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La terra a chi la lavora! La provincia di Lecce contro lo Stato: l’occupazione delle terre dell’Arneo – Rassegna Stampa

Arti­co­li de L’U­ni­tà del 1 – 2 – 4 Gen­na­io 1950 e de 25 Apri­le 1951 

L’eccidio di Avola

Il 2 dicem­bre 1968 il gover­no del futu­ro pre­si­den­te del­la Repub­bli­ca Gio­van­ni Leo­ne sta­va per cade­re, e sta­va per tor­na­re al pote­re la cor­ren­te cosid­det­ta “doro­tea” del­la Demo­cra­zia Cri­stia­na, con Maria­no Rumor, che avreb­be di nuo­vo spo­sta­to ver­so il cen­tro­si­ni­stra gli equi­li­bri del par­ti­to. Ma l’Italia arri­va­va da una sta­gio­ne di inten­se pro­te­ste stu­den­te­sche, che sareb­be sta­ta segui­ta l’anno suc­ces­si­vo dal cul­mi­ne del­le lot­te ope­ra­ie e dall “autun­no cal­do” del­le pro­te­ste ope­ra­ie. Quel gior­no ad Avo­la, in Sici­lia, fu orga­niz­za­to un gran­de scio­pe­ro gene­ra­le, in soste­gno del­le riven­di­ca­zio­ni dei brac­cian­ti agri­co­li: alla fine di quel­la gior­na­ta, due mani­fe­stan­ti sareb­be­ro mor­ti, ucci­si dal­la polizia.

La bat­ta­glia sin­da­ca­le dei brac­cian­ti per il rin­no­vo con­trat­tua­le era ini­zia­ta fin dal set­tem­bre. Nel­la pro­vin­cia di Sira­cu­ra e ad Avo­la il 24 novem­bre fu dichia­ra­to lo scio­pe­ro gene­ra­le dei lavo­ra­to­ri agri­co­li: chie­de­va­no di aumen­ta­re la paga gior­na­lie­ra, eli­mi­na­re le gab­bie sala­ria­li (cioè quei mec­ca­ni­smi per cui la paga per lo stes­so lavo­ro vie­ne modi­fi­ca­ta e pro­por­zio­na­ta in base ad altri para­me­tri, come il costo del­la vita) e intro­dur­re una com­mis­sio­ne che con­trol­las­se il trat­ta­men­to a cui era­no sot­to­po­sti i braccianti. 

La pro­vin­cia di Sira­cu­sa era divi­sa in due zone agri­co­le: la pri­ma, deno­mi­na­ta A, che com­pren­de­va i comu­ni del­la zona nord, quel­li più ric­chi; la secon­da, B, com­pren­de­va i comu­ni dell’area meri­dio­na­le del­la pro­vin­cia, quel­li più pove­ri.
Nel­le due zone era­no appli­ca­ti dif­fe­ren­ti ora­ri di lavo­ro (7 ore e 30 con­tro 8 ore) e dif­fe­ren­ti sala­ri (3.480 lire al gior­no con­tro 3.110). La lot­ta dei brac­cian­ti pone­va, quin­di, una ele­men­ta­re riven­di­ca­zio­ne egua­li­ta­ria.
Ugual­men­te, per quan­to riguar­da­va la que­stio­ne del­le com­mis­sio­ni pari­te­ti­che di con­trol­lo, si trat­ta­va di chie­de­re l’attuazione dell’accordo, sot­to­scrit­to in pre­ce­den­za dal­le par­ti socia­li e rima­sto let­te­ra mor­ta per le resi­sten­ze e l’arrogante rifiu­to degli agrari.

Dopo diver­si gior­ni di scio­pe­ro e bloc­chi stra­da­li, il sin­da­co socia­li­sta di Avo­la pro­vò a media­re con il pre­fet­to per­ché venis­se­ro orga­niz­za­te del­le trat­ta­ti­ve sin­da­ca­li, a cui però gli agra­ri non par­te­ci­pa­ro­no polemicamente.

Lune­dì 2 dicem­bre 1968, Avo­la, scio­pe­ro gene­ra­le. Uffi­ci, ban­che, nego­zi, scuo­le, poste, can­tie­ri, bar, cir­co­li, è tut­to fer­mo a cau­sa del­lo scio­pe­ro a soste­gno del­la lot­ta dei brac­cian­ti per il rin­no­vo del con­trat­to di lavoro.

Gli stu­den­ti in cor­teo rag­giun­go­no la sta­ta­le 115, dove i brac­cian­ti han­no orga­niz­za­to bloc­chi stra­da­li fin dal­la not­te. Ver­so le 11 arri­va­ro­no sul posto fur­go­ni e camio­net­te del­la cele­re, il repar­to del­la poli­zia che si occu­pa di ordi­ne pub­bli­co, il pre­fet­to, D’Urso, comu­ni­ca al sin­da­co socia­li­sta di Avo­la, Giu­sep­pe Dena­ro, l’imminente inter­ven­to del­la poli­zia da Cata­nia, per rimuo­ve­re i bloc­chi. La situa­zio­ne pre­ci­pi­ta: inu­ti­le la media­zio­ne del sin­da­co con il prefetto.

Ore 14, i com­mis­sa­ri di poli­zia, con indos­so la sciar­pa tri­co­lo­re, ordi­na­no la cari­ca: tre squil­li di trom­ba e ini­zia il lan­cio dei lacri­mo­ge­ni. I brac­cian­ti cer­ca­no ripa­ro; alcu­ni lan­cia­no sas­si. Il ven­to spin­ge il fumo dei lacri­mo­ge­ni con­tro la stes­sa poli­zia: è allo­ra che gli agen­ti apro­no il fuo­co con­tro i brac­cian­ti. Un infer­no che dure­rà cir­ca mezz’ora.

Due brac­cian­ti, Giu­sep­pe Sci­bi­lia, 47 anni, e Ange­lo Sigo­na, 25 anni, ven­go­no ucci­si. Sci­bi­lia, soc­cor­so dai suoi com­pa­gni, dirà: “Lascia­te­mi ripo­sa­re un po’ per­ché sto soffocando”.

Ver­rà tra­spor­ta­to in ospe­da­le su una 500 ma per lui non ci sarà nien­te da fare. Oltre ai due mor­ti, si con­te­ran­no tra i brac­cian­ti 48 feri­ti, tra cui alcu­ni gravi. 

Secon­do le testi­mo­nian­ze, furo­no rac­col­ti due chi­li e mez­zo di bos­so­li, por­ta­ti il gior­no suc­ces­si­vo alla Came­ra dal depu­ta­to comu­ni­sta sici­lia­no Nino Pisci­tel­lo.

Per la pri­ma vol­ta, dopo l’avvio del­la sta­gio­ne dei gover­ni di cen­tro-sini­stra, la poli­zia ucci­de dei lavo­ra­to­ri duran­te uno sciopero.

Per il gior­no suc­ces­si­vo ven­ne dichia­ra­to uno scio­pe­ro dei brac­cian­ti in tut­ta Ita­lia, men­tre già la sera del gior­no del­la spa­ra­to­ria il Par­ti­to Comu­ni­sta e quel­lo Socia­li­sta fece­ro gran­di pres­sio­ni sul­la DC, tan­to che nel­la not­te il mini­stro dell’Interno Fran­co Resti­vo con­vo­cò agra­ri e sin­da­ca­li­sti per fir­ma­re un con­trat­to col­let­ti­vo che acco­glies­se le loro richie­ste. I fat­ti di Avo­la gene­ra­ro­no pro­te­ste e scio­pe­ri in tut­ta Ita­lia, e por­ta­ro­no in mol­ti a chie­de­re allo Sta­to di disar­ma­re la poli­zia duran­te le pro­te­ste operaie.

Il fat­to che la poli­zia spa­ri su dei brac­cian­ti che riven­di­ca­no un aumen­to sala­ria­le mini­mo e, soprat­tut­to, un trat­ta­men­to egua­li­ta­rio nell’ambito del­la stes­sa pro­vin­cia, vie­ne inter­pre­ta­to come dimo­stra­zio­ne del­la non rifor­ma­bi­li­tà del­lo sta­to e del­la sua intrin­se­ca “fero­cia di clas­se”.
Il sal­to di qua­li­tà dal­le cari­che del­la poli­zia e dal­le inchie­ste del­la magi­stra­tu­ra con­tro gli stu­den­ti all’uso del­le armi da fuo­co con­tro gli scio­pe­ran­ti, vie­ne per­ce­pi­to dal movi­men­to come una scel­ta di chiu­su­ra dra­sti­ca da par­te del gover­no e dei pote­ri costi­tui­ti: un richia­mo all’ordine, la scel­ta di arre­sta­re quel fiu­me in pie­na del­la con­te­sta­zio­ne che ave­va, ormai, ampia­men­te supe­ra­to i can­cel­li del­le uni­ver­si­tà per dif­fon­der­si nei posti di lavo­ro, nel­le scuo­le, nell’intera società.

Trat­to da Lot­te Ope­ra­ie n. 9 gen­na­io 1969

I brac­cian­ti del sira­cu­sa­no si tro­va­va­no in scio­pe­ro dal­la metà del mese di novem­bre 1968. Riven­di­ca­va­no con­di­zio­ni di lavo­ro più uma­ne; il rin­no­vo del con­trat­to di lavo­ro (1). Lune­dì 2 dicem­bre 1968, men­tre mani­fe­sta­va­no in cor­teo lun­go le vie di acces­so ad Avo­la, ven­go­no pre­si a col­pi d’arma da fuo­co dal­la poli­zia, che in gran­di for­ze era accor­sa da tut­ta l’isola. Due gio­va­ni brac­cian­ti ven­go­no ucci­si, men­tre altri cin­quan­ta resta­no feri­ti, dei qua­li alcu­ni mol­to gravemente.

 È un altro anel­lo che si aggiun­ge alla lun­ga cate­na di ecci­di, com­mes­si dal­la poli­zia bor­ghe­se con­tro i brac­cian­ti agri­co­li del meridione!

La stra­ge ha susci­ta­to una pro­fon­da indi­gna­zio­ne nel­la clas­se ope­ra­ia. Ben­ché i par­ti­ti del­la bor­ghe­sia e del­la pic­co­la-bor­ghe­sia abbia­no cer­ca­to di disap­pro­va­re l’episodio di san­gue scin­den­do ipo­cri­ta­men­te l’operato del­la poli­zia da quel­lo del­lo Sta­to, per sca­gio­nar­si dal­la loro respon­sa­bi­li­tà poli­ti­ca, gli ope­rai han­no ester­na­to in tut­ta Ita­lia la loro viva indi­gna­zio­ne. In tut­te le cit­tà i lavo­ra­to­ri han­no dato vita spon­ta­nea­men­te a scio­pe­ri pro­lun­ga­ti e a mani­fe­sta­zio­ni di piaz­za. A Mila­no si sono avu­te inter­ru­zio­ni del lavo­ro e mani­fe­sta­zio­ni di soli­da­rie­tà in tut­te le mag­gio­ri fab­bri­che. A Geno­va lo scio­pe­ro è dura­to, in alcu­ni set­to­ri, tut­ta la gior­na­ta. Lo stes­so è avve­nu­to a Napo­li; a Mestre, a San Donà di Pia­ve, ove gli ope­rai degli sta­bi­li­men­ti Papa e Kri­za han­no scio­pe­ra­to in segno di soli­da­rie­tà per più di 24 ore.

Ovun­que gli ope­rai han­no rea­gi­to con ener­gia, sen­za indie­treg­gia­re di fron­te ai mas­sic­ci appa­ra­ti poli­zie­schi. Non si sono fat­ti abbin­do­la­re dal­le lacri­me di coc­co­dril­lo del­la demo­cra­zia pic­co­lo-bor­ghe­se, invo­can­te il rispet­to del­la vita uma­na in nome dell’autorità del­lo Stato.

I brac­cian­ti agri­co­li del meri­dio­ne sono sta­ti sem­pre trat­ta­ti dal­lo Sta­to dei capi­ta­li­sti e dei pro­prie­ta­ri fon­dia­ri come car­ne da macel­lo. Dal­la stra­ge di Por­tel­la del­le Gine­stre ad Avo­la si potreb­be­ro cita­re cen­ti­na­ia e cen­ti­na­ia di epi­so­di san­gui­no­si, di ecci­di, tut­ti lega­ti ad una sola logi­ca; tut­ti ubbi­dien­ti alla stes­sa logi­ca: la repres­sio­ne siste­ma­ti­ca di ogni azio­ne operaia.

L’agitazione dei brac­cian­ti di Avo­la era più che legit­ti­ma, pro­fon­da­men­te giu­sta: si lot­ta­va per un pez­zo di pane. L’indigenza e le mise­re con­di­zio­ni di vita dei brac­cian­ti meri­dio­na­li sono fat­ti cro­ni­ci (2). Su 300 gior­na­te lavo­ra­ti­ve all’anno un brac­cian­te rie­sce a lavo­ra­re in media, quan­do va bene, solo 150 gior­ni. E que­sto lavo­ro si con­cen­tra in alcu­ni perio­di dell’anno: novem­bre-dicem­bre per la semi­na; giu­gno-luglio per la rac­col­ta del gra­no; set­tem­bre-otto­bre per la ven­dem­mia e la rac­col­ta dell’ulivo. Per il resto dell’anno disoccupazione.

I pro­prie­ta­ri fon­dia­ri, spe­cu­lan­do sull’esuberanza di mano­do­pe­ra, fan­no il bel­lo e il cat­ti­vo tem­po, costrin­gen­do i brac­cian­ti ad accet­ta­re sala­ri più bas­si di quel­li con­trat­tua­li; com­pie­re lavo­ro straor­di­na­rio non retri­bui­to; ad effet­tua­re pre­sta­zio­ni gratuite.

Il sala­rio è ovun­que bas­so. Ma oltre ad esse­re di fame, poi­ché è sal­tua­rio abbas­sa, nei perio­di di disoc­cu­pa­zio­ne, il con­su­mo del­la fami­glia ope­ra­ia al mini­mo. Alla nutri­zio­ne insuf­fi­cien­te si aggiun­ge l’angustia dell’alloggio. A Mate­ra, a Sant’Andrea d’Andria, a Mon­te­ros­so, a Pal­ma Mon­te­chia­ro e via dicen­do le abi­ta­zio­ni del­le fami­glie brac­cian­ti­li sono in gene­re semin­ter­ra­ti di una sola stan­za o pic­co­le casu­po­le, dove la vita, in tut­ti i suoi aspet­ti (man­gia­re, dor­mi­re, pro­crea­re) si svol­ge in pro­mi­scui­tà con le bestie. La con­di­zio­ne di vita dei brac­cian­ti oscil­la dun­que tra il pau­pe­ri­smo per­ma­nen­te e il livel­lo di sus­si­sten­za mini­ma vitale.

Se si con­si­de­ra l’assistenza malat­tia for­ni­ta ai brac­cian­ti ci accor­gia­mo qua­le pro­fon­do diva­rio esi­ste tra que­sti e gli altri ope­rai sala­ria­ti e come tale assi­sten­za si ridu­ce per lo più ad una bef­fa. Le leg­gi in vigo­re ten­go­no con­to solo dei lavo­ra­to­ri che risul­ta­no iscrit­ti agli elen­chi ana­gra­fi­ci. Que­sti deb­bo­no ave­re un’attribuzione mini­mo di 51 gior­na­te lavo­ra­ti­ve all’anno. I lavo­ra­to­ri che non rag­giun­go­no que­sto mini­mo non han­no dirit­to ad alcu­na pre­sta­zio­ne assi­sten­zia­le. Ad essi biso­gna aggiun­ge­re un nume­ro con­si­de­re­vo­le di sala­ria­ti agri­co­li, che pur lavo­ran­do, non ven­go­no iscrit­ti arbi­tra­ria­men­te agli elen­chi ana­gra­fi­ci. Così tan­to i pri­mi quan­to i secon­di, uni­ta­men­te alle loro rispet­ti­ve fami­glie, per­do­no il dirit­to a qual­sia­si assi­sten­za. Se ad essi si aggiun­go­no i brac­cian­ti depen­na­ti dagli elen­chi ana­gra­fi­ci si vede bene a cosa si ridu­ce, per uno stra­to di brac­cian­ti, la “tute­la con­tro le malattie”.

Per colo­ro che usu­frui­sco­no del­la mutua, poi­ché le inden­ni­tà gior­na­lie­re sono irri­so­rie, se abi­ta­no lon­ta­no dai cen­tri abi­ta­ti non han­no alcu­na con­ve­nien­za a ser­vir­se­ne, per­ché la spe­sa di tra­spor­to per rag­giun­ge­re gli ambu­la­to­ri supe­ra di nor­ma l’utilità del bene­fi­cio assistenziale.

Que­ste sono le con­di­zio­ni di vita dei lavo­ra­to­ri agri­co­li. Per­ché allo­ra quan­do i brac­cian­ti chie­do­no pane rice­vo­no piom­bo? Per­ché gli inte­res­si dei pro­prie­ta­ri fon­dia­ri e quel­li dei capi­ta­li­sti sono in con­tra­sto con quel­li dei brac­cian­ti e i pro­prie­ta­ri fon­dia­ri ed i capi­ta­li­sti pos­so­no mobi­li­ta­re la for­za arma­ta del­lo Sta­to per impor­re ai brac­cian­ti la loro volon­tà. Que­sta è la real­tà socia­le; che vie­ne nasco­sta nel con­cet­to di popo­lo, nel con­cet­to di “inte­res­se nazio­na­le”; è la vera real­tà dei rap­por­ti fra le clas­si che i demo­cra­ti­ci di tut­te le tin­te si inge­gna­no a masche­ra­re con i fal­si discor­si sull’imparzialità e sul­la neu­tra­li­tà del­lo Sta­to, sugli abu­si degli orga­ni di poli­zia e così via dicendo.

Ad Avo­la la poli­zia ha spa­ra­to sui brac­cian­ti per­ché, qua­le brac­cio arma­to del­lo Sta­to dei padro­ni: dei capi­ta­li­sti e dei pro­prie­ta­ri fon­dia­ri; ha rite­nu­to così di meglio fare gli inte­res­si di costo­ro. Essa era accor­sa ad Avo­la da qua­si tut­ta la Sici­lia appun­to per svol­ge­re tale com­pi­to. Gli abu­si da essa com­mes­si giuo­ca­no nel­la vicen­da la stes­sa par­te del fumo quan­do arde la legna.

I lavo­ra­to­ri del­la ter­ra que­ste cose le san­no per lun­ga espe­rien­za. Ci vuo­le tut­ta la fac­cia tosta dei signo­ri “social-comu­ni­sti” per invo­ca­re pub­bli­ca­men­te, in nome dei lavo­ra­to­ri, una “poli­zia demo­cra­ti­ca”, una “poli­zia al ser­vi­zio dei cit­ta­di­ni”. La poli­zia è un appa­ra­to arma­to del pre­sen­te Sta­to demo­cra­ti­co. E que­sto Sta­to che si spac­cia per Sta­to di tut­to il popo­lo è sol­tan­to ed esclu­si­va­men­te uno stru­men­to di domi­nio dell’oligarchia finan­zia­ria, dei capi­ta­li­sti e dei pro­prie­ta­ri fon­dia­ri, su tut­te le mas­se salariate.

In que­sto perio­do lo Sta­to demo­cra­ti­co pen­sa ad adde­stra­re cor­pi spe­cia­li di repres­sio­ne anti-ope­ra­ia, da impie­ga­re nel cor­so degli scio­pe­ri e nel­le mani­fe­sta­zio­ni di piaz­za. Per­ciò, colo­ro i qua­li cian­cia­no sul­lo “Sta­to di tut­to il popo­lo”, sul­la poli­zia a “ser­vi­zio dei cit­ta­di­ni”, ecc. han­no un solo fine: quel­lo di disar­ma­re ideo­lo­gi­ca­men­te il pro­le­ta­ria­to di fron­te al pro­prio nemi­co di classe.

La stra­ge di Avo­la è uno di que­gli epi­so­di del­la lot­ta di clas­se, che aiu­ta in modo incom­pa­ra­bi­le a pren­de­re coscien­za del­la natu­ra del­lo Sta­to. I brac­cian­ti, gli ope­rai, tut­ti i lavo­ra­to­ri deb­bo­no apri­re gli occhi su que­sto pro­ble­ma fon­da­men­ta­le, respin­gen­do le frot­to­le inte­res­sa­te dei par­ti­ti paci­fi­sti, assi­mi­lan­do il prin­ci­pio che sen­za lot­ta rivo­lu­zio­na­ria non è asso­lu­ta­men­te pos­si­bi­le usci­re dal­la schia­vi­tù capi­ta­li­sti­ca del lavo­ro salariato.

Noi inter­na­zio­na­li­sti ci bat­tia­mo affin­ché le mas­se sfrut­ta­te s’impadroniscano di que­sto prin­ci­pio; affin­ché appog­gi­no i nostri obiet­ti­vi e la nostra lot­ta clas­si­sti; affin­ché, venen­do a raf­for­za­re le nostre file con­tri­bui­sca­no allo svi­lup­po del par­ti­to di clas­se, gui­da inso­sti­tui­bi­le del­la rivoluzione.

(1) Le richie­ste era­no le seguen­ti: a) 10% di aumen­to sul­le paghe; b) abo­li­zio­ne del­le zone sala­ria­li A e B; c) entra­ta in fun­zio­ne del­le com­mis­sio­ni comu­na­li per le qua­li­fi­che, la con­trat­ta­zio­ne dei livel­li di occu­pa­zio­ne e il rispet­to dei contratti.

(2) È per cini­smo pro­fes­sio­na­le che i signo­ri bem­pen­san­ti: l’industriale del Nord e l’intellettuale pro­gres­si­sta se ne dimo­stri­no scan­da­liz­za­ti. Costo­ro però al piom­bo del­la poli­zia non san­no tro­va­re altro sosti­tu­to che l’elemosina sta­ta­le, sal­vo poi a .giu­sti­fi­car­ne tem­pe­sti­va­men­te l’uso quan­do entra­no in bal­lo gli inte­res­si supe­rio­ri del­la sal­va­guar­dia del pro­fit­to e del sac­co dell’oro.

Battipaglia – Diario di una rivolta

8 apri­le 1969

È sera, in una sala affol­la­tis­si­ma si sta svol­gen­do un con­si­glio comu­na­le straor­di­na­rio e con un uni­co tema di discus­sio­ne: la minac­cia di chiu­su­ra del­lo zuc­che­ri­fi­cio e del tabac­chi­fi­cio. I cit­ta­di­ni sono lì schie­ra­ti in pri­ma linea ad ascol­ta­re e – “tabac­chi­ne” in testa – a bron­to­la­re ad ogni inter­ven­to dei con­si­glie­ri comu­na­li. Vie­ne pro­po­sta per il gior­no suc­ces­si­vo una mani­fe-sta­zio­ne di pro­te­sta men­tre il sin­da­co e altri dele­ga­ti si sareb-bero reca­ti a Roma per sol­le­ci­ta­re una solu­zio­ne del­la vicen­da. Tut­ti approvano. 

9 apri­le

Bat­ti­pa­glia è blin­da­ta: vari posti di bloc­co sono sta­ti pre­di­spo­sti dai cara­bi­nie­ri e dal­la poli­zia sul­le vie di acces­so alla cit­tà, con mag­gio­re con­cen­tra­zio­ne su via Bel­ve­de­re, all’imbocco/uscita dell’autostrada e al pas­sag­gio a livel­lo di via Roma. Il cor­teo par­te da piaz­za del­la Repub­bli­ca con un per­cor­so pre­sta­bi­li­to che inclu­de via Roma e via Maz­zi­ni ma non Piaz­za del Popo­lo (via Ita­lia), là dove sono il Muni­ci­pio e il com­mis­sa­ria­to. Ma una par­te del cor­teo si diri­ge ver­so il Muni­ci­pio ed è qui che av-ven­go­no i pri­mi disor­di­ni. La poli­zia, agli ordi­ni del com­mis­sa­rio De Masi, comin­cia a cari­ca­re vio­len­te­men­te i mani­fe­stan­ti. Ver­so mez­zo­gior­no vie­ne occu­pa­ta la sta­zio­ne fer­ro­via­ria da una cospi­cua par­te di popo­la­zio­ne e alcu­ni mani­fe­stan­ti si sca­glia­no con­tro la poli­zia, lan­cian­do le pie­tre rac­col­te tra i bina­ri. Nel frat­tem­po altri mani­fe­stan­ti si scon­tra­no con le for­ze dell’ordine (com­pre­si i cara­bi­nie­ri) anche allo svin­co­lo auto­stra­da­le. Mol­ti blin­da­ti ven­go­no attac­ca­ti e incen­dia­ti. I poli­ziot­ti comin­cia­no a cede­re e ad usci­re allo sco­per­to. Ver­so le 15 i foco­lai si con­cen­tra­no in via Gram­sci, all’altezza del Muni­ci­pio e del Com­mis­sa­ria­to di PS. Alle 17 si dif­fon­de la noti­zia di un gio­va­ne mani­fe­stan­te in fin di vita, Car­mi­ne Citro, e del­la mor­te di Tere­sa Ric­ciar­di, col­pi­ta da un pro­iet­ti­le men­tre era affac­cia­ta al bal­co­ne. A que­ste noti­zie la rab­bia dei mani­fe­stan­ti diven­ta incon­trol­la­bi­le: il com­mis­sa­ria­to vie­ne incen­dia­to, i poli­ziot­ti e i cara­bi­nie­ri scap­pa­no, ven­go­no incen­dia­te anche le camio­net­te e i cel­lu­la­ri del­la poli­zia. Al calar del­la not­te la cit­tà è in mano ai dimostranti.

10 apri­le

La gen­te ripren­de a pro­te­sta­re chie­den­do il riti­ro imme­dia­to del­la poli­zia da Bat­ti­pa­glia. Per evi­ta­re nuo­vi disor­di­ni il sin­da­co Dome­ni­co Vici­nan­za chie­de pub­bli­ca­men­te alla poli­zia di lascia­re la cit­tà e di rila­scia­re tut­ti i fer­ma­ti. Le richie­ste ven­go­no accet­ta­te: la poli­zia se ne va da Bat­ti­pa­glia. In cit­tà si ritor­na len­ta­men­te alla nor­ma­li­tà. La rab­bia del­la popo­la­zio­ne ora si sfo­ga sui gior­na­li­sti, rei di aver scrit­to men­zo­gne e fal­si­tà e di aver cri­mi­na­liz­za­to un’intera comu­ni­tà spes­so occul­tan­do i rea­li moti­vi del­la protesta.

11 apri­le

Tra due ali di fol­la com­mos­sa si svol­go­no i fune­ra­li di Car­mi­ne Citro e Tere­sa Ric­ciar­di. In sera­ta in piaz­za del­la Repub­bli­ca si tie­ne un comi­zio con mol­ti sin­da­ca­li­sti e poli­ti­ci di vari schie­ra­men­ti che si alter­na­no sul pal­co. Tut­ti sono bom­bar­da­ti da sono­ri fischi e minac­ce, mol­ti si rifu­gia­no nel­la vici­na caser­ma dei carabinieri. 

Enzo Castal­di

Il Comitato Politico Operaio di via De Ruggiero a Pastena

Stral­ci da Memo­ria in Movi­men­to, il con­tri­bu­to com­ple­to di Ubal­do Bal­di si tro­va al seguen­te link.

Il Comi­ta­to Poli­ti­co Ope­ra­io di via De Rug­gie­ro a Paste­na (1971–1974)

A distan­za di anni ripen­sa­re ad una espe­rien­za come quel­la del Comi­ta­to Poli­ti­co Ope­ra­io a Saler­no (1971–1974), obbli­ga cer­ta­men­te ad un ten­ta­ti­vo sep­pur mini­mo di rin­qua­dra­re il cli­ma poli­ti­co di allo­ra attra­ver­so la ricer­ca dei ter­mi­ni e del livel­lo del dibat­ti­to, del­le con­di­zio­ni ogget­ti­ve e sog­get­ti­ve del Movi­men­to Ope­ra­io in Ita­lia e a Saler­no, risi­ste­man­do – maga­ri appros­si­ma­ti­va­men­te –  le coor­di­na­te di una visio­ne del­le cose che oggi non esi­ste più.

Il CPO nac­que da una con­cre­ta ini­zia­ti­va di alcu­ni mili­tan­ti del­la sini­stra non isti­tu­zio­na­le o extra­par­la­men­ta­re, come allo­ra veni­va­mo defi­ni­ti e il tono del­la defi­ni­zio­ne era qua­si sem­pre dispre­gia­ti­vo, frut­to anche soprat­tut­to di una fit­ta col­la­bo­ra­zio­ne con le avan­guar­die sin­da­ca­li di alcu­ne fab­bri­che dell’hinterland saler­ni­ta­no. La sede fu scel­ta in base alla esi­gen­za di loca­liz­zar­la nel quar­tie­re orien­ta­le del­la cit­tà, sia per­ché all’epoca era quel­lo sicu­ra­men­te a mag­gio­ri­ta­ria com­po­si­zio­ne popo­la­re, sia per­ché più facil­men­te rag­giun­gi­bi­le dal­la peri­fe­ria extraur­ba­na (San Leo­nar­do, Fuor­ni, Pon­te­ca­gna­no, Bel­liz­zi, Bat­ti­pa­glia, ecc.). Va per inci­so ricor­da­to che il loca­le era sito al pia­no ter­ra di una pic­co­la palaz­zi­na abi­ta­ta dai paren­ti di un com­pa­gno ope­ra­io del­la Ideal Stan­dard, che lo die­de­ro in fit­to per una cifra pres­so­ché irri­so­ria (anche se noi ave­va­mo cro­ni­ca­men­te il pro­ble­ma di auto­fi­nan­zia­re qual­sia­si iniziativa). 

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Quel­lo che è inne­ga­bi­le è che ci fu una sostan­zia­le con­ti­nui­tà del rap­por­to dia­let­ti­co tra que­sto grup­po di mili­tan­ti e le avan­guar­die ope­ra­ie anche con­si­de­ran­do i pas­sag­gi di mili­tan­za da una sigla all’altra del­le orga­niz­za­zio­ni poli­ti­che pre­det­te o il loro iter poli­ti­co-orga­niz­za­ti­vo pro­gres­si­vo. In buo­na sostan­za il grup­po di “lavo­ro ope­ra­io” rima­se soli­da­men­te anco­ra­to al dibat­ti­to e alle ini­zia­ti­ve con­cre­te di inter­ven­to nei luo­ghi di lavo­ro e anzi ne costi­tuì momen­to di coe­sio­ne anche rispet­to a even­tua­li ten­den­ze disgre­ga­ti­ve pur pre­sen­ti al loro interno.

I movi­men­ti di con­te­sta­zio­ne degli anni pre­ce­den­ti, le for­mi­da­bi­li lot­te ope­ra­ie dell’autunno cal­do ave­va­no scom­pa­gi­na­to i clas­si­ci rife­ri­men­ti poli­ti­ci del­la sini­stra, vi era un acce­so dibat­ti­to sul­la buro­cra­zia dei par­ti­ti, sul fal­li­men­to del­le espe­rien­ze del socia­li­smo rea­le, sul­la attua­li­tà del cen­tra­li­smo demo­cra­ti­co, e con­tem­po­ra­nea­men­te vi era una dif­fu­sa aspi­ra­zio­ne alla ricer­ca auto­no­ma di nuo­ve for­me di demo­cra­zia rea­le e di cam­bia­men­to dei livel­li di vita deri­van­ti dai rap­por­ti eco­no­mi­ci impo­sti dal capitalismo.

In quei pri­mi anni set­tan­ta, vi era la con­sa­pe­vo­lez­za di esse­re entra­ti in una fase sto­ri­ca nuo­va dovu­ta al per­ce­pi­re sul­la pro­pria pel­le la cri­si del model­lo di svi­lup­po capi­ta­li­sti­co che si era con­so­li­da­to, anche in Ita­lia, ini­zian­do dal­la rico­stru­zio­ne del dopo­guer­ra pas­san­do attra­ver­so il for­mi­da­bi­le feno­me­no dell’emigrazione inter­na e in Euro­pa di enor­mi mas­se di con­ta­di­ni meri­dio­na­li, fino alla fine del boom eco­no­mi­co degli anni ’60.

Con­tem­po­ra­nea­men­te la cri­si capi­ta­li­sti­ca occi­den­ta­le in que­sta fase spe­ci­fi­ca – oltre che esse­re deter­mi­na­ta da cicli­che stroz­za­tu­re del siste­ma –  mostra­va per la pri­ma vol­ta ele­men­ti costi­tu­ti­vi nuo­vi qua­li lo spet­tro del­la cri­si ener­ge­ti­ca petro­li­fe­ra e quin­di del pro­ble­ma del con­trol­lo di det­te fon­ti ener­ge­ti­che a livel­lo pla­ne­ta­rio men­tre si inco­min­cia­va a par­la­re di eco­lo­gia e all’interno dei movi­men­ti si intro­du­ce­va il prin­ci­pio del­la dife­sa ambien­ta­le. Ma for­se l’aspetto più impor­tan­te era la con­sa­pe­vo­lez­za che la cri­si capi­ta­li­sti­ca ave­va anche una cau­sa sog­get­ti­va dovu­ta all’azione auto­no­ma del­le mas­se, cosa che deter­mi­na­va l’irrompere sul­la sce­na di com­por­ta­men­ti incom­pa­ti­bi­li con i livel­li capi­ta­li­sti­ci dell’epoca, con­te­stan­do­ne i valo­ri, la qua­li­tà e i mec­ca­ni­smi sia dell’economia poli­ti­ca che del­la for­ma­zio­ne del consenso.

Veni­va­no cri­ti­ca­te le gerar­chie, la divi­sio­ne e l’organizzazione del lavo­ro, la gestio­ne del­la tute­la del­la salu­te in fab­bri­ca che nel ter­ri­to­rio, il ruo­lo del­la don­na, ma da tut­to ciò all’epoca – e poi non vi si riu­scì defi­ni­ti­va­men­te – non si era anco­ra deter­mi­na­ta una cre­sci­ta di pro­po­ste alter­na­ti­ve con­cre­te, di un pro­get­to, di un programma.

A tut­to que­sto cor­ri­spon­de­va, anche a livel­lo loca­le, una dif­fi­col­tà sog­get­ti­va del Par­ti­to e del Sin­da­ca­to a tene­re il pas­so con il sor­ge­re di sog­get­ti poli­ti­ci nuo­vi che sfug­gi­va­no di fat­to ai rigi­di mec­ca­ni­smi tra­di­zio­na­li di con­trol­lo sul­le avan­guar­die. Vi era anche una nuo­va leva di ope­rai (Ideal Stan­dard, Pen­ni­ta­lia, Landis&Gyr, Sas­so­nia, Super­box, ecc), non cer­to para­go­na­bi­le all’operaio mas­si­fi­ca­to e dequa­li­fi­ca­to del­le gran­di azien­de del nord, ma che comun­que ave­va per­so o non ave­va mai acqui­si­to, una sua spe­ci­fi­ca pro­fes­sio­na­li­tà e sul­le cui spal­le veni­va cari­ca­to tut­to il peso degli ele­men­ti costi­tu­ti­vi del­la orga­niz­za­zio­ne del lavo­ro: ripe­ti­ti­vi­tà, faci­li­tà nel­la inter­cam­bia­bi­li­tà del­la man­sio­ne, scar­sa o nul­la atten­zio­ne alla tute­la del­la salu­te e ambien­ta­le e a cui cor­ri­spon­de­va nel socia­le una cre­sci­ta del­la infla­zio­ne con con­se­guen­te per­di­ta di pote­re d’acquisto dei salari.

Pro­prio su que­ste tema­ti­che nasce­va il CPO, lo scon­tro non era solo sala­ria­le ma par­ti­va da esi­gen­ze auto­no­me e di coman­do ope­ra­io sui tem­pi di lavo­ro, sui livel­li occu­pa­zio­na­li, sul­le qua­li­fi­che, sui super­mi­ni­mi, sull’ambiente di lavo­ro, quel­li che veni­va­no defi­ni­ti i biso­gni operai.

Si teo­riz­za­va, e lo si met­te­va in pra­ti­ca, l’idea che par­ten­do dall’affermazione di que­sti biso­gni si potes­se orga­niz­za­re mate­rial­men­te la lot­ta con­tro “il padro­ne” Ma la cri­si veni­va vista anche nel socia­le come infla­zio­ne che ero­de­va con­si­sten­te­men­te il valo­re del sala­rio e la lot­ta sul sala­rio diven­ne quin­di in que­gli anni uno dei temi prin­ci­pa­li del­la lot­ta ope­ra­ia. E que­sto anche veden­do nel­la lot­ta sul sala­rio la con­di­zio­ne neces­sa­ria oltre che alla tenu­ta del movi­men­to all’interno del­la fab­bri­ca anche come pos­si­bi­li­tà di mobi­li­ta­zio­ne di altre for­ze socia­li col­pi­te dal­la infla­zio­ne. L’inflazione col­pi­va infat­ti non solo i sala­ria­ti ma anche tut­ti i red­di­ti fis­si e que­sto all’interno di una socie­tà qua­le quel­la ita­lia­na deter­mi­na­va ten­sio­ne anche nei ceti “medi”.

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… va ricor­da­to il ruo­lo svol­to dall’uso arma­to dei neo­fa­sci­sti e del­la stra­te­gia del­la ten­sio­ne con il con­se­guen­te peso nega­ti­vo che ha avu­to sul lavo­ro poli­ti­co in quel perio­do a Saler­no. Il lavo­ro nel CPO si dovet­te con­fron­ta­re con la cri­si deter­mi­na­ta dal­la mor­te di Fal­vel­la e da tut­ti i pro­ble­mi che ne seguirono.

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Il CPO fu un ten­ta­ti­vo, pur limi­ta­to all’arco di tem­po che va dall’estate del 1971 all’autunno del ’74, che pro­dus­se risul­ta­ti con­cre­ti nell’esaltare quei mini­mi livel­li di auto­no­mia del­le lot­te del­la clas­se ope­ra­ia saler­ni­ta­na. Sep­pur par­ten­do dal­la volu­ta cen­tra­li­tà di que­ste tema­ti­che “ope­rai­ste”, con­tem­po­ra­nea­men­te si ebbe la capa­ci­tà di rea­liz­za­re ini­zia­ti­ve di lot­ta anche su un ter­ri­to­rio pur varie­ga­to e com­po­si­to qua­le quel­lo di una pro­vin­cia meri­dio­na­le, che ave­va vis­su­to una sostan­zia­le con­ti­nui­tà poli­ti­ca dal fasci­smo al pote­re demo­cri­stia­no. Que­ste ini­zia­ti­ve avven­ne­ro coniu­gan­do esi­gen­ze in ori­gi­ne diver­se ma che tro­va­va­no alla fine obiet­ti­vi comu­ni pro­prio dal con­fron­to su temi con­cre­ti qua­li la dife­sa dei sala­ri dall’inflazione e il suo river­be­rar­si anche nel sociale

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Le ini­zia­ti­ve effet­ti­va­men­te svi­lup­pa­te furo­no in con­cre­to: la lot­ta con­tro la “truf­fa” del­la Vano­ni [1] (che si sostan­zia­va nel­la richie­sta di paga­men­to di mul­te per tas­se arre­tra­te: la cosid­det­ta “ric­chez­za mobi­le” veni­va cal­co­la­ta a par­ti­re da 960mila lire annue), lot­ta per la salu­te (sia­mo anco­ra a sei anni dal­la rifor­ma sani­ta­ria) con i pri­mi timi­di ten­ta­ti­vi di inchie­ste sul­la salu­te in fab­bri­ca (alla D’Agostino e alla Ideal Stan­dard), supe­ra­men­to del­la divi­sio­ne tra chi stu­dia e chi lavo­ra (le 150 ore) ma anche espe­rien­ze qua­li la Scuo­la Popo­la­re di Angri , la lot­ta di mas­sa per la casa con la occu­pa­zio­ne del­le case a S. Mar­ghe­ri­ta non anco­ra asse­gna­te (otto­bre- novem­bre 1972), l’autoriduzione del­le bol­let­te Enel.

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[1] Veni­va defi­ni­ta impro­pria­men­te Vano­ni dal nome del Mini­stro che ave­va fir­ma­to la rifor­ma tri­bu­ta­ria nel 1950–51 con l’introduzione dell’obbligo del­la dichia­ra­zio­ne uni­ca annua­le che all’epoca era già defun­to. La rifor­ma Vano­ni era rima­sta a metà stra­da, poi­ché pog­gia­va su pre­sup­po­sti qua­li la rior­ga­niz­za­zio­ne degli uffi­ci del­le impo­ste e la rela­ti­va sta­bi­li­tà nel­la pres­sio­ne tri­bu­ta­ria, obiet­ti­vi che furo­no qua­si del tut­to man­ca­ti. Uno degli obiet­ti­vi dichia­ra­ti del­la rifor­ma tri­bu­ta­ria degli anni Set­tan­ta fu quel­lo di for­ni­re al gover­no cen­tra­le un mag­gior nume­ro di stru­men­ti per il con­trol­lo dell’economia, fu abo­li­ta la mag­gior par­te dei tri­bu­ti carat­te­riz­zan­ti l’ordinamento pre­ce­den­te, i comu­ni e le pro­vin­ce furo­no espro­pria­ti del­le impo­ste con le qua­li riu­sci­va­no ad auto­fi­nan­ziar­si e com­pen­sa­ti con tra­sfe­ri­men­ti sosti­tu­ti­vi da par­te del­lo Sta­to. Sta­to che con­tem­po­ra­nea­men­te isti­tuì due nuo­ve impo­ste loca­li: l’ILOR, impo­sta loca­le sui red­di­ti, e l’INVIM, impo­sta sull’incremento di valo­re degli immobili.

Il caso Giovanni Marini

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estrat­to trat­to da Uma­ni­tà Nova

.… Gio­van­ni è sta­to un anar­chi­co il cui caso, dal luglio 1972, ha attra­ver­sa­to tut­ti gli anni set­tan­ta ed oltre: il Caso Mari­ni, come ormai era chia­ma­to, ha però una ori­gi­ne più remo­ta, con­se­guen­za diret­ta del­la stra­te­gia del­la ten­sio­ne cul­mi­na­ta nel­la stra­ge di piaz­za Fon­ta­na nel 1969 e nel­l’as­sas­si­nio di cin­que gio­va­ni anar­chi­ci di Reg­gio Cala­bria mor­ti in uno stra­no inci­den­te. Il 27 set­tem­bre 1970 sul­l’au­to­stra­da del sole un camion tar­ga­to Saler­no viag­gia con le luci poste­rio­ri spen­te. Lo segue una Mini Minor. Il camion fre­na improv­vi­sa­men­te e pro­vo­ca un gra­vis­si­mo tam­po­na­men­to del­l’au­to che lo segue. Muo­io­no i cin­que occu­pan­ti, la poli­zia poli­ti­ca si pre­ci­pi­ta sul posto, spa­ri­sco­no i docu­men­ti che i cin­que anar­chi­ci vole­va­no por­ta­re a Roma per docu­men­ta­re su fat­ti impor­tan­ti del­la rivol­ta di Reg­gio Cala­bria, l’au­ti­sta del camion vie­ne lascia­to anda­re dopo quat­tro ore (su que­sta vicen­da riman­do alla let­tu­ra del libro Cin­que anar­chi­ci del Sud, di Fabio Cuz­zo­la, ter­za ediz. in cor­so di stam­pa). Pro­prio sul­l’au­ti­sta sarà con­dot­ta una inchie­sta da Gio­van­ni Mari­ni, un com­pa­gno di Saler­no, che sco­pre che è un uomo del gol­pi­sta Vale­rio Bor­ghe­se. Per mesi Gio­van­ni vie­ne fat­to ogget­to di pesan­ti minac­ce dai fasci­sti loca­li (per un perio­do si allon­ta­na dal­la cit­tà per evi­ta­re guai peg­gio­ri) sia per­ché è un “ros­so” ma soprat­tut­to per­ché non gli per­do­na­no d’es­ser­si inte­res­sa­to dell’ ”inci­den­te”: il 7 luglio 1972 scat­ta l’ul­ti­ma “azio­ne puni­ti­va” nei suoi con­fron­ti. Una deci­na di fasci­sti arma­ti di col­tel­li feri­sco­no Mari­ni ed altri due com­pa­gni, duran­te lo scon­tro un fasci­sta resta feri­to con una col­tel­la­ta all’aor­ta. Mori­rà. Mari­ni si costi­tui­sce ed è subi­to tra­dot­to in car­ce­re. I gior­na­li lega­ti ai petro­lie­ri sbat­to­no subi­to il mostro in pri­ma pagi­na, Gio­van­ni Mari­ni sarà tra­sfe­ri­to in quin­di­ci car­ce­ri diver­se nel cor­so di un anno e mez­zo di deten­zio­ne pre­ven­ti­va, par­te­ci­pan­do alle lot­te dei dete­nu­ti e denun­cian­do le con­di­zio­ni ige­ni­co-sani­ta­rie in cui ver­sa­no in tut­ta Ita­lia: sarà lui l’ar­te­fi­ce di un impor­tan­te docu­men­to, a fir­ma I car­ce­ra­ti ros­si, usci­to dal car­ce­re di Avel­li­no. Gio­va ricor­da­re che pro­prio per que­sta sua atti­vi­tà in car­ce­re sarà tenu­to in iso­la­men­to e subi­rà vio­len­ti pestag­gi. In tut­ta Ita­lia si sus­se­guo­no mani­fe­sta­zio­ni in soli­da­rie­tà a Mari­ni e vie­ne chie­sta la sua libe­ra­zio­ne, il Soc­cor­so Ros­so Mili­tan­te, con Dario Fo e Fran­ca Rame (e con loro mol­ti avvo­ca­ti atti­vi nel­la con­tro­in­for­ma­zio­ne), pren­do­no una posi­zio­ne impor­tan­te sen­si­bi­liz­zan­do l’o­pi­nio­ne pub­bli­ca sul Caso Mari­ni, in par­ti­co­la­re la costi­tu­zio­ne del “Coor­di­na­men­to Nazio­na­le Comi­ta­ti Anar­chi­ci G. Mari­ni” sarà l’ar­te­fi­ce di innu­me­re­vo­li ini­zia­ti­ve pub­bli­che fina­liz­za­te alla libe­ra­zio­ne del­l’a­nar­chi­co saler­ni­ta­no. Al pro­ces­so (feb­bra­io 1974) Mari­ni affer­ma e dimo­stra la sua inno­cen­za, cade il castel­lo di pro­ve con­tro di lui men­tre è chia­ra la pre­co­sti­tu­zio­ne del­le accu­se. Il pro­ces­so vie­ne subi­to sospe­so e man­da­to lon­ta­no da Saler­no, a Val­lo del­la Luca­nia, dove gli inqui­ren­ti spe­ra­no non pos­sa arri­va­re nes­su­no a soli­da­riz­za­re con l’im­pu­ta­to: a giu­gno-luglio rico­min­cia il pro­ces­so e il gran­de impe­gno di tut­ti i com­pa­gni si con­cre­tiz­za con l’u­sci­ta di un quo­ti­dia­no dal tito­lo Il pro­ces­so Mari­ni, con la cro­na­ca del pro­ces­so e le ini­zia­ti­ve a soste­gno del­la cam­pa­gna per la libe­ra­zio­ne di Gio­van­ni. La sen­ten­za di Val­lo del­la Luca­nia con­dan­na Mari­ni a 12 anni di car­ce­re per omi­ci­dio volon­ta­rio con­ti­nua­to con l’at­te­nuan­te del­la pro­vo­ca­zio­ne. Dopo set­te anni vie­ne rimes­so in liber­tà (1979), con­fi­na­to per un anno, e tre anco­ra da scon­ta­re. La per­se­cu­zio­ne non si fer­ma: nel 1983 vie­ne arre­sta­to a Saler­no assie­me ad un grup­po di rivo­lu­zio­na­ri ed accu­sa­to come bri­ga­ti­sta ros­so, una mon­ta­tu­ra che cadrà mise­ra­men­te. Di Gio­van­ni Mari­ni resta da ricor­da­re la sua poe­sia: un suo libro (Poe­sie, Poli­graf edi­zio­ni, Saler­no) vin­ce il pre­mio Via­reg­gio 1975 e pub­bli­ca in segui­to diver­si altri testi.