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Ser­gio Bian­chi e Rober­to Geli­ni, Ban­die­ra Ros­sa, luglio 2020, acri­li­co e car­ta su car­to­ne, 47x47 cm

BREVE GUIDA PER LA NAVIGAZIONE

 

Gli anni sessanta

Alla fine degli anni cin­quan­ta il movi­men­to comu­ni­sta inter­na­zio­na­le cono­sce una pro­fon­da cri­si dopo l’intervento arma­to in Unghe­ria del Pat­to di Var­sa­via e dopo il “rap­por­to Kru­sciov” del 1956. A segui­re si con­su­me­rà la rot­tu­ra tra il par­ti­to comu­ni­sta del­la Repub­bli­ca Popo­la­re Cine­se e quel­lo dell’Unione del­le Repub­bli­che Socia­li­ste Sovie­ti­che, il secon­do accu­sa­to di “revi­sio­ni­smo”.

In Ita­lia era­no avve­nu­te pro­fon­de modi­fi­che nell’assetto del capi­ta­le e del­la com­po­si­zio­ne ope­ra­ia, con la dimi­nu­zio­ne del­le atti­vi­tà agri­co­le e la dila­ta­zio­ne di quel­le indu­stria­li e ter­zia­rie. I par­ti­ti del­la sini­stra par­la­men­ta­re e i sin­da­ca­ti non ne coglie­ran­no la por­ta­ta, sia per limi­ti poli­ti­ci che teorici.

Una ristrut­tu­ra­zio­ne pro­dut­ti­va e tec­no­lo­gi­ca, che riguar­de­rà soprat­tut­to le indu­strie e i set­to­ri di pun­ta, inve­sti­rà la dina­mi­ca com­ples­si­va dell’intera socie­tà. Tale svi­lup­po ave­va come pro­prio asse il rista­gno dei sala­ri e l’aumento espo­nen­zia­le del­la pro­dut­ti­vi­tà ope­ra­ia. Quel­la real­tà san­ci­va la scon­fit­ta subi­ta dal movi­men­to ope­ra­io e sin­da­ca­le negli anni cin­quan­ta. Alla fine degli anni ‘50 e ini­zi ‘60 ripren­do­no le lot­te ope­ra­ie. In fab­bri­ca vie­ne intro­dot­ta mas­sic­cia­men­te la cate­na di mon­tag­gio. All’operaio pro­fes­sio­na­le (con un for­te spes­so­re ideo­lo­gi­co, memo­re del­la lot­ta par­ti­gia­na duran­te la secon­da guer­ra mon­dia­le) si affian­che­ran­no ope­rai dequa­li­fi­ca­ti, che negli anni aumen­te­ran­no per una ampia migra­zio­ne inter­na dal sud al nord del­la peni­so­la; ope­rai sen­za “memo­ria”, che ben pre­sto diven­te­ran­no mag­gio­ran­za in fab­bri­ca. E’ in que­sto con­te­sto che nel 1961 nasce a Tori­no l’esperienza dei Qua­der­ni Ros­si, un grup­po di intel­let­tua­li mili­tan­ti cri­ti­ci ver­so i par­ti­ti tra­di­zio­na­li del­la sini­stra, che “risco­pri­rà” il mar­xi­smo cri­ti­co come arma teo­ri­co-poli­ti­ca per leg­ge­re e por­ta­re alla luce le con­trad­di­zio­ni che sta­va­no alla base del­lo sfrut­ta­men­to capi­ta­li­sti­co. Grup­pi ana­lo­ghi si costi­tui­ran­no anche in altre gran­di cit­tà indu­stria­li, a Mila­no, a Vene­zia (Por­to Mar­ghe­ra), a Roma. L’esperienza dei Qua­der­ni Ros­si si intrec­ce­rà negli anni con le pri­me espe­rien­ze di orga­ni­smi auto­no­mi di base come il “pote­re ope­ra­io pisa­no”, il “pote­re ope­ra­io vene­to-emi­lia­no”, il “Gat­to sel­vag­gio”. L’uso crea­ti­vo, non ideo­lo­gi­co, di Karl Marx diven­ta l’arma meto­do­lo­gi­ca fon­da­men­ta­le per la con­ri­cer­ca, ovve­ro per l’indagine, l’inchiesta ope­ra­ia: “fare inchie­sta insie­me agli operai”.

Si rileg­ge il “Capi­ta­le” di Marx (in quel decen­nio si sco­pri­ran­no sem­pre di Marx i “Linea­men­ti fon­da­men­ta­li del­la cri­ti­ca dell’economia poli­ti­ca”, i miti­ci “Grun­dris­se”). Si cer­cò di capi­re se le cate­go­rie mar­xia­ne pote­va­no esse­re “usa­te” nel­la pra­ti­ca poli­ti­ca, per pote­re coglie­re il “pun­to di vista ope­ra­io” sul­la real­tà, si cer­cò di sco­pri­re all’interno del­lo svi­lup­po capi­ta­li­sti­co, all’interno del­la fab­bri­ca moder­na, il rap­por­to di coman­do e la lot­ta come ele­men­to fon­da­men­ta­le e per­ma­nen­te del­lo svi­lup­po del pro­ces­so di pro­du­zio­ne capitalistico.

Nel­le fab­bri­che, appa­ren­te­men­te “mute”, c’era una con­flit­tua­li­tà pro­fon­dis­si­ma, repres­sa dal capi­ta­le. La clas­se ope­ra­ia non era inte­gra­ta ma assog­get­ta­ta e domi­na­ta da for­me vio­len­te di repres­sio­ne, for­me non ester­ne ma com­ple­ta­men­te inter­ne al pro­ces­so di pro­du­zio­ne. Il coman­do e il pro­ces­so di valo­riz­za­zio­ne era­no la stes­sa cosa. La vio­len­za era vio­len­za del rap­por­to di pro­du­zio­ne capi­ta­li­sti­co, la resi­sten­za ope­ra­ia era resi­sten­za sul­la cate­na di mon­tag­gio. Per i mili­tan­ti dei Qua­der­ni Ros­si biso­gna­va sco­pri­re la veri­tà del­la sin­te­si capi­ta­li­sti­ca attra­ver­so l’emergenza del­la resi­sten­za ope­ra­ia: era la lot­ta che in ogni momen­to spie­ga­va la strut­tu­ra ogget­ti­va del capi­ta­le, era­no la lot­ta, la ribel­lio­ne e il sabo­tag­gio che rive­la­va­no di vol­ta in vol­ta come fos­se orga­niz­za­to il pote­re del capi­ta­le in fabbrica.

Que­ste rifles­sio­ni e que­sta ricer­ca era­no incon­ci­lia­bi­li con la stra­te­gia del Par­ti­to comu­ni­sta ita­lia­no e dei Sin­da­ca­ti, che con­fi­da­va­no nel­lo svi­lup­po del­le for­ze pro­dut­ti­ve come pre­mes­sa a una futu­ra e ipo­te­ti­ca socie­tà socia­li­sta, rele­gan­do la con­di­zio­ne ope­ra­ia alla sfe­ra del­le riven­di­ca­zio­ni eco­no­mi­che e alle cosid­det­te “rifor­me di strut­tu­ra”. Per le for­ze del­la sini­stra rifor­mi­sta (“i revi­sio­ni­sti”) lo svi­lup­po tec­no­lo­gi­co era lega­to all’idea di pro­gres­so e alla “ideo­lo­gia del lavo­ro”, la tec­no­lo­gia era “ogget­ti­va”.

Per i Qua­der­ni Ros­si, che recu­pe­ra­no Marx, lo svi­lup­po tec­no­lo­gi­co era inve­ce tut­to inter­no allo svi­lup­po capi­ta­li­sti­co: “la mac­chi­na non libe­ra dal lavo­ro l’operaio, ma toglie con­te­nu­to al suo lavo­ro”. La mac­chi­na e la scien­za si sepa­ra­no così dal pro­dut­to­re e diven­ta­no fun­zio­ni del capi­ta­le. Non esi­ste un momen­to in cui l’operaio lavo­ra “libe­ra­men­te”. In fab­bri­ca sul for­di­smo del­la cate­na di mon­tag­gio vie­ne appli­ca­to il tay­lo­ri­smo del taglio dei tem­pi di lavo­ro: è lo svi­lup­po tec­no­lo­gi­co che deter­mi­na nel­le sue carat­te­ri­sti­che pro­fes­sio­na­li la for­za lavo­ro ope­ra­ia e di con­se­guen­za ne san­ci­sce la schia­vi­tù poli­ti­ca. Nei Qua­der­ni Ros­si sarà già pre­sen­te la tema­ti­ca del “rifiu­to del lavo­ro” e l’intuizione del­la “auto­no­mia operaia”.

Nel­le fab­bri­che si allar­ga­no le riven­di­ca­zio­ni sala­ria­li, basa­te su biso­gni con­cre­ti e materiali.

L’operaio del­la cate­na di mon­tag­gio sarà defi­ni­to come “ope­ra­io mas­sa”, che non rispet­ta nes­su­na del­le rego­le del­lo scio­pe­ro fin ad allo­ra pra­ti­ca­to, ma ne inven­ta di nuo­ve come lo scio­pe­ro “a fischiet­to” o a “gat­to sel­vag­gio”: con un segna­le con­ve­nu­to il lavo­ro vie­ne inter­rot­to sen­za preavviso.

La vec­chia sini­stra poli­ti­ca e sin­da­ca­le ne rimar­rà spiazzata.

Il rin­no­vo dei con­trat­ti nel 1962, a Tori­no, sarà lo spar­tiac­que tra il perio­do disci­pli­na­to del­la rico­stru­zio­ne post­bel­li­ca e quel­lo del­la ria­per­tu­ra del­la con­flit­tua­li­tà che sfo­ce­rà set­te anni dopo nell’ “autun­no cal­do”. Gran­di scio­pe­ri alla Lan­cia e alla Miche­lin di Tori­no; con i vec­chi ope­rai ci saran­no anche i più gio­va­ni di recen­te migra­zio­ne; cor­tei inter­ni, cor­tei ester­ni per le stra­de. Lo scio­pe­ro si esten­de­rà a tut­te le fab­bri­che tori­ne­si. Il gran­de scio­pe­ro del 7, 8 ‚9 luglio 1962 di miglia­ia ope­rai sfo­ce­rà in duris­si­mi scon­tri con la polizia.

Le tre gior­na­te del­la Rivol­ta di piaz­za Sta­tu­to anti­ci­pa­no per la pri­ma vol­ta quel­la che sarà la sto­ria del movi­men­to dell’autonomia ope­ra­ia in Ita­lia, con la com­par­sa dell’operaio mas­sa, l’operaio dequa­li­fi­ca­to ad alta pro­dut­ti­vi­tà, ribel­le al suo desti­no, che por­te­rà lo scon­tro di clas­se dal­la fab­bri­ca nei ter­ri­to­ri, nel tes­su­to cittadino.

La pub­bli­ca­zio­ne di “Cro­na­che dei Qua­der­ni Ros­si” darà un’analisi appro­fon­di­ta del­la lot­ta ope­ra­ia ma non sane­rà la frat­tu­ra inter­na al grup­po sul “che fare” dopo gli scon­tri di piaz­za, che por­te­rà agli ini­zi del 1964 alla nasci­ta del gior­na­le “Clas­se Ope­ra­ia”. Que­sta espe­rien­za si con­clu­de­rà nel 1967. Una par­te dei suoi com­po­nen­ti rien­tre­rà nel Pci e nel Sin­da­ca­to, un’altra si immer­ge­rà nel­le lot­te dell’operaio mas­sa e dei nuo­vi stra­ti proletari.

La fine del decen­nio vedrà esplo­de­re le con­trad­di­zio­ni di clas­se non solo in fab­bri­ca ma all’interno di tut­ta la socie­tà, a par­ti­re dal movi­men­to degli stu­den­ti medi e uni­ver­si­ta­ri. Nel 1967 sono deci­ne le scuo­le occu­pa­te. La cri­ti­ca al siste­ma sco­la­sti­co è radi­ca­le: cri­ti­ca ai pro­gram­mi, al model­lo di stu­dio, alla sele­zio­ne. Nel bien­nio suc­ces­si­vo esplo­de la lot­ta anche den­tro le uni­ver­si­tà, a segui­to del­la libe­ra­liz­za­zio­ne dell’accesso agli stu­di: una mas­sa enor­me di gio­va­ni pro­le­ta­ri e pro­le­ta­rie può “acce­de­re alla cul­tu­ra uni­ver­si­ta­ria” che da subi­to sarà inve­sti­ta da una cri­ti­ca radi­ca­le. Il bien­nio ros­so ‘68-‘69 è un vul­ca­no che esplo­de, a con­clu­sio­ne di un decen­nio di tra­sfor­ma­zio­ni, cam­bia­men­ti non solo nei rap­por­ti di clas­se nei posti di lavo­ro ma nei com­por­ta­men­ti socia­li, cul­tu­ra­li, ses­sua­li, di gene­re, di costu­me. Un nuo­vo pro­le­ta­ria­to irrom­pe nel­la sto­ria del­le lot­te di clas­se, con la voglia di far sal­ta­re in aria il con­trol­lo socia­le, per nuo­ve for­me socia­li, eco­no­mi­che e culturali.

Gli esem­pi, i rife­ri­men­ti a livel­lo inter­na­zio­na­le per que­sto nuo­vo pro­le­ta­ria­to era­no nume­ro­si e poten­ti: come la beat gene­ra­tion, la con­tro­cul­tu­ra, il movi­men­to degli stu­den­ti e dei neri negli USA, la rivo­lu­zio­ne cuba­na, il nascen­te movi­men­to fem­mi­ni­sta, la “gran­de rivo­lu­zio­ne cul­tu­ra­le cine­se”, la lot­ta arma­ta del popo­lo viet­na­mi­ta con­tro l’imperialismo ame­ri­ca­no, la lot­ta del popo­lo pale­sti­ne­se per una socie­tà lai­ca e mul­tiet­ni­ca, i movi­men­ti arma­ti di libe­ra­zio­ne nazio­na­le nel­le Ame­ri­che, in Afri­ca e in Asia. La lava ros­sa di quel­la esplo­sio­ne socia­le, ope­ra­ia e pro­le­ta­ria, inve­sti­rà l’intera socie­tà, sca­van­do tra le con­trad­di­zio­ni di clas­se per tut­to il decen­nio suc­ces­si­vo. Quel bien­nio ecce­zio­na­le può esse­re rias­sun­to nell’urlo di rab­bia e di lot­ta del gio­va­ne ope­ra­io meri­dio­na­le del­la gran­de fab­bri­ca del nord Ita­lia: VOGLIAMO TUTTO!

All’interno di que­sto vasto e arti­co­la­to movi­men­to, impor­tan­te fu l’esperienza del­le avan­guar­die rivo­lu­zio­na­rie nel­le lot­te ope­ra­ie alla Fiat di Tori­no del 1969. Grup­pi di mili­tan­ti da tut­ta Ita­lia (vene­to-emi­lia­ni, tren­ti­ni, mila­ne­si, pisa­ni, roma­ni) si ritro­ve­ran­no davan­ti ai can­cel­li del­la fab­bri­ca. Si pub­bli­che­rà “La Clas­se”, “gior­na­le del­le lot­te ope­ra­ie e stu­den­te­sche” e “mega­fo­no del­la Fiat”. In luglio dopo la bat­ta­glia di cor­so Tra­ia­no in occa­sio­ne di uno scio­pe­ro sin­da­ca­le per la rifor­ma del­le pen­sio­ni, l’assemblea per­ma­nen­te ope­rai-stu­den­ti con­vo­ca un con­ve­gno dei comi­ta­ti e del­le avan­guar­die di fab­bri­ca, che san­ci­rà la fine di un pro­get­to uni­ta­rio. Da una par­te i mili­tan­ti del Pote­re ope­ra­io pisa­no e gli stu­den­ti tori­ne­si che daran­no vita all’organizzazione e al gior­na­le “Lot­ta con­ti­nua” (tito­lo che ripren­de­va lo slo­gan dei volan­ti­ni di fab­bri­ca distri­bui­ti in quei mesi di lot­ta) e dall’altra par­te i mili­tan­ti de La Clas­se che in set­tem­bre daran­no vita all’organizzazione di Pote­re operaio.

Nel 1969 l’insubordinazione ope­ra­ia e stu­den­te­sca attra­ver­se­rà tut­ta la peni­so­la, la repres­sio­ne poli­zie­sca col­pi­rà con bru­ta­li­tà, con la legit­ti­ma­zio­ne del­la magi­stra­tu­ra, deci­ne e deci­ne di lot­te ope­ra­ie e stu­den­te­sche. Nasce la “teo­ria degli oppo­sti estre­mi­smi” ali­men­ta­ta dal­la stam­pa di regime.

Il 25 apri­le ’69 scop­pia­no due bom­be a Mila­no, il 13 mag­gio due a Roma e una a Tori­no, in ago­sto ci saran­no 8 atten­ta­ti fer­ro­via­ri: ini­zia la “stra­te­gia del­la ten­sio­ne”, con l’uso del­le for­ze di poli­zia, dei grup­pi neo­fa­sci­sti, dei cosid­det­ti “ser­vi­zi segre­ti sepa­ra­ti”, con l’applicazione del codi­ce pena­le Roc­co di epo­ca fasci­sta e anco­ra in vigo­re. Gli atten­ta­ti saran­no attri­bui­ti ai mili­tan­ti dell’estrema sini­stra, in par­ti­co­la­re alla “pista anar­chi­ca”. In autun­no ripren­do­no le lot­te ope­ra­ie e stu­den­te­sche a Tori­no, come nel cen­tro-nord e nel meri­dio­ne. Il 12 dicem­bre una bom­ba fa una stra­ge nel­la Ban­ca Nazio­na­le dell’Agricoltura di Mila­no, ven­go­no subi­to addi­ta­ti come col­pe­vo­li “gli anarchici”.

Nel bien­nio ros­so si for­me­rà una vasta leva di mili­tan­ti, cre­sciu­ti nel­le lot­te ope­ra­ie e stu­den­te­sche. Que­sta nuo­va sog­get­ti­vi­tà rivo­lu­zio­na­ria darà vita a orga­niz­za­zio­ni poli­ti­che, i cosid­det­ti “grup­pi extra­par­la­men­ta­ri di sini­stra”, che saran­no pre­sen­ti e pro­ta­go­ni­sti nel­le lot­te socia­li e di clas­se nei pri­mi anni ‘70. I prin­ci­pa­li tra que­sti saran­no Lot­ta con­ti­nua, Pote­re ope­ra­io, il Mani­fe­sto, Avan­guar­dia ope­ra­ia, il Movi­men­to stu­den­te­sco del­la Sta­ta­le di Mila­no e l’Unione dei comu­ni­sti (m‑l).

Gli anni settanta

Sia duran­te l’“autunno cal­do” del 1969 che nel cor­so del 1970 il sabo­tag­gio, il pestag­gio di capi e capet­ti, la distru­zio­ne di auto­mo­bi­li di capi e diri­gen­ti, l’uso di un con­tro­po­te­re inter­no, era­no diven­ta­te pra­ti­che dif­fu­se e usua­li nel­le fab­bri­che dei gran­di poli indu­stria­li, così come le mani­fe­sta­zio­ni, le mobi­li­ta­zio­ni e i cor­tei ester­ni alla fab­bri­ca spes­so tra­sgre­di­va­no la “lega­li­tà sin­da­ca­le” per sfo­cia­re in com­por­ta­men­ti di scon­tro fisi­co con le for­ze di poli­zia. Un esem­pio impor­tan­te sono sta­te le tre gior­na­te dell’“insurrezione di Por­to Mar­ghe­ra” nei pri­mi gior­ni di ago­sto del ’70. Gli ope­rai del­le impre­se d’appalto dopo 200 ore di scio­pe­ro non ave­va­no anco­ra otte­nu­to i van­tag­gi e i bene­fi­ci degli ope­rai assun­ti alla Mon­te­di­son. Il 2 ago­sto bloc­ca­no il caval­ca­via e la sta­zio­ne di Mestre; da Pado­va arri­va la Cele­re, ven­go­no eret­te bar­ri­ca­te, scop­pia­no scon­tri con la poli­zia nel quar­tie­re pro­le­ta­rio di Ca’ Emi­lia­ni e tumul­ti nel cen­tro di Mar­ghe­ra, la popo­la­zio­ne scen­de in piaz­za a fian­co degli ope­rai, la poli­zia cari­ca, mol­tis­si­mi feri­ti ven­go­no por­ta­ti in ospe­da­le, dal­le fab­bri­che esco­no le mac­chi­ne movi­men­ta­tri­ci che bloc­ca­no i rin­for­zi del­la poli­zia; il gior­no seguen­te dopo un mas­sic­cio pic­chet­tag­gio anche la Mon­te­di­son chiu­de. Mar­ghe­ra è in uno sta­to d’assedio, più vol­te la popo­la­zio­ne accer­chia la poli­zia che cari­ca, pesta, spa­ra (tre feri­ti), per­qui­si­sce. Mar­ghe­ra divie­ne una zona di guer­ra: pneu­ma­ti­ci e jeep bru­cia­te; albe­ri e car­tel­li stra­da­li divel­ti; bloc­chi di cemen­to, camion, tubi ven­go­no usa­ti per la bar­ri­ca­ta di via Fra­tel­li Ban­die­ra. Si can­ta “Ban­die­ra ros­sa”. L’indomani i sin­da­ca­ti final­men­te pro­cla­ma­no uno scio­pe­ro, altro cor­teo, altra ten­sio­ne, in sera­ta si fir­ma l’accordo sul­le dit­te appal­ta­tri­ci: ven­go­no accet­ta­te tut­te le richie­ste operaie!

Anche nel­le scuo­le, nel­le uni­ver­si­tà, nei quar­tie­ri le lot­te assu­me­ran­no com­por­ta­men­ti di rot­tu­ra del­la lega­li­tà con occu­pa­zio­ni, con la cri­ti­ca dei pro­gram­mi di stu­dio, con l’imposizione del “voto poli­ti­co”, con scon­tri con la poli­zia, con la pra­ti­ca non reto­ri­ca ma fisi­ca dell’antifascismo mili­tan­te. In que­sto cli­ma tra le for­ze rivo­lu­zio­na­rie c’era anche il timo­re di una pos­si­bi­le svol­ta rea­zio­na­ria e auto­ri­ta­ria degli appa­ra­ti del­lo Stato.

Quin­di fu neces­sa­rio dotar­si di strut­tu­re di dife­sa, orga­ni­smi poli­ti­co-mili­ta­ri non solo difen­si­vi ma anche offen­si­vi: non solo ser­vi­zi d’ordine per occu­pa­zio­ni e mani­fe­sta­zio­ni, ma strut­tu­re mili­tan­ti per un uso di par­te del­la for­za ope­ra­ia e pro­le­ta­ria. La pra­ti­ca del­la “vio­len­za pro­le­ta­ria”, del­la “ille­ga­li­tà di mas­sa”, del­la “lot­ta arma­ta”, nei suoi aspet­ti teo­ri­ci e orga­niz­za­ti­vi, coin­vol­ge­rà per tut­ti gli anni set­tan­ta il movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio ita­lia­no, con pro­po­ste e sboc­chi diversi.

Tra i grup­pi rivo­lu­zio­na­ri saran­no Pote­re ope­ra­io, Lot­ta con­ti­nua e il Col­let­ti­vo poli­ti­co metro­po­li­ta­no di Mila­no che in que­gli ini­zi del decen­nio con moda­li­tà diver­se affron­te­ran­no que­ste problematiche.

Que­sto Col­let­ti­vo pub­bli­che­rà nel 1970 il foglio “Sini­stra pro­le­ta­ria”, a segui­re lo scio­gli­men­to e la nasci­ta del­le Bri­ga­te ros­se, un’organizzazione comu­ni­sta com­bat­ten­te clan­de­sti­na, che pub­bli­che­rà agli esor­di alcu­ni nume­ri del foglio “Nuo­va resi­sten­za”. In quei pri­mi anni ope­re­ran­no anche i GAP, grup­pi di azio­ne par­ti­gia­na che, ipo­tiz­zan­do un col­po di sta­to rea­zio­na­rio, pro­pu­gne­ran­no un model­lo di lot­ta par­ti­gia­na tra­di­zio­na­le (basi in mon­ta­gna, uso dell’esplosivo, tra­smis­sio­ni radio clan­de­sti­ne, ecc).

Tra gli anni ’69 e ’70 le que­stio­ni fon­da­men­ta­li agi­ta­te nel movi­men­to ope­ra­io e nel nascen­te movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio era­no quel­le dell’organizzazione e del­la pro­spet­ti­va stra­te­gi­ca del­le lot­te. Fin da subi­to la cri­ti­ca è por­ta­ta alla subal­ter­ni­tà del sin­da­ca­to, al qua­le si dele­ga­va la media­zio­ne nel­la con­trat­ta­zio­ne del prez­zo di ven­di­ta del­la for­za-lavo­ro. Il sin­da­ca­to era visto come stru­men­to di con­trol­lo e di divi­sio­ne del­la lot­ta ope­ra­ia. Nell’autunno ’69 con la cri­ti­ca al sin­da­ca­to si dif­fon­do­no i con­si­gli di fab­bri­ca, che avreb­be­ro dovu­to esse­re non più strut­tu­re buro­cra­ti­che ed ester­ne ma rap­pre­sen­tan­ti, tra­mi­te i dele­ga­ti, del­la volon­tà del­la base operaia.

Ini­zial­men­te i con­si­gli saran­no osteg­gia­ti dal­la buro­cra­zia sin­da­ca­le che col tem­po li svuo­te­rà per far­ne pro­pri orga­ni di rap­pre­sen­tan­za. I con­si­gli saran­no cri­ti­ca­ti dal­la sini­stra ope­ra­ia (in par­ti­co­la­re dagli ope­rai e dai mili­tan­ti vici­ni a Lot­ta con­ti­nua e Pote­re ope­ra­io, dal­le nascen­ti Assem­blee auto­no­me, come a Por­to Mar­ghe­ra, e dai CUB, comi­ta­ti uni­ta­ri di base, come alla Pirel­li e alla Sit-Sie­mens di Mila­no) per la rein­tro­du­zio­ne di fat­to di un cri­te­rio di dele­ga a sca­pi­to dell’ orga­niz­za­zio­ne auto­no­ma ope­ra­ia, inde­bo­len­do la spin­ta dal bas­so dei repar­ti, e per la sostan­zia­le sud­di­tan­za dei con­si­gli al ruo­lo sin­da­ca­le di mediazione.

In quei pri­mi anni ‘70 gli ope­rai lot­te­ran­no per l’egualitarismo sala­ria­le, con­tro i rit­mi e i cari­chi di lavo­ro, per il sala­rio garan­ti­to, con­tro la noci­vi­tà, per la salu­te in fab­bri­ca, per l’autoriduzione dei costi socia­li. Il padro­na­to ini­zial­men­te impre­pa­ra­to e impau­ri­to dal­la ribel­lio­ne ope­ra­ia e pro­le­ta­ria rea­gi­rà lun­go tut­to il decen­nio con una stra­te­gia di ristrut­tu­ra­zio­ne indu­stria­le che, facen­do pro­prie le indi­ca­zio­ni più inno­va­ti­ve e uti­li al pro­fit­to emer­se dal­le lot­te ope­ra­ie, avrà come obiet­ti­vo la scon­fit­ta dell’operaio mas­sa con il decen­tra­men­to pro­dut­ti­vo, con l’ inno­va­zio­ne tec­no­lo­gi­ca e la ridu­zio­ne del­la mas­sa ope­ra­ia, con la len­ta ripre­sa del con­trol­lo inter­no ai cicli di pro­du­zio­ne, con i licen­zia­men­ti, con la cas­sa inte­gra­zio­ne, con il lavo­ro nero.

A par­ti­re dal bien­nio ‘68-‘69 esplo­de e si dif­fon­de il movi­men­to fem­mi­ni­sta. Negli anni ‘70 nasce­ran­no nume­ro­si grup­pi, col­let­ti­vi e movi­men­ti di mas­sa, con per­cor­si di dibat­ti­to e di orga­niz­za­zio­ne auto­no­mi e sepa­ra­ti dal­le real­tà del movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio, su tema­ti­che o obiet­ti­vi di lot­ta che pone­va­no l’attenzione non più su una richie­sta di ugua­glian­za e assi­mi­la­zio­ne al mon­do maschi­le, come nel­la “pri­ma onda­ta” a par­ti­re dall’ ‘800, ma sul­le dif­fe­ren­ze ses­sua­li e bio­lo­gi­che iden­ti­fi­ca­te come base del­la discri­mi­na­zio­ne che pro­du­ce dif­fe­ren­ze socia­li e cul­tu­ra­li tra uomi­ni e don­ne: la riap­pro­pria­zio­ne del pro­prio cor­po, la ses­sua­li­tà, la mater­ni­tà, lo sfrut­ta­men­to del lavo­ro dome­sti­co, l’aborto (ver­rà lega­liz­za­to col refe­ren­dum del 1978), la pre­sa di coscien­za che il “per­so­na­le è poli­ti­co”, la pra­ti­ca dell’autocoscienza, la cri­ti­ca alla isti­tu­zio­ne fami­glia­re, alla gestio­ne dei con­sul­to­ri, alla rela­zio­ne di cop­pia e ai rap­por­ti ses­sua­li. Nel mar­zo del 1973, a Tori­no, si anda­va deli­nean­do un accor­do insod­di­sfa­cen­te nel­la ver­ten­za Fiat, il sin­da­ca­to era sot­to­po­sto a una inten­sa cri­ti­ca ope­ra­ia. Gli ope­rai ini­zia­no for­me di lot­ta auto­no­me, a metà mese vie­ne pro­cla­ma­to uno scio­pe­ro ad oltran­za che in poco tem­po si gene­ra­liz­za a tut­te le offi­ci­ne di Mira­fio­ri, ogni gior­no i cor­tei inter­ni spaz­zo­la­va­no i repar­ti. La mat­ti­na di gio­ve­dì 29 gli ope­rai deci­do­no per l’occupazione del­la fab­bri­ca e men­tre i gior­na­li annun­cia­no che l’accordo era qua­si fat­to un cor­teo inter­no di miglia­ia di ope­rai bloc­ca i 12 can­cel­li d’ingresso, ven­go­no issa­te le ban­die­re ros­se. E‘ il momen­to più alto del­le lot­te dell’operaio mas­sa, i gio­va­ni ope­rai con la ban­da­na ros­sa, che espri­me­va­no la radi­ca­li­tà di un rifiu­to con­sa­pe­vo­le del­la pre­sta­zio­ne lavo­ra­ti­va, non era­no più emi­gra­ti meri­dio­na­li pri­vi di radi­ca­men­to nel­la metro­po­li ma gio­va­ni tori­ne­si e pie­mon­te­si sco­la­riz­za­ti, for­ma­ti­si nel cli­ma del­le lot­te stu­den­te­sche e nel­le espe­rien­ze aggre­ga­ti­ve di quar­tie­re. Il lune­dì seguen­te i sin­da­ca­ti fir­ma­no l’accordo, poi sot­to­scrit­to dal­la mag­gio­ran­za ope­ra­ia: inqua­dra­men­to uni­co, aumen­to sala­ria­le ugua­le per tut­ti, ridu­zio­ne dell’orario a 39 ore, una set­ti­ma­na in più di ferie, dirit­to allo stu­dio con 150 ore retribuite.

L’ auto­no­mia ope­ra­ia, nata nell’autunno cal­do del ’69 e cre­sciu­ta negli anni suc­ces­si­vi, espri­me­va così tut­ta la sua poten­za, il pote­re ope­ra­io nel­le fab­bri­che dei gran­di poli indu­stria­li era rea­le e massificato.

L’occupazione di Mira­fio­ri fu l’episodio cul­mi­nan­te dell’intero ciclo di lot­te auto­no­me ini­zia­to nel ’68 e ne rap­pre­sen­tò nel­lo stes­so tem­po anche la fine. Si apri­va una nuo­va fase del­lo scon­tro di clas­se, l’autonomia ope­ra­ia usci­rà dal­le fab­bri­che per con­fron­tar­si con i nuo­vi sog­get­ti pro­le­ta­ri, per rein­ven­tar­si nel­le metro­po­li e nei ter­ri­to­ri. Anche il movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio sarà inve­sti­to da quel ven­to di cam­bia­men­ti. Una par­te del per­so­na­le poli­ti­co dei grup­pi rivo­lu­zio­na­ri del­la cosid­det­ta “sini­stra extra­par­la­men­ta­re”, inve­sti­ti da una cri­si irre­ver­si­bi­le e dopo scio­gli­men­ti e tra­sfor­ma­zio­ni varie, sce­glie­rà il ter­re­no del­la lega­li­tà isti­tu­zio­na­le; nasce­ran­no così par­ti­ti­ni e “car­tel­li elet­to­ra­li”, che saran­no di fat­to irri­le­van­ti fin da subi­to come peso poli­ti­co e nume­ri­co all’interno del siste­ma par­ti­ti­co par­la­men­ta­re ita­lia­no, men­tre dall’ altra par­te miglia­ia di mili­tan­ti di que­sti grup­pi diven­te­ran­no pro­ta­go­ni­sti di cen­ti­na­ia di col­let­ti­vi, comi­ta­ti, assem­blee auto­no­me, cen­tri socia­li, coor­di­na­men­ti, case occu­pa­te in tut­ti i ter­ri­to­ri del­la peni­so­la. All’interno di que­sta dif­fu­sa auto­no­mia ope­ra­ia e pro­le­ta­ria ter­ri­to­ria­le, di quest’area vasta come una galas­sia, nel­la secon­da metà del decen­nio nasce­ran­no diver­se espe­rien­ze e pro­po­ste orga­niz­za­ti­ve, con diver­se sto­rie poli­ti­che e for­ma­zio­ni cul­tu­ra­li, con pro­pri gior­na­li e stru­men­ti di comu­ni­ca­zio­ne, con sedi distin­te, che costi­tui­ran­no l’area del­la cosid­det­ta Auto­no­mia ope­ra­ia organizzata.

Al con­ve­gno di Roso­li­na (Rovi­go) nel giu­gno del 1973 si scio­glie Pote­re ope­ra­io, gran par­te dei mili­tan­ti intra­pren­de per­cor­si poli­ti­co-orga­niz­za­ti­vi diver­si, come nell’area mila­ne­se, dove con fuo­riu­sci­ti da altre orga­niz­za­zio­ni in cri­si, come il Grup­po Gram­sci, pub­bli­che­ran­no il gior­na­le “Ros­so”. L’area di Ros­so sarà una impor­tan­te rete di inter­ven­to dei Col­let­ti­vi poli­ti­ci ope­rai, degli ope­rai del­le assem­blee auto­no­me, del­le nuo­ve figu­re del pro­le­ta­ria­to gio­va­ni­le dei col­let­ti­vi auto­no­mi nei quar­tie­ri e dei col­let­ti­vi poli­ti­ci stu­den­te­schi. Ros­so diven­te­rà pun­to di rife­ri­men­to poli­ti­co e teo­ri­co sia di assem­blee auto­no­me ope­ra­ie del nord Ita­lia, con pro­pri gior­na­li come “Sen­za padro­ni” all’Alfa Romeo, “Lavo­ro Zero” a Por­to Mar­ghe­ra e “Mira­fio­ri ros­sa” a Tori­no e sia di real­tà orga­niz­za­te inter­ne alle varie auto­no­mie ter­ri­to­ria­li del­la penisola.

Sem­pre a Mila­no altri mili­tan­ti di Pote­re ope­ra­io, assie­me ai mili­tan­ti del­la “cor­ren­te ope­ra­ia” usci­ti da Lot­ta con­ti­nua daran­no vita a Sen­za tre­gua (il pri­mo nume­ro del loro gior­na­le esce nel 1975, fino al 1978).

I ter­re­ni di inter­ven­to saran­no i comi­ta­ti ope­rai di gran­di fab­bri­che e i quar­tie­ri. Da Sen­za tre­gua, in un com­ples­so inter­scam­bio di espe­rien­ze, nasce­ran­no i Comi­ta­ti comu­ni­sti rivo­lu­zio­na­ri, che saran­no una com­po­nen­te signi­fi­ca­ti­va all’interno di alcu­ne real­tà dell’autonomia ope­ra­ia a livel­lo nazio­na­le. Dal tron­co di Sen­za tre­gua nasce­rà anche Pri­ma linea, un’organizzazione comu­ni­sta com­bat­ten­te, pre­sen­te soprat­tut­to nel nord e cen­tro Italia.

Nel gen­na­io del 1975 esce il pri­mo e uni­co nume­ro del­la rivi­sta “Linea di con­dot­ta”, per ini­zia­ti­va di un grup­po di mili­tan­ti e intel­let­tua­li di Pote­re ope­ra­io. Linea di con­dot­ta, per i temi trat­ta­ti come il pro­ble­ma dell’organizzazione, il sala­rio garan­ti­to e indi­ret­to, i prez­zi poli­ti­ci, la cri­si e la ristrut­tu­ra­zio­ne capi­ta­li­sti­ca, sarà un impor­tan­te rife­ri­men­to teo­ri­co-poli­ti­co per diver­se espe­rien­ze organizzate.

In Vene­to dopo lo scio­gli­men­to di Pote­re ope­ra­io, i mili­tan­ti dell’Assemblea auto­no­ma di Por­to Mar­ghe­ra ade­ri­ran­no al pro­get­to di Ros­so, altri a Sen­za tre­gua e poi ai Comi­ta­ti comu­ni­sti rivo­lu­zio­na­ri, altri ai Col­let­ti­vi poli­ti­ci vene­ti per il pote­re ope­ra­io, che diven­te­ran­no in quel­la secon­da metà degli anni ‘70 una impor­tan­te real­tà, uni­ca per il pro­get­to poli­ti­co-orga­niz­za­ti­vo dispie­ga­to a livel­lo ter­ri­to­ria­le, nel pano­ra­ma dell’autonomia ope­ra­ia orga­niz­za­ta ita­lia­na. L’organizzazione nasce a Pado­va nell’autunno del 1974 e si espan­de negli anni suc­ces­si­vi a livel­lo regio­na­le. Den­tro un rea­le e vasto radi­ca­men­to ter­ri­to­ria­le i mili­tan­ti comu­ni­sti dei Col­let­ti­vi poli­ti­ci vene­ti ela­bo­re­ran­no un pro­get­to orga­niz­za­ti­vo, una teo­ria e una pra­ti­ca, basa­ti sul con­cet­to leni­ni­sta: “agi­re da par­ti­to pur non essen­do anco­ra un par­ti­to”. Nel ’76 pub­bli­che­ran­no due nume­ri di “per il pote­re ope­ra­io” e, dall’ottobre ’78, “Auto­no­mia”, set­ti­ma­na­le poli­ti­co comunista.

Tra il 1970/​1971 non si rea­liz­ze­rà il ten­ta­ti­vo di uni­fi­ca­zio­ne tra il Mani­fe­sto e Pote­re ope­ra­io (con la pro­po­sta dei comi­ta­ti poli­ti­ci). Tra il 1971 e il 1972 a Roma grup­pi di mili­tan­ti, a par­ti­re dal­la cri­si del­la sini­stra extra­par­la­men­ta­re, daran­no vita nel cor­so degli anni a una real­tà auto­no­ma ope­ra­ia impor­tan­te, per radi­ca­men­to e qua­li­tà poli­ti­co-orga­niz­za­ti­va, i Comi­ta­ti auto­no­mi ope­rai (con sede in via dei Vol­sci). Ini­zial­men­te ade­ri­ran­no, per allon­ta­nar­si poco dopo, al pro­get­to di Ros­so. Pub­bli­che­ran­no il gior­na­le “Rivol­ta di clas­se” e, dal gen­na­io 1978, i “Vol­sci”, radi­can­do il loro inter­ven­to nel­le fab­bri­che, nel ter­zia­rio, nel lavo­ro nero, nel­la scuo­la, tra i fer­ro­vie­ri, gli ospe­da­lie­ri, i lavo­ra­to­ri dell’Enel e i disoc­cu­pa­ti. All’esperienza dei Comi­ta­ti auto­no­mi ope­rai roma­ni faran­no rife­ri­men­to nume­ro­se real­tà del cen­tro e del sud Italia.

Mol­ti mili­tan­ti di Lot­ta con­ti­nua, che si scio­glie­rà nel novem­bre del 1976 al con­gres­so di Rimi­ni dopo una tra­va­glia­ta cri­si inter­na, con­flui­ran­no nel­le real­tà orga­niz­za­te e dif­fu­se dell’autonomia ope­ra­ia come a Mila­no, Firen­ze e, soprat­tut­to, nel sud Ita­lia. Nel­le regio­ni meri­dio­na­li l’autonomia avrà soprat­tut­to una dimen­sio­ne oriz­zon­ta­le, dif­fu­sa, ric­ca di ini­zia­ti­ve di lot­ta spar­se nel ter­ri­to­rio ed espres­sio­ne del­le con­trad­di­zio­ni di clas­se, anti­che e moder­ne, di que­sti ter­ri­to­ri. In alcu­ne regio­ni si darà vita a pro­get­ti di auto­no­mia ope­ra­ia orga­niz­za­ta, come i Pri­mi fuo­chi di guer­ri­glia, e si pub­bli­che­ran­no gior­na­li come “Comu­ni­smo” e “Voglia­mo tutto”.

L’autonomia ope­ra­ia si svi­lup­pò a livel­lo metro­po­li­ta­no e ter­ri­to­ria­le in anni di ristrut­tu­ra­zio­ne indu­stria­le capi­ta­li­sti­ca, che scar­di­ne­rà la for­za e il peso degli ope­rai in fab­bri­ca. In quel­la tumul­tuo­sa e mate­ria­le ride­fi­ni­zio­ne dei rap­por­ti di clas­se emer­ge­ran­no nuo­ve sog­get­ti­vi­tà ope­ra­ie e pro­le­ta­rie. Il rifiu­to del lavo­ro che ave­va attra­ver­sa­to, nel­le fab­bri­che, tut­ti gli anni ‘60 e la pri­ma metà dei ‘70 diven­te­rà iden­ti­tà e pra­ti­ca di quel­la nuo­va gene­ra­zio­ne pro­le­ta­ria. Licen­zia­men­ti, lavo­ro nero, per­di­ta del­la sicu­rez­za e del­la garan­zia del “posto fis­so”, del red­di­to garan­ti­to, disoc­cu­pa­zio­ne, pre­ca­rie­tà nei rap­por­ti di lavo­ro, saran­no in que­gli anni nuo­ve for­me del­lo sfrut­ta­men­to capi­ta­li­sti­co; emer­ge­ran­no nuo­ve figu­re pre­ca­rie e non garan­ti­te, che avran­no comun­que diret­ta­men­te o indi­ret­ta­men­te una fun­zio­ne pro­dut­ti­va per­ché la loro natu­ra era ope­ra­ia in quan­to da esse si estrae­va plu­sva­lo­re in modo nuo­vo e ori­gi­na­le; una nuo­va com­po­si­zio­ne di clas­se, un nuo­vo “ope­ra­io socia­le”. I gio­va­ni pro­le­ta­ri, le don­ne, gli stu­den­ti non lot­te­ran­no più sem­pli­ce­men­te per “entra­re o rien­tra­re in fab­bri­ca”, le loro lot­te saran­no con­tro lo sfrut­ta­men­to e il lavo­ro sala­ria­to, per una cri­ti­ca radi­ca­le del­la for­ma mer­ce, per for­me di appro­pria­zio­ne di beni e ser­vi­zi, per sod­di­sfa­re i pro­pri biso­gni con l’azione orga­niz­za­ta e diret­ta, quin­di per prez­zi poli­ti­ci di beni e ser­vi­zi, con occu­pa­zio­ni di case, per il sala­rio socia­le, per spa­zi auto­ge­sti­ti e pro­pri stru­men­ti di comu­ni­ca­zio­ne, con pra­ti­che di ille­ga­li­tà di mas­sa, con l’ uso del­la for­za, con “espro­pri pro­le­ta­ri”, con ron­de nel­la fab­bri­ca dif­fu­sa, nel ter­ri­to­rio con­tro il lavo­ro nero, nel­le scuo­le e uni­ver­si­tà, con azio­ni di lot­ta arma­ta sem­pre com­mi­su­ra­te al livel­lo e allo svi­lup­po del­le lot­te e dei movi­men­ti di mas­sa per costrui­re un rea­le con­tro­po­te­re ope­ra­io e pro­le­ta­rio nel­le fab­bri­che e nei territori.

Nuo­va­men­te, come negli anni ‘60 con l’operaio mas­sa, il Pci e i Sin­da­ca­ti non si con­fron­te­ran­no con quel­le nuo­ve real­tà ope­ra­ie e pro­le­ta­rie per mio­pia cul­tu­ra­le e scel­ta poli­ti­ca, per cui la rispo­sta dei vec­chi “revi­sio­ni­sti” diven­ta­ti moder­ni “rifor­mi­sti” sarà di eti­chet­tar­le come un “peri­co­lo per la demo­cra­zia” da emar­gi­na­re, cri­mi­na­liz­za­re e repri­me­re. Nel 1975 il Pci ave­va otte­nu­to un cla­mo­ro­so suc­ces­so elet­to­ra­le nel­le ele­zio­ni ammi­ni­stra­ti­ve sull’onda del­le lot­te dei movi­men­ti di mas­sa degli anni pre­ce­den­ti e, rite­nen­do di aver­ne ripre­so il con­trol­lo, si pro­po­se come “par­ti­to di gover­no” con il pro­get­to e la pro­po­sta poli­ti­ca del “com­pro­mes­so storico”.

Irrom­pe nel­lo scon­tro di clas­se il “Movi­men­to del ‘77”. Il 3 dicem­bre 1976 la cir­co­la­re del mini­stro del­la Pub­bli­ca Istru­zio­ne Mal­fat­ti vie­ta di fare più esa­mi nel­la stes­sa mate­ria, sman­tel­lan­do così la libe­ra­liz­za­zio­ne dei pia­ni di stu­di in vigo­re dal ’68. Par­to­no le agi­ta­zio­ni nel­le uni­ver­si­tà; a feb­bra­io i fasci­sti irrom­po­no nell’università d Roma: spa­ri, è feri­to gra­ve­men­te uno stu­den­te, occu­pa­zio­ne di Let­te­re, miglia­ia in cor­teo, la poli­zia spa­ra, feri­ti un poli­ziot­to e due stu­den­ti. Occu­pa­ta la Sta­ta­le di Mila­no, mani­fe­sta­zio­ni a Tori­no, in 15000 mani­fe­sta­no a Napo­li (stu­den­ti, disoc­cu­pa­ti orga­niz­za­ti, pre­ca­ri sco­la­riz­za­ti), occu­pa­zio­ni di altre uni­ver­si­tà. L’università occu­pa­ta a Roma divie­ne “spa­zio libe­ra­to”, si riem­pie di stu­den­ti medi, di gio­va­ni di quar­tie­re, di don­ne, di “india­ni metro­po­li­ta­ni” (la com­po­nen­te “crea­ti­va” del movi­men­to). Gran­de cor­teo a Bolo­gna. La lot­ta pro­se­gue per il riti­ro del­la cir­co­la­re Mal­fat­ti, per la liber­tà dei com­pa­gni arre­sta­ti, per la garan­zia di spa­zi auto­ge­sti­ti. Anco­ra una vol­ta Pci e Sin­da­ca­ti rifiu­ta­no qual­sia­si rap­por­to con quel nuo­vo e vasto movi­men­to con una linea poli­ti­ca di chiu­su­ra e di criminalizzazione.

Il 17 feb­bra­io vie­ne indet­to den­tro l’università il comi­zio di Lucia­no Lama, segre­ta­rio gene­ra­le del­la Cgil.

Alla cri­ti­ca “gio­io­sa e crea­ti­va” sot­to il pal­co degli india­ni metro­po­li­ta­ni il ser­vi­zio d’ordine del Pci e del sin­da­ca­to rea­gi­sce vio­len­te­men­te, il movi­men­to pre­sen­te rispon­de con la for­za, Lama se ne va, il pal­co vie­ne distrut­to. Nei gior­ni e nei mesi suc­ces­si­vi lo scon­tro poli­ti­co anche con l’uso del­le armi da par­te di for­ze di poli­zia e del movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio si esten­de­rà in tut­ta Italia.

L’ 11 mar­zo a Bolo­gna, dopo una pro­vo­ca­zio­ne dell’organizzazione poli­ti­ca cat­to­li­ca Comu­nio­ne e Libe­ra­zio­ne, scon­tri e inter­ven­to del­la poli­zia con armi e lacri­mo­ge­ni, vie­ne ucci­so Fran­ce­sco Lorus­so, un mili­tan­te di Lot­ta con­ti­nua. Radio Ali­ce, radio e voce del movi­men­to bolo­gne­se, ne darà la notizia.

Segui­ran­no cor­tei, bar­ri­ca­te, occu­pa­zio­ni, uso di molo­tov e san­pie­tri­ni con­tro il Resto del Car­li­no, con­tro due com­mis­sa­ria­ti di poli­zia, con­tro uffi­ci Fiat e nego­zi di alta moda che sfrut­ta­va­no il lavo­ro del­le dete­nu­te. Il 12 vie­ne con­vo­ca­ta una mani­fe­sta­zio­ne nazio­na­le a Roma: con­flui­sco­no miglia­ia e miglia­ia di mili­tan­ti, tut­ti attrez­za­ti per lo scon­tro, l’università roma­na diven­ta una fab­bri­ca per le molo­tov. Cor­teo immen­so, scon­tri con la poli­zia, scam­bi di arma da fuo­co, col­pi­ti posti di poli­zia, l’ambasciata cile­na, ban­che, con­ces­sio­na­rie, svuo­ta­ta un’armeria, spa­ri di fuci­le con­tro le mura del car­ce­re di Regi­na Coe­li, assal­ta­ta la sede del coman­do cara­bi­nie­ri. A Bolo­gna irru­zio­ne di mil­le cara­bi­nie­ri nell’università e nei luo­ghi pub­bli­ci del movi­men­to, che sfa­scia­no e seque­stra­no ogni cosa, com­pa­io­no i mez­zi blin­da­ti. Mesi di lot­te e scon­tri in tut­ta Ita­lia. A Pado­va e Bolo­gna par­to­no inchie­ste giu­di­zia­rie con deci­ne di arre­sti e man­da­ti di cat­tu­ra. Il 12 mag­gio duran­te una mani­fe­sta­zio­ne del Par­ti­to radi­ca­le per ricor­da­re il ter­zo anni­ver­sa­rio del refe­ren­dum vin­to sul divor­zio è ucci­sa una gio­va­ne don­na, Gior­gia­na Masi. Vie­ne indet­to a Bolo­gna un con­ve­gno del Movimento.

Il 22, 23, 24 set­tem­bre cen­to­mi­la gio­va­ni da tut­ta Ita­lia con­ver­go­no su Bolo­gna, in tre­no, in auto­bus, in auto, con zai­ni, coper­te, sac­chi a pelo, costu­mi, stru­men­ti musi­ca­li. Piaz­ze, par­chi, edi­fi­ci pub­bli­ci si tra­sfor­ma­no in enor­mi bivac­chi; per le stra­de si bal­la, si dipin­ge, si fa ani­ma­zio­ne, si can­ta, si fa tea­tro, si gio­ca, men­tre al Palaz­zet­to del­lo Sport le varie com­po­nen­ti del Movi­men­to si scon­tra­no sul­la lea­der­ship e discu­to­no ani­ma­ta­men­te sul suo futu­ro, sen­za tro­va­re una sin­te­si poli­ti­ca. Al ter­zo gior­no del con­ve­gno un lun­ghis­si­mo cor­teo, varie­ga­to e festo­so, con alla testa i mili­tan­ti dell’Autonomia ope­ra­ia orga­niz­za­ta, sfi­le­rà per ore in cit­tà sen­za incidenti.

Il Movi­men­to del ’77 mostre­rà in quei mesi di mobi­li­ta­zio­ni, lot­te, scon­tri, ille­ga­li­tà di mas­sa, uso del­la for­za, la “poten­za” dei nuo­vi sog­get­ti pro­le­ta­ri che sta­va­no emer­gen­do in que­gli anni di ristrut­tu­ra­zio­ne capi­ta­li­sti­ca socia­le e poli­ti­ca ma evi­den­zie­rà anche i pro­ble­mi, i ritar­di, le debo­lez­ze nel movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio e in par­ti­co­la­re all’ inter­no dell’autonomia ope­ra­ia orga­niz­za­ta nel costrui­re una pro­get­tua­li­tà poli­ti­ca e orga­niz­za­ti­va com­ples­si­va. L’enorme par­te­ci­pa­zio­ne di mas­sa alle sca­den­ze di piaz­za in quei mesi con­fer­mò sia un’autonomia pro­le­ta­ria dif­fu­sa e sia una diso­mo­ge­nei­tà dell’Autonomia ope­ra­ia orga­niz­za­ta nel costrui­re un rea­le radi­ca­men­to socia­le nei vari ter­ri­to­ri, con un con­cre­to con­tro­po­te­re ope­ra­io e pro­le­ta­rio, rea­le espres­sio­ne di una pro­get­tua­li­tà poli­ti­co-orga­niz­za­ti­va. Dopo Bolo­gna i mili­tan­ti ritor­ne­ran­no nei loro ter­ri­to­ri e si con­fron­te­ran­no sul “che fare”, con una poli­ti­ca repres­si­va del­le isti­tu­zio­ni e degli appa­ra­ti sta­ta­li sem­pre più pesan­te (come a Tori­no con la chiu­su­ra di sedi del movi­men­to e a Roma del­la sede di via dei Vol­sci dei Comi­ta­ti auto­no­mi ope­rai, con scon­tri, arre­sti, feri­ti, denun­ce). In quel­la dif­fi­ci­le fase emer­ge­ran­no in modo chia­ro le con­trad­di­zio­ni e le dif­fe­ren­ti valu­ta­zio­ni poli­ti­che sui rea­li rap­por­ti di for­za e di clas­se nel pae­se all’interno del movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio, tra le com­po­nen­ti dell’Autonomia ope­ra­ia orga­niz­za­ta e le Bri­ga­te ros­se, la prin­ci­pa­le tra le orga­niz­za­zio­ni com­bat­ten­ti clan­de­sti­ne per pro­get­to poli­ti­co e livel­li orga­niz­za­ti­vi. Per le Bri­ga­te ros­se la dif­fu­sio­ne dell’illegalità di mas­sa e dell’insubordinazione socia­le nel pae­se evi­den­zia­va una for­za e una poten­za del pro­le­ta­ria­to nel­lo scon­tro di clas­se con la bor­ghe­sia tali da rite­ne­re matu­ri i tem­pi per un’accelerazione dei livel­li del­la lot­ta arma­ta, con azio­ni di com­bat­ti­men­to, come l’omicidio poli­ti­co, azio­ni che avreb­be­ro dovu­to indi­ca­re agli ope­rai e ai pro­le­ta­ri la dire­zio­ne per la guer­ra di clas­se. Le prin­ci­pa­li orga­niz­za­zio­ni dell’autonomia ope­ra­ia giu­di­ca­ro­no quel­le ana­li­si e quel­le azio­ni, come l’omicidio poli­ti­co, poli­ti­ca­men­te sba­glia­te per­ché un’insurrezione arma­ta non era all’ordine del gior­no e per­ché dan­neg­gia­va­no nei fat­ti non il nemi­co di clas­se ma le real­tà del movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio che ope­ra­va­no per costrui­re un con­tro­po­te­re ope­ra­io e pro­le­ta­rio, anche sul ter­re­no dell’uso del­la for­za e del­la lot­ta arma­ta, mas­si­fi­ca­to e non “per bande”.

Quel­le con­trad­di­zio­ni inter­ne al movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio si mani­fe­ste­ran­no aper­ta­men­te nel 1978 con il rapi­men­to e l’uccisione (16 marzo‑9 mag­gio) da par­te del­le Bri­ga­te ros­se di Aldo Moro, impor­tan­te diri­gen­te poli­ti­co del­la Demo­cra­zia cri­stia­na, par­ti­to di governo.

Il 1978 è un anno ric­co di lot­te e di mobi­li­ta­zio­ni dell’autonomia ope­ra­ia dif­fu­sa e orga­niz­za­ta nei vari ter­ri­to­ri del pae­se; la rispo­sta repres­si­va degli appa­ra­ti del­lo Sta­to è sem­pre più vio­len­ta con arre­sti, feri­ti, mor­ti, rastrel­la­men­ti, per­qui­si­zio­ni di abi­ta­zio­ni, quar­tie­ri e caseg­gia­ti, con un uso bru­ta­le di nuo­ve “leg­gi spe­cia­li anti­ter­ro­ri­smo” che sospen­de­va­no i prin­ci­pi e la pras­si del­lo “sta­to di dirit­to”, fon­da­men­to del­la demo­cra­zia liberale.

In quel con­te­sto i grup­pi diri­gen­ti del­le prin­ci­pa­li orga­niz­za­zio­ni dell’Autonomia ope­ra­ia avan­ze­ran­no due pro­po­ste poli­ti­che distin­te: da una par­te i Col­let­ti­vi poli­ti­ci vene­ti per il pote­re ope­ra­io e Ros­so por­ran­no l’urgenza del Par­ti­to dell’Autonomia ope­ra­ia e dall’altra i Comi­ta­ti auto­no­mi ope­rai roma­ni soster­ran­no la neces­si­tà di un Movi­men­to dell’Autonomia operaia.

Il con­fron­to tra quel­le due ipo­te­si stra­te­gi­che non pro­dus­se una sin­te­si e una volon­tà poli­ti­ca capa­ce di uni­re le for­ze orga­niz­za­te dell’Autonomia ope­ra­ia in quel­la fase di duro scon­tro di clas­se, di attac­co repres­si­vo del siste­ma poli­ti­co isti­tu­zio­na­le, deter­mi­na­to a inde­bo­li­re, divi­de­re e scon­fig­ge­re una vol­te per tut­te il movi­men­to rivoluzionario.

E’ in quel­la real­tà di diso­mo­ge­nei­tà poli­ti­ca e orga­niz­za­ti­va del­le for­ze rivo­lu­zio­na­rie che il 7 apri­le del 1979 repar­ti del­la Digos, Cara­bi­nie­ri e Poli­zia su man­da­to dei giu­di­ci pado­va­ni Calo­ge­ro e Fais effet­tue­ran­no deci­ne e deci­ne di arre­sti di espo­nen­ti dell’Autonomia ope­ra­ia in diver­se cit­tà italiane.

L’ ope­ra­zio­ne repres­si­va sarà giu­sti­fi­ca­ta con il cosid­det­to “Teo­re­ma Calo­ge­ro”: esi­ste una dire­zio­ne stra­te­gi­ca dell’intero movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio, esi­ste un’unica orga­niz­za­zio­ne “ter­ro­ri­sti­ca” che fa capo al grup­po di intel­let­tua­li docen­ti dell’Istituto di Scien­ze poli­ti­che dell’università di Padova.

L’accusa era di ban­da arma­ta, insur­re­zio­ne arma­ta con­tro i pote­ri del­lo Sta­to, più vari altri rea­ti; accu­sa sto­ri­ca­men­te risi­bi­le e fal­sa, che cadrà nel cor­so dei pro­ces­si ma che per­met­te­rà in quel­la fase allo Sta­to di com­ple­ta­re il pro­get­to stra­te­gi­co di annien­ta­men­to del­le for­ze comu­ni­ste rivo­lu­zio­na­rie. Nei mesi e anni suc­ces­si­vi si sus­se­gui­ran­no altri bli­tz e inchie­ste giu­di­zia­rie in tut­ta Ita­lia con miglia­ia di impu­ta­ti a pie­de libe­ro, arre­sta­ti e lati­tan­ti, con con­dan­ne pena­li per cen­ti­na­ia e cen­ti­na­ia di anni di gale­ra. Nel­lo stes­so anno si chiu­de­va il lun­go ciclo del­la ristrut­tu­ra­zio­ne indu­stria­le padro­na­le con la scon­fit­ta defi­ni­ti­va dell’autonomia orga­niz­za­ta e del pote­re ope­ra­io all’interno del­le fab­bri­che: il 9 otto­bre saran­no licen­zia­ti 61 ope­rai alla Fiat con l’accusa di “con­ti­gui­tà con il ter­ro­ri­smo” con il taci­to e col­la­bo­ra­ti­vo appog­gio del Sin­da­ca­to; il 5 otto­bre 1980 la Fiat met­te 24000 ope­rai in cas­sa inte­gra­zio­ne e il gior­no dopo ne licen­zia 15000; scio­pe­ro, bloc­co e pic­chet­tag­gi dei can­cel­li di Mira­fio­ri, appog­gio for­ma­le del Pci alle mobi­li­ta­zio­ni, riti­ro dei licen­zia­men­ti e rilan­cio padro­na­le con cir­ca 23000 ope­rai in cas­sa inte­gra­zio­ne in tut­ti gli sta­bi­li­men­ti ita­lia­ni; il 14 otto­bre, in rispo­sta ai pic­chet­ti e dopo la mor­te per infar­to di un capo­re­par­to, che sta­va for­zan­do i bloc­chi, per le stra­de di Tori­no ci sarà la cosid­det­ta “mar­cia dei qua­ran­ta­mi­la” (in real­tà mol­ti meno) qua­dri e impie­ga­ti Fiat con­tro la lot­ta ope­ra­ia; il Sin­da­ca­to chiu­de­rà in fret­ta e al ribas­so la ver­ten­za sin­da­ca­le. Per tut­to il decen­nio a Tori­no non vi furo­no più mani­fe­sta­zio­ni ope­ra­ie para­go­na­bi­li a quel­le avve­nu­te nell’autunno 1980 fino al feb­bra­io del 1994 con una gran­de mani­fe­sta­zio­ne con­tro la deci­sio­ne del­la Fiat di pro­muo­ve­re una nuo­va onda­ta di miglia­ia di licen­zia­men­ti di ope­rai e impie­ga­ti (parec­chi dei qua­li ave­va­no “mar­cia­to” in appog­gio al padro­ne quat­tor­di­ci anni prima!).

Gli anni ottanta

In quel con­te­sto gene­ra­le, socia­le e poli­ti­co, le super­sti­ti e ridi­men­sio­na­te for­ze dell’Autonomia ope­ra­ia orga­niz­za­ta, for­te­men­te inde­bo­li­te dall’emorragia di qua­dri (arre­sti, lati­tan­za, esi­lio in Fran­cia) pro­muo­ve­ran­no e orga­niz­ze­ran­no nei pri­mi anni del decen­nio ini­zia­ti­ve di lot­ta nel segno del­la resi­sten­za alla con­tro­ri­vo­lu­zio­ne che lo Sta­to e il padro­na­to pub­bli­co e pri­va­to ave­va­no sca­te­na­to con­tro le avan­guar­die rivo­lu­zio­na­rie: resi­sten­za alla repres­sio­ne, alla tor­tu­ra come pra­ti­ca per “pie­ga­re” i mili­tan­ti rivo­lu­zio­na­ri, alle car­ce­ri spe­cia­li, al divie­to di poli­zia di mani­fe­sta­re nel­le piaz­ze e nel­le stra­de (a Pado­va, ad esem­pio, sarà pos­si­bi­le scen­de­re in piaz­za solo nel 1985 per la mor­te di Pie­tro Maria Gre­co “Pedro”, da anni lati­tan­te e ammaz­za­to bru­tal­men­te in stra­da a Trie­ste da una squa­dra di agen­ti di polizia).

Le con­trad­di­zio­ni e le divi­sio­ni poli­ti­che tra le for­ze del movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio fran­tu­me­ran­no anche l’unità del fron­te car­ce­ra­rio divi­so tra le posi­zio­ni del “com­bat­ten­ti­smo clan­de­sti­no” e quel­le del­la “dis­so­cia­zio­ne poli­ti­ca dal terrorismo”.

Nei ter­ri­to­ri le restan­ti real­tà dell’autonomia dif­fu­sa e orga­niz­za­ta lot­te­ran­no per man­te­ne­re o ria­pri­re gli spa­zi di agi­bi­li­tà poli­ti­ca mobi­li­tan­do­si sia con ini­zia­ti­ve sul­le tema­ti­che agi­ta­te e pra­ti­ca­te negli anni ‘70 come la casa, i prez­zi poli­ti­ci, il sala­rio socia­le, la lot­ta ope­ra­ia e sia su nuo­vi ter­re­ni, soprat­tut­to nel­la secon­da metà del decen­nio, come l’antinucleare e l’antimilitarismo.

La que­stio­ne del nuclea­re era già emer­sa nel­la secon­da metà del decen­nio pre­ce­den­te con ini­zia­ti­ve come la mobi­li­ta­zio­ne nel 1977 con­tro l’apertura del­la cen­tra­le nuclea­re di Mon­tal­to di Castro e il Con­ve­gno nazio­na­le del feb­bra­io 1979 a Geno­va con­tro il Pia­no Nazio­na­le Nuclea­re pro­mos­so dai mili­tan­ti dell’autonomia geno­ve­se con i Vol­sci del Comi­ta­to poli­ti­co Enel di Roma e con i Col­let­ti­vi poli­ti­ci vene­ti per il pote­re ope­ra­io. Nel 1983 nasce­rà il Coor­di­na­men­to nazio­na­le anti­nu­clea­re e antim­pe­ria­li­sta. Nel 1986, l’anno dell’esplosione e dell’incendio del reat­to­re nuclea­re di Cher­no­byl, il movi­men­to si mobi­li­te­rà con­tro il fun­zio­na­men­to del­le cen­tra­li di Caor­so, Mon­tal­to di Castro, Tri­no Ver­cel­le­se; le for­me di lot­ta saran­no i cam­peg­gi, l’azione diret­ta, il pre­si­dio per impe­di­re il fun­zio­na­men­to degli impian­ti. Nel 1983 l’installazione dei mis­si­li Crui­se dota­ti di testa­te nuclea­ri nel­la base NATO di Comi­so (Ragu­sa) e la par­te­ci­pa­zio­ne del­le for­ze arma­te ita­lia­ne alla Mis­sio­ne inter­na­zio­na­le in Liba­no daran­no vita a un movi­men­to anti­mi­li­ta­ri­sta che negli anni si svi­lup­pe­rà in un più ampio movi­men­to per la pace. Sem­pre nel­la secon­da metà del decen­nio diven­te­ran­no cen­tra­li le tema­ti­che eco­lo­gi­che e ambien­ta­li­ste, così come si spe­ri­men­te­ran­no ini­zia­ti­ve per una rete nazio­na­le di radio libe­re e di movi­men­to. Nel 1989 vie­ne sgom­be­ra­to il cen­tro socia­le Leon­ca­val­lo di Mila­no, le real­tà dei cen­tri socia­li diven­te­ran­no pro­ta­go­ni­ste di un movi­men­to che sarà cen­tra­le nel­le lot­te del decen­nio suc­ces­si­vo. In quell’anno ci sarà la ripre­sa del­le lot­te nell’università con il “movi­men­to del­la pan­te­ra”. Negli anni ‘90 emer­ge­ran­no nuo­vi movi­men­ti, nuo­ve for­me di lot­ta e di organizzazione.

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