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Potere Operaio n°38–39

Potere Operaio n°7

Potere Operaio del lunedì n°13

Prateria in fiamme

Wea­ther­men, Pra­te­ria in fiam­me, Libri­ros­si, Mila­no 1977


Con que­sto libro col­let­ti­vo, stam­pa­to clan­de­sti­na­men­te negli Sta­ti Uni­ti nel­l’e­sta­te del 1974, I Wea­ther Under­ground (Wea­ther­men) pre­sen­ta­no per la pri­ma vol­ta in modo ampio ed arti­co­la­to il loro pro­get­to poli­ti­co di lot­ta arma­ta, pro­po­nen­do­lo come base di discus­sio­ne all’in­te­ro movi­men­to ame­ri­ca­no.
Usci­ti dal movi­men­to stu­den­te­sco bian­co ed entra­ti nel­la clan­de­sti­ni­tà agli ini­zi del 1970, i Whea­ther Under­ground con­ti­nua­no tut­to­ra la loro atti­vi­tà poli­ti­co mili­ta­re: nel 1970 han­no fat­to sal­ta­re alcu­ni uffi­ci del­la cen­tra­le del­la poli­zia di New York; nel 1971 è la vol­ta del Cam­pi­do­glio men­tre nel 1972 è il Pen­ta­go­no ad esse­re «bom­bar­da­to» in rispo­sta al bom­bar­da­men­to aereo di Hanoi; nel 1973 por­ta­no a ter­mi­ne un atten­ta­to con­tro l’I.T.T. per la par­te avu­ta nel col­po di sta­to in Cile; nel 1974 fan­no sal­ta­re l’uf­fi­cio del pro­cu­ra­to­re gene­ra­le del­la Cali­for­nia per rispon­de­re alla «cre­ma­zio­ne» dei 6 mem­bri del Sym­bio­ne­se Libe­ra­tion Army; nel gen­na­io 1975 fan­no esplo­de­re alcu­ni uffi­ci AIO nel­l’in­ter­no del Dipar­ti­men­to di Sta­to, per pro­te­sta­re con­tro le con­ti­nue vio­la­zio­ni ame­ri­ca­ne degli accor­di di Pari­gi. Que­ste sono solo alcu­ne del­le loro azio­ni più cla­mo­ro­se, da cin­que anni ogget­to di inda­gi­ni sen­za esi­to da par­te dell’F.B.I.
Dopo che il Water­ga­te ha rive­la­to pub­bli­ca­men­te i livel­li ille­ga­li e clan­de­sti­ni entro cui ope­ra il siste­ma repres­si­vo ame­ri­ca­no, i Wea­ther Under­ground met­to­no in evi­den­za la neces­si­tà di una rispo­sta ade­gua­ta del movi­men­to all’at­tac­co sta­ta­le, che sap­pia uti­liz­za­re in modo stra­te­gi­co ogni for­ma di lot­ta lega­le e illegale.

Sulla linea di sviluppo della lotta armata in Italia

Da «Con­tro­in­for­ma­zio­ne», Giu­gno 1976

Ele­men­ti inter­pre­ta­ti­vi

1) Il feno­me­no lot­ta arma­ta
«Uso del­la for­za», «com­por­ta­men­to di vio­len­za orga­niz­za­ta», «nuo­va lega­li­tà ope­ra­ia», «appro­pria­zio­ne di mas­sa del­la ric­chez­za socia­le»; «pro­pa­gan­da arma­ta»: que­sti gli enun­cia­ti che negli ulti­mi anni han­no carat­te­riz­za­to le avan­guar­die del­l’au­to­no­mia di clas­se, orien­tan­do, diret­ta­men­te o indi­ret­ta­men­te, le ten­sio­ni rivo­lu­zio­na­rie, ver­so la con­fluen­za stra­te­gi­ca del­la lot­ta poli­ti­co-mili­ta­re. È ormai inne­ga­bi­le che il pro­ces­so di con­trap­po­si­zio­ne rea­le alle clas­si domi­nan­ti trae con­ti­nui­tà dal­le insor­gen­ze di clas­se più radi­ca­li e aggres­si­ve (resi­sten­za ope­ra­ia infor­ma­le; nuclei di auto­no­mia; movi­men­ti di libe­ra­zio­ne…), che sten­ta­no però a tro­va­re una cifra poli­ti­ca attra­ver­so cui cen­tra­liz­za­re e disci­pli­na­re le ten­sio­ni ete­ro­ge­nee che vivo­no al loro inter­no.
In quan­to par­te inte­gran­te di un ordi­ne socia­le altro da quel­lo domi­nan­te, da costrui­re sul­la «nega­zio­ne del­la real­tà esi­sten­te», il biso­gno ten­den­zia­le di un «par­ti­to com­bat­ten­te» è ormai com­po­nen­te insop­pri­mi­bi­le del­la coscien­za rivo­lu­zio­na­ria pri­ma anco­ra del­la sua com­piu­ta rea­liz­za­zio­ne.
Una rapi­da valu­ta­zio­ne del­la ger­mi­na­zio­ne dei grup­pi che for­ma­no la più recen­te costel­la­zio­ne del­la avan­guar­die che teo­riz­za­no la lot­ta arma­ta con­fer­ma tale ipo­te­si.
Pur sot­to la tem­pe­sta dei col­pi repres­si­vi, del­le per­se­cu­zio­ni e del­le scon­fit­te capil­la­ri, che han­no spes­so fat­to regi­stra­re un pesan­te con­sun­ti­vo di san­gue, i grup­pi poli­ti­co-mili­ta­ri non solo soprav­vi­vo­no ma pro­li­fe­ra­no. Sigle come «lot­ta arma­ta per il comu­ni­smo», «guer­ra di clas­se per il comu­ni­smo», «mai più sen­za fuci­le» «sen­za tre­gua per il comu­ni­smo» «For­ma­zio­ni comu­ni­ste arma­te», e innu­me­re­vo­li altri aggre­ga­ti sen­za nome si sono affian­ca­ti da tem­po alle due orga­niz­za­zio­ni sto­ri­che Nuclei arma­ti pro­le­ta­ri e Bri­ga­te ros­se.

2) Le cau­se ogget­ti­ve
II feno­me­no del­la lot­ta vio­len­ta con­tro il siste­ma capi­ta­li­sti­co non nasce come sostie­ne qual­che «acu­to» socio­lo­go bor­ghe­se o qual­che «illu­mi­na­to» magi­stra­to di sini­stra dai tes­su­ti can­ce­ro­si del cor­po socia­le o dal­la degra­da­zio­ne dei valo­ri e del­la razio­na­li­tà col­let­ti­vi.
«La guer­ra civi­le» che, secon­do gli osser­va­to­ri stra­nie­ri, scon­vol­ge i fra­gi­li equi­li­bri isti­tu­zio­na­li del pae­se, nasce da cau­se ogget­ti­ve, ricon­du­ci­bi­li a rap­por­ti di pro­du­zio­ne deter­mi­nan­ti. Lo spet­tro del­la guer­ra inter­na aleg­gia su una socie­tà disgre­ga­ta e dila­ce­ra­ta nel­le sue con­nes­sio­ni di clas­se fon­da­men­ta­li. Sem­pre più ampie quo­te di lavo­ra­to­ri subal­ter­ni, assai gio­va­ni e non irreg­gi­men­ta­bi­li né attra­ver­so la disci­pli­na di fab­bri­ca né con le inti­mi­da­zio­ni esi­sten­zia­li – fami­glia, benes­se­re avve­ni­re… – van­no a ingros­sa­re le sac­che del mer­ca­to del lavo­ro mar­gi­na­le e clan­de­sti­no.
La vio­len­za che essi espri­mo­no dal­le pro­fon­di­tà del ghet­to è in sé ine­li­mi­na­bi­le come mani­fe­sta­zio­ne di una resi­sten­za bio­lo­gi­ca, anti­ca e muta, con­tro la clas­se domi­nan­te. Ciò che attual­men­te la ren­de qua­li­ta­ti­va­men­te dif­fe­ren­te, col­lo­ca­bi­le in una ten­den­za rivo­lu­zio­na­ria, è il carat­te­re stra­te­gi­co e irre­ver­si­bi­le del­le con­di­zio­ni emar­gi­nan­ti crea­te dal­la ristrut­tu­ra­zio­ne impe­ria­li­sta. Per tut­ti que­sti stra­ti Non-Garan­ti­ti non esi­ste più pos­si­bi­li­tà di esse­re rias­sor­bi­ti nel man­ti­ce del ciclo capi­ta­li­sti­co, in fun­zio­ne di rela­ti­va sta­bi­li­tà. Il «sof­fiet­to» del­la pro­du­zio­ne «peri­fe­ri­ca» tipi­co degli anni ’50 e ’60 è sta­to attual­men­te distrut­to dal­la dis­se­mi­na­zio­ne inten­zio­na­le del­la fab­bri­ca e del­le sue indu­zio­ni sul­l’in­te­ro ter­ri­to­rio.
La ricom­po­si­zio­ne di que­ste mas­se come figu­re con­trat­tual­men­te garan­ti­te è pres­so­ché impos­si­bi­le. Ogget­ti­va­men­te fan­no par­te del pro­le­ta­ria­to indu­stria­le e socia­le; sog­get­ti­va­men­te rical­ca­no però spes­so com­por­ta­men­ti sot­to­pro­le­ta­ri ed extra­le­ga­li. La loro vio­len­za ha ini­zia­to dun­que ad ave­re una cifra poli­ti­ca, quan­do attra­ver­so la giun­gla del­l’au­to­no­mia pro­le­ta­ria si è ricon­giun­ta ogget­ti­va­men­te con la vio­len­za orga­niz­za­ta e i com­por­ta­men­ti ille­ga­li del­la clas­se ope­ra­ia cen­tra­le. Diver­se sono le cau­se sto­ri­che e strut­tu­ra­li del­la vio­len­za matu­ra­ta da que­ste com­po­nen­ti nel­le gran­di fab­bri­che. Lo stil­li­ci­dio di azio­ni orga­niz­za­te den­tro e fuo­ri i luo­ghi di pro­du­zio­ne ha come costan­te poli­ti­ca il lega­me evi­den­te tra inte­res­si deter­mi­nan­ti di mas­sa e ini­zia­ti­va del­le avan­guar­die. La scan­sio­ne del­la vio­len­za ope­ra­ia è deter­mi­na­ta da un rit­mo inter­no alla clas­se che, col tem­po, ha sele­zio­na­to i suoi diret­ti pro­ta­go­ni­sti. Dal­la marea indi­stin­ta del ’69 alle squa­dre del ’72–73 fino ai nuclei clan­de­sti­ni degli ulti­mi anni, la vio­len­za ope­ra­ia, avan­zan­do, e assu­men­do for­ma orga­niz­za­ta, ha aggre­ga­to inter­no a sé tema­ti­che e ipo­te­si diver­se, spes­so con­tra­stan­ti, che carat­te­riz­za­no biso­gni e sog­get­ti diver­si in seno alla clas­se. Non ha ope­ra­to una spac­ca­tu­ra che già esi­ste­va, fomen­ta­ta dal­l’u­na­ni­mi­smo sin­da­ca­le e revi­sio­ni­sta, ma ne ha pola­riz­za­to gli ele­men­ti atti­vi e i detri­ti. Chi sono i suoi refe­ren­ti ogget­ti­vi nel­la com­ples­sa ser­pen­ti­na del ciclo cen­tra­le? Gli ope­rai dequa­li­fi­ca­ti e mas­si­fi­ca­ti, cui è nega­to ogni risar­ci­men­to sia eco­no­mi­co che ideo­lo­gi­co, le fasce più bas­se del ter­zia­rio di fab­bri­ca, i qua­dri di lot­ta del­le strut­tu­re con­si­lia­ri che han­no bru­cia­to con l’e­spe­rien­za ogni illu­sio­ne nel rifor­mi­smo ope­ra­io.

3) Guer­ra inter­na o guer­ra di clas­se?
L’ir­re­ver­si­bi­li­tà del­le con­di­zio­ni ogget­ti­ve che ali­men­ta­no le ipo­te­si rivo­lu­zio­na­rie sostan­zia­te nei mol­te­pli­ci embrio­ni di orga­niz­za­zio­ne arma­ta non cele­bra tut­ta­via la rea­liz­za­zio­ne poli­ti­ca sog­get­ti­va di que­sti prin­ci­pi. Lo scon­tro di clas­se sem­pre più si con­fi­gu­ra come guer­ra inter­na con­dot­ta con­tro le mas­se subal­ter­ne, ma que­sto non impli­ca mec­ca­ni­ca­men­te la costi­tu­zio­ne del­la clas­se in Sta­to ope­ra­io arma­to. Infat­ti, da un lato esi­sto­no poten­ti ten­sio­ni disgre­ga­tri­ci all’in­ter­no del­la comu­ne con­di­zio­ne ogget­ti­va, fomen­ta­te dal rifor­mi­smo, che pro­du­co­no frat­tu­re nel­la com­pa­gi­ne di clas­se (nuo­ve ari­sto­cra­zie ter­zia­rie e ope­ra­ie, con­trap­po­si­zio­ni ideo­lo­gi­che tra garan­ti­ti e non-garan­ti­ti ecc.): pla­sma­te dal pote­re sul­la matri­ce oppor­tu­ni­sta e cor­po­ra­ti­va esse ne ripro­du­co­no e vei­co­la­no il model­lo. Dal­l’al­tra par­te, la dif­fi­col­tà di com­pe­ne­tra­re istan­ze sog­get­ti­ve pro­ve­nien­ti da ter­re­ni di lot­ta dif­fe­ren­ti a loro vol­ta spes­so rap­pre­sen­ta­ti da orga­niz­za­zio­ni diver­se, attin­ge al diva­rio tra sog­get­ti­vi­tà e sog­get­ti­vi­tà rivo­lu­zio­na­ria. Lo spa­zio tra avan­guar­dia e mas­sa e tra avan­guar­dia e avan­guar­dia non è col­ma­bi­le né col puro riscon­tro del­le con­di­zio­ni ogget­ti­ve né con il volon­ta­ri­smo orga­niz­za­ti­vo. La tra­du­zio­ne del­la real­tà in pro­gram­ma rivo­lu­zio­na­rio si carat­te­riz­za come pro­ces­so inces­san­te di chia­ri­fi­ca­zio­ne teo­ri­co-pra­ti­ca, in cui l’a­zio­ne non è tota­li­tà di lot­ta ma stru­men­to stra­te­gi­co. Lo spar­tiac­que del­la «lot­ta arma­ta», se non risul­ta in gra­do di pro­muo­ve­re un pro­ces­so di chia­ri­fi­ca­zio­ne e di aggre­ga­zio­ne evo­lu­ti­va rispet­to alle ten­sio­ni del­l’au­to­no­mia di clas­se, può sca­de­re a mera esal­ta­zio­ne del­le con­trad­di­zio­ni di clas­se.

4) II fuci­le non par­la
È evi­den­te che l’a­zio­ne in sé non è in gra­do, sia nel­la for­ma di esem­pio, sia nel­la for­ma di pro­pa­gan­da, di orien­ta­re e gui­da­re, secon­do le linee di un pro­gram­ma stra­te­gi­co, la dina­mi­ca mole­co­la­re del­le avan­guar­die pro­le­ta­rie. Per quan­to riguar­da in spe­ci­fi­co le for­ze che pra­ti­ca­no la vio­len­za pro­le­ta­ria, si nota che tut­te le espe­rien­ze arma­te rico­no­sco­no la prio­ri­tà del­l’a­zio­ne come uni­co cri­te­rio fon­dan­te e discri­mi­nan­te del­la pra­ti­ca rivo­lu­zio­na­ria; d’al­tro can­to sul pia­no poli­ti­co pro­gram­ma­ti­co le dif­fe­ren­ze d’a­na­li­si e gli scar­ti ideo­lo­gi­ci deter­mi­na­no spes­so una chia­ra mol­ti­pli­ca­zio­ne dei modu­li orga­niz­za­ti­vi e una rile­van­te dia­spo­ra del­le ini­zia­ti­ve. Ciò signi­fi­ca che l’a­zio­ne arma­ta, lun­gi dal­l’es­se­re la sin­te­si uni­vo­ca dei pro­ble­mi poli­ti­ci che agi­ta e rap­pre­sen­ta, pro­du­ce ampi mar­gi­ni di ambi­gui­tà inter­pre­ta­ti­va e pro­po­si­ti­va. Com’è pos­si­bi­le che la cen­tra­li­tà del­l’a­zio­ne si con­ci­li con orga­niz­za­zio­ni di matri­ce di clas­se dif­fe­ren­ti, con mol­te chia­vi di let­tu­ra poli­ti­ca e con le mol­te­pli­ci for­mu­la­zio­ni ideo­lo­gi­che e teo­ri­che da essa stes­sa pro­po­ste?

5) Per uno sche­ma di let­tu­ra
Rite­nia­mo che per rispon­de­re a que­sta appa­ren­te con­trad­dit­to­rie­tà sia neces­sa­rio par­ti­re pro­prio dal­l’a­zio­ne arma­ta come ful­cro del­le teo­rie poli­ti­co-mili­ta­ri. Poi­ché l’a­zio­ne si pre­sen­ta essen­zial­men­te come un feno­me­no mili­ta­re che vuo­le ave­re in sé tut­te le cate­go­rie del­l’e­vi­den­za e del­la veri­fi­ca poli­ti­ca, per ren­der­la inter­pre­ta­bi­le all’a­na­li­si occor­re disag­gre­gar­la nei suoi costi­tuen­ti gene­ra­li.

6) L’a­zio­ne arma­ta: sue com­po­nen­ti
L’a­zio­ne con­si­de­ra­ta come insie­me orga­ni­co di aspet­ti tec­ni­ci, mili­ta­ri e poli­ti­ci può esse­re scom­po­sta sem­pre in tre ele­men­ti fon­da­men­ta­li.
- For­me
- Con­te­nu­ti
- Obiet­ti­vi
Dal­la rea­liz­za­zio­ne o dal­lo scar­di­na­men­to del loro equi­li­brio inter­no pos­so­no deri­va­re inter­pre­ta­zio­ni poli­ti­che assai diver­se. Per que­sto moti­vo vie­ne rag­giun­to l’al­li­nea­men­to dia­let­ti­co tra for­me-con­te­nu­ti-obiet­ti­vi cor­ri­spon­den­te al pro­gram­ma stra­te­gi­co e al giu­di­zio poli­ti­co di fase, rispec­chian­te la real­tà ogget­ti­va del­lo scon­tro; non può esi­ste­re alcu­na sfa­sa­tu­ra tra l’a­zio­ne arma­ta (for­ma e con­te­nu­ti) i fini per­se­gui­ti (obiet­ti­vi) e l’or­ga­niz­za­zio­ne che li attua. In que­sto caso l’a­zio­ne mili­ta­re è «la con­ti­nua­zio­ne del­la lot­ta poli­ti­ca con altri mez­zi».
Vice­ver­sa quan­do si veri­fi­ca – ed è la mag­gior par­te dei casi – lo scar­di­na­men­to di un tale alli­nea­men­to, l’a­zio­ne diven­ta una copio­sa sor­gen­te di inter­pre­ta­zio­ne e di ideo­lo­gie sog­get­ti­ve spes­so anti­te­ti­che.

7) For­me (e com­por­ta­men­ti)
Un esem­pio evi­den­te di squi­li­brio tra le varie com­po­nen­ti l’a­zio­ne e di svian­te inter­pre­ta­zio­ne che ne con­se­gue, è rap­pre­sen­ta­to dal­la esal­ta­zio­ne del­la lot­ta vio­len­ta spon­ta­nea. Que­ste for­me di resi­sten­za e di con­trap­po­si­zio­ne radi­ca­le del­la clas­se, pur non essen­do azio­ne arma­ta ne con­ten­go­no, comun­que le carat­te­ri­sti­che. (…) Bloc­chi fer­ro­via­ri, pre­si­di di fab­bri­ca, occu­pa­zio­ni di case, ecc. o sono asso­lu­tiz­za­ti nel loro con­te­sto e quin­di nel loro signi­fi­ca­to tat­ti­co, oppu­re non sono imme­dia­ta­men­te ricon­du­ci­bi­li a un pro­gram­ma rivo­lu­zio­na­rio di respi­ro stra­te­gi­co.
L’e­spe­rien­za sto­ri­ca inse­gna che la radi­ca­liz­za­zio­ne e l’e­span­sio­ne dei com­por­ta­men­ti anta­go­ni­sti non deter­mi­na­no di per sé un nuo­vo livel­lo di coscien­za, una nuo­va sog­get­ti­vi­tà rivo­lu­zio­na­ria dispie­ga­ta. Al con­tra­rio, quel­le teo­rie che esal­ta­no acri­ti­ca­men­te l’e­su­be­ran­za e la inci­si­vi­tà irri­du­ci­bi­li di tale vio­len­za spon­ta­nea met­to­no al cen­tro del loro abba­glio poli­ti­co l’er­ra­ta dedu­zio­ne di con­te­nu­ti imme­dia­ta­men­te rivo­lu­zio­na­ri dai com­por­ta­men­ti di clas­se più infuo­ca­ti. Secon­do que­st’ot­ti­ca la ten­den­za sem­pre più pro­nun­cia­ta ver­so la con­flit­tua­li­tà extra­le­ga­le è sin­to­mo ine­qui­vo­ca­bi­le di una nuo­va fase poli­ti­ca, arma­ta, del­lo scon­tro.

Il par­ti­to
Il comu­ni­smo vive già come stra­te­gia den­tro que­sti com­por­ta­men­ti del­la clas­se. Per con­se­gui­re il tota­le suc­ces­so del pro­gram­ma rivo­lu­zio­na­rio man­ca­no solo la gui­da e la rigo­riz­za­zio­ne tat­ti­ca – com­pi­to del par­ti­to – dei mol­te­pli­ci fuo­chi spon­ta­nei e dis­se­mi­na­ti che costi­tui­sco­no le nuo­ve emer­gen­ze anta­go­ni­ste. Le for­me dun­que com­pren­do­no già ogni con­te­nu­to e ogni obiet­ti­vo gene­ri­ca­men­te come «volon­tà e biso­gni imme­dia­ti di comu­ni­smo». Il pro­ble­ma allo­ra non è di com­bi­na­re le for­me con i con­te­nu­ti, la spon­ta­nei­tà con il pro­gram­ma stra­te­gi­co: esi­gen­ze que­ste di una con­ce­zio­ne che affer­ma i con­te­nu­ti come pro­dot­to poli­ti­co coscien­te e non come istin­ti del biso­gno; ma di coor­di­na­re le for­ze disper­se nei mil­le rivo­li del movi­men­to con le nuo­ve for­me di lot­ta inter­na­men­te uni­ta­rie.
Tan­te for­me che riman­da­no, quin­di, a un uni­co con­te­nu­to – il comu­ni­smo – con­se­gui­bi­le median­te la «cen­tra­liz­za­zio­ne del­l’e­span­si­vi­tà». In ulti­ma ana­li­si da que­ste con­si­de­ra­zio­ni riaf­fio­ra­no il diri­gi­smo e il mili­ta­ri­smo: diri­gi­smo e ver­ti­ci­smo, a livel­lo di mas­sa per­ché il nucleo del «pro­ble­ma stra­te­gi­co» si ridu­ce a come lega­re insie­me espe­rien­ze diver­se. Secon­do que­sta con­ce­zio­ne però, dal momen­to che il con­te­nu­to di que­ste espe­rien­ze è uno solo, il par­ti­to non deve fare altro che orga­niz­zar­le in un uni­co fron­te allar­ga­to di attac­co al pote­re. A livel­lo di avan­guar­dia, poi, si impo­ne il mili­ta­ri­smo.
Que­sta con­ce­zio­ne apprez­za in ter­mi­ni pura­men­te quan­ti­ta­ti­vi il signi­fi­ca­to del­l’a­zio­ne. Qua­li­ta­ti­va­men­te, l’a­zio­ne, resa atto sim­bo­li­co del­la «litur­gia del comu­ni­smo», con­ta in sé e per sé come anti­ci­pa­zio­ne par­zia­le del movi­men­to comu­ni­sta rea­le. Nel­l’a­zio­ne for­me e for­za si fon­do­no per­fet­ta­men­te. Com­pi­to del pro­gram­ma è solo mol­ti­pli­ca­re que­sti epi­so­di fino a far­li dive­ni­re pra­ti­ca cor­ren­te e gene­ra­le di offen­si­va rivo­lu­zio­na­ria.

Ideo­lo­gia e pro­pa­gan­da
Con la teo­ria del «foco­la­io guer­ri­glie­ro» tale for­mu­la­zio­ne ha pochi pun­ti di con­tat­to pra­ti­co-orga­niz­za­ti­vo ma nume­ro­se ana­lo­gie ideo­lo­gi­che. Qui come là, la pra­ti­ca rivo­lu­zio­na­ria è di limi­tar­si all’e­sal­ta­zio­ne del­l’e­pi­so­dio arma­to fine a sé stes­so, nel­la «misti­ca del fat­to», che sus­su­me ogni valu­ta­zio­ne cri­ti­ca sui con­te­nu­ti, sugli obiet­ti­vi e sul loro alli­nea­men­to (…). Divie­ne così impos­si­bi­le distin­gue­re nei com­por­ta­men­ti i con­te­nu­ti di attac­co da quel­li di dife­sa, la con­flit­tua­li­tà ogget­ti­va da quel­la sog­get­ti­va, la trin­cea del­la soprav­vi­ven­za dal­la bar­ri­ca­ta del­l’in­sur­re­zio­ne.
Suc­ce­de quin­di che la più esa­spe­ra­ta esal­ta­zio­ne del gesto, del­l’a­zio­ne e del com­por­ta­men­to total­men­te risol­ti nel­la for­ma vio­len­ta, para­dos­sal­men­te si rove­scia nel­l’im­po­ten­za ope­ra­ti­va (l’a­zio­ne pro­po­ne sé stes­sa) e nel­la dia­spo­ra del­le ini­zia­ti­ve e del­le inter­pre­ta­zio­ni poli­ti­che: la diver­si­fi­ca­zio­ne del­le for­me fini­sce per diver­si­fi­ca­re in modo per­ma­nen­te le for­ze.

8) I con­te­nu­ti
I con­te­nu­ti, pur essen­do fon­da­men­tal­men­te la loro illu­mi­na­zio­ne in rap­por­to alle più radi­ca­li espres­sio­ni di avan­guar­dia riman­go­no il più del­le vol­te pri­gio­nie­ri o sus­sun­ti o deri­va­ti dal­le for­me di lot­ta, risul­tan­do­ne quin­di subal­ter­ni. (…) Anche nel caso di quel­le orga­niz­za­zio­ni che appa­ren­te­men­te fan­no net­te distin­zio­ni tra for­me e con­te­nu­ti sot­to­li­nean­do, con la pro­pa­gan­da e l’e­la­bo­ra­zio­ne teo­ri­ca, i con­te­nu­ti spe­ci­fi­ci del­le azio­ni e facen­do un gran uso del­l’ag­get­ti­vo «stra­te­gi­co», si nota in real­tà l’as­so­lu­tiz­za­zio­ne del­le for­me. Quan­do si con­si­de­ra l’o­biet­ti­vo mili­ta­re come carat­te­riz­zan­te il con­te­nu­to del­l’a­zio­ne e que­sto è tan­to più impor­tan­te quan­to è più impe­gna­ti­vo quel­lo, si fini­sce per sdruc­cio­la­re anco­ra una vol­ta nel­la misti­ca del­le for­me di lot­ta. (…)
Esi­sto­no tan­ti con­te­nu­ti quan­te sono le for­me del­l’a­zio­ne arma­ta che fini­sco­no per dar­ne la misu­ra qua­li­ta­ti­va. Pra­ti­can­do que­sta con­vin­zio­ne si sci­vo­la facil­men­te nel sog­get­ti­vi­smo mili­ta­ri­sta. Se con­te­nu­ti e for­me di azio­ne sono un tut­t’u­no poli­ti­co-mili­ta­re, ogni azio­ne è già un epi­so­dio rivo­lu­zio­na­rio com­piu­to (se il signi­fi­ca­to poli­ti­co è deter­mi­na­to innan­zi­tut­to dal suc­ces­so mili­ta­re). Ogni azio­ne mes­sa ad effet­to è già una par­te rea­liz­za­ta del pro­gram­ma rivo­lu­zio­na­rio, una espres­sio­ne di lot­ta arma­ta in atto, che mira a costrui­re le con­di­zio­ni poli­ti­co-mili­ta­ri per l’at­to fina­le: la pre­sa arma­ta del pote­re. (…)
L’of­fen­si­va è tat­ti­ca o stra­te­gi­ca – nei con­te­nu­ti per­se­gui­ti e pro­pa­gan­da­ti – essen­zial­men­te in rela­zio­ne alla pro­pria rea­liz­za­zio­ne mili­ta­re.
Vie­ne con­si­de­ra­ta tat­ti­ca quel­l’a­zio­ne diret­ta a puni­re ed epu­ra­re la gerar­chia di fab­bri­ca; a col­pi­re i fasci­sti ecc.; men­tre vie­ne con­si­de­ra­ta stra­te­gi­ca ogni azio­ne svol­ta a disar­ti­co­la­re il pote­re cen­tra­le, con mez­zi arma­ti più ele­va­ti. Va da sé che l’u­so del­l’or­di­gno incen­dia­rio o del grup­po a ele­va­ta capa­ci­tà di fuo­co, situan­do­si su livel­li diver­si del­la sca­la di scon­tro, deter­mi­na­no per­ciò stes­so la dif­fe­ren­za qua­li­ta­ti­va nei con­te­nu­ti del­l’a­zio­ne.

Il par­ti­to com­bat­ten­te
II sog­get­ti­vi­smo del­l’a­zio­ne arma­ta impron­ta una con­ce­zio­ne orga­niz­za­ti­va ine­vi­ta­bil­men­te fuo­chi­sta. L’a­van­guar­dia, che è l’u­ni­ca a con­dur­re lo scon­tro arma­to, vie­ne con­si­de­ra­ta come un distac­ca­men­to com­piu­ta­men­te for­ma­to all’in­ter­no del­la clas­se (…). Il par­ti­to com­bat­ten­te, allo­ra, essen­do il nucleo arma­to che solo può ele­va­re mili­tar­men­te lo scon­tro (inten­si­fi­can­do le azio­ni stra­te­gi­che) diven­ta per ciò stes­so anche l’u­ni­tà di misu­ra poli­ti­ca del­la guer­ra di clas­se. Il par­ti­to guer­ri­glia che si iden­ti­fi­ca col nucleo guer­ri­glie­ro ne è il depo­si­ta­rio poli­ti­co-mili­ta­re.
Il suo com­pi­to è di aggre­ga­re attor­no a sé nuo­ve for­ze, di accre­sce­re quan­ti­ta­ti­va­men­te il pro­gram­ma rivo­lu­zio­na­rio che incar­na sen­za più met­te­re in discus­sio­ne la sua rispon­den­za alla real­tà con­trad­dit­to­ria di clas­se. Sul par­ti­to, cata­liz­za­to­re poli­ti­co in dive­ni­re del­l’e­ser­ci­to pro­le­ta­rio, pre­va­le di fat­to il nucleo mili­ta­re, inte­so come coman­do indi­scus­so del­le for­me di lot­ta arma­ta. Il pro­ces­so di svi­lup­po del­lo scon­tro di clas­se vie­ne com­mi­su­ra­to dun­que sul­la quan­ti­tà del­le for­ze, poi­ché la qua­li­tà rivo­lu­zio­na­ria è imma­nen­te alla colon­na mobi­le stra­te­gi­ca del par­ti­to com­bat­ten­te.

Ideo­lo­gia e pro­pa­gan­da
Sul pia­no ideo­lo­gi­co e pro­pa­gan­di­sti­co un tale ragio­na­men­to inge­ne­ra note­vo­li incon­gruen­ze poli­ti­che. Si vie­ne a nega­re l’im­por­tan­za del­la par­te­ci­pa­zio­ne gene­ra­le di clas­se nel­la deter­mi­na­zio­ne del­le fasi di scon­tro.
Infat­ti, come è sta­to visto, la dif­fe­ren­za tra tat­ti­ca e stra­te­gia è deter­mi­na­ta esclu­si­va­men­te in ter­mi­ni di azio­ne mili­ta­re dal­l’a­van­guar­dia arma­ta. Que­sto fat­to pro­du­ce anche una gros­sa ambi­gui­tà nel­la distin­zio­ne neces­sa­ria tra «pro­pa­gan­da e lot­ta arma­ta». Pro­pa­gan­da arma­ta divie­ne sino­ni­mo di «azio­ne tat­ti­ca» a bas­sa capa­ci­tà di fuo­co e quin­di a scar­so con­te­nu­to di lot­ta. Lot­ta arma­ta, all’op­po­sto, divie­ne sino­ni­mo di azio­ne stra­te­gi­ca, ad alto impe­gno mili­ta­re e quin­di ad ele­va­to con­te­nu­to poli­ti­co.
È que­sto un macro­sco­pi­co esem­pio di fuo­chi­smo: pro­pa­gan­da arma­ta e lot­ta arma­ta cor­ri­spon­den­ti a due fasi ben distin­te del­la con­flit­tua­li­tà di clas­se (difen­si­va stra­te­gi­ca e offen­si­va gene­ra­le), diven­go­no due gra­da­zio­ni mili­ta­ri del­l’i­ni­zia­ti­va guer­ri­glie­ra, rever­si­bi­li e con­tem­pe­ra­bi­li.

9) Gli obiet­ti­vi
Que­sti sche­mi ideo­lo­gi­ci poli­ti­ci e orga­niz­za­ti­vi esal­ta­no entram­bi, pur con moda­li­tà diver­se, le «for­me di lot­ta» a sca­pi­to del con­te­nu­to uni­co e uni­ver­sa­le per gli uni: il biso­gno di comu­ni­smo, mol­te­pli­ce e mili­ta­re per gli altri: il gra­dua­le svi­lup­po del­l’at­tac­co. Un ruo­lo di chia­ri­fi­ca­zio­ne e veri­fi­ca vie­ne dun­que assun­to dal­la col­lo­ca­zio­ne e dal signi­fi­ca­to degli obiet­ti­vi nel­l’al­li­nea­men­to del­l’a­zio­ne arma­ta.
Vedia­mo così come, rispet­to al pri­mo sche­ma, l’o­biet­ti­vo di fase (il biso­gno di comu­ni­smo) si iden­ti­fi­ca con l’o­biet­ti­vo fina­le (il comu­ni­smo matu­ro) ed entram­bi sia­no dati come con­te­nu­to assi­mi­la­to alle for­me di lot­ta e ai com­por­ta­men­ti rivo­lu­zio­na­ri. L’o­biet­ti­vo quin­di è for­za­ta­men­te stra­te­gi­co e offen­si­vo, come i con­te­nu­ti e le for­me di lot­ta; ma l’al­li­nea­men­to dia­let­ti­co è fit­ti­zio: infat­ti l’a­zio­ne arma­ta rispec­chia innan­zi­tut­to se stes­sa men­tre l’u­ni­co col­le­ga­men­to con la real­tà con­trad­dit­to­ria di clas­se avvie­ne attra­ver­so la gene­ra­liz­za­zio­ne e l’in­ten­si­fi­ca­zio­ne del­le for­me, cioè attra­ver­so un pro­ces­so di espan­sio­ne del­le for­ze. Lo sboc­co del­la pra­ti­ca, dispie­ga­ta e pro­gres­si­va, di un tale con­tro­po­te­re rivo­lu­zio­na­rio, non può esse­re altro a ben vede­re, che un pro­ces­so insur­re­zio­na­le costrui­to a fram­men­ti e per addi­zio­ne del­le for­ze già sin­go­lar­men­te rea­liz­za­te. L’o­biet­ti­vo «comu­ni­smo» ver­reb­be così ad esse­re con­se­gui­to per aggre­ga­zio­ne mole­co­la­re del­le varie for­ze di clas­se che pra­ti­ca­no le più sva­ria­te for­me di lot­ta vio­len­ta acco­mu­na­te però dal­la carat­te­riz­za­zio­ne stra­te­gi­co-offen­si­va del loro con­te­nu­to.
La pal­ma del pro­ta­go­ni­sta va dun­que ai «cen­to fio­ri del­le avan­guar­die arma­te» men­tre il par­ti­to non ne è che il cen­tra­liz­za­to­re e il mol­ti­pli­ca­to­re stra­te­gi­co.
Rispet­to al secon­do sche­ma indi­vi­dua­to, l’o­biet­ti­vo di fase è il raf­for­za­men­to e l’al­lar­ga­men­to del­le con­di­zio­ni favo­re­vo­li alla con­qui­sta arma­ta del pote­re in un con­te­sto di guer­ra di clas­se in atto (guer­ra civi­le).
I con­te­nu­ti offen­si­vi e difen­si­vi, tat­ti­ci e stra­te­gi­ci, sono le for­me di lot­ta più ele­va­te, che dan­no l’im­pron­ta poli­ti­ca alle varie mani­fe­sta­zio­ni del­la «lot­ta arma­ta». In entram­bi i casi, la misti­ca del­l’a­zio­ne arma­ta rischia di chiu­der­si in una sua logi­ca inter­na pra­ti­ca­men­te impe­ne­tra­bi­le dal­le istan­ze che le sono ideo­lo­gi­ca­men­te e orga­niz­za­ti­va­men­te ester­ne. Que­sto per­cor­so, come è sta­to più vol­te sot­to­li­nea­to sto­ri­ca­men­te da espe­rien­ze ana­lo­ghe, con­du­ce alla mili­ta­riz­za­zio­ne del­la poli­ti­ca e alla indif­fe­ren­za per la coscien­za pos­si­bi­le di clas­se, attra­ver­so l’a­po­lo­gia del fuci­le.
Sul­la chi­na del­l’in­vo­lu­zio­ne tale pra­ti­ca poli­ti­ca com­por­ta l’e­sal­ta­zio­ne del­l’e­si­sten­za guer­ri­glie­ra come fat­to in sé stra­te­gi­co; ove soprav­vi­ve­re all’at­tac­co del pote­re signi­fi­ca già dispie­ga­re un attac­co vit­to­rio­so.

10) Con­clu­sio­ni: con­tro la cat­ti­va uni­tà
Guar­dan­do alla pra­ti­ca di movi­men­to, alle sue espres­sio­ni poli­ti­che, si può nota­re come indu­bi­ta­bil­men­te esi­sta, e sia in velo­ce espan­sio­ne, un’a­rea che guar­da alle espres­sio­ni di lot­ta vio­len­ta, poli­ti­co-mili­ta­re, sbri­ga­ti­va­men­te defi­ni­ta «lot­ta arma­ta», come a un pro­gram­ma poli­ti­co già com­piu­to e defi­ni­to.
Qui si incon­tra­no l’og­get­ti­vi­smo più deter­mi­ni­sta, che basa le sue valu­ta­zio­ni essen­zial­men­te sugli aspet­ti quan­ti­ta­ti­vi che assu­me il feno­me­no del­l’il­le­ga­li­tà vio­len­ta, e il sog­get­ti­vi­smo più sfre­na­to, che con­si­de­ra essen­zial­men­te il peso del­l’i­ni­zia­ti­va volon­ta­ri­sta e gia­co­bi­na di una minu­sco­la avan­guar­dia coscien­te. La «lot­ta arma­ta», come è sta­to rapi­da­men­te ana­liz­za­to nel­la nostra disa­mi­na, si mostra quin­di per lo più come estre­miz­za­zio­ne dei com­por­ta­men­ti di clas­se poten­zial­men­te ever­si­vi, o come asso­lu­tiz­za­zio­ne del­le for­me di lot­ta sog­get­ti­ve.
Dal­la con­fluen­za di que­ste due ten­den­ze, uni­fi­ca­te dal­la con­si­de­ra­zio­ne del­l’a­zio­ne arma­ta come uni­co cri­te­rio di defi­ni­zio­ne di una pra­ti­ca real­men­te rivo­lu­zio­na­ria e sin­te­si poli­ti­co-mili­ta­re per­fet­ta, si ori­gi­na l’u­ni­tà del­l’a­rea che si richia­ma alla «lot­ta arma­ta». Noi rite­nia­mo que­st’u­ni­tà, basa­ta sul­la misti­ca del­l’a­zio­ne arma­ta, fal­sa e dele­te­ria, una cat­ti­va uni­tà.
Fal­sa, per­ché acco­mu­na indi­scri­mi­na­ta­men­te Nap, alcu­ne fra­zio­ni del­l’Au­to­no­mia ope­ra­ia, Br, spez­zo­ni irre­quie­ti di ser­vi­zi d’or­di­ne, nuclei infor­ma­li di fab­bri­ca e di quar­tie­re, gio­va­ni dei ghet­ti, fino a sem­pli­ci indi­vi­dui asse­ta­ti di «rivo­lu­zio­ne» e alle espe­rien­ze di minor spes­so­re e signi­fi­ca­to, ai detri­ti del movi­men­to… in un fra­gi­lis­si­mo mosai­co.
Dele­te­ria, per­ché stem­pe­ra, sen­za alcun risar­ci­men­to, le carat­te­ri­sti­che teo­ri­co-pra­ti­che di cia­scu­na orga­niz­za­zio­ne o grup­po, il suo rife­ri­men­to a un deter­mi­na­to stra­to o espe­rien­za del­la mas­sa subal­ter­na, e impe­di­sce un pro­ces­so di con­fron­to rea­le tra pro­po­ste dif­fe­ren­ti e distin­te.
Ciò che man­ca, e che nes­su­na alchi­mia d’a­van­guar­dia può tra­sfon­de­re imme­dia­ta­men­te e magi­ca­men­te nell’«azione arma­ta», è il pro­gram­ma, la media­zio­ne poli­ti­ca che ren­da real­men­te pos­si­bi­le l’e­ge­mo­nia rivo­lu­zio­na­ria sul movi­men­to, che tra­sfor­mi in ricom­po­si­zio­ne sog­get­ti­va, coscien­te, il pro­ces­so che scuo­te e som­muo­ve ogget­ti­va­men­te la strut­tu­ra di clas­se ope­ra­ia e pro­le­ta­ria.
L’ur­gen­za è for­te: l’ag­gra­var­si del­la cri­si e la mol­te­pli­ci­tà – spes­so con­vul­sa – del­le rispo­ste di clas­se deter­mi­na­no una situa­zio­ne in cui – come dimo­stra la con­fu­sio­ne det­ta­ta da alcu­ne del­le ulti­me azio­ni – una lun­ga serie di nodi teo­ri­ci irri­sol­ti ven­go­no al pet­ti­ne del­la sto­ria.
Il rap­por­to tra avan­guar­die e mas­sa, tra stra­te­gia e tat­ti­ca, tra lavo­ro lega­le e lavo­ro ille­ga­le, rischia­no di diven­ta­re altret­tan­ti svi­lup­pi irri­sol­ti e incan­cre­ni­ti, se non ven­go­no oppor­tu­na­men­te col­lo­ca­ti e orga­niz­za­ti in una pra­ti­ca rivo­lu­zio­na­ria in cui la coe­ren­za del­l’a­zio­ne rispec­chi la coe­ren­za pro­gres­si­va di un pro­gram­ma in costruzione.

OLTRE LA GUERRA DEI SESSANTA GIORNI

Da «Con­tro­in­for­ma­zio­ne», n. 11–12, Luglio 1978

Lo sta­to del­la cri­si e il movi­men­to di clas­se

In rela­zio­ne agli avve­ni­men­ti poli­ti­ci degli ulti­mi mesi si è svol­to, all’in­ter­no del­la reda­zio­ne, un dibat­ti­to che ha fat­to emer­ge­re posi­zio­ni e tesi dif­fe­ren­ti. L’e­di­to­ria­le che segue ripor­ta que­sta discus­sio­ne che, per evi­ta­re fal­si una­ni­mi­smi o con­ver­gen­ze poli­ti­che al livel­lo più bas­so, è sta­ta sin­te­tiz­za­ta in tre dif­fe­ren­ti inter­ven­ti, che cor­ri­spon­do­no sia alle con­vin­zio­ni che allo sti­le dei rispet­ti­vi esten­so­ri.

La fun­zio­ne spet­ta­co­la­re del seque­stro Moro
Bau­dil­lard ana­liz­zan­do la stra­ge di Moga­di­scio ha par­la­to di tea­tro del­la cru­del­tà. Vio­len­za rivo­lu­zio­na­ria e vio­len­za con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ria entre­reb­be­ro in cor­to­cir­cui­to facen­do esplo­de­re il non-sen­so.
Che ci sia spet­ta­co­lo in que­ste azio­ni è fuo­ri dub­bio. Giu­sta­men­te Eric Hob­sba­wm par­la di pub­bli­ci­tà del­l’a­zio­ne.
Però è sta­to fat­to nota­re, che esi­ste anche un sim­bo­li­co rove­scia­to, una tra­sfor­ma­zio­ne del­l’uo­mo col­pi­to o seque­stra­to in non-per­so­na, in fun­zio­ne inter­cam­bia­bi­le del­la mac­chi­na.
Ana­to­miz­za­re l’o­biet­ti­vo, in uno Sta­to dis­se­mi­na­to, come il nostro, è impos­si­bi­le; ma più assur­do anco­ra è rite­ne­re che al per­so­nag­gio chia­ve cor­ri­spon­da una fun­zio­ne chia­ve inso­sti­tui­bi­le. Qua­si a dire che il pre­si­den­te del­la Dc è una «memo­ria» del­la mac­chi­na Sta­to, un orga­no sen­za il qua­le il con­ge­gno si fer­ma. Il soft­ware del pote­re, ovvia­men­te, non è cosi cen­tra­liz­za­to… Occor­re­reb­be sot­to­li­nea­re due aspet­ti che per la fret­ta o per l’i­ste­ria sono sta­ti spes­so sot­to­va­lu­ta­ti. Da una par­te il fat­to che la ridu­zio­ne di Moro a pura fun­zio­ne inter­cam­bia­bi­le, a non-per­so­na, ha per­mes­so alla Dc di sacri­fi­ca­re il suo pre­si­den­te sal­van­do l’au­to­ri­tà e l’im­ma­gi­ne del par­ti­to. Dal­l’al­tro la linea del­la fer­mez­za, il par­ti­to del­la mor­te – come è sta­to scrit­to con indub­bia effi­ca­cia – che ha però avu­to cura di immo­la­re l’uo­mo incen­san­do­ne la per­so­na, la vir­tù, il sacri­fi­cio. Ha così otte­nu­to l’ap­pog­gio mora­le del­l’o­pi­nio­ne pub­bli­ca. L’uo­mo è sta­to sacri­fi­ca­to sugli alta­ri. È diven­ta­to un mar­ti­re. Moro come «cor­po misti­co» ha magne­tiz­za­to l’e­let­to­ra­to.
La linea dura è sta­ta così ricom­pen­sa­ta con una cospi­cua gra­ti­fi­ca­zio­ne elet­to­ra­le.
L’a­stu­zia machia­vel­li­ca, dun­que, è con­si­sti­ta nel sepa­ra­re l’uo­mo dal­la fun­zio­ne, facen­do mostra di ope­ra­re l’im­pos­si­bi­le, cioè di sacri­fi­ca­re la non-per­so­na e sal­va­re la per­so­na. Chia­ro che è sta­ta una sce­na assur­da e maca­bra per­ché den­tro la fun­zio­ne del pre­si­den­te c’e­ra l’uo­mo. All’uo­mo è sta­ta tri­bu­ta­ta l’im­mor­ta­li­tà del lut­to nazio­na­le, del­la memo­ria pub­bli­ca. E, oggi, con l’e­sal­ta­zio­ne del pen­sie­ro del­lo sta­ti­sta, con l’e­re­di­tà poli­ti­ca del­lo scom­par­so, riven­di­ca­ta dal­la segre­te­ria, con il rito del­l’u­na­ni­mi­smo, si sta giun­gen­do addi­rit­tu­ra a una for­ma di bea­ti­fi­ca­zio­ne poli­ti­ca del pre­si­den­te Dc: Moro come tuto­re spi­ri­tua­le e poli­ti­co del par­ti­to, del­la sua linea. La Dc si rilan­cia come asso­cia­zio­ne inte­gra­li­sta che ha il pote­re per inve­sti­tu­ra divi­na o, se non altro, per supe­rio­ri­tà mora­le. In que­sto sen­so se è fuo­ri dub­bio che lo Sta­to è sta­to col­pi­to non è altret­tan­to cer­to che sia sta­to mes­so fuo­ri uso.
Il signi­fi­ca­to sim­bo­li­co è cadu­to del resto, sia per­ché è sta­to rifiu­ta­to lo scam­bio coi pri­gio­nie­ri, sia per­ché imme­dia­ta­men­te è sta­to det­to dal­la Dc che Moro era una fun­zio­ne inter­cam­bia­bi­le. Anche le pri­me «rive­la­zio­ni»: l’at­tac­co a Zac­ca­gni­ni a Cos­si­ga a Tavia­ni, non han­no sor­ti­to il risul­ta­to volu­to. Tan­t’è che le Br, alla fine, han­no affer­ma­to che avreb­be­ro usa­to le noti­zie e le infor­ma­zio­ni in mano loro per por­ta­re avan­ti la lot­ta. Che è a dire: met­tia­mo il silen­zio stam­pa, noi, sul «pro­ces­so spet­ta­co­la­re» al pre­si­den­te Dc. Il signi­fi­ca­to, per­ciò, da que­sto momen­to, non è più sta­to né sim­bo­li­co, né esem­pla­re, ma let­te­ra­le. Il seque­stro di Moro come un momen­to del­la stra­te­gia di guer­ri­glia con­dot­ta dal­l’or­ga­niz­za­zio­ne clan­de­sti­na.

Rea­zio­ni e «dia­lo­go a distan­za» tra le Br e il movi­men­to di clas­se anta­go­ni­sta
Sostan­zial­men­te si sono avu­te due posi­zio­ni, una di tipo mora­li­sti­co, uma­ni­ta­rio, por­ta­ta avan­ti da Lc e un’al­tra poli­ti­ca, di net­to dis­sen­so, fat­ta pro­pria dal­l’au­to­no­mia.
Rispet­to alla pri­ma, le argo­men­ta­zio­ni uma­ni­ta­rie non han­no sfon­da­to come si è volu­to fare cre­de­re. Da anni la vio­len­za è un com­por­ta­men­to di clas­se, da anni si gri­da «paghe­re­te caro paghe­re­te tut­to». Mol­ti com­pa­gni del­la sini­stra non han­no avu­to nien­te da ridi­re sul fat­to Moro, in ter­mi­ni mora­li. Che la mora­le rivo­lu­zio­na­ria sia tut­ta idil­li­ca è anco­ra da dimo­stra­re, spe­cie in una socie­tà clas­si­sta. Que­ste sono posi­zio­ni da fal­sa rivo­lu­zio­ne cul­tu­ra­le che pos­so­no ipno­tiz­za­re alcu­ni set­to­ri del movi­men­to ma non altri. E que­sto riguar­da, in par­ti­co­la­re, chi vive sul­la pro­pria pel­le lo sfrut­ta­men­to quo­ti­dia­no e sa che in Ita­lia c’è un’e­ca­tom­be di ope­rai ucci­si dal­la fab­bri­ca e dal siste­ma ogni anno: un mor­to all’o­ra, per esse­re pre­ci­si, un feri­to al minu­to, per non par­la­re degli inci­den­ti stra­da­li e del­lo stri­to­la­men­to quo­ti­dia­no… Come giu­di­zio mora­le vale anco­ra ciò che scris­se Marx, sul­la rivo­lu­zio­ne san­gui­no­sa del giu­gno 1848: Lo Sta­to ne assi­ste­rà le vedo­ve e gli orfa­ni (dei sol­da­ti ucci­si, n.d.r.), la stam­pa li pro­cla­me­rà immor­ta­li. Ma i ple­bei stra­zia­ti dal­la fame, insul­ta­ti dal­la stam­pa, bol­la­ti come incen­dia­ri e galeot­ti, le loro mogli, i loro figli, pre­ci­pi­ta­ti in una mise­ria indi­ci­bi­le (…)?».
L’at­teg­gia­men­to pro­le­ta­rio in gene­re, quel­lo meno emo­ti­viz­za­to dal­le chia­ma­te anti­fa­sci­ste e dal­le adu­na­te ocea­ni­che, ha dun­que sapu­to distin­gue­re la linea di clas­se che pas­sa tra la vita e la mor­te, il lut­to e il com­pian­to, il movi­men­to dei padro­ni e quel­lo dei pro­le­ta­ri. Qui l’i­den­ti­fi­ca­zio­ne for­za­ta in mol­ti casi si è ribal­ta­ta in non-iden­ti­fi­ca­zio­ne visce­ra­le. «Ma come», dice­va­no mol­ti ope­rai, «quan­do qual­cu­no di noi muo­re, nes­su­no ne par­la… se doves­se­ro fare scio­pe­ro per ognu­no di noi che ci lascia la pel­le nes­su­no lavo­re­reb­be più ». Que­sta, sen­za dub­bio, è sta­ta una rea­zio­ne istin­ti­va che non ha alcun rap­por­to con la teo­ria sul valo­re astrat­to del­la vita uma­na, sul­la mora­le non vio­len­ta, sul­la tesi del dirit­to ugua­le. ecc.
La secon­da rea­zio­ne, inve­ce, quel­la poli­ti­ca, evi­den­zia­va mol­to bene cer­ti fan­ta­smi del pas­sa­to ter­zin­te­na­zio­na­li­sta, fan­ta­smi auto­ri­ta­ri, diri­gi­sti­ci, che la gestio­ne Br del seque­stro Moro, ha resu­sci­ta­to di fron­te agli occhi di miglia­ia di com­pa­gni. Mi rife­ri­sco a quel­lo che è sta­to defi­ni­to il pro­ble­ma del­la legit­ti­mi­tà. Sta­to imperialista/​Stato guer­ri­glie­ro; pro­ces­so di Torino/​controprocesso Moro; pri­gio­ne borghese/​prigione del popo­lo.
La que­stio­ne del ripri­sti­no del­la pena di mor­te, la que­stio­ne del­la vio­len­za rivo­lu­zio­na­ria, come nor­ma con­tro chiun­que si oppon­ga a una linea che si auto­pro­cla­ma stra­te­gi­ca e vin­cen­te, sta­va den­tro que­sto dibat­ti­to per inte­ro. L’e­sca­la­tion del­la vio­len­za astrat­ta, il ragio­na­men­to del fuci­le sono sta­ti cri­ti­ca­ti dura­men­te, non tan­to per oppor­tu­ni­smo, ma per­ché ci si è doman­da­ti, cre­do, che sen­so abbia misu­ra­re poli­ti­ca­men­te la giu­stez­za di un pro­gram­ma solo in base alla capa­ci­tà tec­ni­ca, mili­ta­re. Ma come, chi si richia­ma al leni­ni­smo, non sa che le dispu­te e la pole­mi­ca anche fero­ce tra bol­sce­vi­chi e men­sce­vi­chi, socia­li­sti rivo­lu­zio­na­ri, anar­chi­ci, non ver­te­va­no su qua­le obiet­ti­vo spa­ra­re, ben­sì su qua­le tat­ti­ca e su qua­li paro­le d’or­di­ne adot­ta­re nei con­fron­ti del popo­lo?
In sin­te­si, quin­di, la cri­ti­ca più dura alla gestio­ne e alla sor­di­tà poli­ti­ca del­le Br è nata da que­sta obie­zio­ne: la distan­za e il per­cor­so di una stra­te­gia rivo­lu­zio­na­ria di clas­se non si misu­ra­no con la git­ta­ta di una pal­lot­to­la. L’al­ter­na­ti­va glo­ba­le, poi, non si costrui­sce pre­sen­tan­do un model­lo di pote­re anti­te­ti­co ma spe­cu­la­re a quel­lo che si com­bat­te.
Dato che l’ar­go­men­to è deli­ca­to la cosa miglio­re è fare par­la­re que­sta orga­niz­za­zio­ne, attra­ver­so i docu­men­ti. Scor­ren­do i comu­ni­ca­ti si nota che è sta­to lan­cia­to un ardi­to pon­te tra avan­guar­dia arma­ta e movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio nel comu­ni­ca­to n. 2 scri­ven­do: «ono­re ai com­pa­gni Loren­zo Jan­nuc­ci e Fau­sto Tinel­li». Rico­no­sci­men­to subi­to respin­to al mit­ten­te dal cir­co­lo Leon­ca­val­lo. La cir­co­stan­za però non è né acci­den­ta­le né mar­gi­na­le. Infat­ti nel comu­ni­ca­to n. 4, par­lan­do del par­ti­to si dice che «agi­re da par­ti­to» vuol dire dare all’i­ni­zia­ti­va arma­ta un dupli­ce carat­te­re (…) «disar­ti­co­la­re e ren­de­re disfun­zio­na­le la mac­chi­na del­lo Sta­to e pro­iet­tar­si nel movi­men­to, esse­re di indi­ca­zio­ne poli­ti­co mili­ta­re per diri­ge­re e orga­niz­za­re il MRPO ver­so la guer­ra civi­le antim­pe­ria­li­sta». Ebbe­ne, le Br pun­ta­no a orga­niz­za­re quel­la che defi­ni­sco­no «guer­ra civi­le stri­scian­te», per impe­di­re che le mil­le ini­zia­ti­ve scoor­di­na­te nebu­liz­zi­no nel nul­la la cari­ca di con­tro­po­te­re del movi­men­to. Ma per fare que­sto ci vuo­le Auto­ri­tà. E sia­mo al pun­to cru­cia­le.

Il par­ti­to
L’au­to­ri­tà ce l’ha il par­ti­to, ma se non c’è il par­ti­to chi se la arro­ga? Ecco la loro rispo­sta; «agi­re da par­ti­to»: cioè a par­ti­re dal nucleo com­bat­ten­te Br costrui­re il par­ti­to com­bat­ten­te nel movi­men­to di resi­sten­za.
È leni­ni­smo dot­tri­na­rio, astrat­to, che postu­la: «tra­sfor­ma­re il pro­ces­so di guer­ra civi­le anco­ra disor­ga­niz­za­to in un’of­fen­si­va gene­ra­le».
È qui l’o­ri­gi­ne del diri­gi­smo arma­to del­le Br. Pre­ten­de­re che il «par­ti­to» – ester­no al movi­men­to, non per la sua dislo­ca­zio­ne fisi­ca, stra­te­gia del­la clan­de­sti­ni­tà, ma per la estra­nei­tà agli obiet­ti­vi mate­ria­li alla coscien­za pos­si­bi­le del­la clas­se – pos­sa diri­ge­re tut­ta l’op­po­si­zio­ne, tut­to il dis­sen­so, tut­to l’an­ta­go­ni­smo che si sostan­zia in com­por­ta­men­ti mol­to sfu­ma­ti e con­trad­dit­to­ri. La clas­se vie­ne vista, in ulti­ma ana­li­si, come mas­sa da diri­ge­re: ovvio che que­sta con­ce­zio­ne ete­ro­no­ma del­la lot­ta sia sgra­di­ta a chi, da anni, sta cer­can­do l’au­to­ri­com­po­si­zio­ne, non la dele­ga.
Per con­tro, le Br cal­ca­no sem­pre di più, con tut­to il loro peso mili­ta­re, che è indub­bio, per otte­ne­re un rico­no­sci­men­to, per impor­re l’au­to­ri­tà poli­ti­ca sul movi­men­to, sot­to for­ma di ege­mo­nia mili­ta­re.
Ma per la natu­ra stes­sa del­l’er­ro­re che essi com­pio­no: scam­bia­re una for­ma di lot­ta con l’es­sen­za del­lo scon­tro, scam­bia­re lo stru­men­to del­l’at­tac­co con il pro­gram­ma com­ples­si­vo, le pos­si­bi­li­tà di instau­ra­re real­men­te tale auto­ri­tà sono mini­me.
Die­tro il loro impian­to infat­ti c’è una scom­mes­sa mil­le­na­ri­sti­ca: o ter­za guer­ra mon­dia­le o guer­ra civi­le che ben poco si lega all’e­spe­rien­za cul­tu­ra­le, alla veri­fi­ca empi­ri­ca degli ulti­mi anni, duran­te i qua­li la nor­ma­liz­za­zio­ne è appar­sa come un pro­ces­so ben più sot­ti­le e dia­let­ti­co…
Solo due model­li di guer­ri­glia socia­le, cioè di lot­ta mili­ta­re stret­ta­men­te intrec­cia­ta alla lot­ta socia­le sono sta­ti rile­van­ti. Il pri­mo è quel­lo cine­se che si avval­se però di zone libe­re, cioè di micro­sta­ti nel­lo Sta­to. Zone dove il popo­lo non solo guer­reg­gia­va ma lavo­ra­va, vive­va, pro­crea­va in modo alter­na­ti­vo con­tro il siste­ma domi­nan­te. Que­sto è un retro­ter­ra vali­do, per­ché è un retro­ter­ra com­ples­si­vo, non solo mili­ta­re, ma mate­ria­le e idea­le…
Il secon­do esem­pio ci por­ta al dram­ma del­l’U­ru­guay. Il regi­me di Bor­da­ber­ry ha sof­fo­ca­to nel san­gue, ver­sa­to dal­la dit­ta­tu­ra, un gran­de movi­men­to di lot­ta che ave­va nei tupa­ma­ros il suo epi­cen­tro. Lag­giù que­sti com­pa­gni ten­ta­ro­no di radi­ca­re un model­lo di guer­ri­glia ine­di­to, lega­le e ille­ga­le, mili­ta­re e socia­le. Il fron­te ampio non fu cer­to la vit­to­ria del­la linea mor­bi­da ben­sì del­la linea dispie­ga­ta. Ciò che pro­pu­gna­no le Br, inve­ce, non ha ne retro­ter­ra né pro­ie­zio­ne. Vie­ne spon­ta­neo doman­dar­si, dove pen­sa­no che si ripro­du­ca­no le avan­guar­die rivo­lu­zio­na­rie di mas­sa, in qua­le ter­re­no…

Lo sta­to
Qua­le teo­ria del­lo Sta­to le Br mostra­no di ave­re?
Alla teo­ria del cuo­re del­lo Sta­to impe­ria­li­sta non si può con­trap­por­re né quel­la dei due cuo­ri, uno nel par­ti­to e uno negli appa­ra­ti, pro­pria del­la Dc; né quel­la del cuo­re ope­ra­io e demo­cra­ti­co tipi­ca del Pci.
Sem­pre per resta­re nel­la meta­fo­ra sareb­be più giu­sto, for­se, par­la­re di uno Sta­to sen­za cuo­re. Ovve­ro di uno Sta­to che pul­sa di una vita eco­no­mi­ca, poli­ti­ca, socia­le e isti­tu­zio­na­le non pro­pria­men­te loca­liz­za­ta in un orga­no vita­le. Il con­ti­nuo rife­ri­men­to del­le Br all’e­se­cu­ti­vo par­la chia­ro: per pren­de­re il pote­re occor­re col­pi­re, disar­ti­co­la­re e abbat­te­re que­sto moto­re.
Ma una tale con­ce­zio­ne nasce da una con­ta­mi­na­zio­ne assai con­fu­sa tra la teo­ria del supe­rim­pe­ria­li­smo (un pae­se impe­ria­li­sta ege­mo­ne) con quel­la del­l’ul­traim­pe­ria­li­smo (armo­nia con­flit­tua­le tra le super­po­ten­ze).
Da que­sto offu­sca­men­to, poi, pren­de cor­po la tesi del­la guer­ra di lun­ga dura­ta come «insur­re­zio­ne pro­gres­si­va» con­tro i pote­ri del­lo Sta­to impe­ria­li­sta.
Insom­ma lo Sta­to o si abbat­te o si disar­ti­co­la e se lo si disar­ti­co­la nel cor­so di que­sto «cor­po a cor­po» si tra­sfor­me­rà. È ine­vi­ta­bi­le. Ma come?
Dun­que, per resta­re alla sostan­za del­lo Sta­to, va det­to che l’a­na­li­si che le Br fan­no del­la Dc e del Pci è quan­to­me­no nebu­lo­sa. Se la Dc è asse por­tan­te del­la ristrut­tu­ra­zio­ne e il Pci ne è l’al­tra fac­cia, allo­ra è come dire che ci sono solo diver­si­tà di for­ma. Rifor­mi­smo e annien­ta­men­to – scri­vo­no le Br – sono com­ple­men­ta­ri. Il pun­to, inve­ce, è che la ristrut­tu­ra­zio­ne del­lo Sta­to in Sim non è affat­to chia­ra nep­pu­re per il «per­so­na­le impe­ria­li­sta» che deve gestir­la. In bre­ve: men­tre per buo­na par­te del Pci (per i qua­dri duri e la base sin­ce­ra, alme­no) la con­qui­sta del­lo Sta­to vie­ne inte­sa come sta­ta­liz­za­zio­ne dei mono­po­li, come poli­ti­ciz­za­zio­ne revi­sio­ni­sta del­le isti­tu­zio­ni domi­nan­ti, per la Dc, inve­ce, è l’op­po­sto.
Non di sta­ta­liz­za­zio­ne del capi­ta­le si trat­te­rà, ben­sì di capi­ta­liz­za­zio­ne del­lo Sta­to, di mono­po­liz­za­zio­ne del­le isti­tu­zio­ni, del par­la­men­to, ecc.
Nasce di qui una con­trap­po­si­zio­ne non solo distin­ti­va ma anta­go­ni­sti­ca tra con­ce­zio­ne del­lo Sta­to demo­cri­stia­na e revi­sio­ni­sta. Quel­la che si può chia­ma­re, per gli uni, i Dc, con­ce­zio­ne extra­na­zio­na­le e per gli altri, i Pci, sovra­na­zio­na­le.
Ter­za guer­ra mon­dia­le? Benis­si­mo, ma allo­ra occor­re inclu­de­re tra le metro­po­li del­l’im­pe­ria­li­smo anche le capi­ta­li del­l’E­st. E con la guer­ra civi­le nel cuo­re del socia­lim­pe­ria­li­smo come la met­tia­mo?
Sono i pro­ces­si di clas­se, pecu­lia­ri, cer­to anche nazio­na­li; è la micro­fi­si­ca del pote­re; sono le tra­sfor­ma­zio­ni mole­co­la­ri del tes­su­to di clas­se a dar­ci come «risul­tan­te» un cer­to Sta­to e il suo fun­zio­na­men­to. Uno Sta­to deter­mi­na­to che non esce da un labo­ra­to­rio ame­ri­ca­no o sovie­ti­co. L’u­ni­co labo­ra­to­rio è la sto­ria. Il moloch è solo una meta­fo­ra.
Le Br attac­ca­no le teo­rie «del­l’in­vo­lu­zio­ne auto­ri­ta­ria e del­la gene­ra­zio­ne dei cor­pi sepa­ra­ti». Giu­sto, ma poi leg­gen­do la ristrut­tu­ra­zio­ne degli appa­ra­ti di sicu­rez­za in chia­ve di fun­zio­na­liz­za­zio­ne alla super­strut­tu­ra impe­ria­li­sta, non fan­no che ripe­te­re, su gran­de sca­la, lo stes­so erro­re. Qui non si trat­ta di muta­men­ti isti­tu­zio­na­li, sepa­ra­ti dal cor­po socia­le, dai pro­ces­si mole­co­la­ri di clas­se; si trat­ta, inve­ce, di inte­ra­zio­ne pro­fon­da, sto­ri­co-poli­ti­ca, tra strut­tu­re e isti­tu­zio­ni. Marx l’ha det­to chia­ra­men­te: «È sem­pre il rap­por­to diret­to tra i pro­prie­ta­ri del­la con­di­zio­ne di pro­du­zio­ne e i pro­dut­to­ri diret­ti (…) in cui noi tro­via­mo l’in­ti­mo arca­no, il fon­da­men­to nasco­sto di tut­ta la costru­zio­ne socia­le e quin­di anche del­la for­ma spe­ci­fi­ca del­lo Sta­to in quel momen­to».
Vedia­mo quin­di qua­li sono i rap­por­ti di pro­du­zio­ne, qual è il modo di pro­du­zio­ne e di qui, caso mai, deri­ve­re­mo la «meta­mor­fo­si» del­le isti­tu­zio­ni, la for­ma-Sta­to pre­sen­te…
È dove­ro­so sot­to­li­nea­re la prio­riz­za­zio­ne del­la rivo­lu­zio­ne poli­ti­ca tipi­ca del­le Br. Rove­scia­re uno Sta­to con un altro Sta­to sem­bre­reb­be una tap­pa fon­da­men­ta­le del loro pro­gram­ma. Cam­bia­re il segno del pote­re, non il prin­ci­pio. Su que­sta con­ce­zio­ne hege­lia­na del­lo Sta­to che fon­da i rap­por­ti socia­li (for­se invo­lon­ta­ria­men­te rivi­si­ta­ta dal lin­guag­gio «lega­li­ta­rio» con­te­nu­to nel­la sfi­da del­lo Sta­to degli oppres­si con­tro lo Sta­to degli oppres­so­ri – ma com­pi­to del­la rivo­lu­zio­ne non è distrug­ge­re ogni for­ma-Sta­to?) è fin trop­po faci­le pole­miz­za­re…

La com­po­si­zio­ne di clas­se e il sog­get­to rivo­lu­zio­na­rio
II refe­ren­te – per usa­re que­sto orri­bi­le neo­lo­gi­smo sini­stre­se – cui si rivol­go­no le BR, ma anche il sog­get­to di mas­sa rivo­lu­zio­na­rio, oggi sem­bra assen­te dal­la sce­na poli­ti­ca. For­se il pre­sti­gio del­le BR, la loro auto­ri­tà, è sta­to esa­ge­ra­to anche per que­sto moti­vo, per la man­can­za di un’i­po­te­si anta­go­ni­sta orga­niz­za­ta, com­bat­ti­va. D’al­tra par­te la paro­la d’or­di­ne, usci­ta dal movi­men­to del ’77, ormai in ago­nia: «non pren­dia­mo il pote­re» ha con­tras­se­gna­to più il riflus­so di cer­te cate­go­rie pro­le­ta­rie emar­gi­na­te che non la pie­na matu­ri­tà del movi­men­to di lot­ta. Il Pci che ha con­ta­to mol­to come rife­ri­men­to in nega­ti­vo per tut­to il movi­men­to, dal ’76 ad oggi, ha fat­to coin­ci­de­re la sua «entra­ta nel­lo Sta­to» con una teo­ria del pote­re nuo­va di zec­ca.
È la dan­za del gran­chio eret­ta a siste­ma. La socie­tà demo­cra­ti­co-bor­ghe­se che si fa sem­pre più auto­ri­ta­ria, anche a det­ta dì un Cano­sa, di uno Sta­me, per i revi­sio­ni­sti più si isti­tu­zio­na­liz­za e si ver­ti­ciz­za e più diven­ta par­te­ci­pa­ta.
Più la lot­ta di clas­se vie­ne subli­ma­ta nel­la dia­let­ti­ca dei par­ti­ti e più acqui­sta pote­re. Così la fase del­le lot­te riven­di­ca­ti­ve, per il sala­rio, per una miglio­re col­lo­ca­zio­ne di lavo­ro, ecc., vie­ne oggi defi­ni­ta dal Pci difen­si­va, men­tre il sof­fo­ca­men­to di ogni istan­za anti­ca­pi­ta­li­sti­ca nel­le fab­bri­che, nel­le scuo­le e nel ter­ri­to­rio, vie­ne con­trab­ban­da­ta come rea­liz­za­zio­ne di una stra­te­gia offen­si­va.
Tron­ti ha defi­ni­to la cen­tra­li­tà ope­ra­ia nel­l’au­to­no­mia del poli­ti­co come capa­ci­tà di «gestio­ne del­la mac­chi­na sta­ta­le», come «attrac­co con la poli­ti­ca ». In altri ter­mi­ni il bari­cen­tro del­l’e­ge­mo­nia di clas­se non sta più nel­la fab­bri­ca, nei luo­ghi di pro­du­zio­ne, ben­sì nel­le isti­tu­zio­ni. Di fron­te a que­ste posi­zio­ni è com­pren­si­bi­le che mol­ti degli ope­rai espro­pria­ti del­la loro cen­tra­li­tà di lot­ta (dele­ga­ta ora ai buro­cra­ti che li rap­pre­sen­ta­no nel «far­si Sta­to») pos­sa­no pen­sa­re «all’al­tro Sta­to», quel­lo arma­to, quel­lo BR. Ma non è que­sto che ci inte­res­sa.
I pun­ti fon­da­men­ta­li da chia­ri­re sono due. Pri­mo: che rap­por­to c’è, se c’è, tra la stra­te­gia del­la guer­ra civi­le Br e l’at­tua­le com­po­si­zio­ne di clas­se anta­go­ni­sta.
Secon­do: il movi­men­to di clas­se, può anco­ra espri­me­re una stra­te­gia rivo­lu­zio­na­ria che non sia quel­la mil­le­na­ri­sta; se sì. qual è il suo ter­re­no socia­le di ripro­du­zio­ne, qua­li i com­por­ta­men­ti e gli obiet­ti­vi di lot­ta?
Par­tia­mo dal­la fab­bri­ca. Ciò che si nota subi­to è la sepa­ra­zio­ne net­ta tra com­po­si­zio­ne tec­ni­ca e com­po­si­zio­ne poli­ti­ca degli ope­rai. In altri ter­mi­ni il padro­na­to è riu­sci­to a diva­ri­ca­re sem­pre più le con­di­zio­ni di esi­sten­za pro­dut­ti­va dal­le con­di­zio­ni di esi­sten­za ripro­dut­ti­va del­l’o­pe­ra­io. Sto­ri­ca­men­te par­lan­do sia­mo alla ter­za fase.
La pri­ma, quel­la del­l’o­pe­ra­io pro­fes­sio­na­le, vede­va la com­po­si­zio­ne tec­ni­ca, l’e­si­sten­za pro­dut­ti­va, degli ope­rai di mestie­re, cen­tra­le rispet­to alla socie­tà.
Il pro­dut­to­re era più impor­tan­te del cit­ta­di­no, per dir­la con Gram­sci. L’o­pe­ra­io, quin­di, era for­te in fab­bri­ca ma anco­ra debo­le nel­la socie­tà. Nel­la secon­da fase, quel­la del­l’o­pe­ra­io mas­sa, la tra­sfor­ma­zio­ne del ciclo, la ristrut­tu­ra­zio­ne del­le man­sio­ni, l’au­to­ma­tiz­za­zio­ne, han­no reso la com­po­si­zio­ne tec­ni­ca del­l’o­pe­ra­io omo­ge­nea lun­go tut­to il ciclo prin­ci­pa­le.
La com­po­si­zio­ne poli­ti­ca, poi, sia per le lot­te socia­li – casa, tra­spor­ti, ser­vi­zi – sia per la pre­sen­za mas­sic­cia degli ope­rai, come clas­se, ven­ne a cor­ri­spon­de­re per un cer­to perio­do alla for­za inter­na. For­za con­trat­tua­le nel­la fab­bri­ca, for­za poli­ti­ca nel socia­le. Ecco la ricom­po­si­zio­ne da cui sca­tu­rì la scin­til­la del­le gran­di lot­te spon­ta­nee.
Ter­za fase: è sta­ta deno­mi­na­ta del­l’o­pe­ra­io socia­le, dei non garan­ti­ti o del­le fasce mobi­li di pre­ca­ria­to. Al di là dei ter­mi­ni ciò che con­ta è la sostan­za. L’at­tua­le pro­ces­so di scom­po­si­zio­ne tec­ni­ca e di disgre­ga­zio­ne poli­ti­ca può così esse­re sin­te­tiz­za­to: decen­tra­men­to, dis­se­mi­na­zio­ne pro­dut­ti­va da un lato; disper­sio­ne, dif­fu­sio­ne socia­le dal­l’al­tro.
Il risul­ta­to è che la clas­se non è più for­te né in fab­bri­ca né sul socia­le.
L’e­si­sten­za pro­dut­ti­va è minac­cia­ta dal­la mobi­li­tà, dal­la decur­ta­zio­ne del sala­rio, dai licen­zia­men­ti, dal­l’au­men­to dei rit­mi ecc.; l’e­si­sten­za ripro­dut­ti­va, a sua vol­ta, è attac­ca­ta dal­la cri­mi­na­liz­za­zio­ne, dal­la disoc­cu­pa­zio­ne, dal­la pol­ve­riz­za­zio­ne, dal con­trol­lo isti­tu­zio­na­le, ecc.
Que­sta, la frat­tu­ra sto­ri­ca con la qua­le il movi­men­to deve fare i con­ti. Chi atten­de con fede il ritor­no del­le lot­te di fab­bri­ca è con­vin­to che si tor­ne­rà, pri­ma o poi, alla cen­tra­li­tà fisi­ca del­l’o­pe­ra­io, chi inve­ce teo­riz­za l’ac­cer­chia­men­to dei luo­ghi pro­dut­ti­vi da par­te del pro­le­ta­ria­to non-garan­ti­to dà per scon­ta­to che la gran­de fab­bri­ca sarà sem­pre più una cat­te­dra­le nel deser­to del­l’e­mar­gi­na­zio­ne…
Oggi il cen­tro poli­ti­co del­la clas­se orga­niz­za­ta è posto fuo­ri del­la fab­bri­ca e del­la sua auto­no­mia. È un cen­tro buro­cra­ti­co e diri­gi­sti­co che repri­me e con­trol­la le «lot­te di fab­bri­ca» inve­ce di gal­va­niz­zar­le. Ciò signi­fi­ca che ogni mar­gi­ne di «rifor­mi­smo ope­ra­io » quel­lo nei cui inter­sti­zi, per inten­der­ci, è pro­spe­ra­to il sin­da­ca­li­smo di sini­stra, l’a­nar­co-sin­da­ca­li­smo, lo spon­ta­nei­smo ope­ra­io, ecc., è sta­to col­ma­to dal­la pre­sen­za inva­den­te del­la diri­gen­za rifor­mi­sta, che non è più dispo­sta a tol­le­ra­re alcu­na diar­chia fabbrica/​istituzioni… D’al­tro can­to nel socia­le dove gli uni­ci fram­men­ti e coa­gu­li orga­niz­za­ti­vi era­no con­se­guen­za del­le lot­te di fab­bri­ca, a mag­gior ragio­ne dopo la «boni­fi­ca poli­ti­ca» non c’è più nul­la. Per­ciò, sche­ma­tiz­zan­do, si può dire che i movi­men­ti del ter­ri­to­rio nasca­no non tan­to dal­la nega­zio­ne del­l’e­si­sten­te quan­to dal­la assen­za di obiet­ti­vi comu­ni. Tut­ta­via le con­di­zio­ni effet­ti­ve per un nuo­vo movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio ci sono ma sono tali da risul­ta­re sfa­sa­te rispet­to alla orga­niz­za­zio­ne sog­get­ti­va, alla fina­liz­za­zio­ne orga­niz­za­ti­va. Fac­cia­mo un esem­pio: c’è il lavo­ro nero. Com­bat­tia­mo con­tro il lavo­ro nero. Ma se si orga­niz­za sog­get­ti­va­men­te que­sta lot­ta come lot­ta di set­to­re, di spe­ci­fi­co, si bru­cia a mol­ti la pos­si­bi­li­tà di ripro­dur­si per­ché tol­to il lavo­ro nero non han­no altro, non han­no l’as­si­sten­za, l’al­ter­na­ti­va, han­no quel­lo e basta.
Le Br affer­ma­no che rima­ne vali­da la con­ce­zio­ne del­l’e­ge­mo­nia ope­ra­ia.
Qua­le ope­ra­io e qua­le ege­mo­nia? L’o­pe­ra­io Fiat o quel­lo del ciclo mar­gi­na­le?
Sono distin­zio­ni rea­li e la scel­ta del refe­ren­te è fon­da­men­ta­le, ma le Br non han­no un pro­gram­ma che ten­ga con­to del­l’e­si­sten­za mate­ria­le del­la clas­se; in che modo pen­sa­no di rie­qui­li­bra re tat­ti­ca­men­te la com­po­si­zio­ne tec­ni­ca del­l’o­pe­ra­io con quel­la poli­ti­ca e mili­ta­re?
La sim­pa­tia ope­ra­ia, che è un fat­to rea­le, è dovu­ta quin­di, al discor­so «pre­sa di pote­re» che le Br fan­no e che si avvi­ci­na di più alla vec­chia ideo­lo­gia ter­zin­ter­na­zio­na­li­sta che non alle attua­li teo­rie dei biso­gni. Con ciò si esclu­de un rap­por­to dia­let­ti­co tra pro­gram­ma poli­ti­co, stra­te­gia arma­ta e retro­ter­ra socia­le e mate­ria­le.
Il discor­so Br è mili­ta­ri­sta, è clan­de­sti­no, pro­prio per­ché dà una divi­sa di rivo­lu­zio­na­rio a chiun­que sia dispo­sto ad accet­ta­re lo scon­tro tota­le, armi in pugno, nel­le sue file, ma non sta cer­to a misu­ra­re «la taglia» ogget­ti­va, mate­ria­le, socia­le, dei suoi refe­ren­ti. Si pun­ta a costrui­re l’e­ser­ci­to guer­ri­glie­ro, non ad orga­niz­za­re l’op­po­si­zio­ne e il dis­sen­so di clas­se. Sono due con­cet­ti diver­si…
Il caso Moro lo ha fat­to capi­re chia­ra­men­te: l’a­ber­ra­zio­ne è pale­se: ogni ipo­te­si che non nasca dal­la can­na del fuci­le non vie­ne mini­ma­men­te con­si­de­ra­ta dal­le BR. Il che è una vera scioc­chez­za per­ché poli­ti­ca­men­te par­lan­do sono sta­te e saran­no solo e sem­pre le lot­te, anche quel­le «del­le 10 lire», a fare sì che non si pro­sciu­ghi il retro­ter­ra rivo­lu­zio­na­rio ogget­ti­vo. Come dice­va Lenin: «Sot­to ogni lot­ta poli­ti­ca c’è una lot­ta eco­no­mi­ca».
Dob­bia­mo nota­re che eco­no­mi­ca­men­te il pae­se capi­ta­li­sti­co è sta­bi­le, «sta­bi­lis­si­mo». Sia­mo nel ciclo poli­ti­co del­la cri­si ma la bilan­cia dei paga­men­ti sta andan­do alla pari. I pro­fit­ti aumen­ta­no, il tas­so di accu­mu­la­zio­ne cre­sce. La Fiat è in ripre­sa.
Non si può dire altret­tan­to per il pae­se pro­le­ta­rio, dove il dop­pio lavo­ro cre­sce in pro­por­zio­ne diret­ta alla disoc­cu­pa­zio­ne appa­ren­te, dove la gior­na­ta di lavo­ro si allun­ga in pro­por­zio­ne alla dimi­nu­zio­ne del tem­po di lavo­ro neces­sa­rio, dove le fab­bri­che fal­li­sco­no per risu­sci­ta­re poco dopo sot­to for­ma di pic­co­lis­si­me azien­de.
Ecco il cen­tro; qui occor­re col­pi­re e desta­bi­liz­za­re, per­ché il pie­de dif­fu­so del­le isti­tu­zio­ni è que­sto ed è un pie­de soli­do.
Ciò che notia­mo, a ben guar­da­re, è un pro­ces­so mol­to com­ples­so che si svol­ge sot­to pel­le.
Il mer­ca­to si restrin­ge, i con­su­mi inter­ni rista­gna­no. È ovvio che sia così per­ché il valo­re d’ac­qui­sto del sala­rio decre­sce a vista d’oc­chio, men­tre aumen­ta­no i prez­zi dei gene­ri di pri­ma neces­si­tà. Con­tem­po­ra­nea­men­te cre­sce lo sfrut­ta­men­to esten­si­vo, cioè la pro­du­zio­ne di plus valo­re asso­lu­to.
Que­sto ci dice che la disoc­cu­pa­zio­ne è un pro­ble­ma fan­ta­sma.
In par­te infat­ti è lavo­ro occul­to, in par­te lavo­ro fami­glia­re, red­di­to di nucleo. Ecco la ricet­ta del pro­fit­to: cre­sce la com­po­si­zio­ne orga­ni­ca di capi­ta­li in cer­ti set­to­ri e seg­men­ti del ciclo. Si con­cen­tra, ponia­mo, nel set­to­re petrol­chi­mi­co, elet­tro­ni­co, in cer­ti repar­ti di pro­du­zio­ne auto, e, vice­ver­sa, cre­sce la scom­po­si­zio­ne tec­ni­ca e poli­ti­ca del pro­le­ta­ria­to. Il capi­ta­le costan­te © coman­da por­zio­ni via via cre­scen­ti di lavo­ro vivo (v), solo che il coman­do è «fisi­ca­men­te» dilui­to. Così a secon­da del­le esi­gen­ze del ciclo qui c’è mag­gio­re inten­si­tà del­lo sfrut­ta­men­to là mag­gio­re esten­sio­ne; qui si pro­du­ce plus valo­re asso­lu­to (per­ché pre­va­le la mano­do­pe­ra). La com­bi­na­zio­ne, poi, del­le varie for­me avvie­ne nel­la sus­sun­zio­ne al ciclo; al sin­go­lo capi­ta­le per ciò che con­cer­ne l’im­pre­sa, al capi­ta­le com­ples­si­vo per ciò che con­cer­ne l’in­te­ra cir­co­la­zio­ne. L’in­sie­me del pro­ces­so è oltre­mo­do impor­tan­te e va stu­dia­to accu­ra­ta­men­te. Infat­ti quan­do par­lia­mo di dop­pio ciclo, di garan­ti­ti e non garan­ti­ti, in real­tà indi­chia­mo con del­le con­trap­po­si­zio­ni o del­le disgiun­zio­ni ciò che non è affat­to sepa­ra­to ma che deve appa­ri­re sepa­ra­to. L’es­sen­za capi­ta­li­sti­ca dei feno­me­ni è uni­ca e alta­men­te inte­gra­ta. Negli ulti­mi anni si è assi­sti­to alla dimi­nu­zio­ne del prez­zo del lavo­ro e all’au­men­to del­la pro­dut­ti­vi­tà. Come? Il capi­ta­le incre­men­tan­do la com­po­si­zio­ne orga­ni­ca, con la ristrut­tu­ra­zio­ne degli impian­ti, ha aumen­ta­to la pro­dut­ti­vi­tà e inten­si­fi­ca­to la pro­du­zio­ne di plus valo­re rela­ti­vo. Que­sto è avve­nu­to essen­zial­men­te nel­la gran­de fab­bri­ca «auto­ma­tiz­za­ta».
Dal­l’al­tra par­te con il decen­tra­men­to e l’at­tac­co ai sala­ri, la crea­zio­ne del ciclo mar­gi­na­le e del mer­ca­to mar­gi­na­le del lavo­ro, è enor­me­men­te dimi­nui­to il mon­te sala­ri, cioè la quo­ta socia­le del capi­ta­le varia­bi­le anti­ci­pa­to.
È cla­mo­ro­sa­men­te fal­sa l’a­na­li­si che affer­ma la dimi­nu­zio­ne e il rista­gno in asso­lu­to del­le for­ze pro­dut­ti­ve.
In que­sto erro­re è con­te­nu­to il mec­ca­ni­ci­smo del­le BR. Dico­no: le for­ze pro­dut­ti­ve non si svi­lup­pa­no più per­ché se si espan­des­se­ro anco­ra dovreb­be­ro muta­re anche i rap­por­ti di pro­du­zio­ne e que­sto il capi­ta­le non se lo può per­met­te­re.
In real­tà i rap­por­ti di pro­du­zio­ne sono muta­ti, ma nel segno oppo­sto: non espor­tan­do l’an­ta­go­ni­smo ben­sì poten­zian­do l’i­sti­tu­zio­na­liz­za­zio­ne e clien­te­la­riz­za­zio­ne del pro­le­ta­ria­to mar­gi­na­le e rea­liz­zan­do la mar­gi­na­liz­za­zio­ne poli­ti­ca e lo sfrut­ta­men­to asso­lu­to del lavo­ro vivo lun­go tut­ta la rete del decen­tra­men­to.
Aggiun­gia­mo poi che «ogni capi­ta­li­sta» ten­de a rea­liz­za­re il mas­si­mo su ogni «sin­go­lo pro­dot­to» e avre­mo, appun­to, il qua­dro del pre­sen­te: set­to­ri che pro­du­co­no per il mer­ca­to inter­no e altri che espor­ta­no solo: set­to­ri di valo­riz­za­zio­ne finan­zia­ria; un sala­rio la cui desti­na­zio­ne è assai mute­vo­le e che può esse­re rin­for­za­to solo da un secon­do lavo­ro che pro­du­ce plus valo­re asso­lu­to.
È chia­ro che, secon­do una tale ana­li­si, l’e­sprit poli­ti­que, gia­co­bi­no, ser­ve fino a un cer­to pun­to. La ricer­ca vera comin­cia a par­ti­re dal­la ricom­po­si­zio­ne degli obiet­ti­vi poli­ti­co-socia­li comu­ni ai vari sog­get­ti pro­dut­ti­vi. Non ricom­po­si­zio­ne mili­ta­re o al di sopra degli obiet­ti­vi.
Quin­di: indi­vi­dua­re la fun­zio­ne strut­tu­ra­le del pre­ca­ria­to che attual­men­te è la fascia prin­ci­pa­le di pro­du­zio­ne di plus valo­re asso­lu­to e di sta­bi­liz­za­zio­ne del coman­do dif­fu­so; smet­ter­la di par­la­re di auto­va­lo­riz­za­zio­ne pro­le­ta­ria sepa­ra­ta che in real­tà è solo un modo diver­so per spie­ga­re l’in­trec­cio tra mobi­li­tà asso­lu­ta e sfrut­ta­men­to asso­lu­to non codi­fi­ca­ti in con­trat­ti e posti di lavo­ro con­trat­ta­ti.
Poi risa­li­re le varie «tap­pe e inter­se­zio­ni » del ciclo e coglie­re i «luo­ghi» in cui si anno­da­no le varie fun­zio­ni: sala­rio e red­di­to pro­dut­ti­vo, lavo­ro neces­sa­rio e lavo­ro astrat­to, plus valo­re rela­ti­vo e asso­lu­to, repres­sio­ne strut­tu­ra­le e con­trol­lo, repres­sio­ne poli­ti­ca.
Ovvio che il valo­re lavo­ro di cui par­lia­mo si con­net­te imme­dia­ta­men­te alla com­po­si­zio­ne poli­ti­ca, al valo­re socia­le del pro­le­ta­ria­to, al suo esse­re clas­se. La dimi­nu­zio­ne del valo­re lavo­ro si spie­ga solo se riu­sci­ran­no a spie­ga­re la nuo­va fun­zio­ne del coman­do, il nuo­vo pote­re, le nuo­ve isti­tu­zio­ni, il nuo­vo sta­to, i nuo­vi rap­por­ti socia­li e di clas­se, che pesa­no in sen­so anti­pro­le­ta­rio.
Con­clu­den­do con pre­vi­sio­ni nostre pos­sia­mo quin­di sin­te­tiz­za­re le cose det­te.
È poco pro­ba­bi­le una svol­ta di destra, sia per­ché non c’è la base strut­tu­ra­le, per un regi­me mono­po­li­sti­co nazio­na­le, ormai supe­ra­to, sia per­ché, in par­te, la pres­sio­ne poli­ti­ca sui sala­ri e la pro­du­zio­ne di plus valo­re asso­lu­to sono otte­nu­ti «con altri mez­zi», cosid­det­ti demo­cra­ti­ci.
Nep­pu­re è pen­sa­bi­le «un’ar­gen­ti­niz­za­zio­ne stri­scian­te» per­ché non esi­ste anco­ra la «colon­na guer­ri­glie­ra» in gra­do di cata­liz­za­re e esclu­si­viz­za­re mili­tar­men­te le istan­ze mate­ria­li, ogget­ti­ve, di anta­go­ni­smo e di ingo­ver­na­bi­li­tà del pro­le­ta­ria­to.
La ipo­te­si social­de­mo­cra­ti­ca, di tipo sovran­na­zio­na­le, avan­za­ta dal Pci, pare arre­tra­re, dopo la bato­sta elet­to­ra­le. Le isti­tu­zio­ni non si sur­ro­ga­no con la poli­zia ope­ra­ia, ha det­to chia­ro la Dc.
Tut­ta­via il pro­ces­so di socia­liz­za­zio­ne del­lo Sta­to, con rela­ti­vo con­sen­so e cri­mi­na­liz­za­zio­ne, deve con­ti­nua­re a mar­cia­re. Deve, per­ché, altri­men­ti, la con­trap­po­si­zio­ne tra garan­ti­ti e pre­ca­ri, pro­le­ta­ri con dirit­ti e pro­le­ta­ri sen­za dirit­ti, su cui si fon­da il nuo­vo ciclo poli­ti­co rischia di incep­par­si. Di qui, sem­bra sia pos­si­bi­le dire che nasce­rà in cer­te com­po­nen­ti ope­ra­ie una rin­no­va­ta vel­lei­tà del pote­re ope­ra­io ari­sto­cra­ti­co. Il capi­ta­le neces­si­ta, infat­ti, di cin­ghie di tra­smis­sio­ne tec­no­cra­ti­che, di natu­ra ope­ra­ia. Ecco la nuo­va base socia­le «gra­ti­fi­ca­ta» del revi­sio­ni­smo auto­ri­ta­rio.
Ma ecco anche aprir­si nuo­vi spa­zi di con­flit­tua­li­tà e di dis­sen­so con­tro i ver­ti­ci, per­ché il Pci non può più sban­die­ra­re fal­se cam­bia­li da incas­sa­re «non appe­na andrà al gover­no».
Mol­ti altri segui­ran­no la come­ta Br alla ricer­ca di un pote­re qui e ora, che rical­chi la ras­si­cu­ran­te pro­pa­gan­da «ope­ra­ti­va». Ma l’as­sen­za di ogni media­zio­ne coi biso­gni è un valo­re nega­ti­vo.
La ripre­sa di mas­sa del­la lot­ta dovrà pas­sa­re attra­ver­so con­te­nu­ti e obiet­ti­vi ricom­po­si­ti­vi. Biso­gne­rà tor­na­re ad ana­liz­za­re la strut­tu­ra socia­le del sala­rio, non come red­di­to assi­cu­ra­to o car­di­ne tat­ti­co del rap­por­to di for­za tra capi­ta­le e lavo­ro, ma come ingre­dien­te deci­si­vo del­la attua­le fase di accu­mu­la­zio­ne. Per­ciò occor­re usci­re dal­la set­to­ria­liz­za­zio­ne e dal­la con­trat­ta­zio­ne riven­di­ca­ti­va, e inve­sti­re varia­men­te il pro­ble­ma del lavo­ro dif­fe­ren­zia­to e del ciclo a «garan­zie ope­ra­ie dif­for­mi». Solo così si potrà tor­na­re a pen­sa­re in ter­mi­ni di espli­ca­zio­ne e di coscien­za sto­ri­ca la sus­sun­zio­ne del­la for­za lavo­ro – nel­le sue varie appli­ca­zio­ni al capi­ta­le, nel­le sue varie for­me e gerar­chie – e il loro ribal­ta­men­to. È neces­sa­rio infi­ne aggiun­ge­re, che occor­re anche tor­na­re a con­si­de­ra­re il meto­do come cono­scen­za dia­let­ti­ca e non come dog­ma, e a con­si­de­ra­re le azio­ni arma­te nel loro giu­sto peso, come mez­zi e for­me e non come fine, del­la lot­ta di clas­se.

* * *

Lo svi­lup­po del­lo scon­tro di clas­se cul­mi­na­to, sul pia­no isti­tu­zio­na­le, con l’a­zio­ne con­dot­ta con­tro il pre­si­den­te del­la Demo­cra­zia cri­stia­na, ha pro­dot­to nel Movi­men­to un sin­go­la­re bal­bet­tio più o meno con­fu­so a secon­da che pre­va­les­se­ro inte­res­si d’i­den­ti­tà poli­ti­ca di grup­po o pre­oc­cu­pa­zio­ni di natu­ra squi­si­ta­men­te per­so­na­le di que­sto o quel lea­der «sto­ri­co». Comu­ne a tut­ti è l’as­sen­za di qual­si­vo­glia ana­li­si di clas­se. Al pari del­la bor­ghe­sia, che in nome del­la «ragion di Sta­to» ha affos­sa­to sen­za trau­mi visi­bi­li il prin­ci­pio libe­ra­le del­la sal­va­guar­dia del­la vita del sin­go­lo cit­ta­di­no (pre­mes­sa di ogni altro dirit­to), la sini­stra sem­bra aver dimes­so nel momen­to del­la pri­ma veri­fi­ca seria tut­to il patri­mo­nio teo­ri­co e di espe­rien­ze di ana­li­si accu­mu­la­to dal Movi­men­to in que­sti ulti­mi die­ci anni. L’u­ni­ca pre­oc­cu­pa­zio­ne sem­bra esse­re – se si lascia­no da par­te le discus­sio­ni gesui­ti­che sul­la vio­len­za – la riven­di­ca­zio­ne di un pro­prio e diver­so ter­re­no del­lo scon­tro, affer­ma­to apo­dit­ti­ca­men­te come l’u­ni­co e il riso­lu­to­rio.
Lo sco­po è – nono­stan­te i suc­ces­si­vi aggiu­sta­men­ti «tat­ti­ci» – chia­ro, né si può tace­re per cari­tà di patria: sot­trar­si pre­ven­ti­va­men­te all’on­da­ta repres­si­va in atto ed ai suoi pre­ve­di­bi­li svi­lup­pi. Una posi­zio­ne, sia det­to per inci­so, tan­to difen­si­va quan­to mio­pe, che, come è sta­to espe­ri­men­ta­to innu­me­re­vo­li vol­te, dà respi­ro alla repres­sio­ne pre­sen­te e pone le pre­mes­se per ulte­rio­ri e più allar­ga­te azio­ni del pote­re.
Ma al di là del­la mise­ria del­le moti­va­zio­ni imme­dia­te deve esse­re chia­ro che la scel­ta, che si pre­ten­de di com­pie­re, è in real­tà una scel­ta impo­sta dal pote­re costi­tui­to, ten­den­te a sta­bi­li­re una spac­ca­tu­ra arti­fi­cia­le tra il ter­re­no isti­tu­zio­na­le e il livel­lo strut­tu­ra­le in ana­lo­gia al model­lo di scom­po­si­zio­ne che i pro­ces­si di ristrut­tu­ra­zio­ne in atto van­no pre­fi­gu­ran­do. Si lascia, in altre paro­le, all’av­ver­sa­rio il com­pi­to di deli­mi­ta­re l’a­rea del­lo scon­tro, se non di sta­bi­lir­ne le moda­li­tà, qua­si esi­stes­se­ro arti­co­la­zio­ni del coman­do capi­ta­li­sti­co da «rispar­mia­re», ter­re­ni «pro­pri» e «impro­pri» allo scon­tro di clas­se nel­l’e­ra del­la sus­sun­zio­ne rea­le, del­l’i­den­ti­tà tra poli­ti­co e socia­le.

L’ar­ti­co­la­zio­ne del coman­do com­ples­si­vo
Che il rista­bi­li­men­to del con­trol­lo su ogni for­ma di auto­no­mia di clas­se e l’e­si­gen­za di spez­za­re ogni resi­duo di rigi­di­tà, con­qui­sta­to e dife­so con i den­ti negli ulti­mi die­ci anni di lot­te, come anche tut­te quel­le nuo­ve for­me di rigi­di­tà socia­le che il pro­le­ta­ria­to non-garan­ti­to va svi­lup­pan­do a dispet­to del­le più cer­vel­lo­ti­che costru­zio­ni degli «inge­gne­ri socia­li», non pos­sa com­pier­si sen­za una pro­fon­da tra­sfor­ma­zio­ne del­lo Sta­to in ter­mi­ni ter­ro­ri­sti­ci è da con­si­de­rar­si scon­ta­to. Altret­tan­to paci­fi­co è che tale tra­sfor­ma­zio­ne non può non avve­ni­re se non in un qua­dro sovra­na­zio­na­le, quan­to­me­no euro­peo.
Ciò che, inve­ce, non può esse­re dato per scon­ta­to è che tale pro­ces­so pro­ce­da e si com­pia sen­za sma­glia­tu­re e con­trad­di­zio­ni lace­ran­ti, tan­to sul pia­no strut­tu­ra­le, quan­to sul pia­no isti­tu­zio­na­le. Il nuo­vo model­lo di scom­po­si­zio­ne in garan­ti­ti e non-garan­ti­ti fati­ca sem­pre più, come ave­va­mo pre­vi­sto, a tro­va­re un’a­rea di con­sen­so rea­le, e le perio­di­che e ricor­ren­ti chia­ma­te alle adu­na­te ocea­ni­che ne sono la mani­fe­sta­zio­ne più evi­den­te. L’a­rea di pri­vi­le­gio dei «garan­ti­ti» si dimo­stra sem­pre più eva­ne­scen­te, il con­sen­so, sen­za con­tro­par­ti­te con­si­sten­ti, è sem­pre più alea­to­rio, dopo che la stes­sa pro­mes­sa «ege­mo­nia» poli­ti­ca è sta­ta sacri­fi­ca­ta sul­l’al­ta­re del­la subor­di­na­zio­ne più tota­le alla DC. Ciò non toglie, però, che l’a­van­za­to pro­ces­so di seg­men­ta­zio­ne del ciclo pro­dut­ti­vo, il bloc­co pro­lun­ga­to del turn-over, i licen­zia­men­ti e la con­ti­nua ero­sio­ne del red­di­to pro­dot­to dal­l’in­fla­zio­ne mone­ta­ria e dal bloc­co degli aumen­ti sala­ria­li, abbia­no di fat­to deli­nea­to una pro­fon­da spac­ca­tu­ra a livel­lo di clas­se. Tale nuo­va scom­po­si­zio­ne deter­mi­na il qua­dro del­lo scon­tro di clas­se al di là del­le posi­zio­ni pro­gram­ma­ti­che e del­la pra­ti­ca poli­ti­ca sog­get­ti­va.
Si pre­sen­ta­no dun­que due ordi­ni di con­trad­di­zio­ni all’in­ter­no del­la clas­se e nel­l’am­bi­to del domi­nio capi­ta­li­sta. All’e­vi­den­te inte­res­se dei set­to­ri più garan­ti­ti di pro­le­ta­ria­to di con­ge­la­re o quan­to­me­no ral­len­ta­re i pro­ces­si di ristrut­tu­ra­zio­ne in cor­so si con­trap­po­ne la spin­ta cre­scen­te degli stra­ti non-garan­ti­ti, ogget­ti­va­men­te desta­bi­liz­zan­te, ad appro­priar­si di una quo­ta sem­pre mag­gio­re di ric­chez­za socia­le, sot­traen­do­si non solo ai clas­si­ci mec­ca­ni­smi di sfrut­ta­men­to nel siste­ma pro­dut­ti­vo, ma anche a tut­te le nuo­ve for­me di sfrut­ta­men­to socia­le. Il set­to­re garan­ti­to mag­gio­ri­ta­rio dele­ga al PCI e al sin­da­ca­to il com­pi­to di ral­len­ta­re la ristrut­tu­ra­zio­ne (ral­len­ta­men­to che attual­men­te rap­pre­sen­ta l’u­ni­ca for­ma di garan­zia occu­pa­zio­na­le) attra­ver­so una poli­ti­ca defla­zio­ni­sti­ca (a dir poco) «sel­vag­gia», ben defi­ni­ta dal­lo slo­gan dei «sacri­fi­ci». È evi­den­te che la pro­se­cu­zio­ne dei pro­ces­si di seg­men­ta­zio­ne e di dif­fu­sa com­pu­te­riz­za­zio­ne del ciclo signi­fi­che­reb­be non solo il ridi­men­sio­na­men­to di impor­tan­ti cate­go­rie pro­fes­sio­na­li di clas­se ope­ra­ia, ma il loro com­ple­to annien­ta­men­to fisi­co, come già avvie­ne in altri pae­si (Ger­ma­nia, Sta­ti Uni­ti). La dimen­sio­ne pret­ta­men­te isti­tu­zio­na­le di tali scel­te si scon­tra da un lato, come è sta­to accen­na­to, con una real­tà poli­ti­ca, carat­te­riz­za­ta dal fat­to che le orga­niz­za­zio­ni tra­di­zio­na­li del movi­men­to ope­ra­io si pon­go­no in una posi­zio­ne subor­di­na­ta, ogget­ti­va­men­te inca­pa­ce di sur­ro­ga­re ai biso­gni degli stra­ti «garan­ti­ti», e dal­l’al­tro con le for­me di acqui­si­zio­ne di red­di­to degli stra­ti non-garan­ti­ti, riot­to­se ad esse­re ricon­dot­te nel­l’am­bi­to di una rego­la­men­ta­zio­ne socia­le da mer­ca­to del lavo­ro flui­di­fi­ca­to, che rap­pre­sen­te­reb­be, infi­ne, il prez­zo da paga­re per il con­ge­la­men­to dei pro­ces­si di ristrut­tu­ra­zio­ne in cor­so. In tale con­te­sto si situa la ten­den­za, che coin­vol­ge set­to­ri signi­fi­ca­ti­vi dei «garan­ti­ti», di pro­spet­ta­re un’al­ter­na­ti­va isti­tu­zio­na­le di tipo esca­to­lo­gi­co, impro­pria­men­te defi­ni­ta «vete­ro-sta­li­ni­sta».
Nel­l’am­bi­to del domi­nio capi­ta­li­sta, di con­ver­so, l’im­pos­si­bi­li­tà di river­sa­re su set­to­ri di clas­se cir­co­scrit­ti (come è avve­nu­to in Ger­ma­nia nel caso degli immi­gra­ti) l’o­ne­re del­l’e­mar­gi­na­zio­ne, in una pri­ma fase del pro­ces­so di seg­men­ta­zio­ne del ciclo, e la neces­si­tà di impor­re nei sin­go­li seg­men­ti con­si­sten­ti incre­men­ti di pro­dut­ti­vi­tà ai fini di un rie­qui­li­brio del siste­ma com­ples­si­vo, pro­du­ce una cre­scen­te pres­sio­ne sul set­to­re «garan­ti­to», che PCI e sin­da­ca­to con l’of­fer­ta di un mag­gior nume­ro di ore lavo­ra­te non rie­sco­no a com­pen­sa­re in for­ma sod­di­sfa­cen­te. L’e­si­gen­za di un incre­men­to del­la pro­dut­ti­vi­tà si stem­pe­ra quin­di nel­la neces­si­tà del­la ricer­ca del con­sen­so di un set­to­re di clas­se garan­ti­to, media­to dal­le pro­prie orga­niz­za­zio­ni, con il magro com­pen­so di una rela­ti­va miglio­re uti­liz­za­zio­ne degli impian­ti, con il prez­zo di un decre­men­to del­la pro­dut­ti­vi­tà media, e con il rischio che l’au­spi­ca­to nuo­vo mer­ca­to del lavo­ro flui­di­fi­ca­to risul­ti ingo­ver­na­bi­le. I tem­pi del­la veri­fi­ca poli­ti­ca, da par­te capi­ta­li­sti­ca, di PCI e sin­da­ca­to rischia­no infat­ti di appro­fon­di­re quei feno­me­ni di dege­ne­ra­zio­ne del mer­ca­to del lavo­ro, che, sem­pre dal pun­to di vista del capi­ta­le, carat­te­riz­za­no la situa­zio­ne ita­lia­na; il pro­lun­ga­to bloc­co del turn-over e la con­cen­tra­zio­ne, quin­di, del­la mag­gior par­te dei disoc­cu­pa­ti nel­la for­za-lavo­ro gio­va­ni­le (negli altri pae­si tale feno­me­no è mol­to meno accen­tua­to), han­no pro­dot­to uno spo­sta­men­to qua­si insa­na­bi­le del­la sca­la del­le età del­la for­za-lavo­ro occu­pa­ta ver­so l’al­to, dal­le con­se­guen­ze ter­ri­fi­can­ti e non solo per ogni buon socio­lo­go bor­ghe­se. Tale situa­zio­ne ha impo­sto ed impo­ne con sem­pre mag­gior urgen­za una acce­le­ra­zio­ne di tut­te le ini­zia­ti­ve sog­get­ti­ve, atte a tra­sfor­ma­re in ter­mi­ni ter­ro­ri­sti­ci il con­te­sto isti­tu­zio­na­le, ad accen­tua­re, nel­l’ac­ce­zio­ne capi­ta­li­sti­ca del­lo slo­gan dei «sacri­fi­ci», i ter­mi­ni del­la subor­di­na­zio­ne poli­ti­ca di PCI e sin­da­ca­to.
Il rico­no­sci­men­to, peral­tro oltre­mo­do tar­di­vo, del­la «desta­bi­liz­za­zio­ne» come pro­dot­to dal­lo scon­tro isti­tu­zio­na­le ha por­ta­to alcu­ni set­to­ri del­l’au­to­no­mia ad assu­me­re – acri­ti­ca­men­te ed oppor­tu­ni­sti­ca­men­te – la defi­ni­zio­ne del­l’or­ga­niz­za­zio­ne rivo­lu­zio­na­ria come «arti­co­la­zio­ne stru­men­ta­le del movi­men­to» (da noi pro­po­sta nel nume­ro pre­ce­den­te), pro­po­nen­do quin­di, nel­la sostan­za, una sor­ta di «divi­sio­ne dei com­pi­ti». Ma «la tra­sfor­ma­zio­ne del­la guer­ra isti­tu­zio­na­le in guer­ra rivo­lu­zio­na­ria» è da con­si­de­rar­si uno slo­gan oltre­ché para­dos­sa­le anche sem­pli­ci­sti­co: ridu­ce una real­tà di clas­se com­po­si­ta ad uno sche­ma di como­do nel qua­le siste­ma­re tut­te le for­me di lot­ta e qual­si­vo­glia azio­ne in un’a­stra­zio­ne omni­com­pren­si­va. I mec­ca­ni­smi di riu­ni­fi­ca­zio­ne e la riap­pro­pria­zio­ne di un ter­re­no di scon­tro com­ples­si­vo che col­ga tut­ti i nodi del coman­do capi­ta­li­sti­co non ven­go­no inne­sca­ti da nuo­ve paro­le d’or­di­ne, distil­la­te da una logi­ca astrat­ta.
Il modu­lo inter­pre­ta­ti­vo che vie­ne ripro­po­sto è quel­lo soli­to: nel­l’am­bi­to isti­tu­zio­na­le il movi­men­to di clas­se sareb­be l’im­ma­gi­ne spe­cu­la­re del­le strut­tu­re di pote­re capi­ta­li­sti­co, ovve­ro di come que­sto ama costi­tuir­si ver­so l’e­ster­no, attra­ver­so le pro­prie strut­tu­re «rap­pre­sen­ta­ti­ve». Ma è un’im­ma­gi­ne par­zia­le e fal­sa­ta allo stes­so modo di quel­la che iden­ti­fi­ca il movi­men­to di clas­se, la con­trad­di­zio­ne tra capi­ta­le e lavo­ro, con le for­me orga­niz­za­ti­ve del movi­men­to di clas­se e la loro sto­ria poli­ti­ca. La «moro­teiz­za­zio­ne del­la con­flit­tua­li­tà socia­le», come è sta­ta defi­ni­ta, se coin­vol­ge indub­bia­men­te quei set­to­ri di clas­se (ciò sia da un pun­to di vista rifor­mi­sta, quan­to da un pun­to di vista «esca­to­lo­gi­co») in via di emar­gi­na­zio­ne nel qua­dro dei pro­ces­si di ristrut­tu­ra­zio­ne e del dif­fon­der­si a livel­lo di clas­se di for­me di con­tro­po­te­re rea­le, ha, d’al­tro can­to, il com­pi­to di ricon­dur­re ad uno sboc­co poli­ti­co tra­di­zio­na­le ogni ten­sio­ne e con­trad­di­zio­ne. Gli svi­lup­pi col­le­ga­ti alla «vicen­da Moro» nei loro aspet­ti mera­men­te poli­ti­co- isti­tu­zio­na­li ne sono una con­fer­ma lam­pan­te.
L’a­zio­ne con­dot­ta con­tro il ver­ti­ce demo­cri­stia­no più che esse­re uno stru­men­to di «desta­bi­liz­za­zio­ne», come voglio­no dare ad inten­de­re i set­to­ri più for­ca­io­li del­la bor­ghe­sia e (all’op­po­sto) quei seg­men­ti del movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio che si muo­vo­no sul ter­re­no isti­tu­zio­na­le, è sta­to l’e­spres­sio­ne di una real­tà «desta­bi­liz­za­ta» in atto, carat­te­riz­za­ta dal­l’in­ca­pa­ci­tà degli orga­ni del­lo Sta­to di gestio­ne attra­ver­so i tra­di­zio­na­li mec­ca­ni­smi di rego­la­men­ta­zio­ne isti­tu­zio­na­li ed eco­no­mi­ci. Tale con­sta­ta­zio­ne è impor­tan­te per­ché pro­prio con­tro tali mec­ca­ni­smi è rivol­ta l’a­zio­ne di quei set­to­ri e seg­men­ti di clas­se garan­ti­ta che fan­no da sup­por­to alle orga­niz­za­zio­ni che han­no scel­to la lot­ta arma­ta isti­tu­zio­na­le, e, vice­ver­sa, a favo­re di tali mec­ca­ni­smi – è oppor­tu­no sot­to­li­near­lo anco­ra una vol­ta – vie­ne indi­riz­za­ta la stra­te­gia del revi­sio­ni­smo che pre­ten­de di «rap­pre­sen­ta­re» i mede­si­mi stra­ti. Ma la real­tà del coman­do sul lavo­ro si fon­da ora­mai, come le lot­te degli ulti­mi die­ci anni han­no ampia­men­te sve­la­to, su ben altri mec­ca­ni­smi nel pia­no isti­tu­zio­na­le-sovra­strut­tu­ra­le, che lo sce­na­rio poli­ti­co tra­di­zio­na­le.
Attac­ca­re la fac­cia­ta del coman­do sul lavo­ro sen­za intac­car­ne la sostan­za, ma legit­ti­man­do impli­ci­ta­men­te per­si­no nel lin­guag­gio pseu­do­le­ga­li­ta­rio, è per cer­ti ver­si la dimo­stra­zio­ne di quan­to sia avan­za­to il pro­ces­so di scom­po­si­zio­ne, la spac­ca­tu­ra tra chi indi­vi­dua una con­tro­par­te – anche se da abbat­te­re -, nei pote­ri poli­ti­ci costi­tui­ti e chi ne attua un supe­ra­men­to nel­la quo­ti­dia­na distru­zio­ne del­lo sta­to pre­sen­te del­le cose. Lo scon­tro in atto è quin­di non solo uno scon­tro a base di cada­ve­ri, ma anche uno scon­tro tra cada­ve­ri, un con­flit­to tra le mario­net­te del pote­re e un set­to­re di clas­se in via di emar­gi­na­zio­ne, la cui carat­te­ri­sti­ca è quel­la, come osser­va­va­mo per il caso Schleyer, che l’u­na par­te cer­ca di supe­ra­re l’al­tra in bestia­li­tà, sen­za peral­tro riu­scir­ci com­piu­ta­men­te.
Si è det­to all’i­ni­zio che il ter­re­no isti­tu­zio­na­le, ove la con­trof­fen­si­va pro­le­ta­ria inve­ste, distrug­ge e supe­ra tut­te le arti­co­la­zio­ni del coman­do sul lavo­ro, inclu­den­do in esso anche e non secon­da­ria­men­te la dit­ta­tu­ra del lavo­ro garan­ti­to sul lavo­ro non-garan­ti­to, costi­tui­sce il luo­go di ripro­du­zio­ne del movi­men­to di clas­se.
Men­tre il mini­ste­ro degli inter­ni face­va scat­ta­re il «pia­no Zero», con gran­de imba­raz­zo di pre­fet­ti e que­sto­ri, all’Al­fa Romeo si spe­ri­men­ta­va, con ben altro suc­ces­so, quel­la nuo­va for­ma di coman­do sul lavo­ro, che nel­l’i­so­la­men­to poli­ti­co del­le avan­guar­die si costi­tui­sce sul pia­no isti­tu­zio­na­le come gestio­ne socia­le del lavo­ro garan­ti­to sul lavo­ro non-garan­ti­to: que­sto è il vero signi­fi­ca­to del­la «cen­tra­li­tà ope­ra­ia» risco­per­ta dal PCI e la dimen­sio­ne con­cre­ta attra­ver­so la qua­le si attua il pro­get­to di con­trol­lo nel momen­to pre­sen­te. Ai gio­chi for­ma­li isti­tu­zio­na­li scan­di­ti dai comu­ni­ca­ti reci­pro­ci, tra riti­ra­te stra­te­gi­che e fughe in avan­ti, tra richie­ste appa­ren­te­men­te ulti­ma­ti­ve e con­trof­fer­te, tra media­zio­ni e sub­me­dia­zio­ni, si con­trap­po­ne la distru­zio­ne rea­le dei resi­dui di rigi­di­tà ope­ra­ia, la pre­mes­sa per una scom­po­si­zio­ne sem­pre più net­ta e tesa al ridi­men­sio­na­men­to e all’i­so­la­men­to di ogni for­ma d’au­to­no­mia.
Ma se il «cuo­re del­lo Sta­to» con­ti­nua­va a bat­te­re con rin­no­va­to vigo­re, lo scom­pi­glio crea­to nel­l’a­rea rivo­lu­zio­na­ria dal­le ulti­me vicen­de non sem­bra aver­ne favo­ri­to l’i­den­ti­fi­ca­zio­ne ana­to­mi­ca. Men­tre la per­so­na Moro veni­va sacri­fi­ca­ta in nome di una astrat­ta ragion di Sta­to e di una non meno astrat­ta mora­le rivo­lu­zio­na­ria, tut­te le fati­co­se con­qui­ste del Movi­men­to ed ogni for­ma d’au­to­no­mia rag­giun­ta veni­va­no impli­ci­ta­men­te nega­te e ricac­cia­te a for­za in uno sche­ma otto­cen­te­sco che ci si era illu­si di aver supe­ra­to per sem­pre. Due sono per­ciò diven­ta­ti i com­pi­ti più urgen­ti: rifiu­ta­re la logi­ca restrit­ti­va e svian­te del­la «guer­ra pri­va­ta», del­la repres­sio­ne e del­la con­tro­re­pres­sio­ne; e ripro­por­re quel­la pra­ti­ca dei biso­gni pro­le­ta­ri, che oltre ad esse­re sta­ta l’u­ni­ca a pro­dur­re «arit­mie» nel «cuo­re del­lo Sta­to», è il solo ambi­to – anche isti­tu­zio­na­le – nel qua­le il comu­ni­smo vive come pro­ces­so e non muo­re come uto­pia.

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Nes­sun orga­ni­smo, nes­su­na fra­zio­ne del­la sini­stra rivo­lu­zio­na­ria, del movi­men­to di clas­se anta­go­ni­sta non clan­de­sti­no. ha rico­no­sciu­to nel cada­ve­re del pre­si­den­te del­la Demo­cra­zia cri­stia­na il «più alto atto di uma­ni­tà pos­si­bi­le in que­sta socie­tà», o un avan­za­men­to del­la lot­ta di clas­se in ogni pos­si­bi­le acce­zio­ne. Al con­tra­rio, il ritro­va­men­to del cor­po spet­ta­co­lar­men­te mar­to­ria­to di uno dei più gros­si e irri­du­ci­bi­li nemi­ci del pro­le­ta­ria­to ha sana­to mol­te del­le con­trad­di­zio­ni aper­te nei 54 gior­ni del­la ope­ra­zio­ne Moro, fra i par­ti­ti e inter­ne ai par­ti­ti; ha ricom­pat­ta­to a destra l’in­te­ro asse poli­ti­co isti­tu­zio­na­le di domi­nio; ha per­mes­so l’i­ni­zio di una cam­pa­gna repres­si­va, liber­ti­ci­da, anti­pro­le­ta­ria e con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ria acce­le­ra­ta, ampia e pro­fon­da; ha con­tri­bui­to ad aumen­ta­re gli spa­zi nemi­ca­li di vuo­to, di diso­rien­ta­men­to, di iso­la­men­to, di emar­gi­na­zio­ne, di divi­sio­ne nei con­fron­ti e in seno al movi­men­to di clas­se sia da par­te del­l’or­ga­niz­za­zio­ne sta­tua­le vera e pro­pria, sia da par­te del­la cor­ri­spon­den­te e paral­le­la orga­niz­za­zio­ne inter­na alle clas­si subal­ter­ne (PCI e OO.SS. e, fra que­ste, CGIL in pri­mo luo­go); l’e­pi­so­dio di via Cae­ta­ni, e la cam­pa­gna su di esso abil­men­te orche­stra­ta, con­sen­te infi­ne una pau­ro­sa e colos­sa­le inver­sio­ne di ten­den­za nel pro­ces­so di libe­ra­zio­ne «cul­tu­ra­le» del­la socie­tà civi­le, nel­la pre­sa di coscien­za e di auto­no­mia del­le clas­si subal­ter­ne rispet­to ai valo­ri domi­nan­ti del­la socie­tà bor­ghe­se, pro­spet­tan­do il rie­mer­ge­re di abi­tu­di­ni, com­por­ta­men­ti, men­ta­li­tà e sta­ti d’a­ni­mo cre­du­ti sepol­ti dopo gli scon­tri refe­ren­da­ri del ’74 ed elet­to­ra­li del ’75 e del ’76, dopo la inin­ter­rot­ta rivo­lu­zio­ne cul­tu­ra­le di que­sti ulti­mi 10 anni. Di ciò i risul­ta­ti elet­to­ra­li del 14 mag­gio 1978 costi­tui­sco­no una pur pic­co­la (in ter­mi­ni qua­li­ta­ti­vi, si inten­de, e non quan­ti­ta­ti­vi), ma sem­pre signi­fi­ca­ti­va, dura, aper­ta, vio­len­ta e scon­for­tan­te pro­ie­zio­ne (la più schiac­cian­te affer­ma­zio­ne demo­cri­stia­na dopo il 18 apri­le 1948). Il pro­ces­so pro­le­ta­rio di libe­ra­zio­ne e di eman­ci­pa­zio­ne, insom­ma, segna il pas­so e con esso lo segna l’in­te­ro movi­men­to di clas­se che non ha scel­to (in tut­to o in par­te) gli indi­riz­zi «tat­ti­ci» del­le orga­niz­za­zio­ni arma­te e, in par­ti­co­la­re, tem­pi, modi e «vedu­te» del­le Bri­ga­te ros­se.
Ma non è que­sta, cer­ta­men­te, la con­vin­zio­ne e/​o la pre­oc­cu­pa­zio­ne del­le Bri­ga­te ros­se. Non vi è con­vin­zio­ne che il movi­men­to di clas­se abbia segna­to il pas­so per­ché per le Br il «movi­men­to di clas­se» si iden­ti­fi­ca, si tota­liz­za, non solo sostan­zial­men­te, ma anche for­mal­men­te, nel­l’a­rea del­la lot­ta arma­ta (e ciò indi­pen­den­te­men­te da cer­te dichia­ra­zio­ni con­te­nu­te in alcu­ni comu­ni­ca­ti emes­si duran­te l’o­pe­ra­zio­ne Moro – vedi in par­ti­co­la­re il n. 2 – det­ta­te pro­ba­bil­men­te da moti­vi di oppor­tu­ni­tà poli­ti­ca, più che da una pre­ci­sa volon­tà di con­fron­to con le altre arti­co­la­zio­ni del movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio che non sia­no i grup­pi arma­ti); nel feb­bra­io 1978 la Riso­lu­zio­ne del­la Dire­zio­ne Stra­te­gi­ca affer­ma nel capi­to­lo sul rap­por­to «Guer­ri­glia e Pote­re Pro­le­ta­rio»: « Biso­gna pren­de­re coscien­za che nel­la nuo­va fase l’u­ni­ca pos­si­bi­li­tà di svi­lup­pa­re l’an­ta­go­ni­smo e l’i­ni­zia­ti­va pro­le­ta­ria si dà con il fuci­le in mano ed i nuo­vi com­pi­ti del­le avan­guar­die comu­ni­ste riguar­da­no la orga­niz­za­zio­ne del­la lot­ta arma­ta per il comu­ni­smo», dopo ave­re spe­ci­fi­ca­to, onde evi­ta­re qual­sia­si frain­ten­di­men­to, che «… tra tut­te le for­ze pro­dut­ti­ve, noi, l’a­van­guar­dia rivo­lu­zio­na­ria del pro­le­ta­ria­to metro­po­li­ta­no, sia­mo la prin­ci­pa­le» (le con­si­de­ra­zio­ni più gene­ro­se nei con­fron­ti dei vari seg­men­ti del­l’au­to­no­mia orga­niz­za­ta sosten­go­no che «sareb­be un vero e pro­prio sui­ci­dio poli­ti­co – oltre che fisi­co – [dopo la chiu­su­ra del­le sedi del­l’au­to­no­mia, il con­fi­no per i suoi mili­tan­ti, lo sta­to d’as­se­dio per i cen­tri urba­ni] osti­nar­si su posi­zio­ni lega­li­ta­rie che se non sono oppor­tu­ni­sti­che mar­ce indie­tro, si ridu­co­no a puro avven­tu­ri­smo vel­lei­ta­rio»).
Se si accet­ta que­sta pre­mes­sa non vi è dub­bio che il movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio non solo non abbia segna­to il pas­so, ma sia sta­to uno dei tre gran­di pro­ta­go­ni­sti usci­ti vin­ci­to­ri dal­lo scon­tro di que­sti due mesi: la cata­liz­za­zio­ne del­la atten­zio­ne mon­dia­le per un perio­do così lun­go, la deri­sio­ne e l’u­mi­lia­zio­ne imme­dia­ta del­lo Sta­to, uni­ta a un’of­fen­si­va «ter­ro­ri­sti­ca» sen­za pre­ce­den­ti duran­te e dopo la vicen­da Moro, han­no signi­fi­ca­to un suc­ces­so, un pre­sti­gio, un inco­rag­gia­men­to (non esclu­si i livel­li del «mito» e del­la «leg­gen­da»), un con­so­li­da­men­to dei grup­pi arma­ti e in pri­mo luo­go, ovvia­men­te, del­le Bri­ga­te ros­se che in tal modo sem­bra­no aver impo­sto «defi­ni­ti­va­men­te» la pro­pria ege­mo­nia sul­l’or­mai vasto, «scoor­di­na­to» ed (appa­ren­te­men­te) disar­ti­co­la­to fron­te del­la clan­de­sti­ni­tà. Il rapi­men­to Moro ha inol­tre de fac­to rati­fi­ca­to la «uffi­cia­liz­za­zio­ne», la «lega­liz­za­zio­ne» del­le Br come nucleo stra­te­gi­co del «Par­ti­to Comu­ni­sta Com­bat­ten­te», come pun­to di rife­ri­men­to neces­sa­rio, «obbli­ga­to» di ogni fra­zio­ne arma­ta che svol­ga il pro­prio lavo­ro esclu­si­va­men­te sul pia­no del­la clan­de­sti­ni­tà. Ma anche a livel­lo nemi­ca­le il cla­mo­re enor­me del­la cas­sa di riso­nan­za Moro, la ele­va­ta e inten­sa con­cen­tra­zio­ne indot­ta di atten­zio­ne e di ten­sio­ne da par­te del­la socie­tà civi­le e dei pote­ri pub­bli­ci (da Pao­lo VI a Wal­d­heim, dal­la Demo­cra­zia cri­stia­na al Par­ti­to Comu­ni­sta) han­no pro­dot­to sui pia­ni poli­ti­co-isti­tu­zio­na­le, ter­ro­ri­sti­co-repres­si­vo, mani­po­la­to­rio-opi­nio­na­le que­gli effet­ti, di sostan­zia­le rico­no­sci­men­to del­la pro­pria «valen­za poli­ti­ca» che le Bri­ga­te per­se­gui­va­no e ave­va­no deci­so di otte­ne­re ora, pre­an­nun­cian­do­lo nel­la «Riso­lu­zio­ne» di feb­bra­io. Da qui, per linee di svol­gi­men­to inter­ne a tale logi­ca, la assen­za di «pre­oc­cu­pa­zio­ni» per l’in­cre­men­to e l’ac­ce­le­ra­zio­ne dei pro­ces­si repres­si­vi che ten­do­no a liqui­da­re quo­te rile­van­ti di movi­men­to rea­le di clas­se che anco­ra usa­no i resi­dui spa­zi di «lega­li­tà demo­cra­ti­ca» e di agi­bi­li­tà poli­ti­ca per avan­za­re e dif­fon­de­re que­gli ele­men­ti stra­te­gi­ci di insu­bor­di­na­zio­ne socia­le, di com­por­ta­men­ti «ille­ga­li», di auto­no­mia e pra­ti­ca dei biso­gni, ele­men­ti anco­ra sof­fe­ren­ti, nel­le cir­co­stan­ze sto­ri­che in cui si dan­no attual­men­te, di una evi­den­te dimen­sio­ne mino­ri­ta­ria.
Il comu­ni­smo è allo sta­to nascen­te. Il gran­de mes­sag­gio di cui è por­ta­to­re il pro­le­ta­ria­to, in lot­ta per la pro­pria e altrui eman­ci­pa­zio­ne, gode anco­ra di un pic­co­lo svi­lup­po. Svi­lup­po che vie­ne peri­co­lo­sa­men­te mes­so in sta­to di pre­ca­rie­tà quan­do di esso si dan­no let­tu­re e rap­pre­sen­ta­zio­ni miti­che, irrea­li, volon­ta­rie, pre­sun­tuo­se, asso­lu­te. Met­te­re sul­lo sta­to del­la difen­si­va vaste quo­te del movi­men­to rea­le di clas­se; con­tri­bui­re alla edi­fi­ca­zio­ne del­la cam­pa­gna di liqui­da­zio­ne pre­co­ce dei comu­ni­sti; faci­li­ta­re il dre­nag­gio del­l’ac­qua nel­la qua­le nuo­ta­no i pesci del­la rivo­lu­zio­ne, signi­fi­ca agi­re in un’ot­ti­ca di grup­po, chiu­sa alla logi­ca del­la dia­let­ti­ca di movi­men­to, nel­la per­sua­sio­ne uni­ca, asso­lu­ta, indi­scu­ti­bi­le del­la veri­tà pro­pria e sacro­san­ta, e del­la incor­reg­gi­bi­le e defi­ni­ti­va stu­pi­di­tà degli «altri».
Per le Bri­ga­te ros­se que­sto signi­fi­ca agi­re in oppo­si­zio­ne alle acqui­si­zio­ni più sane e incon­tro­ver­ti­bi­li del patri­mo­nio teo­ri­co appar­te­nen­te al Movi­men­to Ope­ra­io, pure riaf­fer­ma­te nel­la «Riso­lu­zio­ne»: «assu­me­re il cri­te­rio del­la pras­si socia­le come cri­te­rio di veri­tà e per­ciò anche di vali­di­tà del­l’a­zio­ne rivo­lu­zio­na­ria ci por­ta ad affer­ma­re que­sto prin­ci­pio gene­ra­le: “quan­do i pro­le­ta­ri con­du­co­no una lot­ta con­tro la bor­ghe­sia se agi­sco­no iso­la­ta­men­te o in manie­ra disper­si­va la loro lot­ta fal­li­sce: vin­ce se essi agi­sco­no una­ni­me­men­te e nel­l’u­ni­tà”». Ma il docu­men­to si affret­ta a pre­ci­sa­re che gli inten­ti di una­ni­mi­tà e di uni­tà si rife­ri­sco­no uni­ca­men­te ai grup­pi arma­ti che pra­ti­ca­no esclu­si­va­men­te la lot­ta clan­de­sti­na, per cui è «disper­si­vo» ogni altro lavo­ro poli­ti­co, è fuo­ri dal­l’a­rea del­la lot­ta per il comu­ni­smo ogni altra fra­zio­ne pro­le­ta­ria. Vi è dun­que una let­tu­ra del­la real­tà data da una sus­sun­zio­ne di ele­men­ti deri­van­ti pre­va­len­te­men­te dal­le pro­prie volon­tà sog­get­ti­ve, da apo­dit­ti­che asser­zio­ni sul­la teo­ria e sul­la pra­ti­ca rivo­lu­zio­na­ria nel­la attua­le con­giun­tu­ra poli­ti­ca; essa è incon­te­sta­bil­men­te «carat­te­riz­za­ta dal pas­sag­gio del­la fase del­la pace arma­ta a quel­la del­la guer­ra»; per le Bri­ga­te ros­se il cri­te­rio del­la pras­si socia­le non è con­fron­to con i diver­si­fi­ca­ti livel­li e set­to­ri del vasto fron­te rivo­lu­zio­na­rio nel­la plu­riar­ti­co­la­ta, com­ples­sa e ric­ca situa­zio­ne ita­lia­na; non è inse­gna­men­to sca­tu­ren­te dal­le diver­se con­fi­gu­ra­zio­ni assun­te dal­la lot­ta pro­le­ta­ria com­ples­si­va con­tro la bor­ghe­sia e dagli effet­ti­vi rap­por­ti di for­za fra le clas­si; non è inne­sco nel­l’in­trec­cio dia­let­ti­co fra lot­te di mas­sa e azio­ni d’a­van­guar­dia, fra lot­te lega­li e lot­te ille­ga­li, in un mutuo rap­por­to di sti­mo­lo, di cre­sci­ta e di svi­lup­po, così come si sono ori­gi­nal­men­te evo­lu­te nel nostro pae­se in que­sti ulti­mi anni. Al con­tra­rio, per le Bri­ga­te ros­se «il cri­te­rio del­la pras­si socia­le» sem­bra esse­re il cri­te­rio del­la pro­pria pras­si e, mar­gi­nal­men­te, degli altri grup­pi arma­ti. La con­giun­tu­ra poli­ti­ca diven­ta il rap­por­to fra la pro­pria orga­niz­za­zio­ne e l’ap­pa­ra­to sta­tua­le-isti­tu­zio­na­le in un’ot­ti­ca mili­ta­ri­sti­ca per la qua­le si stra­vol­go­no anti­chi assio­mi del­la teo­ria rivo­lu­zio­na­ria mar­xi­sta («inci­de­re mili­tar­men­te per poter inci­de­re poli­ti­ca­men­te») o si get­ta a mare la ele­men­ta­re fun­zio­ne dia­let­ti­ca fra azio­ne mili­ta­re e lavo­ro poli­ti­co, volu­me di fuo­co e livel­lo di coscien­za e di pre­pa­ra­zio­ne del­le clas­si subal­ter­ne. La assen­za di «pre­oc­cu­pa­zio­ni» sul­la inten­si­fi­ca­zio­ne acce­le­ra­ta dei pro­ces­si repres­si­vi (che si dan­no anche per le ridot­te pos­si­bi­li­tà di resi­sten­za del movi­men­to di clas­se in segui­to al rapi­men­to del pre­si­den­te demo­cri­stia­no, ope­ra­zio­ne di un livel­lo tale da tro­va­re il movi­men­to stes­so sor­pre­so e sprov­ve­du­to, ele­men­ti che tut­ta­via non sono impu­ta­bi­li, alme­no in par­te, alle sue fra­zio­ni orga­niz­za­te, ben­sì ad una man­ca­ta dia­let­tiz­za­zio­ne del­le Bri­ga­te con la situa­zio­ne gene­ra­le, il che ripro­po­ne la que­stio­ne del­l’es­se­re uno e non die­ci pas­si «avan­ti» rispet­to alla clas­se e che postu­la l’ef­fi­ca­cia e l’op­por­tu­ni­tà tat­ti­ca del­la mede­si­ma ope­ra­zio­ne o, se si pre­fe­ri­sce, la non pos­si­bi­li­tà di affian­car­la e coge­stir­la) non è pres­sa­po­chi­smo, leg­ge­rez­za, super­fi­cia­li­tà dei bri­ga­ti­sti, ma è caren­te con la loro inter­pre­ta­zio­ne del feno­me­no «repres­sio­ne », ovve­ro con la nega­zio­ne di essa e anzi con l’af­fer­ma­zio­ne che si trat­ta di «sta­na­re la con­tro­ri­vo­lu­zio­ne», di toglie­re la masche­ra demo­cra­ti­ca allo sta­to anti­pro­le­ta­rio, di acce­le­ra­re il pas­sag­gio dal­la «pace arma­ta» alla «guer­ra guer­reg­gia­ta».
Si espli­ci­ta insom­ma, in tut­ta la sua inte­rez­za, la secon­da­rie­tà, per le BR, del movi­men­to di clas­se nel suo com­ples­so; le Br non si rivol­go­no, non si con­fron­ta­no, non si dia­let­tiz­za­no con il movi­men­to se non per spin­ger­lo alla pre­co­ce clan­de­sti­niz­za­zio­ne for­za­ta; i loro veri inter­lo­cu­to­ri sono lo Sta­to e le isti­tu­zio­ni in una visio­ne pola­riz­za­ta del­lo scon­tro che esclu­de la capa­ci­tà e la pos­si­bi­li­tà di erger­si a pro­ta­go­ni­sti per vaste quo­te di clas­se, e tie­ne con­to uni­ca­men­te del «nucleo stra­te­gi­co del P.C.C.», cioè di se stes­si. Que­sta visio­ne del­lo scon­tro è veri­fi­ca­ta dal­la scel­ta del­l’ob­biet­ti­vo nel­l’o­pe­ra­zio­ne di mar­zo e dal­la gestio­ne del­l’o­stag­gio cat­tu­ra­to; que­sta scel­ta si inqua­dra in una otti­ca tut­ta poli­ti­co-isti­tu­zio­na­le. Dopo l’o­pe­ra­zio­ne Ame­rio, ormai lon­ta­na quat­tro anni e mez­zo, nes­sun altro rapi­men­to è sta­to in segui­to attua­to allo sco­po di pene­tra­re ed inci­de­re nel­la dina­mi­ca con­flit­tua­le di clas­se che aves­se per ogget­to ele­men­ti di con­trat­ta­zio­ne, di riven­di­ca­zio­ne eco­no­mi­ca, «sin­da­ca­le», occu­pa­zio­na­le o sala­ria­le. Pri­ma con Sos­si, poi con Moro, le richie­ste, sep­pu­re neces­sa­rio e irri­nun­cia­bi­li, si sono limi­ta­te ad uno scam­bio di pri­gio­nie­ri poli­ti­ci con l’ef­fet­to di restrin­ge­re ad un angu­sto limi­te clas­si­ca­men­te mili­ta­re (o mili­ta­re-poli­ti­co) il respi­ro di una azio­ne che avreb­be potu­to, in tut­to o in par­te, ave­re effet­ti o pun­ta­re a sboc­chi poli­ti­ci, socia­li, «sin­da­ca­li» e mili­ta­ri. Non vi è sta­to alcun ten­ta­ti­vo di rap­por­tar­si ai gran­di temi del­le riven­di­ca­zio­ni del­la clas­se in que­sta fase: dal­la ridu­zio­ne gene­ra­liz­za­ta del­l’o­ra­rio di lavo­ro, all’am­plia­men­to del­la base occu­pa­zio­na­le, dal­la ridu­zio­ne del­la fati­ca al pro­ble­ma dei prez­zi e dei sala­ri, per non par­la­re del­le gran­di lot­te sui temi «civi­li», sul­la salu­te e le con­nes­se que­stio­ni ener­ge­ti­che, sui ladri e delin­quen­ti di sta­to, sul­le car­ce­ri di vario gene­re (mani­co­mi, ospe­da­li, lager), ecc.
In altri ter­mi­ni, che effet­ti avreb­be avu­to, nei con­fron­ti del­la clas­se e del nemi­co, per una desta­bi­liz­za­zio­ne atti­va, pro­po­si­ti­va e costrut­ti­va, la richie­sta di assu­me­re, a mo’ di esem­pio, cen­to­mi­la gio­va­ni disoc­cu­pa­ti? Ci sareb­be sta­to un mutuo raf­for­za­men­to reci­pro­co, una sal­da­tu­ra fra repar­ti di mas­sa ed «avan­guar­die» arma­te del­l’e­ser­ci­to pro­le­ta­rio?, avreb­be dato tut­to ciò mag­gio­re e più rea­le cre­di­bi­li­tà alla rivo­lu­zio­ne, oppu­re no? In real­tà le ope­ra­zio­ni Br e la loro dina­mi­ca di svol­gi­men­to sono inter­ne ad una logi­ca di par­ti­to obso­le­ta ed avul­sa dal­la real­tà.
Esse sono in qual­che modo coe­ren­ti con le con­cet­tua­liz­za­zio­ni sul­lo «SIM», ma distan­ti dal­la qua­si tota­li­tà del movi­men­to rea­le di clas­se ed in quan­to tali non pro­du­cen­ti que­gli «effet­ti di cumu­lo con l’an­ta­go­ni­smo pro­le­ta­rio di mas­sa» che talu­ni han­no volu­to soste­ne­re. La stes­sa logi­ca di orga­niz­za­zio­ne sul­la qua­le ci si muo­ve, di crip­to­par­ti­ti­smo di manie­ra, che dovreb­be rac­co­glie­re le istan­ze pro­ve­nien­ti dal­la clas­se per det­tar­ne la stra­da e gui­dar­la, mor­ti­fi­ca l’e­nor­me patri­mo­nio di intel­li­gen­za teo­ri­ca acqui­si­ta negli ulti­mi die­ci anni di lot­te, la cari­ca ener­ge­ti­ca di anta­go­ni­smo dif­fu­sa social­men­te, la auto­no­mia di mas­sa nel­la teo­ria, nel­la pra­ti­ca e nel­la orga­niz­za­zio­ne pro­le­ta­ria, il con­tro­po­te­re rami­fi­ca­to e reti­co­la­to che già ger­mo­glia ed edi­fi­ca la socie­tà comu­ni­sta. Il modo sche­ma­ti­co orto­dos­so nel­l’a­na­li­si e nel­la pro­po­sta ope­ra­ti­va del­le Br è dato viep­più dal­la loro pra­ti­ca quo­ti­dia­na: la loro atten­zio­ne pre­va­len­te­men­te rivol­ta alle gran­di fab­bri­che metro­po­li­ta­ne, ai fun­zio­na­ri del par­ti­to demo­cri­stia­no, ai mani­po­la­to­ri del­l’o­pi­nio­ne pub­bli­ca, ai car­ce­rie­ri di vario ran­go, misco­no­sce macro­sco­pi­ca­men­te il rilie­vo assun­to negli ulti­mi anni dal­la scom­po­si­zio­ne di clas­se e dal­le nuo­ve real­tà emer­gen­ti, per le qua­li l’ar­ti­co­la­zio­ne del­la vio­len­za orga­niz­za­ta si è espli­ci­ta­ta in una mul­ti­for­mi­tà ben più ric­ca e com­ples­sa, come è dimo­stra­to dal­le incur­sio­ni nei cen­tri di lavo­ro nero, dal­le puni­zio­ni dei car­ne­fi­ci appar­te­nen­ti alla cor­po­ra­zio­ne medi­ca, e così via; solo assu­men­do un pun­to di vista suf­fi­cien­te­men­te ampio da con­te­ne­re tut­te que­ste coor­di­na­te del­la ever­sio­ne di clas­se si può pen­sa­re di dar vita ad una stra­te­gia mag­gio­ri­ta­ria per la rivo­lu­zio­ne comu­ni­sta. Ma così non è per chi ha elu­so ideo­lo­gi­ca­men­te (costret­to­vi peral­tro da un irre­ver­si­bi­le mec­ca­ni­smo mes­so in moto) cri­ti­che e sug­ge­ri­men­ti di altri rivo­lu­zio­na­ri sce­glien­do di por­ta­re alle estre­me con­se­guen­ze l’o­pe­ra­zio­ne Moro. La mor­te del pre­si­den­te demo­cri­stia­no ha rida­to slan­cio e lustro alla mag­gio­re, peg­gio­re e delin­quen­zia­le orga­niz­za­zio­ne ter­ro­ri­sti­ca lega­le del­la bor­ghe­sia ita­lia­na, sanan­do­ne mol­te cre­pe e con­trad­di­zio­ni sto­ri­che, rin­vi­go­ren­do la destra più fero­ce­men­te anti­pro­le­ta­rìa: le con­trad­di­zio­ni nuo­ve e la desta­bi­liz­za­zio­ne che l’o­pe­ra­zio­ne pri­ma­ve­ri­le del­le Bri­ga­te ros­se avreb­be pro­dot­to, secon­do mol­ti, sono più un aspet­to feno­me­ni­co che un momen­to rea­le; la Demo­cra­zia cri­stia­na è mae­stra sto­ri­ca nel ricu­cir­si e nel media­re, nel sacri­fi­ca­re ogni con­tra­sto all’al­ta­re del­la con­ser­va­zio­ne del pote­re. Ma la mor­te di Moro ha pro­dot­to anche un ricom­pat­ta­men­to su posi­zio­ni rea­zio­na­rie del­l’in­te­ro asse poli­ti­co nazio­na­le e con­dot­to su posi­zio­ni con­ser­va­tri­ci lar­ga par­te del­la sini­stra di clas­se nel­la sua acce­zio­ne più vasta; anco­ra, Moro mor­to è ser­vi­to ad acce­le­ra­re trop­po repen­ti­na­men­te, trop­po anti­ci­pa­ta­men­te, la tra­sfor­ma­zio­ne auto­ri­ta­ria, poli­zie­sca, repres­si­va del par­ti­to comu­ni­sta*. Que­sti in seno alle mas­se subal­ter­ne, come par­ti­to isti­tu­zio­nal­men­te pre­po­sto al con­trol­lo e alla repres­sio­ne (in altri ter­mi­ni ad assol­ve­re la fun­zio­ne inter­na alla clas­se per la con­tro­ri­vo­lu­zio­ne), la Demo­cra­zia cri­stia­na in seno alla bor­ghe­sia, infi­ne le Bri­ga­te ros­se per le ragio­ni elen­ca­te all’i­ni­zio sono i tre gran­di vin­ci­to­ri del­la bat­ta­glia di pri­ma­ve­ra sul fron­te del­la «guer­ra di clas­se» ita­lia­na. Il movi­men­to di clas­se, più che altro, è sta­to a guar­da­re, ed ora sop­por­ta le con­se­guen­ze repres­si­ve. Ma que­sto è solo uno dei pro­ble­mi.
Al fon­do ce ne sta un altro ben più impor­tan­te ed è il pro­ble­ma del­la dia­let­ti­ca fra i rivo­lu­zio­na­ri (l’i­so­la­men­to e l’au­to­ri­ta­ri­smo ope­ra­ti­vo e deci­sio­na­le del­le Br dovreb­be­ro far riflet­te­re, dopo le cri­ti­che ad esse mos­se, gli stes­si bri­ga­ti­sti), del pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio, del­l’a­na­li­si di clas­se, del­la stra­te­gia, del­la tat­ti­ca, il pro­ble­ma stes­so di con­ce­zio­ni radi­cal­men­te diver­se del comu­ni­smo. È ora di apri­re su que­sto un dibat­ti­to non cer­to in ter­mi­ni set­ta­ri, non cer­to in ter­mi­ni di «neo»-cattolicesimo, come fa spes­so la quin­ta pagi­na di un noto quo­ti­dia­no extra-par­la­men­ta­re.
Que­sto vuo­le esse­re un pri­mo par­zia­le con­tri­bu­to nel­la dire­zio­ne di tale impro­cra­sti­na­bi­le rifles­sio­ne cri­ti­ca.

* Nel­la Riso­lu­zio­ne del feb­bra­io 1978 le Bri­ga­te ros­se scri­vo­no: «La pre­ca­rie­tà del qua­dro poli­ti­co fon­da­to sul­l’ac­cor­do di mag­gio­ran­za par­la­men­ta­re (appe­na nato e già in cri­si) ne fa testo (del­le pos­si­bi­li­tà di scon­tro fra le com­po­nen­ti del­la bor­ghe­sia). In pra­ti­ca però que­ste con­trad­di­zio­ni pos­so­no evol­ver­si solo in con­se­guen­za del­l’i­ni­zia­ti­va del­le for­ze rivo­lu­zio­na­rie». Tale evo­lu­zio­ne si è rive­la­ta una pia illu­sio­ne; tut­ti i par­ti­ti, la stam­pa, l’«opinione pub­bli­ca» inter­na ed inter­na­zio­na­le han­no fat­to qua­dra­to attor­no al gover­no, allo Sta­to, alla linea del­la fer­mez­za (nep­pu­re vale la pena di sof­fer­mar­si sul­le poco serie posi­zio­ni del PSI). Il PCI in par­ti­co­la­re si è mostra­to più rea­li­sta del Re, docu­men­tan­do pra­ti­ca­men­te di esser­si fat­to più che Sta­to. Il 9 mag­gio, Lon­go e Ber­lin­guer arri­va­va­no al pun­to di invia­re un tele­gram­ma a Zac­ca­gni­ni nel qua­le si affer­ma­va: «con­ti­nuia­mo assie­me la poli­ti­ca trac­cia­ta da Aldo Moro».
Que­sti i fat­ti. Ora il movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio aspet­ta, per for­ni­re armi alla sua inde­fes­sa ope­ra di desta­bi­liz­za­zio­ne e di aper­tu­ra di con­trad­di­zio­ni, le famo­se rive­la­zio­ni con­te­nu­te negli inter­ro­ga­to­ri del pre­si­den­te defunto.


Guerriglia e guerra rivoluzionaria in Italia

Ideo­lo­gia, fat­ti, prospettive

Sabi­no S. Acqua­vi­va, Guer­ri­glia e guer­ra rivo­lu­zio­na­ria in ita­lia. Ideo­lo­gia, fat­ti, pro­spet­ti­ve, Riz­zo­li, Mila­no 1979


Que­sto libro di Sabi­no Acqua­vi­va è for­se la pri­ma ana­li­si orga­ni­ca del­la guer­ri­glia ita­lia­na, sen­za indul­ge­re, tut­ta­via, ad un lin­guag­gio com­ples­so e al pre­zio­si­smo scien­ti­fi­co. In manie­ra pia­na sono ana­liz­za­te le ori­gi­ni, le cau­se, le carat­te­ri­sti­che, i pos­si­bi­li svi­lup­pi del­la lot­ta arma­ta in Ita­lia, guar­dan­do anche all’i­deo­lo­gia e alle con­di­zio­ni socia­li che la reg­go­no. Ne emer­ge un qua­dro dram­ma­ti­co di una guer­ri­glia che ha alle spal­le uno spa­zio poli­ti­co e orga­niz­za­ti­vo radi­ca­to nel­le defi­cien­ze e nei biso­gni del­la socie­tà ita­lia­na di oggi. Appa­io­no chia­ra­men­te i lega­mi del­la lot­ta arma­ta con il Movi­men­to degli stu­den­ti, le sue lon­ta­ne ori­gi­ni poli­ti­che, cul­tu­ra­li e psi­co­lo­gi­che insie­me alla neces­si­tà e dif­fi­col­tà per la guer­ri­glia di con­ser­va­re que­sti lega­mi, di espri­me­re sem­pre i biso­gni del Movi­men­to.
Negli svel­ti capi­to­li del suo sag­gio, Sabi­no Acqua­vi­va ana­liz­za anche le linee stra­te­gi­che e tat­ti­che del­la guer­ri­glia: distin­gue fra guer­ri­glia urba­na, guer­ri­glia rura­le, guer­ri­glia «dei gran­di spa­zi», vaglian­do­ne carat­te­ri­sti­che e pos­si­bi­li­tà a bre­ve e lun­go ter­mi­ne. Met­te a fuo­co le tec­ni­che di lot­ta dei guer­ri­glie­ri: la pro­pa­gan­da arma­ta, la pos­si­bi­li­tà per la guer­ri­glia ita­lia­na di crea­re basi di appog­gio, lo spa­zio socia­le in cui cre­sce: scuo­la, car­ce­ri, emar­gi­na­ti, clas­se ope­ra­ia.
Il libro è insie­me una sin­te­si, un bilan­cio e una pre­vi­sio­ne, un’a­na­li­si che guar­da ad alcu­ni aspet­ti pos­si­bi­li del nostro futu­ro negli anni a veni­re.

Sabi­no Acqua­vi­va è uno dei più noti socio­lo­gi ita­lia­ni, è pro­fes­so­re ordi­na­rio di socio­lo­gia nel­l’U­ni­ver­si­tà di Pado­va e «Visi­ting Yel­low» del­l’All Souis Col­le­ge di Oxford. Si è affer­ma­to con alcu­ni libri di suc­ces­so tra i qua­li Auto­ma­zio­ne e nuo­va clas­se (3ed. 1968), in cui anti­ci­pa­va di anni alcu­ne tesi del nuo­vo sta­to indu­stria­le di Gal­bright, In prin­ci­pio era il cor­po (1976), Social Struc­tu­re in Ita­ly. Cri­sis of a System (in col­la­bo­ra­zio­ne con M. San­tuc­cio, 1976), un pro­fi­lo del­la cri­si del­la socie­tà ita­lia­na con­tem­po­ra­nea scrit­to per il mon­do cul­tu­ra­le anglo­sas­so­ne, L’e­clis­si del sacro nel­la socie­tà indu­stria­le (5° ed. 1978), tra­dot­to in più lin­gue. Col­la­bo­ra al «Cor­rie­re del­la Sera» ed a mol­ti altri quo­ti­dia­ni e perio­di­ci ita­lia­ni e stra­nie­ri, scien­ti­fi­ci e culturali.

Frammenti… di lotta armata e utopia rivoluzionaria

AA.VV., Fram­men­ti… di lot­ta arma­ta e uto­pia rivo­lu­zio­na­ria, Con­tro­in­for­ma­zio­ne, Mila­no 1984


Negli anni del­la «legi­sla­zio­ne di emer­gen­za» l’in­for­ma­zio­ne e le ana­li­si poli­ti­che sui movi­men­ti anta­go­ni­sti degli anni ’70 e in par­ti­co­la­re sul­le Orga­niz­za­zio­ni Arma­te, sono sta­ti vizia­ti da una costan­te fal­si­fi­ca­zio­ne, da un uso esa­spe­ra­to e inte­res­sa­to del­le rico­stru­zio­ni sto­riel­le dei «pen­ti­ti», dal­l’e­sten­sio­ne del­l’ot­ti­ca giu­di­zia­ria fino nel­le reda­zio­ni dei gior­na­li e del­le case edi­tri­ci. Tan­to una­ni­mi­smo e tan­ta per­vi­ca­ce costan­za nel per­se­gui­re l’o­biet­ti­vo di una siste­ma­ti­ca demo­niz­za­zio­ne di un inte­ro perio­do di sto­ria, non pos­so­no non nascon­de­re che un orga­ni­co pro­get­to di rimo­zio­ne di even­ti e di respon­sa­bi­li­tà col­let­ti­ve.
La stes­sa dele­ga alla magi­stra­tu­ra come brac­cio seco­la­re del siste­ma dei par­ti­ti è sta­ta sostan­zial­men­te coper­ta e soste­nu­ta dal­la gran par­te del­l’in­tel­li­ghen­tia demo­cra­ti­ca deter­mi­nan­do gua­sti pro­fon­di non solo nel mon­do del­l’in­for­ma­zio­ne ma nel­lo stes­so cam­po del­l’or­ga­niz­za­zio­ne e pro­du­zio­ne del­la cul­tu­ra.

L’on­da lun­ga del­la logi­ca dell’«emergenza» è tut­to­ra ope­ran­te nel­la socie­tà ita­lia­na degli anni ’80 e ten­de a masche­rar­si all’in­ter­no di un vischio­so dibat­ti­to sul­le ipo­te­si di un sup­po­sto biso­gno di ritor­no ai fon­da­men­ti del dirit­to. Ciò men­tre è ope­ran­te un siste­ma giu­di­zia­rio ai limi­ti del­la costi­tu­zio­na­li­tà e un cir­cui­to car­ce­ra­rio trai peg­gio­ri in Euro­pa.
Que­sto libro con­tie­ne testi­mo­nian­ze rese al pro­ces­so da alcu­ni mili­tan­ti del­la Bri­ga­ta Wal­ter Ala­sia del­le Bri­ga­te ros­se, è com­ple­ta­to da inter­ven­ti, arti­co­li, rifles­sio­ni dì intel­let­tua­li e mili­tan­ti che han­no con­di­vi­so la sto­ria dei movi­men­ti col­let­ti­vi degli anni ’70, vuo­le esse­re uno stru­men­to di ana­li­si, un testo di docu­men­ta­zio­ne che nel­la sua par­zia­li­tà e fram­men­ta­rie­tà con­tri­bui­sca a for­ma­re nel let­to­re un giu­di­zio più obiet­ti­vo e equi­li­bra­to e che soprat­tut­to sot­trag­ga il dibat­ti­to alla deso­lan­te mani­po­la­zio­ne a cui è attual­men­te sottoposto.

PRIMO MAGGIO n° 29

  • 5 Cobas mac­chi­ni­sti: le nostre ragioni 
  • 19 Cobas scuo­la. fuga dal buco nero di Cosi­mo Scarinzi
  • 25 La rego­la­men­ta­zio­ne del­lo scio­pe­ro di Ame­deo Santosuosso
  • 29 Marx e Key­nes disoc­cu­pa­ti di Miche­la Bianchi
  • 32 Il crol­lo del 1987: cor­ren­ti peri­co­lo­se su Wall street di Robert Guttmann
  • 41 Uno scio­pe­ro degli anni ottan­ta di Peter Martin
  • 49 Una sto­ria del­l’im­pre­sa e del­la for­za-lavo­ro Alfa Romeo di Cesa­re Bermani
  • 53 “Fiat autun­no ‘80” e “Gram­sci” rac­con­ta­to di Mim­mo Boninelli
  • 59 Un “ter­ro­ri­sta”. Fram­men­ti di vita e sogno di un mili­tan­te del­la lot­ta arma­ta di Damia­no Tavoliere
  • 66 Oltrag­gio­so sog­get­ti­vi­smo di Bru­no Cartosio 

Clandestina

Tere­sa Zoni Zanet­ti, Clan­de­sti­na, Intro­du­zio­ne di Cor­ra­do Alun­ni, Deri­veAp­pro­di, Roma 2000


Il libro
Il roman­zo for­te­men­te auto­bio­gra­fi­co di una del­le prin­ci­pa­li pro­ta­go­ni­ste del­la sta­gio­ne del­la lot­ta arma­ta in Ita­lia, che i gior­na­li del­l’e­po­ca chia­ma­ro­no «la ragaz­za con il fuci­le».
Tre anni di vita in clan­de­sti­ni­tà alla fine degli anni Set­tan­ta in Ita­lia: un’e­si­sten­za, con­di­vi­sa in par­te con uno dei fon­da­to­ri del­le Bri­ga­te ros­se, Cor­ra­do Alun­ni (che intro­du­ce il libro). Un pic­co­lo grup­po di mili­tan­ti, quo­ti­dia­na­men­te tor­men­ta­ti dal­la pau­ra di esse­re indi­vi­dua­ti, tra­di­ti, tor­tu­ra­ti, impri­gio­na­ti, ucci­si, gra­va­ta dal­l’an­go­scia di dare e subi­re una vio­len­za che incli­na ine­so­ra­bil­men­te ver­so la mor­te. Rela­zio­ni socia­li e affet­ti costret­ti a con­cen­trar­si nel ristret­to cir­cui­to di per­so­ne appar­te­nen­ti alla stes­sa «ban­da». Le diver­gen­ze, le riva­li­tà inter­ne e le scis­sio­ni.
È que­sta la con­di­zio­ne di Mària, poco più che ven­ten­ne, mili­tan­te in un’or­ga­niz­za­zio­ne arma­ta pro­ta­go­ni­sta di un roman­zo ampia­men­te auto­bio­gra­fi­co, dove le ragio­ni di una scel­ta irre­ver­si­bi­le, del taglio con il mon­do del­le pro­prie rela­zio­ni socia­li e dei pro­pri affet­ti dan­no for­ma a un dia­rio sen­ti­men­ta­le cru­do e spie­ta­to. Per­ché anche nel ristret­to cir­cui­to di per­so­ne appar­te­nen­ti alla stes­sa «ban­da» le diver­gen­ze ideo­lo­gi­che, ali­men­ta­te soprat­tut­to da una diver­sa sen­si­bi­li­tà uma­na, si risol­vo­no in riva­li­tà, sepa­ra­zio­ni, scis­sio­ni orga­niz­za­ti­ve e poli­ti­che.
La ricer­ca di una moti­va­zio­ne idea­le si con­fron­ta con la con­sa­pe­vo­lez­za di espri­me­re un imma­gi­na­rio sem­pre più inqui­na­to dal deli­rio ideo­lo­gi­co, che pre­fi­gu­ra una scon­fit­ta sen­za rime­dio. In que­sto tra­gi­co con­te­sto, sul­lo sfon­do dei gior­ni cru­cia­li degli scon­tri arma­ti e del­la repres­sio­ne, risal­ta il para­dos­so di una nar­ra­zio­ne di incon­te­ni­bi­le vita­li­tà, che usa il lin­guag­gio dei sen­ti­men­ti e del­la feli­ci­tà, anche nei momen­ti più dolo­ro­si e ter­ri­bi­li. L’au­tri­ce recla­ma così, con sin­ce­ra spon­ta­nei­tà, la com­pren­sio­ne di un giu­di­zio sto­ri­co e la pos­si­bi­li­tà di una reden­zio­ne inte­rio­re. Non solo per se stes­sa, ma anche per tut­ti i suoi com­pa­gni.

Tere­sa Zoni Zanet­ti (1955) ha mili­ta­to, nel cor­so degli anni Set­tan­ta, in un grup­po extra­par­la­men­ta­re di sini­stra, nel­l’a­rea del­l’Au­to­no­mia ope­ra­ia e poi in alcu­ne orga­niz­za­zio­ni arma­te. Dopo tre anni di clan­de­sti­ni­tà vie­ne arre­sta­ta, impri­gio­na­ta e con­dan­na­ta. Ha scon­ta­to dicias­set­te anni di car­ce­re. Nel 1997 ha pub­bli­ca­to per la Castel­vec­chi, nel­la col­la­na I libri di Deri­veAp­pro­di, Ros­so di Mària. L’e­du­ca­zio­ne sen­ti­men­ta­le di una bam­bi­na guer­ri­glie­ra, di cui que­sto roman­zo è la natu­ra­le prosecuzione.