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Comu­ni­smo e/​o barbarie


Appe­sa sui muri del­la ‑facol­tà di Let­te­re ver­so la metà perìo­do del­l’oc­cu­pa­zio­ne, que­sta rifles­sio­ne fan­ta­po­li­ti­ca del col­let­ti­vo Scim­mia d’o­ro, dal tito­lo Comu­ni­smo e/​o bar­ba­rie, descri­ve l’oc­cu­pa­zio­ne ed i suoi svi­lup­pi visti, a distan­za di mol­ti anni, ormai come una favo­la.
Il mani­fe­sto si chiu­de però con un bru­sco ritor­no alla real­tà ed ai suoi pro­ble­mi, fino alla neces­si­tà, “tut­ta comu­ni­sta,” di “ritro­va­re la dura coe­ren­za del­la scien­za del­le cose”.


Essi si stan­zia­ro­no nel­la riser­va il 2 feb­bra­io 1977 (secon­do il vec­chio calen­da­rio) anno 1 del­la Gran­de Occu­pa­zio­ne.
Tale atto (che oggi vie­ne ricor­da­to nel­la cele­bra­zio­ne del­la S.S. Occu­pa­zio­ne dell’Università) fu subi­to com­pre­so nel­la sua essen­za non di tran­si­to­ria mani­fe­sta­zio­ne ben­sì di defi­ni­ti­va scel­ta di vita (alcu­ni sto­ri­ci oggi riten­go­no che qual­che devian­te nei pri­mi tem­pi del­la Gran­de Occu­pa­zio­ne soste­nes­se che que­sta costi­tuis­se un mez­zo e non un fine; noi ovvia­men­te non accet­tia­mo una simi­le assur­da ipo­te­si).
Nei pri­mi gior­ni dell’Occupazione dell’Università alcu­ni di Essi, in accor­do con le teo­rie del nostro stu­dio­so napo­le­ta­no Gio­vam­bat­ti­sta Vico, riten­ne­ro che il feno­me­no dell’Occupazione doves­se inse­rir­si all’interno di un cicli­co decen­na­le ripe­ter­si di avve­ni­men­ti lega­ti al magi­co nume­ro di 68.
Il Pec­chio­li (noto filo­so­fo e poli­ti­co del­la cui pro­du­zio­ne ci riman­go­no pur­trop­po solo pochi fram­men­ti) pare soste­nes­se, in una sua pode­ro­sa ope­ra di dodi­ci volu­mi, trat­tar­si di “poche deci­ne di pro­vo­ca­to­ri”.
Ora non sap­pia­mo esat­ta­men­te qua­li pre­zio­si con­cet­ti nascon­des­se que­sta ardi­ta meta­fo­ra, è cer­to però che solo gra­zie allo sfor­zo orga­niz­za­ti­vo e teo­ri­co dell’organizzazione che il Pec­chio­li gui­da­va Essi riu­sci­ro­no a por­ta­re a ter­mi­ne la gran­de Occu­pa­zio­ne.
Ci riman­go­no, è vero, dei fram­men­ti da cui potreb­be sem­bra­re che anche altre orga­niz­za­zio­ni poli­ti­che con­tri­buis­se­ro al suc­ces­so dell’iniziativa, ma sia i loro stra­ni nomi (Ao; Pdup; Lc) sia la man­can­za di ogni riscon­tro sto­ri­co sul­la loro effet­ti­va pre­sen­za nel XX seco­lo (secon­do il vec­chio calen­da­rio) ci fa rite­ne­re piut­to­sto che si trat­ti solo di sim­bo­li fone­ti­ci di chis­sà qua­li meta­fi­si­ci con­cet­ti.
La gran­de intui­zio­ne che Essi ebbe­ro è che non si potes­se abbat­te­re il siste­ma bor­ghe­se sen­za distrug­ge­re anche tut­ti quei valo­ri, quei com­por­ta­men­ti bor­ghe­si che, con­fi­na­ti nel­la sfe­ra del “per­so­na­le”, era­no sta­ti da tut­ti rite­nu­ti non degni di men­zio­ne.
Il comu­ni­smo non era dun­que solo l’autogoverno dei pro­dut­to­ri ma era anche la sco­per­ta del­la pro­pria ses­sua­li­tà, il dirit­to a gode­re, a gio­ca­re, il trion­fo del prin­ci­pio del pia­ce­re sul prin­ci­pio del­la real­tà.
E i gelo­ni del­la clas­se ope­ra­ia? Sareb­be­ro scom­par­si anche quel­li, per­ché l’impossibile era rea­li­sti­co.
Pur­trop­po Essi si divi­se­ro subi­to in due gran­di fazio­ni: colo­ro che vole­va­no orga­niz­zar­si con la logi­ca e colo­ro che vole­va­no orga­niz­zar­si con la fan­ta­sia (fu solo nel Gran­de Con­ci­lio di Let­te­re che ven­ne defi­ni­to il Miste­ro del­la San­ta Orga­niz­za­zio­ne).
Se oggi ci sfug­go­no i ter­mi­ni di tali sot­ti­li disqui­si­zio­ni non dob­bia­mo cre­de­re che essi si per­des­se­ro a lun­go in vane dispu­te: deci­se­ro di non organizzarsi.Nel frat­tem­po il Pote­re con inu­si­ta­ta soler­zia die­de ini­zio alla costru­zio­ne del­la nuo­va facol­tà di Inge­gne­ria, la cui rea­liz­za­zio­ne (del­la qua­le mol­ti dispe­ra­va­no) gia­ce­va da mol­to tem­po nel lim­bo dei pro­get­ti, poi furo­no anche altre facol­tà; ben pre­sto (nel giro di pochi mesi) all’insaputa di tut­ti, fu ter­mi­na­to un nuo­vo com­ples­so uni­ver­si­ta­rio nel­la peri­fe­ria del­la cit­tà.
Gli stu­den­ti vi pre­se­ro pre­sto le nuo­ve lezio­ni nel­le nuo­ve facoltà.Intanto Essi, tra­va­glia­ti da mol­te­pli­ci divi­sio­ni inter­ne, ave­va­no deci­so di rin­chiu­der­si nel­la vec­chia uni­ver­si­tà fino a quan­do non fos­se­ro riu­sci­ti a defi­ni­re se il colo­re dell’Utopia doves­se esse­re il blu tur­che­se (come soste­ne­va l’ala più mode­ra­ta) o il blu di Prus­sia (come soste­ne­va l’ala più intran­si­gen­te).
Il Pote­re cosi ebbe tut­to il tem­po di fare eri­ge­re un muro attor­no all’università che diven­ne la Riser­va La spe­ran­za era che Essi si estin­gues­se­ro len­ta­men­te, ma ina­spet­ta­ta­men­te Essi ini­zia­ro­no a ripro­dur­si anche in cat­ti­vi­tà. Solo alla ter­za gene­ra­zio­ne (ver­so il 50 d.O.) qual­cu­no si accor­se del Muro, qual­cu­no (di cui poi non si sep­pe più nul­la) dis­se che i vec­chi si era­no accor­da­ti con il Pote­re per costrui­re il Muro.
In bre­ve però ci si abi­tuò al Muro e gli ulti­mi di Essi chie­se­ro a tut­ti di cre­de­re con un atto di fede nel Mon­do Ester­no.
Pare risal­ga­no a que­gli anni alcu­ni riti, patri­mo­nio che Essi tra­man­da­ro­no ai loro figli (secon­do alcu­ni sto­ri­ci tra­mi­te iscri­zio­ni mura­li che sareb­be­ro poi sta­te can­cel­la­te dall’azione ero­si­va del­le intem­pe­rie) e da que­sti, di gene­ra­zio­ne in gene­ra­zio­ne, fino ai gior­ni nostri; già da allo­ra i più gio­va­ni resta­va­no affa­sci­na­ti dal­le magi­che for­mu­le di que­sti ritua­li (p.e. “casa scuo­la fab­bri­ca e quar­tie­re, la nostra lot­ta è per il pote­re” oppu­re “stu­den­ti e ope­rai uni­ti nel­la lot­ta”); di che ses­so biso­gna­va, ad esem­pio, con­si­de­ra­re “l’operai”” miti­ca enti­tà miste­rio­sa che ricor­re­va in tan­te for­mu­le? Le radi­ci di una rivol­ta.
L’unica rego­la che reg­ge­va la comu­ni­tà era il dover esse­re feli­ci. Tut­ti gli sto­ri­ci sono una­ni­mi nell’affermare che in nes­su­na sede si pose mai il pro­ble­ma di ricer­ca­re le cau­se, i per­ché dell’infelicità.
Pare che bastas­se dire di voler esse­re feli­ci per esser­lo auto­ma­ti­ca­men­te; secon­do alcu­ni sem­bra però che talu­ni dot­ti spie­gas­se­ro l’infelicità ricor­ren­do ad una enti­tà meta­fi­si­ca chia­ma­ta “Capi­ta­li­smo” (che pare si ricol­le­gas­se all’entità miste­ri­ca “ope­ra­io” ricor­ren­te nei riti); ma tali astra­zio­ni, che non era­no alla por­ta­ta di tut­ti, rima­se­ro nell’ambito di ristret­ti cena­co­li che pre­sto si estin­se­ro sen­za lascia­re trac­cia di sé.
I pochi dis­si­den­ti che mostra­ro­no di non esse­re feli­ci e di non sen­tir­si del tut­to a loro agio furo­no con­si­de­ra­ti sospet­ti.
Non esi­sto­no docu­men­ti che testi­mo­ni­no resi­sten­za di rap­por­ti di qual­sia­si tipo col Mon­do Ester­no; gli sto­ri­ci sono una­ni­mi nel nega­re che ce ne sia­no mai stati.