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Le vicen­de dei col­let­ti­vi comu­ni­sti che ani­ma­ro­no il decen­nio più inten­so del secon­do Nove­cen­to arri­va al sesto volu­me, per i tipi di Deriveapprodi.

La neces­si­tà di dis­so­da­re il cam­po vasto del rea­le spin­ge ogni intra­pre­sa col­let­ti­va a de-scri­ver­si per non diven­ta­re ogget­to pas­si­vo e impo­ten­te del­la espo­si­zio­ne e del­la clas­si­fi­ca­zio­ne altrui. Da que­sta pre­mes­sa muo­vo­no Ser­gio Bian­chi e il suo col­let­ti­vo Deri­veap­pro­di nell’editare il sesto volu­me de Gli auto­no­mi per nar­ra­re, sen­za com­pen­dia­re, e docu­men­ta­re cri­ti­ca­men­te l’organizzazione, la for­ma e le pra­ti­che poli­ti­che del comu­ni­smo ope­rai­sta in Ita­lia. Testi da appro­fon­di­re in par­ti­co­la­re da par­te di stu­dio­si e mili­tan­ti che per ragio­ni ana­gra­fi­che non han­no vis­su­to que­gli anni. Appro­fon­di­men­to ancor più neces­sa­rio sul­la secon­da par­te degli anni Set­tan­ta, anni che una cer­ta sto­rio­gra­fia ha defi­ni­to “anni di piom­bo” e che non van­no esal­ta­ti in una con­tro-meta­fo­ra metal­lur­gi­ca come età dell’oro del­le lot­te socia­li. Esal­ta­zio­ne e autoe­sal­ta­zio­ne che non c’è negli auto­ri – mas­si­mi diri­gen­ti dei col­let­ti­vi poli­ti­ci vene­ti – Gia­co­mo e Pie­ro Despa­li che, con Mar­zio, Ste­fa­no, Eli­sa­bet­ta e San­dro, ne affron­ta­no ana­li­ti­ca­men­te tut­to il ciclo di militanza.

I col­let­ti­vi sono par­te fon­da­men­ta­le del movi­men­to di tra­sfor­ma­zio­ne poli­ti­ca in que­sto arco tem­po­ra­le: dal­la fine dell’organizzazione Pote­re Ope­ra­io con il con­ve­gno di Roso­li­na, i pri­mi di giu­gno 1973, alla mor­te acci­den­ta­le di tre mili­tan­ti a Thie­ne, il gior­no 11 apri­le 1979, neĺ­la pre­pa­ra­zio­ne di un ordi­gno rudi­men­ta­le. Movi­men­to che, quin­di, non crol­la con l’operazione mas­si­ma nel­la sto­ria del­la repres­sio­ne ita­lia­na, gli arre­sti del 7 apri­le 1979, ma nel pri­mo e uni­co even­to tra­gi­co inter­no all’organizzazione che ave­va mani­fe­sta­to il fat­to che “si era arri­va­ti alla resa dei con­ti del ciclo di lot­te ope­ra­ie e pro­le­ta­rie degli anni Set­tan­ta”, vale a dire con la secon­da onda­ta di arre­sti l’11 mar­zo 1980 (pag. 126).

Il libro va let­to a ritro­so, par­ten­do dal­la sezio­ne docu­men­ta­le, che per scel­ta degli auto­ri e del cura­to­re Mim­mo Ser­san­te chia­ri­sce in quat­tro pas­sag­gi chi sono e cosa voglio­no i col­let­ti­vi, un sog­get­to poli­ti­co orga­niz­za­to del­la clas­se fina­liz­za­to alla rot­tu­ra trau­ma­ti­ca del capi­ta­li­smo, tan­to come modo di pro­du­zio­ne quan­to come stru­men­to di ripro­du­zio­ne sociale.

Quat­tro docu­men­ti appar­te­nen­ti al gene­re let­te­ra­rio del docu­men­to poli­ti­co, gene­re – come giu­sta­men­te osser­va­to – sot­to­po­sto più di altri all’insidia del tem­po, come il sopra­bi­to: “lo ripo­ni con cura nell’armadio per tirar­lo fuo­ri chi sa quan­do” (pag. 205). Ma gene­re infi­ni­ta­men­te più accon­cio degli atti di un giu­di­ce istrut­to­re, di un sosti­tu­to pro­cu­ra­to­re o di una abbor­rac­cia­ta com­mis­sio­ne bica­me­ra­le a descri­ve­re il pro­get­to, la pras­si e la tem­pe­rie in cui que­sti si inse­ri­sco­no. I col­let­ti­vi, dun­que, ave­va­no due strut­tu­re di dire­zio­ne com­ples­si­va: la com­mis­sio­ne fab­bri­che e la com­mis­sio­ne poli­ti­ca, a ripro­va del fat­to che l’intervento di mas­sa e l’intervento mili­ta­re doves­se­ro esse­re fina­liz­za­ti sem­pre alla ricom­po­si­zio­ne di classe.

Nes­su­na con­ces­sio­ne è offer­ta all’insurrezionalismo, in fon­do il pun­to teo­ri­co su cui PotOp si era divi­so, ma una lot­ta di lun­ga di dura­ta, di movi­men­to e al con­tem­po di posi­zio­ne, con la costru­zio­ne di basi ros­se per dispie­ga­re sul ter­ri­to­rio un con­tro­po­te­re anche fon­da­to sull’illegalità dif­fu­sa. E nes­su­na con­ces­sio­ne nem­me­no all’omicidio poli­ti­co, sin­to­mo dell’autismo del­le prin­ci­pa­li for­ma­zio­ni lot­tar­ma­ti­ste pas­sa­te dall’attacco al cuo­re del­lo Sta­to alla giu­sti­zia som­ma­ria (pag. 240). Risul­ta­no evi­den­ti i prin­ci­pa­li rife­ri­men­ti poli­ti­ci dei col­let­ti­vi: il maoi­smo e il leni­ni­smo, che ven­go­no appro­fon­di­ti con spe­ci­fi­che sche­de (pagg. 196–200). Rife­ri­men­ti mol­to tra­di­zio­na­li sal­vo nel­la scel­ta di aver agi­to da par­ti­to sen­za il soste­gno di un par­ti­to (pag. 28).

La par­te più memo­ria­li­sti­ca non lascia spa­zio ad alcun det­ta­glio inu­ti­le al fine di rico­strui­re la gene­ra­zio­ne di rivo­lu­zio­na­ri di mestie­re che agi­va in que­gli anni nel pado­va­no, nel vicen­ti­no, nel rodi­gi­no e nel por­de­no­ne­se. Trat­tan­do­si di un movi­men­to gene­ra­zio­na­le, non casual­men­te, resta sul­lo sfon­do la vicen­da di Por­to Mar­ghe­ra, dove sus­si­ste­va­no una clas­se diri­gen­te pro­ta­go­ni­sta del­le lot­te ope­ra­ie fin dal ’68, come Augu­sto Fin­zi, e una spe­ci­fi­ci­tà nell’organizzazione poli­ti­ca dal Comi­ta­to auto­no­mo del Petrol­chi­mi­co disar­ti­co­la­to­si col fini­re di PotOp e in cui la rico­stru­zio­ne dell’intervento in fab­bri­ca fu più inter­ge­ne­ra­zio­na­le tra qua­dri di fab­bri­ca già esper­ti, come Arman­do Pen­zo e Fran­co Bel­lot­to, avvi­ci­na­ti dal­le nuo­ve leve. In tale con­te­sto tut­to divie­ne più com­pli­ca­to, alla luce del ruo­lo svol­to dal­lo Sta­to con le sue par­te­ci­pa­zio­ni sta­ta­li, il qua­le eser­ci­ta­va il coman­do del­la pro­du­zio­ne, in par­ti­co­la­re chi­mi­ca e navalmeccanica. 

Il trat­to distin­ti­vo dell’organizzazione è dato dal­la sua com­po­si­zio­ne socia­le, costi­tui­ta dal­la figu­ra dell’operaio socia­le in tut­te le sue decli­na­zio­ni: i pro­le­ta­ri e sot­to­pro­le­ta­ri inse­ri­ti nel­la filie­ra del­la fab­bri­ca dif­fu­sa, gli stu­den­ti medi di for­ma­zio­ne tec­ni­ca, gli uni­ver­si­ta­ri che, a miglia­ia, approc­cia­no per la pri­ma vol­ta la for­ma­zio­ne tra Magi­ste­ro, Psi­co­lo­gia e, ovvia­men­te, Scien­ze poli­ti­che, base ros­sa per anto­no­ma­sia. Sono i fra­tel­li mino­ri e più for­tu­na­ti dell’operaio mas­sa, pro­ta­go­ni­sta di Voglia­mo tut­to, che dal­la cam­pa­gna vene­ta mar­cia­no divi­si per col­pi­re uni­ti la ter­ri­to­ria­liz­za­zio­ne del­la valo­riz­za­zio­ne del capi­ta­le che si espri­me nel­la mol­ti­pli­ca­zio­ne del­le fab­bri­che, del­le ban­che e del­le sedi uni­ver­si­ta­rie. Per rispon­de­re a que­sta ristrut­tu­ra­zio­ne biso­gna­va costrui­re una “nuo­va allean­za” tra i con­si­gli di fab­bri­ca, da con­trol­la­re da den­tro e da fuo­ri da un lato e, dall’altro lato, tra col­let­ti­vi ter­ri­to­ria­li in lot­ta con­tro il caro­vi­ta, per il dirit­to all’abitare e all’acculturamento. 

E una nuo­va leva di sta­ta­li e para­sta­ta­li attrat­ti nel ciclo di pro­du­zio­ne dei ser­vi­zi pub­bli­ci dal­le rifor­me del com­pro­mes­so di attua­zio­ne costi­tu­zio­na­le: in fer­ro­via, all’Enel, negli ospe­da­li, nel­le scuole.

Il radi­ca­men­to for­tis­si­mo sul ter­ri­to­rio è cro­ce e deli­zia (pag.89), poi­ché per­met­te di svol­ge­re un ruo­lo anti­ci­pa­to­re sul movi­men­to del ’77, di ave­re la testa del cor­teo di Bolo­gna nel giu­gno di quell’anno, ma ren­de i col­let­ti­vi ogget­ti­va­men­te mar­gi­na­li l’anno seguen­te con il seque­stro Moro. Gli auto­ri non l’esplicitano fino in fon­do, ma da quel momen­to il ruo­lo del col­let­ti­vo di via dei Vol­sci, da un lato, e del col­let­ti­vo del­la nasci­tu­ra rivi­sta Metro­po­li dall’altro, diven­ta pre­pon­de­ran­te per il movi­men­to comu­ni­sta anta­go­ni­sta. Tor­na, così, il pro­ces­so mai matu­ra­to del par­ti­to dell’operaio socia­le nazio­na­le che riu­ni­fi­cas­se il barel­lie­re del poli­cli­ni­co dal for­te accen­to roma­no al con­to­ter­zi­sta dell’alta pado­va­na, ma che non pote­va nasce­re dal­la nuo­va fase come giu­stap­po­si­zio­ne di espe­rien­ze locali.

Col­pi­sce nel­la rico­stru­zio­ne il trat­to di cul­tu­ra poli­ti­ca dei fra­tel­li Despa­li, vale a dire la cri­ti­ca al revi­sio­ni­smo del Pci fino dal­la svol­ta di Saler­no. La valu­ta­zio­ne net­ta sul tren­ten­nio pre­ce­den­te del­la più nume­ro­sa orga­niz­za­zio­ne dell’Occidente non con­sen­ti­va alla loro impre­sa poli­ti­ca di rivol­ger­si a pla­sma­re il “vero” par­ti­to comu­ni­sta, pro­prio per­ché l’autenticità del pro­get­to rivo­lu­zio­na­rio era venu­ta meno non già col ber­lin­gue­ri­smo, ma con la fine del­la Resistenza. 

Sono dav­ve­ro mol­ti gli argo­men­ti ana­liz­za­ti nell’opera, che non dà l’idea di esse­re sta­ta scrit­ta come pagi­na di “sto­ria dei vin­ti”. Volen­do ascri­ve­re al pen­sie­ro ben­ja­mi­nia­no i fra­tel­li Despa­li, sem­bra abbia­no chia­ro che la social­de­mo­cra­zia ha spez­za­to il ner­vo del­la clas­se facen­do­le disap­pren­de­re l’odio e la volon­tà del sacri­fi­cio, “poi­ché entram­bi si ali­men­ta­no all’immagine degli avi asser­vi­ti e non all’ideale dei libe­ri nipoti”.