Riappropriazione e salario garantito
Da «Rivolta di classe. Giornale dell’autonomia romana»
Di nuovo nella crisi si fa avanti il ricatto del lavoro come condizione per un’efficace politica dei redditi.
Cassa integrazione e rivalutazione della contingenza si fondono come un unico strumento di ricatto e controllo sul comportamento operaio.
La cassa integrazione ha una sua ragione d’essere alla luce della crisi petrolifera e della scelta inflazionistica operata dai governi occidentali: è vero che il mercato dell’auto va a rilento in tutto il mondo, ma è altrettanto vero che attraverso quest’arma Agnelli cerca di conquistarsi:
1) il sostegno statale alla sua produzione (la messa in crisi del settore); 2) una larga fetta dei 5000 miliardi decisi dallo Stato per ospedali, trasporti, case; 3) una mobilità del lavoro che gli permetta di ristrutturare come e quando gli pare.
La rivalutazione della contingenza serve a calmierare le esigenze salariali espresse dai lavoratori. Serve a ridare fiducia al sindacato della tregua sociale e dei decreti fiscali. Serve a riaprire in maniera controllata il credito per gli investimenti e a indirizzare la domanda di questo programmato afflusso di denari in mano operaia.
Serve soprattutto a vietare che si riapra in modo virulento la lotta aziendale che assumerebbe immediatamente il punto di riferimento per tutta una serie di forze sociali, dai disoccupati ai proletari agli studenti. Come Autonomia operaia organizzata individuiamo nella ripresa generalizzata delle lotte aziendali il dato politico centrale di questa fase dello scontro di classe, nella rottura reale cioè della tregua sociale in atto da due anni. Per questo mobilitiamo tutte le nostre forze a sostegno delle forme di riappropriazione e autoriduzione che sono andate sviluppandosi e centralizzandosi in questi ultimi a partire dalla fabbrica. Sappiamo bene che per il sindacato del Nord è stato un modo come un altro di recuperare quello che aveva già espresso il movimento oltre a interpretare quel massimalismo risorgente nei momenti di massima crisi nei partiti parlamentari (non a caso il maggior appoggio alla «disobbedienza civile» viene dalla Cisl), ma questa lotta è fonte di grandi contraddizioni nella struttura sindacale che ne vieta l’estensione sul territorio nazionale perché non arriva più a controllarla e non sa bene come si concluderà. Questo terreno va percorso anche se c’è il pericolo che il sindacato indirizzi questa lotta per fini riformisti, riforma dei trasporti, del sistema tariffario ecc.; il terreno per il sindacato non è dei più facili quando è entrata nella coscienza operaia la possibilità di fare a meno della contrattazione per una lotta che si identifica immediatamente con l’obiettivo. Rifiuto di pagare gli aumenti dei trasporti, riduzione al 50 per cento delle bollette della luce ma anche e contemporaneamente trasporti gratis e luce a 8 lire Kw/h (come la pagano Agnelli, Pirelli, Monti, Pesenti) e autoriduzione delle bollette gas, telefono, Tv, del fitto di casa e ancora: occupazione delle case sfitte, spesa politica nei supermercati. Non ci può essere separazione tra questi momenti perché allora si cadrebbe nella trappola sindacale con quel gradualismo anticipatore di grosse sconfitte politiche per tutto il movimento. Questa è la tendenza. Lo hanno dimostrato le lotte iniziate a Roma due anni fa sull’autoriduzione delle bollette della luce e del telefono, che sono state il supporto a quel grande movimento di occupazione di case dell’inverno del 1974; lo dimostrano oggi di fronte a un attacco senza limiti alle condizioni di vita dei lavoratori, gli episodi di spesa politica, di scovamento di depositi di pasta, olio, zucchero ecc. La riappropriazione è un livello più alto di lotta che senza la continuità delle iniziative in fabbrica contro le qualifiche, l’orario, l’ambiente, il salario differito ci immette in uno scontro prematuro con lo Stato con il relativo passaggio dal terreno d’attacco a quello di difesa. Praticare il terreno della riappropriazione significa intanto realizzare un dato sostanziale del programma del salario garantito: legare cioè intorno agli interessi e ai bisogni della classe operaia interessi più generali delle masse sfruttate – disoccupati, sottoccupati, massaie, giovani, sottoproletari – su cui fa facile presa l’ideologia piccolo borghese con i suoi miti d’ordine soprattutto nei momenti più cruciali per il capitale. Il salario, nel momento in cui è minacciato anche agli operai delle grandi aziende, è rimettere al centro dello scontro politico la fabbrica e la direzione operaia. Il ricatto del lavoro esercitato dai padroni con la cassa integrazione generalizzata, con la minaccia dei licenziamenti, ripropone per gli operai un terreno su cui finora sono stati sempre sconfitti. La difesa del lavoro è la risposta con cui il sindacato, sposando il terreno scelto dal padrone, è riuscito a svolgere i momenti alti del movimento, a ristrutturarli, a integrarli. Non è questo il momento. Lo sa bene anche il sindacato quando accetta i 24 giorni di sospensione invece dei 31 voluti da Agnelli ma poi è costretto a lottare poiché oggi lo scontro è sempre più politico. Padroni e sindacato hanno davanti agli occhi lo spettro di Mirafiori, la formidabile indicazione di occupazione delle fabbriche, sabotaggio della produzione, neutralizzazione dei capi.
Questo si propone al movimento nella sua generalizzazione. No al ricatto del lavoro, no alla cassa integrazione.
Abbiamo gli strumenti per attaccare, per prenderci il salario garantito, per affrontare con continuità il nostro diritto di classe al rifiuto del lavoro salariato.
ROSSO n°13–14 ‑nuova serie- NUMERO SPECIALE
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