Potere Operaio – Alle avanguardie per il partito – I° capitolo
Comunismo e organizzazione
Opuscolo-Potere-Operaio‑I°capitolo-1970Comunismo e organizzazione
Opuscolo-Potere-Operaio‑I°capitolo-1970A/TRAVERSO
Periodicità: irregolare
Formato: tabloid
Bologna 1975–1981
Numeri editi: 14
Tiratura: inizialmente 1000 poi 25.000 nel 1977
Diffusione nazionale
Nel ’75 escono i primi numeri di «A/traverso», come ricerca aperta sui problemi globali e complessivi del linguaggio, del privato, e dell’intelligenza nei confronti del potere, oltre ai rigidi schemi ideologici delle organizzazioni ma anche oltre il terreno «banale» del dibattito sulla crisi della militanza e sull’emergenza dei bisogni.
Vengono ricercate perciò vie più complesse che si riallacciano ad un impianto culturale che va da Majakovskij a Bataille, dai «Quaderni Rossi» a Deleuze e Guattari.
E’ un progetto di piccola rivoluzione culturale che nasce, non a caso, come riscontro speculare proprio a Bologna, dove il modello di «socialismo realizzato» risulta oppressivo, debole, poco attraente. Di qui anche un certo percorso parallelo con i nuovi filosofi alla Henri-Levy e alla Gluksmann che sposando la critica di ogni dissidenza portavano avanti un violento attacco ai paesi del «gulag».
Si teorizza la trasversalità all’interno dei grandi temi sociali fuori dalla costrizione di categorie come proletariato, borghesia, ormai consunte dall’ideologia. Così come ha fatto il femminismo, ci si oppone ad ogni sistema ideologico; l’antagonismo radicale di una forte emergenza rompe con l’entrismo e l’illusione di modificazione di partiti, sindacati, regioni, scuole, industria culturale.
La quotidianità vissuta come momento rivoluzionario in tutte le sue componenti deve bruciare il massimo di inventività e creatività. Di qui l’uso ironico del linguaggio, il non-sense, la rivendicazione del diritto a viaggiare (con i biglietti del treno perfettamente falsificati), il diritto allo spettacolo, non quello delle periferie ma quello delle «prime» (proprio per questo i circoli giovanili occupano le sale del centro), la teoria dell’intelligenza tecnico-scientifica (che fa impazzire i semafori di Bologna e svuota le gettoniere telefoniche di mezza Italia). Radio Alice rompe tutti i termini della comunicazione. Cosa mai fatta nella sinistra italiana, il movimento rivoluziona il linguaggio con una ricerca consapevole, riprende dalla tradizione della cultura underground i metodi di stampa: con ritagli di giornali, pennarelli e carta bianca battuta a macchina e applicata su lucido crea un nuovo esecutivo di stampa che permette una libera impaginazione uscendo dagli schemi tipografici.
ADDAVENI’
«Addavenì» nasce nell’autunno del ’76 e chiude con l’ultimo numero nel maggio ’79: dalla morte di Mao Tze-tung al 7 aprile, passando per Bologna e Moro.
Lo scrive e lo stampa il Comitato Comunista (marxista-leninista) di Unità e di Lotta («Coculo»), una organizzazione minore nata nel 1970 da organismi di lotta (di fabbrica, quartieri e studenti) abbandonati dalla diaspora marxista-leninista.
Fortemente critici verso la prassi storica dell’emmellismo italiano, i compagni «Coculo» per molti anni si identificarono nella pura attività «di massa», conservando Comitati di lotta in alcune fabbriche, scuole, quartieri, ospedali di Milano.
Durante questo periodo il «Coculo» si esprime esclusivamente attraverso i bollettini ed i giornali degli organismi di massa; attraverso l’attività di massa avviene l’incontro (che è prima uno scontro poi una progressiva omogeneizzazione) con l’Autonomia, a cominciare dalle lotte con l’Assemblea Autonoma dell’Alfa Romeo (la lotta contro la nocività dell’inizio anni ’70 fu condotta da operai del «Coculo» con una Commissione Tecnica formata da medici, avvocati, e ingegneri).
A metà degli anni ’70 si colloca una fase durante la quale viene tentata un’aggregazione nazionale con forze analoghe (Torino, Napoli, Firenze) all’insegna dell’organizzazione marxista-leninista.
Il tentativo fallisce e determina uno scarto di orientamento del «Coculo» che, senza mai rinnegare la sua impronta marxista-leninista, da quel momento si riconosce nel vasto movimento dell’autonomia, come unica area rivoluzionaria possibile. Da questo orientamento, che significa anche l’abbandono della strada organizzativa m‑1, nasce il giornale «Addavenì». La testata sintetizza un pò questa storia e l’orientamento («Addavenì Baffo») era il titolo delle vignette che, negli anni successivi alla guerra, Guareschi – umorista fascista – dedicava ai comunisti descritti come stupidi ed in perenne attesa dell’arrivo di Stalin-Baffone; l’espressione era divenuta modo di dire, a significare uno spirito di attesa quasi messianica: una specie di «Amarcord» stalinista, un atteggiamento un pò popolaresco, e di una certa autoironia.
Il giornale, così come avviene per l’attività politica dei compagni che lo scrivono e lo sostengono, va ad occupare un’area non molto vasta ma ben distinta del movimento milanese.
Si distingue infatti dall’area di Rosso ed in genere di quella che è detta Autonomia Organizzata per una costante interpretativa di estrazione materialista-dialettica che nella pratica si traduce da un lato nel sottolineare e privilegiare l’organizzazione nell’attività politica ad ogni livello, dall’altro lato – e per la stessa ragione – a contestare il «leaderismo» ed il soggettivismo.
Tuttavia «Addavenì» forse si distingue ancora di più dall’area della Voce Operaia, sia per la diversa valutazione delle questioni fondamentali del marxismo-leninismo, in particolar modo la questione del partito, sia per il diverso atteggiamento verso le masse, e sia, nella sostanza, perché non vi si riconoscono quegli elementi di ricchezza politica e teorica e quegli elementi di lotta e di antagonismo che sono propri dell’autonomia.
Fin dall’inizio «Addavenì» dà rilievo alla lotta di liberazione della donna, le cui concezioni agiscono profondamente nello stesso sviluppo della linea, fino alla formulazione della concezione strategica che fu detta delle tre Rivoluzioni (socialismo, comunismo, femminismo).
La teoria stessa del comunismo, richiamandosi al cosiddetto «1° Marx», presenta un forte carattere radicale, con una accentuazione notevole delle tematiche riguardanti le trasformazioni soggettive.
Una posizione particolare viene espressa anche nei riguardi della lotta armata, alla quale non viene mai attribuita la denominazione di «terrorismo» e che viene considerata perciò che era di fatto, una forma di lotta del movimento.
Tuttavia viene costantemente e pesantemente criticata la linea militarista, accusata di essere costruttrice di repressione ed isolamento anziché di coscienza ed organizzazione.
Sul piano internazionale, anche qui «Addavenì» si distingue rispetto alle altre aree di movimento, da un lato conservando la concezione marxista-leninista dell’internazionalismo proletario (quindi non puramente antimperialista e terzomondista, ma anche socialista), dall’altro rifiutando di allinearsi al «nuovo corso» cinese ma riconoscendo invece nella linea maoista e della «banda dei quattro» un contributo fondamentale allo sviluppo del comunismo nel mondo.
AUTONOMIA PROLETARIA
Una dopo l’altra tacciono, o sono messe a tacere, le «voci» del movimento ’77.Uno dopo l’altro si svuotano, mentre si riempiono le galere, i «ghetti liberati» dell’Autonomia.In questa tragica quiete il suo «fantasma», meno rumoroso ma forse più efficace, riconsegna nelle mani del proletariato il cervello teorico del mondo contemporaneo, che questo movimento ha materializzato e dell’autonomia proletaria costituisce Forma propria… «prima del diluvio».La fine di questo ventesimo secolo è tempo di rivoluzione tanto per i paesi capitalisti quanto per quelli pseudosocialisti. In questa prospettiva, l’individuazione di un progetto politico (economico-sociale) di autonomia proletaria deve passare attraverso l’analisi della sua storia e delle forme di organizzazione che i proletari hanno cercato di darsi ogniqualvolta hanno potuto farlo.In questa prospettiva, riscoprire questa controstoria della storia borghese e neoborghese: la storia dell’autonomia proletaria; articolare gli elementi di contropotere che risultano dalla pratica economico-politica dei proletari significa ricostituire l’intelligenza teorica del movimento storico indispensabile a non mancare questo appuntamento, costituire attraverso l’esperienza di generazioni di proletari senza rivoluzione una strategia rivoluzionaria per la nostra generazione.In questa prospettiva…
CONTROINFORMAZIONE
Periodicità: irregolare
Formato: tabloid
Milano 1973
Durata: in corso di pubblicazione
Numeri editi: 27 più 9 supplementi
Tiratura: 10.000 copie
Diffusione nazionale
La rivista non si presenta come portavoce di un gruppo, né vuole essere luogo di precise elaborazioni teoriche, quanto piuttosto rappresentare una possibilità di dibattito su tutti i problemi, le tematiche, gli avvenimenti che hanno nel movimento anticapitalistico italiano e internazionale il loro punto di riferimento più complessivo.
Tale progetto viene condotto seguendo una duplice linea di indagine: da un lato si mostrano gli esempi di ristrutturazione capitalistica in corso, dal ruolo egemone dell’imperialismo americano alla funzione importante delle multinazionali, dalla riorganizzazione del lavoro in fabbrica all’uso del fascismo e della provocazione, dalla provocazione poliziesca e giudiziaria ai vari aspetti che essa assume nella quotidiana manipolazione culturale e ideologica, fino ad una precisa denuncia dei meccanismi dell’inganno informativo da parte della stampa e della radiotelevisione.
Dall’altra vengono illustrate le risposte da parte operaia a tale processo di ristrutturazione, e viene quindi documentata la coscienza politica delle avanguardie di classe che si manifesta in nuovi momenti di lotta autonomamente organizzati, in fabbrica e fuori, fino alle più avanzate forme di lotta armata, di cui «Controinformazione», a differenza di quasi tutta la stampa alternativa italiana, si è spesso e a lungo occupato pubblicando immagini e documenti.
Presupposto più volte dichiarato dai suoi redattori è infatti quello di lasciare parlare i protagonisti sociali delle lotte, i quali, già implicitamente, compiono «comunicazione antagonista»; e gli stessi protagonisti fanno da fonte «diversa» di informazione e di riflessione anche per le proposte teorico-interpretative dei redattori.«Controinformazione» appare fin dal primo numero come una tra le riviste più curate nella veste grafica (grande formato; ogni numero composto da un centinaio di pagine, molte fotografie, disegni, inserti e documenti).
Coerentemente con l’impegno di precisione documentativa anche il linguaggio tende ad essere il più puntuale e scientifico possibile, pur mantenendosi sempre su un elevato livello di leggibilità, realizzando una scrittura di tipo saggistico-documentativo.
I VOLSCI
Periodicità: mensile fino al dicembre 1978, poi irregolare
Formato: tabloid
Roma febbraio 1978
Durata: in corso di pubblicazione
Tiratura: 5.000 copie
Diffusione Italia centrale
La rivista pubblica il primo numero nel febbraio 1978 quando ancora sono profonde le tracce lasciate dal movimento del 1977.
Difatti è caratterizzata oltre che da una pesante e radicale critica nei confronti dei mezzi di informazione istituzionali, anche da una seria critica nei confronti di alcune tendenze che hanno attraversato questo movimento.
Al centro di una grossa campagna di criminalizzazione da parte di tutti gli organi istituzionali e soprattutto da parte del Pci, via dei Volsci, inteso come movimento romano protagonista anch’esso dei fenomeni che hanno caratterizzato il ’77, viene fatto centro di alcune misure repressive che portano in pochi mesi alla chiusura della sede di «via dei Volsci», alla denuncia per banda armata per 94 compagni, di cospirazione politica per un totale di 183, fino alla richiesta del confino per una trentina di militanti dei «Comitati Autonomi Operai».
E’ proprio a seguito di questa campagna di criminalizzazione dove viene più volte menzionato il nome di via dei Volsci che viene scelto come testata della rivista proprio «I Volsci».
«Il crescente dispotismo nel controllo delle informazioni» dunque e «la crisi sempre più intollerabile dell’irrealismo teorico del separatismo sociale, del gregarismo politico, del linguaggio codificato delle organizzazioni di estrema sinistra», sarà il centro del dibattito almeno in questo primo numero.
«I Volsci» caratterizzerà il suo intervento in un duro attacco nei confronti del Pci ritenuto il maggiore responsabile e promotore di questa grossa campagna di criminalizzazione. Verso la fine del 1978 la rivista partecipa al grosso dibattito che coinvolge tutta l’area dell’autonomia. Questo dibattito era centrato sul problema di operare un salto di qualità organizzativo all’interno del movimento.
Le analisi fatte da riviste come «Primo Maggio» e «Controinformazione», che introducevano elementi di valutazione teorica sull’autonomia operaia, sui suoi comportamenti e sulla ristrutturazione del capitale, venivano ritenute insufficienti se di pari passo non si avviava concretamente il processo organizzativo.Da qui la proposta di creare un «Movimento dell’Autonomia Operaia» capace di tradurre in termini organizzativi tutte le forme di spontaneismo antagonista presenti sul territorio.
Oltre che a trattare argomenti riguardanti le lotte operaie e questioni sindacali soprattutto di alcune grosse fabbriche (Fiat, Alfa Romeo ecc.), «I Volsci» trovandosi in una realtà sociale – quella romana – tipicamente terziaria, occupa gran parte del suo intervento proprio in questo settore. Si parla di sfruttamento della donna dentro e fuori la fabbrica (lavoro precario, agricolo, domestico), di lavoro nero, di disoccupati, di scuola, di servizi come gli ospedali e il settore sanitario in genere, SIP , Enel, ferrovieri, ecc. La rivista, inoltre, si occupa con molta attenzione di carcere, repressione e controllo sociale.
L’ERBA VOGLIO
Periodicità: bimestrale
Formato: 21x28
Milano 1971–1977
Diffusione nazionale (soprattutto Nord Italia).
II senso della rivista e dei libri «L’erba voglio» può essere dato, nel modo più semplice, indicando il modo in cui rivista e libri ebbero origine. Nello stesso tempo, si troverà anche indicato il senso di ciò che è stato poi denominato «il ’68!, o uno dei suoi sensi principali, entro il quale si sono svolti alcuni anni della storia italiana.
All’inizio del ’71 uscì presso Einaudi il libro collettivo «L’erba voglio», raccolta di varie e differenti esperienze educative nell’ambito soprattutto degli asili, della scuola elementare e di quella media.
Esso collegava e commentava i materiali di lavoro che erano stati presentati a un convegno svoltosi a Milano l’anno prima. Il libro conobbe un grande successo (oltre cinquantamila copie vendute, cinque ristampe). Ma non fu questa l’origine della rivista.
L’origine fu in un modesto cartoncino, inserito astutamente nel libro stesso, che gli interessati ai lavori esposti nel libro erano pregati di rimandare a un indirizzo prestabilito.
Nel giro di pochi mesi, arrivarono migliaia di risposte da tutta Italia e anche dall’estero, un numero tale da stupire gli esperti di marketing e da creare nello stesso tempo notevoli perplessità negli ideatori dell’iniziativa.
Che cosa si poteva fare per stabilire un reale contatto con queste migliaia di persone sparse in tutto il paese?
La risposta fu la rivista «L’erba voglio», bimestrale uscito abbastanza puntualmente dal luglio ’71 (cioè pochi mesi dopo l’uscita del libro) fino all’autunno ’77.
Che cosa si vuoi dire con questo? Si vuoi dire che «L’erba voglio» è stata essenzialmente il tentativo, proseguito per anni, di stabilire un collettivo flessibile, modesto ma reale, fondato sullo scambio e la interrogazione di esperienze individuali e comuni, escludendo sin da principio l’uso e l’idealizzazione di capi, di strutture o di parole d’ordine.
Senza quindi costituire una nuova pseudo-religione laica, come se ne sono via via costituite a centinaia nell’epoca moderna.
E sottoponendo l’inevitabile fioritura immaginaria di ogni periodo di mutamento al controllo più preciso e articolato. E dando voce e consistenza ai modi di oltrepassamento effettivo del già dato, del già noto e approvato. A testimonianza di ciò, bastano i sommari dei trenta numeri della rivista e i titoli della ventina di libri usciti.
Si può dire senza vanteria che chi vorrà cercare e scandagliare la corrente principale delle idee e dei progetti del decennio ’70 dovrà necessariamente ricorrere a quei fogli.
Perché ora «L’erba voglio» non circola più? Sin dal febbraio ’77 la rivista scriveva: «Il nostro tipo di lavoro ci sembra oggi concluso, e per vari ordini di ragioni.
In primo luogo, la distinzione stessa di molti temi, che all’inizio sembravano secondari o “controrivoluzionari”, rende ora necessario un lavoro rinnovato per non cadere nella ripetizione, di ciò che noi stessi abbiamo fatto sin qui e che, nella ripetizione, rischierebbe di ridursi, a parola d’ordine, a ritualismo, se non addirittura a slogan (si pensi, tanto per fare un esempio, a come spesso viene usato “il personale è politico”). Abbiamo tutti la percezione che un periodo è finito …
In questa fase la crisi delle organizzazioni partitiche che in sé era inevitabile, ed è salutare,- rischia di trascinare con sé nel disorientamento e nella sfiducia larghi strati di giovani che in questi ultimi anni sono rimasti presi dentro un tipo di “militanza” alienante quanto quella dei partiti tradizionali».
Di lì a poco, quel «disorientamento» e quella «militanza alienante» sarebbero sfociati negli «anni di piombo» della guerra interna tra stato e terrorismo, chiudendo quasi ogni spazio di azione autonoma.
Linea di condotta, n. 1, Luglio-Ottobre 1975.
Che cos’è un grimaldello di fronte ad un titolo azionario, che cos’è la rapina di una banca di fronte alla fondazione di una banca, che cos’è l’omicidio di fronte al lavoro…
B. Brecht
Millenaristi
Verità e ideologia nella rappresentazione economica della crisi. Il movimento delle categorie – salario e profitto – verso il superamento della fase dell’accumulazione basata sul processo espansivo dei bisogni operai.
La lunga agonia dell’ordine monetario
L’inflazione da petrolio, manovrata dalle multinazionali energetiche e dagli Stati Uniti, mira ad attuare una enorme concentrazione di risorse valutarie, e di potere politico.
L’esperimento di un giornalino settimanale di nome l’Uno che nel 1977 sarebbe dovuto uscire da Linus ed essere pubblicato autonomamente.
All’ultimo, quando era già stata acquistata la carta ed erano pronti testi e disegni, la Rizzoli ci ripensò e ritenne troppo libertario quel foglio che usciva e sfidava la tempesta.
Ne bloccò dunque l’uscita, ma l’Uno crebbe virulento, ingenuo e smargiasso nel marsupio Linus, testimoniando balordaggini e splendori, speranze ed errori, debolezza e forza di un movimento giovanile che ringiovaniva pure i vecchi stravecchi.
Ora tante di quelle cose paiono superate, addirittura obsolete, ma sono nate allora con passione. Per la prima volta, dopo vent’anni esatti, i dodici numeri del ’77 escono dal vecchio Linus e vengono raccolti in un unico volume.Ricordo per reduci e scoperta per neonati, il settimanale costretto a diventare mensile dice forse ancora qualcosa.
Che è sempre meglio criticare che ubbidire.
Lo scheletro nell’armadio di Linus.
QUADERNI ROSSI
Periodicità: irregolare
Formato: libro
Torino 196l
Durata: anni 4
Numeri editi: 6 più due supplementi di lettere alla rivista
Tiratura: 1.500 copie
Diffusione nord Italia.
La nascita della rivista ha avuto nella figura di Raniero Panzieri il fulcro catalizzatore principale.
Assemblea autonoma di Porto Marghera
Questo libretto è a cura della assemblea autonoma di Porto Marghera.
La provenienza e la elaborazione dei materiali sono per gran parte il frutto della collaborazione dei compagni operai del petrolchimico.
Nella stessa stesura si è però tenuto conto di altri contributi, dalla relazione della commissione ambiente sugli As ai materiali del recente convegno di Firenze sul cloruro di vinile, ai risultati dell’Istituto di medicina del lavoro di Padova per i reparti Td.
Collettivo politico-operaio Sit Siemens – Milano, Quaderni operai n. 2, Operai impiegati: quale unità, s.i.p. Milano 1972
Questo documento e stato elaborato da un gruppo di compagni della Sit-Siemens che si sono costituiti in Collettivo Politico Operaio e non pretende di essere una analisi compiuta del problema dell’unità tra operai e impiegati. Vuole solo essere un momento iniziale di chiarimento teorico nella prospettiva di un intervento politico in fabbrica. Sarà questo intervento e la sua capacita di rafforzare l’unita tra operai e impiegati, a verificare la validità delle ipotesi del documento. Analisi dello stesso problema, che partano da situazioni diverse da quella della Sit-Siemens, possono definirlo meglio e quindi contribuire a dargli risposte più adeguate di quanto il Collettivo non sia stato capace di fare. Che cosa è il Collettivo e che cosa si propone di fare è spiegato alla fine dell’opuscolo. Questo perché per noi è più importante essere giudicati sulla base di ciò che abbiamo da dire sui problemi concreti che la classe operaia si trova ad affrontare nella lotta, che non sulla base di ciò che affermiamo di essere e di voler fare.