Filtra per Categoria
Autonomia Bolognese
Autonomie del Meridione
Fondo DeriveApprodi
Collettivi Politici Veneti
Autonomia Toscana
Blog
Autonomia operaia meridionale /​ Un volume ne ricostruisce la storia.

Autonomia operaia meridionale /​ Un volume ne ricostruisce la storia.

Fran­ce­sco Festa: «Era un un labo­ra­to­rio poli­ti­co-cul­tu­ra­le che ha dato la pos­si­bi­li­tà di spe­ra­re, imma­gi­na­re e sognare»

di Danie­le Maf­fio­ne – Trat­to da ilmon­do­di­suk - 24 Gen­na­io 2022

Da pochis­si­mi gior­ni è sta­to pub­bli­ca­to il libro: “Gli auto­no­mi – L’Autonomia ope­ra­ia meri­dio­na­le”, a cura di Anto­nio Bove e Fran­ce­sco Festa. Il volu­me, edi­to dal­la casa edi­tri­ce Deri­veAp­pro­di, è con­tras­se­gna­to dal nume­ro roma­no X, poi­ché rien­tra in una col­la­na tema­ti­ca più gene­ra­le dedi­ca­ta alla sto­ria dell’Autonomia ope­ra­ia, movi­men­to del­la sini­stra extra­par­la­men­ta­re sor­to in Ita­lia negli anni Set­tan­ta del seco­lo scorso.


Il lavo­ro di Bove e Festa docu­men­ta in modo ine­di­to e rigo­ro­so le ori­gi­ni, le lot­te e lo svi­lup­po di quest’area poli­ti­co-cul­tu­ra­le nel Mez­zo­gior­no. Tan­ti e tali sono i mate­ria­li rac­col­ti, che i due cura­to­ri han­no opta­to per la pub­bli­ca­zio­ne di una tri­lo­gia, che si con­cen­tre­rà su tre dif­fe­ren­ti ogget­ti d’indagine. La pri­ma par­te è dedi­ca­ta a Napo­li e alla sto­ria dell’autonomia pro­le­ta­ria meri­dio­na­le nel­la cit­tà più popo­lo­sa del Sud. Ne par­lia­mo con Fran­ce­sco Festa.


Cos’era l’Autonomia ope­ra­ia?
È sta­to un labo­ra­to­rio poli­ti­co-cul­tu­ra­le. Fac­cio un esem­pio per ren­de­re l’idea. Poten­za, che è la cit­tà da cui pro­ven­go, nell’immaginario comu­ne è il capo­luo­go di una regio­ne rite­nu­ta dai più una ter­ra paci­fi­ca­ta. Gra­zie al nostro lavo­ro, abbia­mo docu­men­ta­to il fat­to che negli anni ‘70 e ‘80, ben ven­ti­mi­la lot­ti abi­ta­ti­vi ven­ne­ro occu­pa­ti gra­zie alle lot­te pro­mos­se e orga­niz­za­te dall’Autonomia ope­ra­ia. Quel­le occu­pa­zio­ni costi­tui­ro­no una pro­spet­ti­va di vita per fami­glie pove­re in una ter­ra immi­se­ri­ta, che si rite­ne­va appan­nag­gio del­la Demo­cra­zia Cri­stia­na. Soprat­tut­to nel­le pro­vin­ce dell’entroterra, le cosid­det­te “ter­re dell’osso” – come le defi­nì Man­lio Ros­si Doria‑, l’Autonomia ha dato la pos­si­bi­li­tà di spe­ra­re, imma­gi­na­re, sogna­re, costrui­re e dise­gna­re tem­po libero.

Pos­sia­mo dire che è sta­to un movi­men­to di libe­ra­zio­ne?
Sicu­ra­men­te sì, se si inten­de la libe­ra­zio­ne dal pun­to di vista del lavo­ro. Quest’area ha por­ta­to avan­ti nel tem­po un rifiu­to dell’egemonia cul­tu­ra­le del cosid­det­to “fab­bri­chi­smo”, che alber­ga­va in for­ma­zio­ni del­la sini­stra rifor­mi­sta.
L’Autonomia par­la­va anche del­la pos­si­bi­li­tà di orga­niz­za­re il tem­po libe­roo il diver­ti­men­to che, in un con­te­sto di oppres­sio­ne fami­li­sta come quel­lo del Sud, era tutt’altro che scon­ta­to. Non a caso, in que­sto volu­me, figu­re­rà anche un inter­ven­to di Pep­pi­no Impa­sta­to, che descri­ve­rà l’esperienza di RadioAut.
L’Autonomia era una for­ma men­tis, una con­dot­ta, un modo di fare. Era il rifiu­to del lavo­ro come fine esi­sten­zia­le, ma anche il rifiu­to dell’egemonia capi­ta­li­sti­ca, il cui pri­mo nucleo nel Mez­zo­gior­no è infu­so nel­la fami­glia, in una men­ta­li­tà chiu­sa, con­trol­la­ta da una cap­pa demo­cri­stia­na e perbenista.


L’Autonomia al Sud fu anche il ten­ta­ti­vo di decli­na­re in un’altra for­ma la que­stio­ne meri­dio­na­le?
Fu un modo per rom­pe­re gli sche­mi pre­gres­si in cui era­no imbri­glia­ti pro­le­ta­ri, stu­den­ti, disoc­cu­pa­ti.
Quel labo­ra­to­rio di idee fu una vera e pro­pria pale­stra di lot­ta per mol­tis­si­mi gio­va­ni, che si aggre­ga­ro­no e for­ma­ro­no poli­ti­ca­men­te nei pri­mi cam­peg­gi, che furo­no occa­sio­ne di incon­tro, stu­dio, socia­li­tà, diver­ti­men­to. Lì, tan­ti ragaz­zi conob­be­ro per la pri­ma vol­ta l’attivismo poli­ti­co. L’Autonomia fu anche lot­ta alle orga­niz­za­zio­ni mafio­se. Pri­ma men­zio­na­vo l’esperienza di Pep­pi­no Impa­sta­to, ma non è l’unica. Nel nostro lavo­ro abbia­mo rico­strui­to anche l’esperienza di Afri­co – comu­ne alle por­te di Reg­gio Cala­bria- dove i mili­tan­ti auto­no­mi si arma­ro­no per com­bat­te­re le cosche mala­vi­to­se, entran­do in scon­tro non solo con la ‘ndran­ghe­ta, ma anche con la poli­zia e lo Sta­to, col­lu­so con la mafia. Quel­la fu una del­le tan­te espe­rien­ze che espres­se la dif­fe­ren­za fra il mili­ta­re nell’entroterra piut­to­sto che nei gros­si cen­tri metropolitani.


Da dove nasce l’idea di que­sto stu­dio?
È un’opera scrit­ta a quat­tro mani con Anto­nio Bove, stu­dio­so e atti­vi­sta poli­ti­co. Abbia­mo intra­pre­so que­sto per­cor­so due anni fa. Lo rimug­gi­na­va­mo da lun­go tem­po, for­se dal 2004. Pen­sa­va­mo che sareb­be sta­to uti­le rico­strui­re la sto­ria dei movi­men­ti socia­li e dei movi­men­ti di lot­ta nel Sud. Nel­la nostra men­te risuo­na­va sem­pre que­sta sor­ta di stig­ma che gra­va­va su Napo­li e il Mez­zo­gior­no, real­tà ric­che di par­te­ci­pa­zio­ne, atti­vi­smo, movi­men­ti ma su cui si era scrit­to trop­po poco, se non sot­to que­sta sem­pi­ter­na dici­tu­ra di “que­stio­ne meri­dio­na­le”. Poi, Lan­fran­co Cami­ni­ti e Ser­gio Bian­chi han­no lan­cia­to con la casa edi­tri­ce Deri­veAp­pro­di que­sta sor­ta di saga sul­la sto­ria degli Auto­no­mi in Ita­lia. Da quel momen­to in poi, ci sia­mo deter­mi­na­ti a scri­ve­re un qual­co­sa che col­mas­se quell’enorme vuo­to di nar­ra­zio­ne sull’esperienza e le pecu­lia­ri­tà dell’Autonomia nel­le nostre terre.


Com’è strut­tu­ra­to que­sto lavo­ro?
L’opera è divi­sa in tre par­ti e par­la dell’autonomia pro­le­ta­ria meri­dio­na­le. Il pri­mo volu­me si con­cen­tra su Napo­li. In aper­tu­ra, c’è un inter­ven­to di Alfon­so Latel­la, pro­ta­go­ni­sta di Voglia­mo tut­to di Nan­ni Bale­stri­ni. Dopo l’espulsione dal­la FIAT, in cui orga­niz­zò il pri­mo scio­pe­ro sen­za sin­da­ca­ti, Latel­la tor­nò nel­la sua Saler­no, man­te­nen­do uno spi­ri­to auto­no­mo e dive­nen­do pun­to di rife­ri­men­to del­le lot­te ope­ra­ie e dell’operaismo. Il libro pro­se­gue alter­nan­do rifles­sio­ni teo­ri­che e rac­con­ti, memo­rie, con­tri­bu­ti col­let­ti­vi. C’è un pez­zo scrit­to da Fran­ce­sco Caru­so, che rico­strui­sce le radi­ci del Sud Ribel­le. Poi, un bra­no di Giso Amen­do­la che ana­liz­za il rap­por­to tra svi­lup­po, sot­to­svi­lup­po e rifiu­to del lavo­ro, par­ten­do da una rifles­sio­ne sui clas­si­ci dell’operaismo sul Mez­zo­gior­no. Figu­ra­no, inol­tre, una con­ver­sa­zio­ne di Clau­dio Dio­ne­sal­vi con Fran­co Piper­no e una memo­ria di Lan­fran­co Cami­ni­ti su Pri­mi fuo­chi di guer­ri­glia, pri­mo grup­po arma­to che pose al cen­tro del­la sua ela­bo­ra­zio­ne e del­la sua pras­si com­bat­ten­te la spe­ci­fi­ci­tà meri­dio­na­le. Il con­tri­bu­to più volu­mi­no­so è com­po­sto da due sag­gi scrit­ti da me e Bove. Per quan­to riguar­da gli altri due volu­mi in usci­ta – sen­za disve­la­re trop­po – abbia­mo fat­to par­la­re le lot­te sui ter­ri­to­ri e chi gli dava l’infrastruttura organizzativa.

Quan­do ver­ran­no pub­bli­ca­te le altre par­ti dell’opera e di cosa par­le­ran­no?
Il secon­do volu­me si con­cen­tre­rà sul­la Cam­pa­nia e dovreb­be esse­re pub­bli­ca­to fra mag­gio e giu­gno. Il ter­zo epi­so­dio, inve­ce, sarà incen­tra­to sul Mez­zo­gior­no, con docu­men­ti, sto­rie e testi­mo­nian­ze rac­col­te tra Basi­li­ca­ta, Cala­bria, Puglia, Sici­lia, che, stan­do al pia­no edi­to­ria­le, dovreb­be usci­re alla fine del 2022.

Ave­te fat­to un lavo­ro enor­me…
È un’opera su cui abbia­mo impe­gna­to due anni e mez­zo di vita. Vi han­no con­tri­bui­to tan­tis­si­mi com­pa­gni e com­pa­gne. Lo spun­to ci è venu­to da una rifles­sio­ne di Lan­fran­co Cami­ni­ti con­te­nu­to nell’Orda d’oro di Nan­ni Bale­stri­ni, in cui si par­la­va per l’appunto di auto­no­mia meri­dio­na­le. Ci sia­mo chie­sti se que­sta real­tà esi­stes­se real­men­te. Io e Bove pro­ve­ni­va­mo da espe­rien­ze ere­di di quell’area poli­ti­ca, come i cen­tri socia­li Offi­ci­na 99 e lo SKA. Rispet­to alle orgi­ni, per un fat­to­re di ricam­bio gene­ra­zio­na­le, ci sono sta­ti adden­tel­la­men­ti. Nei movi­men­ti c’era chi, facen­do rife­ri­men­to all’Autonomia, accen­tua­va di più il tema del red­di­to e del sala­rio, altri han­no pro­va­to a strut­tu­ra­re di più il movi­men­to dei disoc­cu­pa­ti o il movi­men­to stu­den­te­sco. Abbia­mo riflet­tu­to a lun­go sul­le carat­te­ri­sti­che di que­ste espe­rien­ze, che ave­va­no una matri­ce comu­ne, in quan­to ispi­ra­te ad una mas­si­ma di Rena­to Pan­zie­ri, che par­la­va dell’importanza di apri­re e tene­re aper­ti i movi­men­ti. Que­sto è sta­to il back­ground che abbia­mo respi­ra­to nell’area in cui abbia­mo mili­ta­to ed è sta­to il filo ros­so che abbia­mo tenu­to nell’opera.

Come ave­te rian­no­da­to i fili di que­sta sto­ria?
Meto­do­lo­gi­ca­men­te, ci sia­mo doman­da­ti chi fos­se­ro gli Auto­no­mi pri­ma dell’Autonomia nel Mez­zo­gior­no. Per­ché un con­to è par­la­re dell’organizzazione, in sen­so stret­to, a Roma, Pado­va, Mila­no, Bolo­gna, Tori­no, Geno­va, un con­to al Sud, dove a una pri­ma ana­li­si le espe­rien­ze più signi­fi­ca­ti­ve pare­va­no espri­mer­si sol­tan­to a Napo­li, Cata­nia e Poten­za. Per esten­de­re la ricer­ca, abbia­mo allar­ga­to il cam­po di rife­ri­men­to e, via via, rac­co­glien­do con­tri­bu­ti, memo­rie, mate­ria­li, sono emer­se le carat­te­ri­sti­che di sog­get­ti­vi­tà di com­pa­gni che ave­va­no mili­ta­to in Lot­ta con­ti­nua, però si era­no spo­sta­ti nel Coor­di­na­men­to anti­nu­clea­re e antim­pe­ria­li­sta, che è una real­tà che ha segna­to mol­to l’esperienza meri­dio­na­le negli anni ‘80.

Qua­li furo­no le radi­ci di clas­se di quel­la che defi­ni­te ‘Auto­no­mia pro­le­ta­ria meri­dio­na­le’?
In ter­mi­ni mar­xia­ni, l’ambito poli­ti­co in cui veni­va agi­to il con­flit­to col capi­ta­le era la fab­bri­ca. La pre­sen­za dell’Autonomia ope­ra­ia era cir­co­scrit­ta ad alcu­ne fab­bri­che, tut­te impor­tan­ti, come a Bagno­li, a Pomi­glia­no d’Arco, a Giu­glia­no, a Castel­lam­ma­re. Ma il vero pre­gio dell’Autonomia fu quel­lo di muo­ver­si in una pro­spet­ti­va più metro­po­li­ta­na, ana­liz­zan­do real­tà socia­li lascia­te ai mar­gi­ni. A par­ti­re da que­sta con­si­de­ra­zio­ne, si fece lar­go una diver­sa inter­pre­ta­zio­ne del cosid­det­to lum­pen­pro­le­ta­riat, che non era sot­to­pro­le­ta­ria­to, ma una real­tà com­po­si­ta in cui l’operaio socia­le – che oggi chia­me­rem­mo ‘pre­ca­rio’, figu­ra emer­sa del­la ter­zia­riz­zio­ne pro­dut­ti­va – era già pre­sen­te a Napo­li dal­la fine degli anni ‘70. Chi fa mil­le lavo­ri per soprav­vi­ve­re, è un lavo­ra­to­re che pro­du­ce sia in ter­mi­ni capi­ta­li­sti­ci, sia in ter­mi­ni di valo­riz­za­zio­ne capitalistica.

Vi furo­no altre carat­te­ri­sti­che signi­fi­ca­ti­ve?
Rispet­to ad altre real­tà, a Napo­li i mili­tan­ti di quest’area furo­no pre­va­len­te­men­te mar­xi­sti-leni­ni­sti. C’era una rivi­sta, Lot­ta di lun­ga dura­ta, da cui sono emer­si tan­ti com­pa­gni anco­ra atti­vi nel sin­da­ca­to. Que­ste radi­ci ideo­lo­gi­che defi­ni­ro­no Napo­li come una sor­ta di ‘ano­ma­lia ita­lia­na’, cosa che, tut­ta­via, non le impe­dì di par­te­ci­pa­re all’area nazio­na­le degli Autonomi.

Che cosa rap­pre­sen­ta­no espe­rien­ze come i cen­tri socia­li Offi­ci­na 99 e il Labo­ra­to­rio occu­pa­to Ska nel­la rico­stru­zio­ne di que­sta sto­ria?
La libe­ra­zio­ne di que­sti spa­zi ha ori­gi­ni mol­te­pli­ci. Sostan­zial­men­te, si trat­ta di un fat­to gene­ra­zio­na­le. Rispet­to agli anni ’70, tan­ti com­pa­gni e com­pa­gne si for­ma­ro­no nel movi­men­to stu­den­te­sco del­la Pan­te­ra. Come dice­vo, negli anni ‘80, men­tre mol­ti com­pa­gni era­no fini­ti in car­ce­re pre­ser­van­do le loro idee, c’erano sta­te le espe­rien­ze del Coor­di­na­men­to anti­nu­clea­re e antim­pe­ria­li­sta e dei cam­peg­gi poli­ti­ci, che gene­ra­ro­no l’amalgama da cui pro­ven­ne­ro nuo­vi mili­tan­ti che anda­ro­no poi ad occu­pa­re Offi­ci­na 99, dive­nu­to poi il patri­mo­nio di tra­smis­sio­ne di alcu­ni meto­di di lot­ta. L’idea era di dare più impor­tan­za ai movi­men­ti, pen­san­do che l’accumulo di ener­gie nel­le fasi di riflus­so potes­se tene­re aper­ta la pos­si­bi­li­tà al cam­bia­men­to dei rap­por­ti di for­ze, anzi­ché far­li con­flui­re in ten­ta­ti­vi elet­to­ra­li. “Pri­ma la clas­se e poi il capi­ta­le”, si dice­va. Que­sta cosa si è poi, evo­lu­ta in pri­ma il sog­get­ti­vi­smo e poi l’oggettivismo.

Cosa inten­di?
Que­sta dico­to­mia la si com­pren­de sol­tan­to a distan­za di tem­po. Oggi, que­sto dibat­ti­to fra la real­tà e il tipo di orga­niz­za­zio­ne che ser­ve per cam­biar­la è pres­so­chè ine­si­sten­te. L’eredità è que­sta. Nel 1993, il Coor­di­na­men­to si rup­pe. I pado­va­ni pre­se­ro la via del­la “Car­ta di Mila­no”[1], e sosten­ne­ro poi la fon­da­zio­ne del­le Tute bian­che[2], com­pien­do la scel­ta di fare entri­smo nel­le isti­tu­zio­ni. Il che segnò la divi­sio­ne nel movi­men­to dei cen­tri socia­li. Sem­bra una sto­ria con­fu­sa, ma se la si leg­ge in ter­mi­ni di sog­get­ti­vi­tà, con­cet­ti, gru­mi teo­ri­ci, c’è un con­ti­nuum. Lo stes­so movi­men­to del­la Pan­te­ra nac­que da quell’humus e a Napo­li ven­ne ani­ma­to da com­pa­gni che si riu­ni­va­no pri­ma al Riot dei Ban­chi Nuo­vi. Poi, spo­sta­ro­no il loro bari­cen­tro all’università, caval­can­do l’onda del­la Pan­te­ra e dan­do ori­gi­ne ad una nuo­va sta­gio­ne di lot­ta sot­to il segno dell’Autonomia.

Nel vostro libro, allo­ra, biso­gna leg­ge­re anche un ten­ta­ti­vo di libe­ra­re dal­la dam­na­tio memo­riae la sto­ria degli Auto­no­mi meri­dio­na­li?
È il nostro auspi­cio. Spe­ria­mo che que­sto lavo­ro pos­sa far discu­te­re, for­nen­do un altro sguar­do al Mez­zo­gior­no e alla par­te­ci­pa­zio­ne nel socia­le e nel civi­le, inte­so come pro­ta­go­ni­smo di cit­ta­di­ni, abi­tan­ti, popo­la­zio­ne. La veri­tà è che sono sta­te con­dot­te mol­tis­si­me lot­te nel Sud, ma si è scrit­to trop­po poco. For­se, è que­sta l’origine del­la dam­na­ta­tio memo­riae. Que­sta tri­lo­gia può far par­la­re del­la que­stio­ne meri­dio­na­le, non nel sen­so clas­si­co del ter­mi­ne, inte­sa dall’alto, ma spie­gan­do­ne la complessità.

A qua­le pub­bli­co vi rivol­ge­te?
Par­lia­mo a chiun­que voglia cono­sce­re la geo­gra­fia urba­na e i con­te­sti socia­li. Su que­sti temi, ci sono pochis­si­mi volu­mi, che han­no un taglio pret­ta­men­te acca­de­mi­co o socio­lo­gi­co, che han­no stu­dia­to dall’esterno que­sta real­tà ‑ester­no inte­so come venu­to da fuo­ri- e si inter­ro­ga­no sul fer­vo­re napo­le­ta­no. Può sor­pren­de­re, ma l’argomento da noi trat­ta­to è sta­to mol­to stu­dia­to da ricer­ca­to­ri di uni­ver­si­tà anglo-ame­ri­ca­ne. Tut­ta­via, non si è stu­dia­ta ciò che è sta­ta la sot­tra­zio­ne, in ter­mi­ni poli­ti­co-cri­mi­na­li, del­la socie­tà secon­do cate­go­riz­za­zio­ni ben precise.

Quan­to è cam­bia­ta la Napo­li descrit­ta nel libro rispet­to a quel­la attua­le?
Ica­sti­ca­men­te tan­to. Le piaz­ze e gli spa­zi pub­bli­ci sono muta­ti nel tem­po. Napo­li è un enor­me spa­zio pub­bli­co, nel sen­so poli­ti­ciz­za­to del ter­mi­ne. È sem­pre sta­to un luo­go di incon­tro, scam­bio, fer­men­to, vita­li­tà, lot­ta. Oggi, inve­ce, è uno spa­zio pre­va­len­te­men­te eco­no­mi­co, con eser­ci­zi com­mer­cia­li, bou­ti­que, risto­ran­ti, bar in ogni dove. Ambi­ti che pri­ma era­no per lo più cir­co­scrit­ti ad alcu­ne stra­de o zone – come il Vome­ro, via Tole­do, cor­so Umber­to – ades­so han­no inva­so l’intera cit­tà, ancor più dopo la pan­de­mia. Anche per­ché i movi­men­ti socia­li, oggi, nono­stan­te la loro gene­ro­si­tà, fan­no fati­ca a con­ten­de­re la cit­tà, inte­sa come spa­zio pub­bli­co, a quest’ondata.

Quan­do par­li di con­ti­nuum tra pas­sa­to e pre­sen­te dell’Autonomia napo­le­ta­na, a cosa ti rife­ri­sci?
Quel­lo che si sta facen­do in ter­mi­ni di lot­te socia­li sul lavo­ro, è sta­to il vero filo ros­so di que­sta sto­ria. Per tut­ti gli anni ‘90, la con­ti­nui­tà si è espres­sa nel­le lot­te dei disoc­cu­pa­ti, che sono sta­te impor­tan­tis­si­me e, per cer­ti ver­si, uni­che nel pano­ra­ma ita­lia­no. Quel­le han­no tenu­to vivo un retro­ter­ra. Le lot­te stu­den­te­sche han­no tro­va­to poi, un altro tipo di cata­liz­za­zio­ne e orga­niz­za­zio­ne. Tut­ta­via, sareb­be uti­le ritro­va­re una discus­sio­ne comu­ne sul­la pro­spet­ti­va, che è la cosa che man­ca di più in que­sta fase storica.

Qua­le pen­si che sia il futu­ro del pen­sie­ro auto­no­mo nel Mez­zo­gior­no?
Vive lad­do­ve è sta­to tra­smes­so e tra­man­da­to. A Napo­li, soprav­vi­ve in alcu­ni spa­zi socia­li, nono­stan­te la dia­spo­ra dell’attivo poli­ti­co del pas­sa­to. Non è solo una que­stio­ne gene­ra­zio­na­le, ma anche di pra­ti­che. Il pen­sie­ro dell’Autonomia ha inva­so, in alcu­ni momen­ti, anche il pro­gram­ma di Rifon­da­zio­ne Comu­ni­sta o di orga­niz­za­zio­ni mar­xi­ste-leni­ni­ste, a par­ti­re dall’idea che la clas­se e i pro­le­ta­ri si dotas­se­ro di una pro­pria orga­niz­za­zio­ne auto­no­ma. Que­sta autor­ga­niz­za­zio­ne può esse­re fat­to­re pro­dut­ti­vo e orga­niz­za­ti­vo del­le risor­se pub­bli­che, facen­do diven­ta­re comu­ne l’eredità del pen­sie­ro ope­rai­sta e auto­no­mo. Biso­gne­reb­be ragio­na­re al di là del­la pro­pria sog­get­ti­vi­tà per rag­giun­ge­re que­sto obiettivo.

I cen­tri socia­li potreb­be­ro svol­ge­re nuo­va­men­te una fun­zio­ne pro­pul­si­va per il con­flit­to socia­le?
Quel­li che ci sono svol­go­no un ruo­lo lode­vo­le, anche se non so dire quan­to tra­man­di­no la pra­ti­ca di lot­ta. Sicu­ra­men­te, la pro­li­fe­ra­zio­ne di espe­rien­ze che c’è sta­ta in que­sti anni è diven­ta­ta forie­ra di iso­le del­la rete del con­flit­to. Tut­ta­via, è neces­sa­rio non sta­re fer­mi nei luo­ghi. Offi­ci­na 99 ci ser­vi­va dal pun­to di vista logi­sti­co, per l’organizzazione del­la nostra area poli­ti­co-cul­tu­ra­le, per l’autofinanziamento. Era lo stru­men­to, non il fine. Per noi, era uno spa­zio in cui si orga­niz­za­va la lot­ta e il tem­po libe­ro e libe­ra­to dal lavo­ro, dal fami­li­smo, dal­lo Sta­to, dal capi­ta­le. Non era un luo­go in cui trin­ce­rar­si. Biso­gna lot­ta­re anco­ra tan­to per pre­ser­var­ne l’idea, la memo­ria sto­ri­ca, la fun­zio­ne socia­le per non sca­de­re in logi­che alie­na­te e alie­nan­ti.
©Ripro­du­zio­ne riservata


NOTE

[1] Docu­men­to sti­la­to dall’assemblea nazio­na­le dei cen­tri socia­li riu­ni­ta­si nel Set­tem­bre del 1998 al Cen­tro socia­le “Leon­ca­val­lo” di Mila­no. Per appro­fon­di­re, si riman­da al seguen­te link: http://www.ecn.org/leoncavallo/26set98/

[2] Per una pri­ma infa­ri­na­tu­ra su que­sto movi­men­to, con­sul­ta il link: http://www.alloradillo.it/le-tute-bianche/

Sull’Autonomia operaia meridionale – Intervista a Francesco Festa

Sull’Autonomia operaia meridionale – Intervista a Francesco Festa

Trat­to da Infout.org – 27 gen­na­io 2022

Abbia­mo inter­vi­sta­to Fran­ce­sco Festa che ha cura­to insie­me ad Anto­nio Bove il lavo­ro di ricer­ca sul­la sto­ria, sui pro­ta­go­ni­sti e sul­le for­me dell’Autonomia meri­dio­na­le, oggi esce il pri­mo volu­me dei tre edi­to da Deri­ve e Approdi.

È un lavo­ro a cui abbia­mo dedi­ca­to gli ulti­mi due anni ma è pen­sa­to già dagli ini­zi degli anni 2000 quan­do mili­ta­va­mo a Officina99 e riflet­te­va­mo su che cosa fos­se l’autonomia che ci era sta­ta tra­smes­sa, sia in ter­mi­ni teo­ri­ci che pra­ti­ci, sia nel­le lot­te ma anche nel­la tra­du­zio­ne, di gene­ra­zio­ne in gene­ra­zio­ne, fino a noi gio­va­ni dell’epoca.

Ci è sta­ta data l’opportunità da Deri­ve e Appro­di di inda­ga­re che cosa sia sta­ta l’Autonomia meri­dio­na­le nel­le sue diver­se acce­zio­ni: in que­sto pri­mo volu­me par­lia­mo di auto­no­mia ope­ra­ia meri­dio­na­le per­ché ci con­cen­tria­mo su Napo­li, il secon­do sarà sul­la Cam­pa­nia e il ter­zo sul Mez­zo­gior­no, dun­que Puglia, Basi­li­ca­ta, Cala­bria e Sici­lia. Ho distin­to auto­no­mia ope­ra­ia meri­dio­na­le da altri tipi di acce­zio­ne, per­ché ad esem­pio in Cala­bria si chia­ma­va Auto­no­mia pro­le­ta­ria, oppu­re Auto­no­mia meri­dio­na­le, e que­sto è lega­to alla com­po­si­zio­ne di clas­se e ai rap­por­ti socia­li di produzione. 

Se l’Autonomia ope­ra­ia così come l’abbiamo cono­sciu­ta, let­ta e ci è sta­ta tra­smes­sa dai più vec­chi, ha vis­su­to al di fuo­ri del­le fab­bri­che così come a Mira­fio­ri, Mila­no, Mar­ghe­ra, nel Mez­zo­gior­no non è sta­to così, pro­prio per­ché gli inse­dia­men­ti indu­stria­li non sono sta­ti così for­ti, quin­di c’è sta­to un altro tipo di tra­du­zio­ne dell’Autonomia all’interno di ciò che è sta­to poi defi­ni­to, a metà degli anni 70, l’operaio socia­le. Quin­di, in par­ti­co­la­re a Napo­li, il pro­le­ta­rio e il sot­to­pro­le­ta­rio urba­no metro­po­li­ta­no, quel­lo che si arrab­bat­ta­va tra­mi­te i mil­le lavo­ret­ti, così come veni­va ica­sti­ca­men­te raf­fi­gu­ra­to dal­la let­te­ra­tu­ra bor­ghe­se, era a tut­ti gli effet­ti un pro­dut­to­re di valo­re, di mer­ci ed era inse­ri­to nei cicli pro­dut­ti­vi del­la metro­po­li. L’Autonomia all’interno di uno spa­zio metro­po­li­ta­no come Napo­li è sta­ta soprat­tut­to que­sto tipo di com­po­si­zio­ne di clas­se, vi inse­ria­mo l’autorganizzazione dei con­trab­ban­die­ri, l’autorganizzazione dei disoc­cu­pa­ti, così come è sta­ta l’organizzazione all’interno di pic­co­li e gran­di nuclei indu­stria­li dove era­no pre­sen­ti com­pa­gni e com­pa­gne affe­ren­ti a orga­niz­za­zio­ni auto­no­me, come Bagno­li dove c’era l’Ital Sider o a Pomi­glia­no con l’Alfa Sud che era­no gros­se fab­bri­che, c’era que­sto tipo di com­po­si­zio­ne oltre a una com­po­si­zio­ne di clas­se affe­ri­bi­le a quel­lo che è sta­to chia­ma­to l’operaio sociale. 

Se aves­si­mo volu­to par­la­re dell’Autonomia ope­ra­ia orga­niz­za­ta avrem­mo dovu­to restrin­ge­re il cam­po a pochi nuclei orga­niz­za­ti all’interno del Mez­zo­gior­no, a Napo­li, qual­co­sa in Sici­lia e in Puglia. Il tut­to si sareb­be risol­to così, inve­ce il meto­do di lavo­ro da cui sia­mo par­ti­ti è sta­ta una con­si­de­ra­zio­ne di Lan­fran­co Cami­ni­ti fat­ta in un pez­zo sull’Autonomia meri­dio­na­le, nell’Orda D’oro, dice­va che gli auto­no­mi nel Mez­zo­gior­no esi­sto­no ed esi­ste­va­no al di là dell’Autonomia, quin­di sia­mo anda­ti alla ricer­ca di un filo ros­so che inda­gas­se su que­sto tipo di con­dot­te, di for­ma men­tis, di com­por­ta­men­ti, quin­di se l’Autonomia ope­ra­ia che abbia­mo cono­sciu­to è quel­la del rifiu­to del lavo­ro, del rifiu­to dell’egemonia cul­tu­ra­le bor­ghe­se lega­ta all’idea del lavo­ro, nel Mez­zo­gior­no non è sta­ta solo la libe­ra­zio­ne dal lavo­ro ma è sta­ta anche la libe­ra­zio­ne da alcu­ni gio­ghi lega­ti al fami­li­smo, alla con­di­zio­ne fem­mi­ni­le, alla pre­sen­za del bloc­co sto­ri­co del­la DC, nell’entroterra soprat­tut­to, in regio­ni come Basi­li­ca­ta, Cala­bria, il gio­go for­te del con­nu­bio poli­ti­co-cri­mi­na­le tra la poli­ti­ca e le orga­niz­za­zio­ni mala­vi­to­se, è que­sto il filo­ros­so, il rifiu­to dell’egemonia capi­ta­li­sti­ca nel Mezzogiorno.

Qua­li spe­ci­fi­ci­tà pos­sia­mo indi­vi­dua­re nell’Autonomia meri­dio­na­le, oltre alla com­po­si­zio­ne?  Qua­li even­ti salien­ti ne han­no deter­mi­na­to il per­cor­so? E dato que­sto sguar­do par­ti­co­la­re nel ritrac­cia­re que­sta sto­ria, qua­li sono sta­te le fon­ti da voi utilizzate? 

Par­tia­mo dal­le fon­ti. Per il pri­mo volu­me sono sta­te un po’ di let­te­ra­tu­ra e di sto­rio­gra­fia del­le lot­te socia­li e poli­ti­che a Napo­li e nel Mez­zo­gior­no, sia di par­te, quin­di scrit­te dal­le orga­niz­za­zio­ni del­la sini­stra rivo­lu­zio­na­ria, sia acca­de­mi­che clas­si­che. Poi, il mate­ria­le auto­pro­dot­to dal­le real­tà del­la sini­stra rivo­lu­zio­na­ria e infi­ne le fon­ti ora­li. Quel­la prin­ci­pa­le sono sta­te le fon­ti ora­li, infat­ti in que­sti tre volu­mi la cosa impor­tan­te e indi­spen­sa­bi­le è che si è par­la­to di quel­la che vie­ne chia­ma­ta sto­ria mino­re, la sto­ria nor­mal­men­te è quel­la che vie­ne fat­ta dai gros­si nomi secon­do una meto­do­lo­gia sto­ri­ci­sta per cui la sto­ria vie­ne fat­ta dai con­dot­tie­ri, dai vin­ci­to­ri, men­tre noi abbia­mo dato voce a sto­rie dal bas­so, a com­pa­gni e com­pa­gne che anco­ra oggi stan­no sul­le bar­ri­ca­te e la loro mili­tan­za è nata negli anni 70, com­pa­gni e com­pa­gne che non avreb­be­ro avu­to paro­la e le sto­rie stes­se sareb­be­ro cadu­te nell’oblio.

Quel­la per esem­pio di Casi­mi­ro Lon­ga­ret­ti di Nova Siri, uno degli orga­niz­za­to­ri dei due cam­peg­gi di lot­ta anti­nu­clea­ri del 78 e del 79, fat­ti vici­no alla tri­sa­ia di Roton­del­la, il cen­tro di stoc­cag­gio del nuclea­re, sono momen­ti impor­tan­ti all’interno del­la sta­gio­ne di lot­te anti­nu­clea­ri e ambien­ta­li­ste, in segui­to è nato il coor­di­na­men­to anti anti cono­sciu­to negli anni 80 e che ha fat­to vive­re l’Autonomia al di là del­la repres­sio­ne e dei com­pa­gni in car­ce­re. Casi­mi­ro si è poli­ti­ciz­za­to in quei gior­ni là, non era ini­zial­men­te un mili­tan­te dell’organizzazione. Abbia­mo par­la­to poi di Basi­li­ca­ta, in par­ti­co­la­re di una cit­tà come Poten­za, soli­ta­men­te son­nac­chio­sa, per anni gover­na­ta dal­la DC e ora dal­la Lega, dove fra gli anni 70 e 80 ven­ne­ro occu­pa­te 20mila case. Que­ste sto­rie se non le aves­si­mo rac­col­te in que­sti volu­mi sareb­be­ro cadu­te nell’oblio.

Quin­di ecco la cosa straor­di­na­ria, abbia­mo fat­to par­la­re pri­ma dell’Autonomia gli auto­no­mi. Nel libro sul­la Cala­bria si par­la anche del­le rivol­te di Reg­gio, da un pun­to di vista di ter­mi­ni tem­po­ra­li sia­mo par­ti­ti dal 69, poi abbia­mo appro­fon­di­to le rivol­te di Reg­gio che soli­ta­men­te si pen­sa­no attra­ver­sa­te dai fasci­sti, ma quel­la rivol­ta, dura­ta un inte­ro anno, non era solo que­sto. Ini­zial­men­te era sem­bra­ta una lot­ta pro­vin­cia­le, qua­si cor­po­ra­ti­va, di una cit­tà che si ribel­la­va con­tro una dispo­si­zio­ne gover­na­ti­va che pre­ve­de­va di spo­sta­re il capo­luo­go di regio­ne a Catan­za­ro, si è rico­strui­ta anche la sto­ria dell’antimafia ad Afri­co dove Pala­ma­ra, che si è poi dovu­to tra­sfe­ri­re a Roma con tut­ta la fami­glia nei pri­mi anni 70, non fece anti­ma­fia paci­fi­ca ma impu­gnò le armi dinan­zi ai sopru­si, davan­ti alle pri­me for­me di ‘ndri­ne, che si anda­va­no orga­niz­zan­do­si, e in quell’occasione fu fat­ta anche una mani­fe­sta­zio­ne nazio­na­le di sostegno. 

In Sici­lia inve­ce si darà voce a un com­pa­gno di Pep­pi­no Impa­sta­to, un com­pa­gno all’interno di radio Aut, poi elet­to in Demo­cra­zia Pro­le­ta­ria con Pep­pi­no, che par­la non solo di quel­lo che si cono­sce ma anche dei rap­por­ti di for­za, qual’era la vita svol­ta all’interno dei pae­si­ni del­la Sici­lia. Tut­to que­sto, a nostro pare­re, si inqua­dra nei ten­ta­ti­vi di dare una for­ma di orga­niz­za­zio­ne all’autonomia al sud. Ci furo­no anche due assem­blee for­ti, una a Cosen­za e una a Paler­mo dell’Autonomia meri­dio­na­le, l’organizzazione è sta­ta quel­la di Lan­fran­co Cami­ni­ti e Fio­ra Pir­ri, che non furo­no solo un ten­ta­ti­vo di dare una bre­ve vita a una for­ma di orga­niz­za­zio­ne, ma una spin­ta in temi­ni di gesti esem­pla­ri, di for­me. Dopo il 7 apri­le, tra gli arre­sti e le per­qui­si­zio­ni, ven­ne per­qui­si­ta anche l’università di Cosen­za con i mili­ta­ri di Dal­la Chie­sa che la mise­ro a soq­qua­dro, anche que­sto vie­ne rac­con­ta­to nel­la trilogia.

Qua­li spun­ti pos­sia­mo trar­re da que­sti volu­mi per l’oggi, sia sul pia­no dell’agire che sull’analisi di fase?

Sono libri di sto­ria, di memo­ria, uno degli spun­ti è quel­lo di sta­re all’interno di com­po­si­zio­ni spu­rie così come quel­le che ha vis­su­to Napo­li e il Mez­zo­gior­no. C’è un pez­zo di Alfon­so Natel­la, il pro­ta­go­ni­sta di Voglia­mo Tut­to che par­la anche di Tori­no e rico­strui­sce la vita a Tori­no e la sua espe­rien­za, poi c’è un pez­zo teo­ri­co Dimen­ti­ca­re il Sud, uno di Fran­ce­sco Caru­so su il Sud Ribel­le, uno di Giso Amen­do­la su Svi­lup­po e Sot­to­svi­lup­po, una con­ver­sa­zio­ne tra Clau­dio Dio­ne­sal­vi e Fran­co Piper­no e poi Lan­fran­co Caminiti. 

Tre quar­ti del volu­me riguar­da il pez­zo su Napo­li che si chia­ma, in dia­let­to O Gliom­me­ro, “Il gro­vi­glio”, ossia il fer­ti­le gro­vi­glio dell’Autonomia napo­le­ta­na, per­chè si trat­ta di un miscu­glio, di una com­po­si­zio­ne socia­le spu­ria. Non avre­mo mai a che fare con com­po­si­zio­ni che sul­la car­ta sono quel­le per cui i rap­por­ti di pro­du­zio­ne rie­sco­no ad ave­re un deter­mi­na­to inter­ven­to e poi poli­ti­ciz­zan­do­si diven­ta­re clas­se per sé, ma l’importante è sta­re den­tro quel tipo di com­po­si­zio­ne, con le sue con­trad­di­zio­ni e le sue ambi­va­len­ze, cer­can­do di for­za­re degli ele­men­ti auto­no­mi e di autor­ga­niz­za­zio­ne, que­sto è l’insegnamento.

L’Autonomia oltre ad esse­re una cate­go­ria sto­ri­ca è anche una cate­go­ria per­so­na­le ed è da que­sto che sia­mo par­ti­ti, da un pun­to di vista di inda­gi­ne su qua­li potes­se­ro esse­re i fram­men­ti di Auto­no­mia non nei cen­tri metro­po­li­ta­ni ma nell’entroterra, cosa ben diver­sa. L’insegnamento è que­sto, da una par­te la com­po­si­zio­ne di clas­se è sem­pre spu­ria e in secon­do luo­go biso­gna lavo­ra­re come una tal­pa, anche nei perio­di di reflus­so, di paci­fi­ca­zio­ne, di repres­sio­ne come potreb­be­ro sem­bra­re que­sti, in cui tut­ti sono alli­nea­ti in un qua­dro reco­sti­tui­to, ma ci sono dei fer­men­ti su cui lavo­ra­re, soprat­tut­to in com­po­si­zio­ni spu­rie, ad esem­pio a Napo­li, ci sono espe­rien­ze di sin­da­ca­liz­za­zio­ne dal bas­so che sono mol­to inte­res­san­ti, che potreb­be­ro somi­glia­re alle lot­te di quel­li che negli anni 70 face­va­no i mil­le lavo­ret­ti o dei disoc­cu­pa­ti orga­niz­za­ti, la riven­di­ca­zio­ne era il lavo­ro ma un lavo­ro che non era carat­te­riz­za­to da un’idea lavo­ri­sta, per­chè se la pen­sia­mo in que­sti ter­mi­ni è ovvio che quel­la non è una lot­ta ricon­du­ci­bi­le all’Autonomia ope­ra­ia, non era rifiu­to del lavo­ro ma era lot­ta per il lavo­ro nei ter­mi­ni di lot­ta per il sala­rio, per il red­di­to, non di dele­ga o di chie­de­re ele­mo­si­na alla DC o a qual­che padron­ci­no, al galan­tuo­mo come dice­va Verga. 

Si par­le­rà anche del­la Pan­te­ra, i volu­mi arri­va­no infat­ti al 93 – 94, fino al scio­gli­men­to di anti anti, negli anni 80 i com­pa­gni non sono sta­ti con le brac­cia con­ser­te, ci sono sta­ti cam­peg­gi di lot­ta, le lot­te anti­nu­clea­ri, le lot­te del coor­di­na­men­to, quel­lo è sta­to un lavo­rio che poi ha por­ta­to a feno­me­ni che all’occasione sono esplosi. 

Con­clu­dia­mo cosi la pre­fa­zio­ne: “L’Autonomia esi­ste anche sen­za auto­no­mi – scri­ve­va Lan­fran­co Cami­ni­ti – sta a noi incon­trar­la, pro­prio come all’inizio degli anni 60 i pri­mi ope­rai fece­ro al cospet­to del migran­te meri­dio­na­le e del­la rude raz­za paga­na, poten­do affer­ma­re, davan­ti alle rivol­te di Piaz­za Sta­tu­to, non ce l’aspettavamo ma le abbia­mo orga­niz­za­te.” Se si ha que­sta ten­sio­ne ci sono buo­ne speranze.