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La terra a chi la lavora! La provincia di Lecce contro lo Stato: l’occupazione delle terre dell’Arneo – Rassegna Stampa

Arti­co­li de L’U­ni­tà del 1 – 2 – 4 Gen­na­io 1950 e de 25 Apri­le 1951 

La terra a chi la lavora! La provincia di Lecce contro lo Stato: l’occupazione delle terre dell’Arneo

Tra la fine il 1949 e il 1951 i brac­cian­ti puglie­si, mobi­li­ta­ti dal­la Feder­brac­cian­ti, por­ta­no avan­ti una dura lot­ta per la con­ces­sio­ne del­le ter­re incol­te, con scio­pe­ri, cor­tei e occu­pa­zio­ni di ter­re­ni. Nel dicem­bre 1949 ini­zia­no le mani­fe­sta­zio­ni e le lot­te nel­la zona dell’Arneo nel Salen­to e di altre zone del­la pro­vin­cia: oltre 40.000 etta­ri di ter­re NON col­ti­va­te di pro­prie­tà di lati­fon­di­sti; 23.000 etta­ri di pro­prie­tà di sole 81 fami­glie; 20.000 brac­cian­ti e con­ta­di­ni nel­la zona dell’Arneo disoc­cu­pa­ti vivo­no in asso­lu­ta pover­tà. In Puglia la disoc­cu­pa­zio­ne supe­ra il 50%.

I con­ta­di­ni sen­za ter­ra e i brac­cian­ti deci­do­no di occu­pa­re il lati­fon­do del mar­che­se Tam­bor­ri­no di Maglie. Sono le ter­re dell’Arneo tra Nar­dò, Coper­ti­no e Veglie. Le occu­pa­zio­ni del­le ter­re e le mani­fe­sta­zio­ni gui­da­te dal­la Feder­brac­cian­ti e dal­le Leghe e han­no carat­te­re “riven­di­ca­ti­vo”, ossia pun­ta­no a far inse­ri­re le ter­re dell’Arneo nel­la Leg­ge di Rifor­ma Agra­ria in discus­sio­ne in Par­la­men­to. Dun­que sono sim­bo­li­che, si occu­pa, si sta lì qual­che gior­no, si aspet­ta­no assi­cu­ra­zio­ni da par­te dei poli­ti­ci, poi si disoccupa.

La repres­sio­ne poli­zie­sca col­pi­sce dura­men­te, usan­do anche le armi da fuo­co. Il 13 feb­bra­io 1950 in una mani­fe­sta­zio­ne a Seclì, cit­ta­di­na di 2000 abi­tan­ti in pro­vin­cia di Lec­ce, un brac­cian­te di 31 anni Anto­nio Mica­li vie­ne col­pi­to da raf­fi­che di mitra all’addome e mori­rà dopo alcu­ni gior­ni (sul­la mor­te del Mica­li vi sono ver­sio­ni con­tra­stan­ti, alcu­ni dico­no che non sia poi morto).

La lot­ta si ina­spri­sce e le occu­pa­zio­ni suc­ces­si­ve assu­mo­no un carat­te­re diver­so. Ora i brac­cian­ti e i con­ta­di­ni occu­pa­no per star­ci: spie­tra­no le ter­re, le divi­do­no tra loro e le met­to­no a col­ti­va­zio­ne. Il gover­no coglie la “novi­tà” di un “con­tro­po­te­re” in atto, di una riap­pro­pria­zio­ne effet­ti­va, si pre­oc­cu­pa e deci­de di rispon­de­re col mas­si­mo del­la fero­cia repres­si­va. Scel­ba, mini­stro dell’interno, dispie­ga miglia­ia di arma­ti. L’ordine è pre­ci­so: stron­ca­re l’occupazione con man­ga­nel­li, bom­be fumo­ge­ne e, se ser­ve, con armi da fuo­co. Per ter­ro­riz­za­re la popo­la­zio­ne, gra­zie alla col­la­bo­ra­zio­ne del mini­stro del­la dife­sa, uti­liz­za per­fi­no un aero­pla­no da guer­ra, con­tro brac­cian­ti arma­ti di sole zap­pe e ron­co­le. Fra il 28 dicem­bre 1950 e il tre gen­na­io 1951 si ebbe­ro gli scon­tri più acce­si: tre gior­ni ci vol­le­ro alle for­ze arma­te di poli­zia per sgom­bra­re, con deci­ne di feri­ti e oltre cen­to arre­sta­ti. Poi ven­ne­ro i pro­ces­si e la gale­ra, ma le ter­re dell’Arneo furo­no inse­ri­te, in par­te, nel­la rifor­ma agra­ria. Una rifor­ma che non rac­co­glie­va nem­me­no un po’ le richie­ste dei braccianti. 

Testo trat­to da contromaelstrom.com

L’eccidio di Avola

Il 2 dicem­bre 1968 il gover­no del futu­ro pre­si­den­te del­la Repub­bli­ca Gio­van­ni Leo­ne sta­va per cade­re, e sta­va per tor­na­re al pote­re la cor­ren­te cosid­det­ta “doro­tea” del­la Demo­cra­zia Cri­stia­na, con Maria­no Rumor, che avreb­be di nuo­vo spo­sta­to ver­so il cen­tro­si­ni­stra gli equi­li­bri del par­ti­to. Ma l’Italia arri­va­va da una sta­gio­ne di inten­se pro­te­ste stu­den­te­sche, che sareb­be sta­ta segui­ta l’anno suc­ces­si­vo dal cul­mi­ne del­le lot­te ope­ra­ie e dall “autun­no cal­do” del­le pro­te­ste ope­ra­ie. Quel gior­no ad Avo­la, in Sici­lia, fu orga­niz­za­to un gran­de scio­pe­ro gene­ra­le, in soste­gno del­le riven­di­ca­zio­ni dei brac­cian­ti agri­co­li: alla fine di quel­la gior­na­ta, due mani­fe­stan­ti sareb­be­ro mor­ti, ucci­si dal­la polizia.

La bat­ta­glia sin­da­ca­le dei brac­cian­ti per il rin­no­vo con­trat­tua­le era ini­zia­ta fin dal set­tem­bre. Nel­la pro­vin­cia di Sira­cu­ra e ad Avo­la il 24 novem­bre fu dichia­ra­to lo scio­pe­ro gene­ra­le dei lavo­ra­to­ri agri­co­li: chie­de­va­no di aumen­ta­re la paga gior­na­lie­ra, eli­mi­na­re le gab­bie sala­ria­li (cioè quei mec­ca­ni­smi per cui la paga per lo stes­so lavo­ro vie­ne modi­fi­ca­ta e pro­por­zio­na­ta in base ad altri para­me­tri, come il costo del­la vita) e intro­dur­re una com­mis­sio­ne che con­trol­las­se il trat­ta­men­to a cui era­no sot­to­po­sti i braccianti. 

La pro­vin­cia di Sira­cu­sa era divi­sa in due zone agri­co­le: la pri­ma, deno­mi­na­ta A, che com­pren­de­va i comu­ni del­la zona nord, quel­li più ric­chi; la secon­da, B, com­pren­de­va i comu­ni dell’area meri­dio­na­le del­la pro­vin­cia, quel­li più pove­ri.
Nel­le due zone era­no appli­ca­ti dif­fe­ren­ti ora­ri di lavo­ro (7 ore e 30 con­tro 8 ore) e dif­fe­ren­ti sala­ri (3.480 lire al gior­no con­tro 3.110). La lot­ta dei brac­cian­ti pone­va, quin­di, una ele­men­ta­re riven­di­ca­zio­ne egua­li­ta­ria.
Ugual­men­te, per quan­to riguar­da­va la que­stio­ne del­le com­mis­sio­ni pari­te­ti­che di con­trol­lo, si trat­ta­va di chie­de­re l’attuazione dell’accordo, sot­to­scrit­to in pre­ce­den­za dal­le par­ti socia­li e rima­sto let­te­ra mor­ta per le resi­sten­ze e l’arrogante rifiu­to degli agrari.

Dopo diver­si gior­ni di scio­pe­ro e bloc­chi stra­da­li, il sin­da­co socia­li­sta di Avo­la pro­vò a media­re con il pre­fet­to per­ché venis­se­ro orga­niz­za­te del­le trat­ta­ti­ve sin­da­ca­li, a cui però gli agra­ri non par­te­ci­pa­ro­no polemicamente.

Lune­dì 2 dicem­bre 1968, Avo­la, scio­pe­ro gene­ra­le. Uffi­ci, ban­che, nego­zi, scuo­le, poste, can­tie­ri, bar, cir­co­li, è tut­to fer­mo a cau­sa del­lo scio­pe­ro a soste­gno del­la lot­ta dei brac­cian­ti per il rin­no­vo del con­trat­to di lavoro.

Gli stu­den­ti in cor­teo rag­giun­go­no la sta­ta­le 115, dove i brac­cian­ti han­no orga­niz­za­to bloc­chi stra­da­li fin dal­la not­te. Ver­so le 11 arri­va­ro­no sul posto fur­go­ni e camio­net­te del­la cele­re, il repar­to del­la poli­zia che si occu­pa di ordi­ne pub­bli­co, il pre­fet­to, D’Urso, comu­ni­ca al sin­da­co socia­li­sta di Avo­la, Giu­sep­pe Dena­ro, l’imminente inter­ven­to del­la poli­zia da Cata­nia, per rimuo­ve­re i bloc­chi. La situa­zio­ne pre­ci­pi­ta: inu­ti­le la media­zio­ne del sin­da­co con il prefetto.

Ore 14, i com­mis­sa­ri di poli­zia, con indos­so la sciar­pa tri­co­lo­re, ordi­na­no la cari­ca: tre squil­li di trom­ba e ini­zia il lan­cio dei lacri­mo­ge­ni. I brac­cian­ti cer­ca­no ripa­ro; alcu­ni lan­cia­no sas­si. Il ven­to spin­ge il fumo dei lacri­mo­ge­ni con­tro la stes­sa poli­zia: è allo­ra che gli agen­ti apro­no il fuo­co con­tro i brac­cian­ti. Un infer­no che dure­rà cir­ca mezz’ora.

Due brac­cian­ti, Giu­sep­pe Sci­bi­lia, 47 anni, e Ange­lo Sigo­na, 25 anni, ven­go­no ucci­si. Sci­bi­lia, soc­cor­so dai suoi com­pa­gni, dirà: “Lascia­te­mi ripo­sa­re un po’ per­ché sto soffocando”.

Ver­rà tra­spor­ta­to in ospe­da­le su una 500 ma per lui non ci sarà nien­te da fare. Oltre ai due mor­ti, si con­te­ran­no tra i brac­cian­ti 48 feri­ti, tra cui alcu­ni gravi. 

Secon­do le testi­mo­nian­ze, furo­no rac­col­ti due chi­li e mez­zo di bos­so­li, por­ta­ti il gior­no suc­ces­si­vo alla Came­ra dal depu­ta­to comu­ni­sta sici­lia­no Nino Pisci­tel­lo.

Per la pri­ma vol­ta, dopo l’avvio del­la sta­gio­ne dei gover­ni di cen­tro-sini­stra, la poli­zia ucci­de dei lavo­ra­to­ri duran­te uno sciopero.

Per il gior­no suc­ces­si­vo ven­ne dichia­ra­to uno scio­pe­ro dei brac­cian­ti in tut­ta Ita­lia, men­tre già la sera del gior­no del­la spa­ra­to­ria il Par­ti­to Comu­ni­sta e quel­lo Socia­li­sta fece­ro gran­di pres­sio­ni sul­la DC, tan­to che nel­la not­te il mini­stro dell’Interno Fran­co Resti­vo con­vo­cò agra­ri e sin­da­ca­li­sti per fir­ma­re un con­trat­to col­let­ti­vo che acco­glies­se le loro richie­ste. I fat­ti di Avo­la gene­ra­ro­no pro­te­ste e scio­pe­ri in tut­ta Ita­lia, e por­ta­ro­no in mol­ti a chie­de­re allo Sta­to di disar­ma­re la poli­zia duran­te le pro­te­ste operaie.

Il fat­to che la poli­zia spa­ri su dei brac­cian­ti che riven­di­ca­no un aumen­to sala­ria­le mini­mo e, soprat­tut­to, un trat­ta­men­to egua­li­ta­rio nell’ambito del­la stes­sa pro­vin­cia, vie­ne inter­pre­ta­to come dimo­stra­zio­ne del­la non rifor­ma­bi­li­tà del­lo sta­to e del­la sua intrin­se­ca “fero­cia di clas­se”.
Il sal­to di qua­li­tà dal­le cari­che del­la poli­zia e dal­le inchie­ste del­la magi­stra­tu­ra con­tro gli stu­den­ti all’uso del­le armi da fuo­co con­tro gli scio­pe­ran­ti, vie­ne per­ce­pi­to dal movi­men­to come una scel­ta di chiu­su­ra dra­sti­ca da par­te del gover­no e dei pote­ri costi­tui­ti: un richia­mo all’ordine, la scel­ta di arre­sta­re quel fiu­me in pie­na del­la con­te­sta­zio­ne che ave­va, ormai, ampia­men­te supe­ra­to i can­cel­li del­le uni­ver­si­tà per dif­fon­der­si nei posti di lavo­ro, nel­le scuo­le, nell’intera società.

Trat­to da Lot­te Ope­ra­ie n. 9 gen­na­io 1969

I brac­cian­ti del sira­cu­sa­no si tro­va­va­no in scio­pe­ro dal­la metà del mese di novem­bre 1968. Riven­di­ca­va­no con­di­zio­ni di lavo­ro più uma­ne; il rin­no­vo del con­trat­to di lavo­ro (1). Lune­dì 2 dicem­bre 1968, men­tre mani­fe­sta­va­no in cor­teo lun­go le vie di acces­so ad Avo­la, ven­go­no pre­si a col­pi d’arma da fuo­co dal­la poli­zia, che in gran­di for­ze era accor­sa da tut­ta l’isola. Due gio­va­ni brac­cian­ti ven­go­no ucci­si, men­tre altri cin­quan­ta resta­no feri­ti, dei qua­li alcu­ni mol­to gravemente.

 È un altro anel­lo che si aggiun­ge alla lun­ga cate­na di ecci­di, com­mes­si dal­la poli­zia bor­ghe­se con­tro i brac­cian­ti agri­co­li del meridione!

La stra­ge ha susci­ta­to una pro­fon­da indi­gna­zio­ne nel­la clas­se ope­ra­ia. Ben­ché i par­ti­ti del­la bor­ghe­sia e del­la pic­co­la-bor­ghe­sia abbia­no cer­ca­to di disap­pro­va­re l’episodio di san­gue scin­den­do ipo­cri­ta­men­te l’operato del­la poli­zia da quel­lo del­lo Sta­to, per sca­gio­nar­si dal­la loro respon­sa­bi­li­tà poli­ti­ca, gli ope­rai han­no ester­na­to in tut­ta Ita­lia la loro viva indi­gna­zio­ne. In tut­te le cit­tà i lavo­ra­to­ri han­no dato vita spon­ta­nea­men­te a scio­pe­ri pro­lun­ga­ti e a mani­fe­sta­zio­ni di piaz­za. A Mila­no si sono avu­te inter­ru­zio­ni del lavo­ro e mani­fe­sta­zio­ni di soli­da­rie­tà in tut­te le mag­gio­ri fab­bri­che. A Geno­va lo scio­pe­ro è dura­to, in alcu­ni set­to­ri, tut­ta la gior­na­ta. Lo stes­so è avve­nu­to a Napo­li; a Mestre, a San Donà di Pia­ve, ove gli ope­rai degli sta­bi­li­men­ti Papa e Kri­za han­no scio­pe­ra­to in segno di soli­da­rie­tà per più di 24 ore.

Ovun­que gli ope­rai han­no rea­gi­to con ener­gia, sen­za indie­treg­gia­re di fron­te ai mas­sic­ci appa­ra­ti poli­zie­schi. Non si sono fat­ti abbin­do­la­re dal­le lacri­me di coc­co­dril­lo del­la demo­cra­zia pic­co­lo-bor­ghe­se, invo­can­te il rispet­to del­la vita uma­na in nome dell’autorità del­lo Stato.

I brac­cian­ti agri­co­li del meri­dio­ne sono sta­ti sem­pre trat­ta­ti dal­lo Sta­to dei capi­ta­li­sti e dei pro­prie­ta­ri fon­dia­ri come car­ne da macel­lo. Dal­la stra­ge di Por­tel­la del­le Gine­stre ad Avo­la si potreb­be­ro cita­re cen­ti­na­ia e cen­ti­na­ia di epi­so­di san­gui­no­si, di ecci­di, tut­ti lega­ti ad una sola logi­ca; tut­ti ubbi­dien­ti alla stes­sa logi­ca: la repres­sio­ne siste­ma­ti­ca di ogni azio­ne operaia.

L’agitazione dei brac­cian­ti di Avo­la era più che legit­ti­ma, pro­fon­da­men­te giu­sta: si lot­ta­va per un pez­zo di pane. L’indigenza e le mise­re con­di­zio­ni di vita dei brac­cian­ti meri­dio­na­li sono fat­ti cro­ni­ci (2). Su 300 gior­na­te lavo­ra­ti­ve all’anno un brac­cian­te rie­sce a lavo­ra­re in media, quan­do va bene, solo 150 gior­ni. E que­sto lavo­ro si con­cen­tra in alcu­ni perio­di dell’anno: novem­bre-dicem­bre per la semi­na; giu­gno-luglio per la rac­col­ta del gra­no; set­tem­bre-otto­bre per la ven­dem­mia e la rac­col­ta dell’ulivo. Per il resto dell’anno disoccupazione.

I pro­prie­ta­ri fon­dia­ri, spe­cu­lan­do sull’esuberanza di mano­do­pe­ra, fan­no il bel­lo e il cat­ti­vo tem­po, costrin­gen­do i brac­cian­ti ad accet­ta­re sala­ri più bas­si di quel­li con­trat­tua­li; com­pie­re lavo­ro straor­di­na­rio non retri­bui­to; ad effet­tua­re pre­sta­zio­ni gratuite.

Il sala­rio è ovun­que bas­so. Ma oltre ad esse­re di fame, poi­ché è sal­tua­rio abbas­sa, nei perio­di di disoc­cu­pa­zio­ne, il con­su­mo del­la fami­glia ope­ra­ia al mini­mo. Alla nutri­zio­ne insuf­fi­cien­te si aggiun­ge l’angustia dell’alloggio. A Mate­ra, a Sant’Andrea d’Andria, a Mon­te­ros­so, a Pal­ma Mon­te­chia­ro e via dicen­do le abi­ta­zio­ni del­le fami­glie brac­cian­ti­li sono in gene­re semin­ter­ra­ti di una sola stan­za o pic­co­le casu­po­le, dove la vita, in tut­ti i suoi aspet­ti (man­gia­re, dor­mi­re, pro­crea­re) si svol­ge in pro­mi­scui­tà con le bestie. La con­di­zio­ne di vita dei brac­cian­ti oscil­la dun­que tra il pau­pe­ri­smo per­ma­nen­te e il livel­lo di sus­si­sten­za mini­ma vitale.

Se si con­si­de­ra l’assistenza malat­tia for­ni­ta ai brac­cian­ti ci accor­gia­mo qua­le pro­fon­do diva­rio esi­ste tra que­sti e gli altri ope­rai sala­ria­ti e come tale assi­sten­za si ridu­ce per lo più ad una bef­fa. Le leg­gi in vigo­re ten­go­no con­to solo dei lavo­ra­to­ri che risul­ta­no iscrit­ti agli elen­chi ana­gra­fi­ci. Que­sti deb­bo­no ave­re un’attribuzione mini­mo di 51 gior­na­te lavo­ra­ti­ve all’anno. I lavo­ra­to­ri che non rag­giun­go­no que­sto mini­mo non han­no dirit­to ad alcu­na pre­sta­zio­ne assi­sten­zia­le. Ad essi biso­gna aggiun­ge­re un nume­ro con­si­de­re­vo­le di sala­ria­ti agri­co­li, che pur lavo­ran­do, non ven­go­no iscrit­ti arbi­tra­ria­men­te agli elen­chi ana­gra­fi­ci. Così tan­to i pri­mi quan­to i secon­di, uni­ta­men­te alle loro rispet­ti­ve fami­glie, per­do­no il dirit­to a qual­sia­si assi­sten­za. Se ad essi si aggiun­go­no i brac­cian­ti depen­na­ti dagli elen­chi ana­gra­fi­ci si vede bene a cosa si ridu­ce, per uno stra­to di brac­cian­ti, la “tute­la con­tro le malattie”.

Per colo­ro che usu­frui­sco­no del­la mutua, poi­ché le inden­ni­tà gior­na­lie­re sono irri­so­rie, se abi­ta­no lon­ta­no dai cen­tri abi­ta­ti non han­no alcu­na con­ve­nien­za a ser­vir­se­ne, per­ché la spe­sa di tra­spor­to per rag­giun­ge­re gli ambu­la­to­ri supe­ra di nor­ma l’utilità del bene­fi­cio assistenziale.

Que­ste sono le con­di­zio­ni di vita dei lavo­ra­to­ri agri­co­li. Per­ché allo­ra quan­do i brac­cian­ti chie­do­no pane rice­vo­no piom­bo? Per­ché gli inte­res­si dei pro­prie­ta­ri fon­dia­ri e quel­li dei capi­ta­li­sti sono in con­tra­sto con quel­li dei brac­cian­ti e i pro­prie­ta­ri fon­dia­ri ed i capi­ta­li­sti pos­so­no mobi­li­ta­re la for­za arma­ta del­lo Sta­to per impor­re ai brac­cian­ti la loro volon­tà. Que­sta è la real­tà socia­le; che vie­ne nasco­sta nel con­cet­to di popo­lo, nel con­cet­to di “inte­res­se nazio­na­le”; è la vera real­tà dei rap­por­ti fra le clas­si che i demo­cra­ti­ci di tut­te le tin­te si inge­gna­no a masche­ra­re con i fal­si discor­si sull’imparzialità e sul­la neu­tra­li­tà del­lo Sta­to, sugli abu­si degli orga­ni di poli­zia e così via dicendo.

Ad Avo­la la poli­zia ha spa­ra­to sui brac­cian­ti per­ché, qua­le brac­cio arma­to del­lo Sta­to dei padro­ni: dei capi­ta­li­sti e dei pro­prie­ta­ri fon­dia­ri; ha rite­nu­to così di meglio fare gli inte­res­si di costo­ro. Essa era accor­sa ad Avo­la da qua­si tut­ta la Sici­lia appun­to per svol­ge­re tale com­pi­to. Gli abu­si da essa com­mes­si giuo­ca­no nel­la vicen­da la stes­sa par­te del fumo quan­do arde la legna.

I lavo­ra­to­ri del­la ter­ra que­ste cose le san­no per lun­ga espe­rien­za. Ci vuo­le tut­ta la fac­cia tosta dei signo­ri “social-comu­ni­sti” per invo­ca­re pub­bli­ca­men­te, in nome dei lavo­ra­to­ri, una “poli­zia demo­cra­ti­ca”, una “poli­zia al ser­vi­zio dei cit­ta­di­ni”. La poli­zia è un appa­ra­to arma­to del pre­sen­te Sta­to demo­cra­ti­co. E que­sto Sta­to che si spac­cia per Sta­to di tut­to il popo­lo è sol­tan­to ed esclu­si­va­men­te uno stru­men­to di domi­nio dell’oligarchia finan­zia­ria, dei capi­ta­li­sti e dei pro­prie­ta­ri fon­dia­ri, su tut­te le mas­se salariate.

In que­sto perio­do lo Sta­to demo­cra­ti­co pen­sa ad adde­stra­re cor­pi spe­cia­li di repres­sio­ne anti-ope­ra­ia, da impie­ga­re nel cor­so degli scio­pe­ri e nel­le mani­fe­sta­zio­ni di piaz­za. Per­ciò, colo­ro i qua­li cian­cia­no sul­lo “Sta­to di tut­to il popo­lo”, sul­la poli­zia a “ser­vi­zio dei cit­ta­di­ni”, ecc. han­no un solo fine: quel­lo di disar­ma­re ideo­lo­gi­ca­men­te il pro­le­ta­ria­to di fron­te al pro­prio nemi­co di classe.

La stra­ge di Avo­la è uno di que­gli epi­so­di del­la lot­ta di clas­se, che aiu­ta in modo incom­pa­ra­bi­le a pren­de­re coscien­za del­la natu­ra del­lo Sta­to. I brac­cian­ti, gli ope­rai, tut­ti i lavo­ra­to­ri deb­bo­no apri­re gli occhi su que­sto pro­ble­ma fon­da­men­ta­le, respin­gen­do le frot­to­le inte­res­sa­te dei par­ti­ti paci­fi­sti, assi­mi­lan­do il prin­ci­pio che sen­za lot­ta rivo­lu­zio­na­ria non è asso­lu­ta­men­te pos­si­bi­le usci­re dal­la schia­vi­tù capi­ta­li­sti­ca del lavo­ro salariato.

Noi inter­na­zio­na­li­sti ci bat­tia­mo affin­ché le mas­se sfrut­ta­te s’impadroniscano di que­sto prin­ci­pio; affin­ché appog­gi­no i nostri obiet­ti­vi e la nostra lot­ta clas­si­sti; affin­ché, venen­do a raf­for­za­re le nostre file con­tri­bui­sca­no allo svi­lup­po del par­ti­to di clas­se, gui­da inso­sti­tui­bi­le del­la rivoluzione.

(1) Le richie­ste era­no le seguen­ti: a) 10% di aumen­to sul­le paghe; b) abo­li­zio­ne del­le zone sala­ria­li A e B; c) entra­ta in fun­zio­ne del­le com­mis­sio­ni comu­na­li per le qua­li­fi­che, la con­trat­ta­zio­ne dei livel­li di occu­pa­zio­ne e il rispet­to dei contratti.

(2) È per cini­smo pro­fes­sio­na­le che i signo­ri bem­pen­san­ti: l’industriale del Nord e l’intellettuale pro­gres­si­sta se ne dimo­stri­no scan­da­liz­za­ti. Costo­ro però al piom­bo del­la poli­zia non san­no tro­va­re altro sosti­tu­to che l’elemosina sta­ta­le, sal­vo poi a .giu­sti­fi­car­ne tem­pe­sti­va­men­te l’uso quan­do entra­no in bal­lo gli inte­res­si supe­rio­ri del­la sal­va­guar­dia del pro­fit­to e del sac­co dell’oro.

Battipaglia – Diario di una rivolta

8 apri­le 1969

È sera, in una sala affol­la­tis­si­ma si sta svol­gen­do un con­si­glio comu­na­le straor­di­na­rio e con un uni­co tema di discus­sio­ne: la minac­cia di chiu­su­ra del­lo zuc­che­ri­fi­cio e del tabac­chi­fi­cio. I cit­ta­di­ni sono lì schie­ra­ti in pri­ma linea ad ascol­ta­re e – “tabac­chi­ne” in testa – a bron­to­la­re ad ogni inter­ven­to dei con­si­glie­ri comu­na­li. Vie­ne pro­po­sta per il gior­no suc­ces­si­vo una mani­fe-sta­zio­ne di pro­te­sta men­tre il sin­da­co e altri dele­ga­ti si sareb-bero reca­ti a Roma per sol­le­ci­ta­re una solu­zio­ne del­la vicen­da. Tut­ti approvano. 

9 apri­le

Bat­ti­pa­glia è blin­da­ta: vari posti di bloc­co sono sta­ti pre­di­spo­sti dai cara­bi­nie­ri e dal­la poli­zia sul­le vie di acces­so alla cit­tà, con mag­gio­re con­cen­tra­zio­ne su via Bel­ve­de­re, all’imbocco/uscita dell’autostrada e al pas­sag­gio a livel­lo di via Roma. Il cor­teo par­te da piaz­za del­la Repub­bli­ca con un per­cor­so pre­sta­bi­li­to che inclu­de via Roma e via Maz­zi­ni ma non Piaz­za del Popo­lo (via Ita­lia), là dove sono il Muni­ci­pio e il com­mis­sa­ria­to. Ma una par­te del cor­teo si diri­ge ver­so il Muni­ci­pio ed è qui che av-ven­go­no i pri­mi disor­di­ni. La poli­zia, agli ordi­ni del com­mis­sa­rio De Masi, comin­cia a cari­ca­re vio­len­te­men­te i mani­fe­stan­ti. Ver­so mez­zo­gior­no vie­ne occu­pa­ta la sta­zio­ne fer­ro­via­ria da una cospi­cua par­te di popo­la­zio­ne e alcu­ni mani­fe­stan­ti si sca­glia­no con­tro la poli­zia, lan­cian­do le pie­tre rac­col­te tra i bina­ri. Nel frat­tem­po altri mani­fe­stan­ti si scon­tra­no con le for­ze dell’ordine (com­pre­si i cara­bi­nie­ri) anche allo svin­co­lo auto­stra­da­le. Mol­ti blin­da­ti ven­go­no attac­ca­ti e incen­dia­ti. I poli­ziot­ti comin­cia­no a cede­re e ad usci­re allo sco­per­to. Ver­so le 15 i foco­lai si con­cen­tra­no in via Gram­sci, all’altezza del Muni­ci­pio e del Com­mis­sa­ria­to di PS. Alle 17 si dif­fon­de la noti­zia di un gio­va­ne mani­fe­stan­te in fin di vita, Car­mi­ne Citro, e del­la mor­te di Tere­sa Ric­ciar­di, col­pi­ta da un pro­iet­ti­le men­tre era affac­cia­ta al bal­co­ne. A que­ste noti­zie la rab­bia dei mani­fe­stan­ti diven­ta incon­trol­la­bi­le: il com­mis­sa­ria­to vie­ne incen­dia­to, i poli­ziot­ti e i cara­bi­nie­ri scap­pa­no, ven­go­no incen­dia­te anche le camio­net­te e i cel­lu­la­ri del­la poli­zia. Al calar del­la not­te la cit­tà è in mano ai dimostranti.

10 apri­le

La gen­te ripren­de a pro­te­sta­re chie­den­do il riti­ro imme­dia­to del­la poli­zia da Bat­ti­pa­glia. Per evi­ta­re nuo­vi disor­di­ni il sin­da­co Dome­ni­co Vici­nan­za chie­de pub­bli­ca­men­te alla poli­zia di lascia­re la cit­tà e di rila­scia­re tut­ti i fer­ma­ti. Le richie­ste ven­go­no accet­ta­te: la poli­zia se ne va da Bat­ti­pa­glia. In cit­tà si ritor­na len­ta­men­te alla nor­ma­li­tà. La rab­bia del­la popo­la­zio­ne ora si sfo­ga sui gior­na­li­sti, rei di aver scrit­to men­zo­gne e fal­si­tà e di aver cri­mi­na­liz­za­to un’intera comu­ni­tà spes­so occul­tan­do i rea­li moti­vi del­la protesta.

11 apri­le

Tra due ali di fol­la com­mos­sa si svol­go­no i fune­ra­li di Car­mi­ne Citro e Tere­sa Ric­ciar­di. In sera­ta in piaz­za del­la Repub­bli­ca si tie­ne un comi­zio con mol­ti sin­da­ca­li­sti e poli­ti­ci di vari schie­ra­men­ti che si alter­na­no sul pal­co. Tut­ti sono bom­bar­da­ti da sono­ri fischi e minac­ce, mol­ti si rifu­gia­no nel­la vici­na caser­ma dei carabinieri. 

Enzo Castal­di