirar­si fuo­ri dai «guai», a misu­ra­re la vita nel­la sua dram­ma­ti­ci­tà, capen­do quan­ta vio­len­za nascon­de l’assenza di sol­di e quan­ta poca ne con­ten­ga­no qual­che caz­zot­to ben asse­sta­to a chi pro­du­ce simi­li situa­zio­ni. Espe­rien­ze che fan­no cre­sce­re sen­za nes­sun tipo di sog­ge­zio­ne ver­so chi coman­da, ma anche ver­so l’intellettuale che si sen­te in dove­re di spie­ga­re com’è fat­to il mondo.

Dal­la primavera/​estate del 1976 è que­sta la doman­da che attra­ver­sa le aree militanti:“È pos­si­bi­le tro­va­re una sin­te­si a que­ste for­me di radi­ca­li­tà che non sia­no la piaz­za dei cor­tei?”. La rot­tu­ra pro­lun­ga­ta inter­na a Lot­ta Con­ti­nua si era con­clu­sa; dal Col­let­ti­vo per il pote­re ope­ra­io nasce Sen­za Tre­gua; il grup­po ori­gi­na­rio di Ros­so rima­ne un po’ iso­la­to, si affer­ma­no poli d’attrazione nel­le scuo­le supe­rio­ri e nel ter­ri­to­rio dove ormai il rap­por­to era “con quel­li , di vol­ta in vol­ta, di Vin­go­ne, di Sesto, del­le case minime…”

Il ten­ta­ti­vo che ven­ne mes­so in pie­di fu quel­lo del­la costi­tu­zio­ne di un Coman­do Ter­ri­to­ria­le. Un ambi­to per­ma­nen­te di con­fron­to e di uni­tà d’azione sul­le cam­pa­gne poli­ti­che che si deci­de di orga­niz­za­re con­tro la Demo­cra­zia Cri­stia­na, le immo­bi­lia­ri, il lavo­ro nero, il soste­gno alle lot­te in corso.

Era impres­sio­nan­te il nume­ro dei sog­get­ti coin­vol­ti e la simi­li­tu­di­ne del­le que­stio­ni affron­ta­te, anche il rap­por­to politico/​militare è natu­ral­men­te con­ce­pi­to in una dina­mi­ca di con­tro­po­te­re che allon­ta­na ogni for­ma di feti­ci­smo sugli stru­men­ti uti­liz­za­ti. C’era la con­vin­zio­ne di esse­re alla vigi­lia di una sta­gio­ne esaltante.

Ma tut­to que­sto non bastò, il pro­ces­so si infran­se con­tro le mise­rie poli­ti­che di chi era con­vin­to di esse­re già “l’organizzazione che man­da i suoi rap­pre­sen­tan­ti agli incon­tri”, qua­si un revi­val degli inter­grup­pi del­la sini­stra extra­par­la­men­ta­re… Lo sce­na­rio muta e favo­ri­sce il riti­rar­si di cia­scu­no nel­la pro­pria situa­zio­ne o, tutt’al più, per quan­to riguar­da le peri­fe­rie, di spo­star­si in mas­sa nel cen­tro cit­ta­di­no, tan­to Piaz­za San­ta Cro­ce era il pun­to di rife­ri­men­to generale.

Il ‘77, in anticipo

La fine del 1976 anti­ci­pa il gran­de som­mo­vi­men­to. Le lot­te ad Archi­tet­tu­ra e i bloc­chi ripe­tu­ti del­la men­sa uni­ver­si­ta­ria per man­te­ner­ne l’accesso libe­ro,  indi­pen­den­te­men­te dal tes­se­ri­no uni­ver­si­ta­rio. Mili­tan­ti del PCI cir­co­la­no tra le file dei poli­ziot­ti, indi­ca­no i «pro­mo­to­ri» dell’occupazione del­la men­sa uni­ver­si­ta­ria di Sant’Apollonia, invi­tan­do i que­stu­ri­ni agli arre­sti che pun­tual­men­te avven­go­no.  Il Col­let­ti­vo stu­den­ti pro­le­ta­ri del­la men­sa e il Comi­ta­to di agi­ta­zio­ne di Archi­tet­tu­ra (due espres­sio­ni auto­no­me, sostan­zial­men­te inter­ne al con­te­sto orga­niz­za­ti­vo di Sen­za Tre­gua) accet­ta­no l’innalzamento del­lo scon­tro poli­ti­co e rispon­do­no con l’occupazione del­la facol­tà e l’autogestione del­la men­sa. Lo stes­so cli­ma si respi­ra nel­le stra­de, si può dire sia già il ‘77, tan­to che l’ultimo dell’anno è carat­te­riz­za­to dall’occu­pa­zio­ne di una chie­sa scon­sa­cra­ta in via San Giu­sep­pe, sem­pre nel quar­tie­re di San­ta Cro­ce; da ripe­tu­te auto­ri­du­zio­ni nei cine­ma; da feste pro­le­ta­rie in spa­zi occu­pa­ti (via del­la Log­get­ta) e da una gene­ra­liz­za­ta cac­cia al lus­so di cui fece­ro le spe­se soprat­tut­to i pro­prie­ta­ri di auto­mo­bi­li di alto livello.

A cie­lo aper­to, in piaz­za San­ta Cro­ce. Un bel supe­ra­men­to del con­cet­to di sede, di quei fon­di e can­ti­ne fumo­si che ricor­da­no gli sce­neg­gia­ti TV che rico­strui­sco­no le atti­vi­tà del­la car­bo­ne­ria risor­gi­men­ta­le. Una piaz­za immen­sa e bel­lis­si­ma, con la cat­te­dra­le in sti­le goti­co: l’architettura dell’assalto al cie­lo, che vie­ne dopo i seco­li bui del feu­da­le­si­mo! Gli sca­li­ni non basta­no, ogni gior­no è un pie­no­ne, la sera un bloc­co stra­da­le cau­sa­to da chi si vuol fer­ma­re. La dimen­sio­ne è quel­la del ter­ri­to­rio libe­ra­to. Un pro­ces­so di auto­va­lo­riz­za­zio­ne che non riu­sci­rà a dar­si una cen­tra­liz­za­zio­ne orga­niz­za­ti­va, ma che ben rap­pre­sen­ta un’ esplo­sio­ne di rela­zio­ni, una ric­chez­za ster­mi­na­ta di rap­por­ti, di cono­scen­ze coo­pe­ran­ti. Un’esplosione che si chia­ma­va biso­gno di comu­ni­smo, inten­den­do con que­sta espres­sio­ne l’incapacità del capi­ta­li­smo di sod­di­sfa­re un livel­lo supe­rio­re di rela­zio­ni non ricon­du­ci­bi­le alla sfe­ra del con­su­mo o alla mera eman­ci­pa­zio­ne dal­la mise­ria. In piaz­za si vive­va e si affron­ta­va vita e mili­tan­za. Si affron­ta­va­no tut­te le situa­zio­ni: quel­le del­la lot­ta e quel­le dell’esistenza, dell’iniziativa poli­ti­ca e del red­di­to per cam­pa­re. Non c’era un gior­no ugua­le all’altro, non c’era nes­su­no che pote­va far fin­ta di esse­re al di sopra del­le con­trad­di­zio­ni che si vive­va. Era il ten­ta­ti­vo di cer­ca­re rispo­ste al poli­ti­co e al per­so­na­le sot­traen­do la vita al domi­nio del lavoro.

Que­sta uma­ni­tà non sfug­ge all’apparato del PCI. Gli auto­no­mi che si vedo­no in piaz­za San­ta Cro­ce sono ogget­to del­la pri­ma lista di pro­scri­zio­ne pas­sa­ta dal par­ti­to, nel­lo spe­ci­fi­co la Casa del popo­lo Buo­nar­ro­ti, alla Questura.

Il 31 gen­na­io par­te il bloc­co del­la didat­ti­ca nel­le facol­tà uma­ni­sti­che e le pri­me mani­fe­sta­zio­ni di mas­sa. L’accelerazione è quo­ti­dia­na, una mac­chi­na che lavo­ra inin­ter­rot­ta­men­te tra occu­pa­zio­ni, pro­te­ste, cor­tei, scon­tri. Sia­mo in pie­no Set­tan­ta­set­te. Non si capi­va che si sta­va viven­do un tem­po straor­di­na­rio e non ordi­na­rio. Si pen­sa­va che quel livel­lo di insor­gen­za fos­se ende­mi­co e non ecce­zio­na­le. È su que­sto che ven­go­no costrui­te le ipotesi.

Facol­tà occu­pa­te; case occu­pa­te non più solo come appar­ta­men­ti ma come spa­zi socia­li; con­ti­nui cor­tei con le vetri­ne del­le bou­ti­que che cado­no giù; le piaz­ze pie­ne, San­ta Cro­ce e la più stu­den­te­sca San Mar­co. Le inter­mi­na­bi­li assem­blee sul carat­te­re che dove­va assu­me­re il cor­teo: «paci­fi­co, di mas­sa, auto­di­fe­so», la for­mu­la buo­na per tut­te le media­zio­ni. Quan­do non si arri­va­va alla media­zio­ne “era­no bot­te”. Segno di una dia­let­ti­ca in via di esau­ri­men­to tra le ani­me del movi­men­to. Trop­po pesan­te il livel­lo d’aggressione del­lo Sta­to, i car­ri arma­ti all’Università di Bolo­gna. Gli arre­sti che si mol­ti­pli­ca­va­no anche a Firen­ze, per deten­zio­ne e por­to di ordi­gni incen­dia­ri lun­go le stra­de del­la mani­fe­sta­zio­ne, o in pre­pa­ra­zio­ne di esse, e per i moti­vi più sva­ria­ti. A Firen­ze pren­de il via anche una spe­ri­men­ta­zio­ne mai annun­cia­ta: l’utilizzo dei vigi­li urba­ni in ordi­ne pub­bli­co con fun­zio­ni di poli­zia che rispon­de diret­ta­men­te, attra­ver­so le gerar­chie del Comu­ne, al PCI.

La pra­ti­ca del­la riap­pro­pria­zio­ne, la spe­sa poli­ti­ca, gli espro­pri di beni, sono gli ele­men­ti prin­ci­pa­li d’identità dell’Autonomia. Ille­ga­li­tà di mas­sa signi­fi­ca­va che i com­por­ta­men­ti non si fer­ma­va­no alla «lega­li­tà», la supe­ra­no e la ride­fi­ni­va­no fino alla sod­di­sfa­zio­ne dei biso­gni. Non si con­trat­ta, s’impone. Non si chie­de si «decre­ta».

Autonomia e lotta armata

Que­sto era il con­te­sto ope­ra­ti­vo. Vie­ne appli­ca­to sia che si trat­ti di ron­de con­tro il lavo­ro nero e le cate­ne del lavo­ro a domi­ci­lio, sia quan­do si trat­ta di affron­ta­re, dal set­tem­bre del ’77 mas­sic­cia­men­te in piaz­za San Mar­co, il dila­ga­re dell’eroina e del suo spaccio.

Ron­de con­tro il lavo­ro nero, spe­se pro­le­ta­rie, pran­zi e cene gra­tis nei risto­ran­ti eco­no­mi­ca­men­te infre­quen­ta­bi­li rap­pre­sen­ta­no una pras­si con­so­li­da­ta nel movi­men­to. Que­ste azio­ni diven­go­no anche il ter­re­no d’azione di arti­co­la­zio­ni orga­niz­za­ti­ve di Pri­ma Linea, orga­niz­za­zio­ne comu­ni­sta com­bat­ten­te che si for­ma pro­prio nel ’77.

Pri­ma Linea nasce all’interno del­le lot­te. I suoi mili­tan­ti, a dif­fe­ren­za di quel­li del­le Bri­ga­te Ros­se, non scel­go­no, in que­sta fase, la clan­de­sti­ni­tà. Man­ten­go­no una par­te­ci­pa­zio­ne, mol­te vol­te anche un ruo­lo, nel movi­men­to. A Firen­ze Pri­ma Linea rap­pre­sen­ta real­tà impor­tan­ti del mon­do uni­ver­si­ta­rio e dell’organizzazione dei fuo­ri sede. I mili­tan­ti di Pri­ma Linea non sono clan­de­sti­ni, solo l’attività arma­ta è clan­de­sti­na. Il loro sche­ma orga­niz­za­ti­vo è comun­que leni­ni­sta: i grup­pi di fuo­co, a cui sono affi­da­te le azio­ni stra­te­gi­che, le squa­dre pro­le­ta­rie di com­bat­ti­men­to, come ele­men­to di inter­me­dia­zio­ne dia­let­ti­ca fra le fun­zio­ni dell’attacco e del lavo­ro di mas­sa. Pri­ma Linea si rap­por­ta infat­ti alle real­tà dei comi­ta­ti, cer­can­do di uti­liz­zar­li come cin­ghia di tra­smis­sio­ne e baci­no di reclutamento.

La dif­fe­ren­za, in quel perio­do, fra Pri­ma Linea e le Bri­ga­te Ros­se (la loro con­ce­zio­ne di guer­ra pri­va­ta fra il pro­prio appa­ra­to mili­ta­re e quel­lo del­lo Sta­to, l’uso in dosi mas­sic­ce dell’omicidio poli­ti­co) è enor­me, sia per cul­tu­ra poli­ti­ca che per inten­ti. Ma que­sta distan­za è col­ma­ta da altri fat­to­ri. Il pri­mo sta nel ren­de­re «stra­te­gi­co» l’apparato arma­to, la colon­na o il grup­po di fuo­co: il pro­ta­go­ni­sta, le cosid­det­te mas­se ser­vo­no solo come sfon­do, tut­to il con­tra­rio del baga­glio sto­ri­co dell’autonomia: «l’emancipazione dei lavo­ra­to­ri sarà l’opera diret­ta dei lavo­ra­to­ri stes­si, o non sarà affat­to». Nel­la loro comu­ne logi­ca le azio­ni arma­te sono «pro­pe­deu­ti­che», han­no cioè lo sco­po di intro­dur­re e pre­pa­ra­re, come se i rap­por­ti di domi­nio e sfrut­ta­men­to non potes­se­ro esse­re com­pre­si, imme­dia­ta­men­te e diret­ta­men­te da chi li subi­sce. L’organizzazione com­bat­ten­te «esem­pli­fi­ca», quin­di non si pone il pro­ble­ma di modi­fi­ca­re i rap­por­ti di for­za gene­ra­li, ma di dare l’esempio di cosa sareb­be giu­sto fare alla clas­se degli sfrut­ta­to­ri con­dan­nan­do uno di loro. E anco­ra for­ni­sce «sin­te­si», fusio­ne di diver­si ele­men­ti essen­zia­li e carat­te­ri­sti­ci; risul­ta­to di tale fusio­ne è che il mez­zo diven­ta il fine da affermare.

Le tre dita alza­te, la lot­ta pro­le­ta­ria che non chie­de ma pren­de, il sim­bo­lo del­la P38, la «lot­ta arma­ta che ci par­la di comu­ni­smo», rap­pre­sen­ta­va­no la deter­mi­na­zio­ne a non fer­mar­si di fron­te a nien­te, a rimuo­ve­re qual­sia­si osta­co­lo al pro­ces­so di libe­ra­zio­ne. Una volon­tà anche di fuo­co che si espri­me in modo mas­sic­cio  nei gior­ni suc­ces­si­vi al 18 otto­bre 1977 dopo l’assassinio, nel car­ce­re di Stam­m­hein in Ger­ma­nia Fede­ra­le, dei mili­tan­ti del­la Rote Armee Frak­tion,  Andreas Baa­der, Gudrum Enslin e Jean Carl Raspe. Pochi gior­ni dopo, mer­co­le­dì 26 otto­bre, la poli­zia impe­di­sce il con­cen­tra­men­to di un gros­so cor­teo orga­niz­za­to per riven­di­ca­re la libe­ra­zio­ne di tre com­pa­gni arre­sta­ti nei mesi pre­ce­den­ti a Firen­ze, deter­mi­nan­do una gior­na­ta di guer­ri­glia, al cui ter­mi­ne, oltre a deci­ne di arre­sti, il giu­di­ce Tin­da­ri Baglio­ni impo­ne la chiu­su­ra dell’emittente  Con­tro­ra­dio con l’accusa di aver diret­to gli scon­tri duran­te la mani­fe­sta­zio­ne del movi­men­to fiorentino.

Non molliamo

Ma i tem­pi cam­bia­no velo­ce­men­te. Biso­gne­rà arri­va­re al 7 apri­le 1979, e ai con­se­guen­ti divie­ti siste­ma­ti­ci, per far capi­re a tut­ti che l’orizzonte è blin­da­to e non se ne par­la nem­me­no di mani­fe­sta­re con­tro la repres­sio­ne. L’11 apri­le 1979 vie­ne impe­di­to ogni acces­so a piaz­za San­ta Cro­ce, luo­go del con­cen­tra­men­to: non ci sarà la for­za e la logi­sti­ca per rove­scia­re il divie­to. Biso­gna­va rea­gi­re, ripren­de­re le file del dibat­ti­to, si stam­pa un nume­ro uni­co: “auto­no­mia dif­fu­sa, in cui si comin­cia a decli­na­re in modo nuo­vo il tema del­la cen­tra­liz­za­zio­ne orga­niz­za­ti­va, neces­sa­ria sia per difen­de­re i per­cor­si del­la sog­get­ti­vi­tà auto­no­ma che per accom­pa­gna­re i com­por­ta­men­ti auto­no­mi che tro­va­no nei pro­ces­si di ristrut­tu­ra­zio­ne una loro nuo­va dif­fu­sio­ne. Si sce­glie di ser­ra­re le fila, di ripar­ti­re dal­la for­ma del col­let­ti­vo ter­ri­to­ria­le e dal­la pro­po­si­zio­ne comu­ne sul­le tema­ti­che gene­ra­li. La paro­la d’ordine era “No alla clan­de­sti­ni­tà. né per amo­re né per for­za”. La nor­ma­liz­za­zio­ne auto­ri­ta­ria non pas­sa con gli applau­si pro­le­ta­ri, si con­ti­nua a lot­ta­re. Il pri­mo pas­sag­gio orga­niz­za­ti­vo avvie­ne dai quar­tie­ri di San­ta Cro­ce e dell’Isolotto, i due orga­ni­smi ter­ri­to­ria­li adot­ta­no una sigla comu­ne (Col­let­ti­vi Pro­le­ta­ri Auto­no­mi) che rap­pre­sen­ta una for­ma di iden­ti­tà poli­ti­ca anche per fuo­ri­se­de, stu­den­ti medi e altre situa­zio­ni ter­ri­to­ria­li. Il filo che li lega è anco­ra quel­lo del­la riap­pro­pria­zio­ne. Ingres­si gra­tis ai con­cer­ti, che vedo­no il bat­te­si­mo di nuo­vi gio­va­ni impre­sa­ri, che poi con­ti­nue­ran­no a spar­tir­si il gros­so del busi­ness, diret­ta espres­sio­ne di una gio­ven­tù del PCI che comin­cia a chie­de­re il con­to dell’ingrato lavo­ro di con­trol­lo a cui è chia­ma­ta: per garan­ti­re gli incas­si dei con­cer­ti, il basto­ne dell’ingente schie­ra­men­to poli­zie­sco e la caro­ta di qual­che cen­ti­na­io di bigliet­ti offer­ti a chi dovreb­be pla­ca­re il movi­men­to. Per il con­cer­to di Peter Gabriel gli scon­tri comin­cia­no nel pome­rig­gio e fini­sco­no a tar­da sera­ta, con il pra­to­ne del­le Casci­ne illu­mi­na­to da cen­ti­na­ia di ben­ga­la spa­ra­ti dai cara­bi­nie­ri. “Per­ché si deve paga­re la musi­ca suo­na­ta nei par­chi pubblici?”

Gli stu­den­ti fuo­ri sede sono in lot­ta con­tro i dis­ser­vi­zi e gli sfrat­ti selet­ti­vi alla casa del­lo stu­den­te, che vie­ne occu­pa­ta con­tro le gerar­chie del PCI dell’Opera universitaria.

C’è la cam­pa­gna, final­men­te vin­cen­te, con­tro gli aumen­ti del tra­spor­to pub­bli­co urba­no. L’azienda, Ataf, deci­de su indi­ca­zio­ne del­la giun­ta Gab­bu­gia­ni il rin­ca­ro dei bigliet­ti e degli abbo­na­men­ti per stu­den­ti e pen­do­la­ri. La rispo­sta è sem­pli­ce: non si paga e si sabo­ta. I tram por­ta­no in giro per la cit­tà le get­to­nie­re fuo­ri uso affian­ca­te dai volan­ti­ni del­la protesta.

Un pro­get­to di ricom­po­si­zio­ne, che sfug­ge alla para­li­si poli­ti­ca del­lo guer­ra Sta­to-Bri­ga­te Ros­se, attor­no ai com­por­ta­men­ti auto­no­mi di chi è costret­to a paga­re i costi del­la crisi.

Per il PCI gli auto­no­mi sono nemi­ci mor­ta­li: al duo di magi­stra­ti spe­cia­li, Vigna&Chelazzi, il com­pi­to di tap­pa­re la boc­ca a que­sta sco­mo­da area. Il PCI fa da spon­da all’azione per­se­cu­to­ria, crean­do l’indispensabile con­sen­so poli­ti­co e socia­le. Nel­le fab­bri­che e nel­le case del popo­lo le uni­che assem­blee che ven­go­no fat­te, spes­so pro­prio con Vigna, sono con­tro il ter­ro­ri­smo. Assem­blee in cui vie­ne ben spie­ga­to che il pro­ble­ma non è tan­to quel­lo di arre­sta­re i «pesci», ben­sì di pro­sciu­ga­re l’acqua in cui nuo­ta­no. E l’acqua è rap­pre­sen­ta­ta da chi non accet­ta la poli­ti­ca dei sacri­fi­ci, da chi con­ti­nua a repu­ta­re «la pro­prie­tà pri­va­ta un fur­to» del­la ric­chez­za pro­dot­ta da tutti.

Anti­ter­ro­ri­smo e ristrut­tu­ra­zio­ne socia­le mar­cia­no di pari pas­so. Il loro obiet­ti­vo è disin­te­gra­re un’area poli­ti­ca per con­te­ne­re la rea­zio­ne pro­le­ta­ria ai pro­ces­si di rior­ga­niz­za­zio­ne del­la mac­chi­na pro­dut­ti­va e dell’assetto urba­no. Il PCI cer­ca dela­to­ri capa­ci di rim­pol­pa­re le accu­se che la pro­cu­ra del­la Repub­bli­ca pun­tual­men­te istrui­sce con­tro le avan­guar­die auto­no­me, con l’accusa di aver par­te­ci­pa­to a «ban­de arma­te varia­men­te deno­mi­na­te». Nei luo­ghi di lavo­ro i mili­tan­ti del PCI e le buro­cra­zie sin­da­ca­li impe­di­sco­no fisi­ca­men­te a chi dis­sen­te di par­la­re nel­le assem­blee. Chi ci pro­va vie­ne tac­cia­to di «fian­cheg­gia­men­to» al ter­ro­ri­smo e segna­la­to a que­stu­ra e gerar­chia azien­da­le. I ser­vi­zi d’ordine sin­da­ca­li han­no il com­pi­to di bloc­ca­re l’accesso «agli auto­no­mi» ai cor­tei negli scio­pe­ri generali.

La poli­ti­ca del Comu­ne inter­pre­ta al meglio la linea dell’”unità nazio­na­le”: i pro­le­ta­ri con­ti­nua­no ad esse­re espul­si dai quar­tie­ri sto­ri­ci del cen­tro a van­tag­gio del­le immo­bi­lia­ri e del­la cor­po­ra­zio­ne dei com­mer­cian­ti. Ven­go­no costrui­ti ghet­ti peri­fe­ri­ci come il quar­tie­re del­le Piag­ge. 

Sol­lic­cia­no dove­va esse­re un model­lo di car­ce­re giu­di­zia­rio, desti­na­to a dete­nu­ti non «defi­ni­ti­vi», in linea con gli inten­di­men­ti del­la rifor­ma giu­di­zia­ria del 1975. Nel cor­so dell’opera diven­ta l’ennesimo super­car­ce­re, dota­to di tut­ti i cri­smi del­la mas­si­ma sicu­rez­za. I costi si mol­ti­pli­ca­no, i costrut­to­ri, i Pon­tel­lo, rin­gra­zia­no e incassano.

Radio Morgan

È il pro­ces­so che por­te­rà ad apri­re, nel set­tem­bre del 1980, Radio Mor­gan, la fili­bu­sta dell’etere. L’esperienza del­la radio è un ten­ta­ti­vo di var­ca­re i con­fi­ni clas­si­ci del lavo­ro poli­ti­co dei col­let­ti­vi auto­no­mi, per muo­ve­re una cri­ti­ca radi­ca­le ai rit­mi del­la cit­tà: «Le cit­tà in cui vivia­mo asso­mi­glia­no mol­to a dei car­ce­ri socia­li, non sono solo gli spa­zi poli­ti­ci a esse­re chiu­si. C’è pro­prio un’impossibilità a espri­me­re socia­li­tà, a pro­dur­re movi­men­ti cul­tu­ra­li auto­no­mi, momen­ti dif­fe­ren­ti da quel­li impo­sti dal mer­ca­to culturale».

La radio assu­me fun­zio­ne di tra­mi­te orga­niz­za­ti­vo tra i col­let­ti­vi pro­le­ta­ri auto­no­mi e le lot­te, le occu­pa­zio­ni che si espri­mo­no nel­le scuo­le supe­rio­ri, nell’università, nel­le peri­fe­rie e nei comu­ni limi­tro­fi a Firen­ze. È la radio a orga­niz­za­re la soli­da­rie­tà pro­le­ta­ria in occa­sio­ne del ter­re­mo­to del 1980 in Irpi­nia e a rap­pre­sen­ta­re il pun­to di rife­ri­men­to per la cam­pa­gna inter­na­zio­na­li­sta in occa­sio­ne del­lo scio­pe­ro del­la fame a oltran­za di Bob­by Sands e dei rivo­lu­zio­na­ri irlandesi.

Dare comu­ni­ca­zio­ne diret­ta di quan­to avvie­ne, spe­ri­men­ta­re nuo­vi lin­guag­gi, orga­niz­za­re momen­ti musi­ca­li con quan­to esce dal­le visce­re di una cit­tà resa gri­gia come il cemen­to dal­la gestio­ne riformista.

Ma Radio Mor­gan non dove­va pro­se­gui­re le sue tra­smis­sio­ni. Ai pote­ri for­ti che  vole­va­no impor­re il vaga­bon­dag­gio sul­le fre­quen­ze dell’etere, si rispo­se in modo ocu­la­to, anti­ci­pan­do quel­la che di lì a poco tem­po sareb­be sta­ta la libe­ra­liz­za­zio­ne del­le fre­quen­ze da 104 a 108 Mhz (fre­quen­ze in con­ces­sio­ne al mini­ste­ro del­la Dife­sa, riser­va­te a casi di cala­mi­tà natu­ra­li – ma non uti­liz­za­te nem­me­no in occa­sio­ne del ter­re­mo­to in Irpi­nia – e ado­pe­ra­te in real­tà dal­la Rai per la gestio­ne di pon­ti mobi­li). La radio ini­ziò a tra­smet­te­re su 105,500 Mhz, come altre radio face­va­no già in altre cit­tà ita­lia­ne. Ven­ne impu­gna­ta l’ordinanza di chiu­su­ra del Cir­co­lo del­le costru­zio­ni al Tar. Il Tar, acqui­sen­do una peri­zia del­lo stes­so Cir­co­lo da cui si evin­ce­va che le tra­smis­sio­ni di Radio Mor­gan non distur­ba­va­no nes­su­na altra emit­ten­te, auto­riz­zò in un pri­mo momen­to le tra­smis­sio­ni. Poi, lo stes­so Tar decre­tò la chiu­su­ra del­la radio. 

I magi­stra­ti Vigna&Chelazzi non si accon­ten­ta­va­no più del­le per­qui­si­zio­ni a sca­den­za men­si­le con­tro i redat­to­ri del­la radio. Dopo un bli­tz con tren­ta per­qui­si­zio­ni nel mese di novem­bre , il 16 feb­bra­io ’81 ordi­na­ro­no un’azione in gran­de sti­le. Per­qui­si­zio­ne alla sede del­la radio, che vie­ne sac­cheg­gia­ta e deva­sta­ta. Nel­lo stes­so momen­to la stra­gran­de mag­gio­ran­za dei soci del­la coo­pe­ra­ti­va che dete­ne­va la pro­prie­tà dell’emittente ven­go­no pre­le­va­ti dal­le pro­prie abi­ta­zio­ni, tut­te per­qui­si­te, e tra­dot­ti in que­stu­ra. Il man­da­to è un capo­la­vo­ro di dirit­to: inqui­si­ti per­ché han­no man­te­nu­to rap­por­ti com­mer­cia­li con per­so­ne sospet­ta­te di appar­te­ne­re a un’associazione a delinquere!

Nel movi­men­to, nel 1981, nel­la Firen­ze gesti­ta e gover­na­ta dal PCI si «deve ren­de­re impos­si­bi­le l’iniziativa di mas­sa con­tro lo Sta­to del lavo­ro nero, del­le car­ce­ri spe­cia­li, dei licen­zia­men­ti, del­la demo­cra­zia blin­da­ta che mili­ta­riz­za il ter­ri­to­rio men­tre dà via libe­ra al fron­te dell’illegalità di Sta­to degli spe­cu­la­to­ri immo­bi­lia­ri, degli spac­cia­to­ri di eroi­na, degli “imbo­sca­to­ri dei pro­dot­ti”, dei ladri del sala­rio pro­le­ta­rio, dei fasci­sti che rac­col­go­no le fir­me per la pena di morte».

Dopo un lun­go brac­cio di fer­ro alla fine di mag­gio Radio Mor­gan chiu­de. Una scon­fit­ta pesan­te. Un bloc­co dei pro­ces­si d’organizzazione autonoma.

APPELLO

Fac­cia­mo appel­lo alle com­pa­gne e ai com­pa­gni che han­no con­di­vi­so la nostra sto­ria a tut­ti i livel­li e che voglio­no arric­chi­re que­sto sito con un loro con­tri­bu­to scritto/​orale/​video, rac­con­tan­do le pro­prie espe­rien­ze, di con­tat­tar­ci a que­sto indi­riz­zo email:
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