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Pensare con le mani

Pensare con le mani

Recen­sio­ne di Gigi Rog­ge­ro a Gli auto­no­mi. Sto­ria dei Col­let­ti­vi poli­ti­ci vene­ti per il pote­re ope­ra­io di Gia­co­mo e Pie­ro Despa­li, a cura di Mim­mo Ser­san­te (Deri­veAp­pro­di, gen­na­io 2020)

Ci sono libri, pochi, che da tem­po aspet­ta­no di esse­re scrit­ti. La sto­ria dei Col­let­ti­vi poli­ti­ci vene­ti per il pote­re ope­ra­io (Cpv) è uno di que­sti. Con la cura di Mim­mo Ser­san­te, è costrui­to attra­ver­so un lun­go e arti­co­la­to dia­lo­go tra i fra­tel­li Gia­co­mo e Pie­ro Despa­li, dal­ma­ti di nasci­ta e pado­va­ni di ado­zio­ne, che dei Col­let­ti­vi sono sta­ti qua­dri diri­gen­ti. Il testo è arric­chi­to da inter­vi­ste a ex mili­tan­ti di Por­de­no­ne, Rovi­go, Vene­zia e del Cen­tro di comu­ni­ca­zio­ne comu­ni­sta vene­to, a dimo­stra­zio­ne dell’estensione e del radi­ca­men­to dei Cpv, e da alcu­ni docu­men­ti poli­ti­ci, soprat­tut­to del­la rivi­sta «Auto­no­mia». Pub­bli­ca­to a gen­na­io, è il sesto volu­me de Gli auto­no­mi, ormai sto­ri­ca ini­zia­ti­va edi­to­ria­le di Deri­veAp­pro­di. Dell’Autonomia ope­ra­ia orga­niz­za­ta, infat­ti, i Cpv sono sta­ti un asse portante.

La nar­ra­zio­ne comin­cia dall’inizio degli anni Set­tan­ta, il con­ve­gno di Roso­li­na del ’73 è ovvia­men­te una tap­pa perio­diz­zan­te su cui riflet­te­re. Pie­ro, allo­ra in un grup­po di stu­den­ti medi ed ex medi da cui nasce­ran­no i Col­let­ti­vi, non ha com­pre­so i rea­li moti­vi poli­ti­ci del­lo scio­gli­men­to di Pote­re ope­ra­io: «la pro­po­sta di dare cen­tra­li­tà alle assem­blee auto­no­me del­le gran­di fab­bri­che pote­va solo signi­fi­ca­re che si andas­se tut­ti a Mar­ghe­ra e fare lavo­ro ester­no; e però que­sta cosa non c’entrava nien­te con la nostra espe­rien­za ter­ri­to­ria­le». Con la con­cre­ta neces­si­tà di uti­liz­za­re una strut­tu­ra orga­niz­za­ti­va nazio­na­le, i pado­va­ni deci­do­no dun­que di resta­re in Pote­re ope­ra­io anche dopo Roso­li­na. L’anno dopo, nel ’74, veri­fi­ca­no l’esaurimento di quel­la sto­ria: l’attivo di Po si tra­sfor­ma così nel pri­mo atti­vo dei Collettivi.

Del resto, come pre­ci­sa Gia­co­mo, gli stu­den­ti – in par­ti­co­la­re quel­li degli isti­tu­ti tec­ni­ci – pre­fi­gu­ra­va­no già dal­la fine degli anni Ses­san­ta quel­la che, nel cor­so di un decen­nio, sareb­be emer­sa come nuo­va com­po­si­zio­ne di clas­se, al cui cen­tro vi era la com­ples­sa figu­ra poli­ti­ca dell’operaio socia­le, la cui sostan­za sog­get­ti­va è il rifiu­to del lavo­ro (sala­ria­to, tie­ne a pre­ci­sa­re Gia­co­mo; sans phra­se, ovve­ro spe­ci­fi­ca­men­te capi­ta­li­sti­co, ribat­te Pie­ro). Da qui la ripul­sa a chiu­der­si nel for­ti­li­zio del­la fab­bri­ca tra­di­zio­nal­men­te inte­sa, per costrui­re il pro­ces­so orga­niz­za­ti­vo den­tro e con­tro la «fab­bri­ca dif­fu­sa», anti­ci­pa­ta dal­la con­fi­gu­ra­zio­ne pro­dut­ti­va del Vene­to. «Sono con­vin­to – sostie­ne Pie­ro – che solo più tar­di Negri comin­ce­rà a valo­riz­za­re la cen­tra­li­tà di que­sta nuo­va com­po­si­zio­ne di clas­se. Da par­te nostra pos­sia­mo dire di aver­lo anti­ci­pa­to pro­prio sul ter­re­no del­la poli­ti­ca pra­ti­ca. Io cre­do che sia sta­to que­sto il vero moti­vo per cui tor­ne­re­mo a incon­trar­lo, dopo».

La lot­ta dei Con­si­gli di fab­bri­ca dove­va per­ciò sal­dar­si con l’iniziativa ter­ri­to­ria­le con­tro l’aumento dei prez­zi e l’abbassamento del­la qua­li­tà del­la vita. Nasco­no così nuo­vi orga­ni­smi, come i coor­di­na­men­ti ope­rai, «un mix di ope­ra­io mas­sa e ope­ra­io socia­le»; oppu­re i Grup­pi socia­li, cen­tri di aggre­ga­zio­ne lega­ti alle par­roc­chie, che ven­go­no occu­pa­ti e tra­sfor­ma­ti dal­la pre­sen­za poli­ti­ca dei com­pa­gni. È in que­sto ten­ta­ti­vo di ricom­po­si­zio­ne fon­da­to sul ter­ri­to­rio che vie­ne lan­cia­ta la paro­la d’ordine: «Costruia­mo il pote­re ope­ra­io e pro­le­ta­rio nel­le nostre zone».

Dal ’76 i Cpv par­la­no, nel­la con­cre­tez­za dell’intervento poli­ti­co, di con­tro­po­te­re. È infat­ti in quell’anno che ini­zia una nuo­va pra­ti­ca di lot­ta: il gior­no pre­ce­den­te a un annun­cia­to comi­zio di Almi­ran­te, i Col­let­ti­vi spiaz­za­no tut­ti – poli­zia e fasci­sti, Pci e ritua­li­tà anti­fa­sci­ste. Alcu­ne cen­ti­na­ia di com­pa­gni arma­ti, anche da Vene­zia-Mestre e da Vicen­za, bloc­ca­no le vie di acces­so al quar­tie­re pado­va­no dell’Arcella, distrug­gen­do la sede dell’Msi, col­pen­do case e luo­ghi di ritro­vo dei fasci­sti. Va det­to che una simi­le ini­zia­ti­va, così come più in gene­ra­le le altre azio­ni con­tro gli squa­dri­sti loca­li, non seguo­no affat­to le clas­si­che reto­ri­che resi­sten­zia­li, carat­te­ri­sti­che di altri grup­pi rivo­lu­zio­na­ri e del­le for­ma­zio­ni com­bat­ten­ti: sono una pra­ti­ca stru­men­ta­le uti­le a costrui­re un cor­po mili­tan­te coe­so, a cemen­ta­re i rap­por­ti poli­ti­ci, a modu­la­re l’esercizio del­la for­za. Del resto, la cosid­det­ta «not­te dei fuo­chi» dell’Arcella va ben oltre l’antifascismo: diven­te­rà ben pre­sto, insie­me alle ron­de ed este­sa ad altri luo­ghi del Vene­to, un model­lo di con­trol­lo ter­ri­to­ria­le e, al con­tem­po, di deci­sio­ne auto­no­ma dei tem­pi, dei luo­ghi e dell’intensità nell’esercizio del­la for­za. Con il ’76, così, i Cpv con­so­li­da­no la pro­pria for­me di orga­niz­za­zio­ne com­piu­ta­men­te regio­na­le, con un ese­cu­ti­vo poli­ti­co com­po­sto dai respon­sa­bi­li dei sin­go­li collettivi.

Con gran­de chia­rez­za, come già ave­va fat­to Dona­to Taglia­pie­tra nel pre­ce­den­te volu­me sull’Autonomia ope­ra­ia vicen­ti­na, Pie­ro e Gia­co­mo illu­stra­no le dif­fe­ren­ze pro­fon­de rispet­to alla pro­po­sta com­bat­ten­ti­sta, in par­ti­co­la­re le Br, anco­ra­te alla cen­tra­li­tà del­la gran­de fab­bri­ca, al ter­ro­re pani­co per un gol­pe mili­ta­re, a una con­ce­zio­ne del­la for­ma-Sta­to defi­ni­ti­va­men­te supe­ra­ta. Per cer­ti aspet­ti, sono una sor­ta di Pci estre­mi­sta, che inter­pre­ta l’autonomia del­la poli­ti­ca come auto­no­mia del­la lot­ta arma­ta, ripro­du­cen­do una strut­tu­ra sepa­ra­ta rispet­to alla com­po­si­zio­ne di clas­se. Atten­zio­ne, pre­ci­sa Pie­ro riven­di­can­do l’«unità dei comu­ni­sti»: la lot­ta arma­ta non è affat­to esclu­sa dal­la pro­spet­ti­va auto­no­ma, ma è sem­pre inter­na al pro­ces­so di svi­lup­po dell’illegalità di mas­sa e di costru­zio­ne del con­tro­po­te­re, mai rap­pre­sen­ta­ta sepa­ra­ta­men­te da un par­ti­to arma­to clandestino.

Il con­trol­lo ter­ri­to­ria­le si pra­ti­ca anche per orga­niz­za­re gli espro­pri, sfug­gen­do qui a un dop­pio rischio: da un lato la ten­ta­zio­ne di esal­ta­re meri com­por­ta­men­ti di ribel­li­smo indi­vi­dua­le, dall’altro di ripro­dur­re la logi­ca del ser­vi­zio o cari­ta­te­vo­le, nel­la divi­sio­ne tra ero­ga­to­ri e uten­ti. Espro­pri e azio­ni di ridu­zio­ne dei prez­zi vivo­no all’interno del rap­por­to tra biso­gni socia­li e pro­get­to poli­ti­co rivo­lu­zio­na­rio, evi­tan­do la reci­pro­ca auto­no­miz­za­zio­ne e sepa­ra­tez­za. Diven­go­no, appun­to, eser­ci­zio di con­tro­po­te­re. Se guar­dia­mo all’oggi, come talo­ra espli­ci­ta­men­te e ancor più impli­ci­ta­men­te que­sto volu­me ci invi­ta a fare, vedia­mo come la sto­ria si ripe­ta: il dibat­ti­to del cosid­det­to «movi­men­to» è infat­ti intrap­po­la­to tra il con­su­mo ideo­lo­gi­co del­le insor­gen­ze degli altri e i bra­vi sama­ri­ta­ni che aiu­ta­no le vit­ti­me, tra il fuo­co fatuo dell’estetica rivol­to­sa e l’acquasanta del­la rivol­tan­te reto­ri­ca umanitaria.

Cen­tra­le comun­que è la que­stio­ne del sala­rio, inte­so nel­la sua dupli­ci­tà mone­ta­ria e rea­le, nel­la fab­bri­ca tra­di­zio­na­le e nel­la fab­bri­ca socia­le. Il sog­get­to del­la lot­ta, l’operaio socia­le, è una figu­ra mul­ti­for­me. Lo si tro­va nell’università pata­vi­na, la «nostra Mira­fio­ri», dove i com­pa­gni incon­tra­no lo stu­den­te mas­sa, den­tro i pro­ces­si di fuga dal­la fab­bri­ca, di esten­sio­ne del rifiu­to del lavo­ro, di auto­va­lo­riz­za­zio­ne pro­le­ta­ria, di indu­stria­liz­za­zio­ne del­la for­ma­zio­ne. Lo si tro­va nei com­por­ta­men­ti con­flit­tua­li del­le don­ne, però – impor­tan­te sot­to­li­nea­tu­ra – non in quan­to figu­ra sepa­ra­ta o indi­pen­den­te dal­la com­po­si­zio­ne di clas­se: «non era­va­mo tifo­si del fem­mi­ni­smo […] ci risul­ta­va dif­fi­ci­le con­si­de­ra­re la casa il luo­go esclu­si­vo del­la lot­ta», se per luo­go di lot­ta inten­dia­mo mate­ria­li­sti­ca­men­te l’individuazione di una con­tro­par­te e una pra­ti­ca di orga­niz­za­zio­ne. I com­por­ta­men­ti con­flit­tua­li del­le don­ne sono inve­ce quel­li con cui i com­pa­gni e le com­pa­gne dei Cpv si rap­por­ta­no den­tro e fuo­ri dal­la fab­bri­ca tra­di­zio­na­le, costi­tuen­do un vet­to­re sog­get­ti­vo impor­tan­te del­la nuo­va com­po­si­zio­ne di clas­se. Anche qui tro­via­mo indi­ca­zio­ni e rifles­sio­ni che dovreb­be­ro esse­re mes­se a valo­re nei dibat­ti­ti dell’oggi, che trop­po spes­so ripro­du­co­no ideo­lo­gi­ca­men­te discor­si di un pas­sa­to che non c’è più, sen­za nep­pu­re quel­la cari­ca sov­ver­si­va che ave­va­no al tempo.

Comun­que pro­prio in quel­la fase, sostie­ne Pie­ro, si com­pie la tran­si­zio­ne tra l’operaio mas­sa e l’operaio socia­le, che per­met­te di anti­ci­pa­re il ’77. A par­ti­re da que­sta con­cre­tez­za di inter­ven­to ter­ri­to­ria­le cen­tra­to sul­la nuo­va com­po­si­zio­ne di clas­se i Cpv si avvi­ci­na­no a «Ros­so»: in que­sto con­te­sto, nel giro di poco, comin­ce­ran­no a por­re il tema del par­ti­to, nel­la for­ma dell’organizzazione nazio­na­le. Lo fan­no spin­ti dal­la for­za del loro radi­ca­men­to, come pos­si­bi­li­tà di un pas­sag­gio in avan­ti, con la neces­si­tà di con­ti­nui momen­ti di veri­fi­ca poli­ti­ca. Ciò con­sen­te loro, alme­no nel riper­cor­rer­lo ana­li­ti­ca­men­te, di cri­ti­ca­re il «col­po sull’acceleratore» di chi ha imma­gi­na­to che la ten­den­za fos­se già rea­liz­za­ta, quin­di non neces­si­tas­se di una pro­ces­sua­li­tà poli­ti­ca. L’accelerazione, infat­ti, non è un sal­to in avan­ti in rot­tu­ra con la ten­den­za del capi­ta­le, al con­tra­rio si affi­da a essa pen­san­do di poter­la diri­ge­re. Resta in ogni caso un nodo irri­sol­to, uno di quel­li cen­tra­li. Gia­co­mo e Pie­ro non svi­co­la­no dal pro­ble­ma, non ten­ta­no di far qua­dra­re i con­ti o di rifu­giar­si in mito­po­ie­ti­che rico­stru­zio­ni. Affron­ta­no il tema di pet­to, evi­den­zia­no i pun­ti cri­ti­ci, ripen­sa­no quel­lo che è sta­to fat­to e che non è sta­to fat­to. La stes­sa ter­ri­to­ria­li­tà, ci dico­no, «è sta­to l’elemento di pre­gio del­la nostra orga­niz­za­zio­ne anche se, alla lun­ga, si è rive­la­ta un limi­te». Con il fini­re del ’78, si esau­ri­sce anche l’ipotesi nazio­na­le: così nell’ottobre esce il nume­ro zero di «Auto­no­mia», «nel­le inten­zio­ni un set­ti­ma­na­le di movi­men­to lega­to al ter­ri­to­rio», che con­ti­nue­rà le sue pub­bli­ca­zio­ni fino all’inizio degli anni Novan­ta, accom­pa­gnan­do la tran­si­zio­ne dai Cpv a quel­lo che ver­rà dopo.

Anche la bana­le bru­ta­li­tà del­la repres­sio­ne non può esse­re un ali­bi die­tro cui nascon­der­si, come se i rivo­lu­zio­na­ri si aspet­tas­se­ro qual­co­sa di diver­so dal nemi­co. Anzi, ci dico­no, è sta­to un erro­re soprav­va­lu­ta­re lo Sta­to di dirit­to, dare per buo­ne le reto­ri­che con cui i libe­ra­li rac­con­ta­no la pro­pria demo­cra­zia. In que­ste pagi­ne, oltre a non esser­ci nes­sun ten­ta­ti­vo di giu­sti­fi­ca­zio­ne, non vi è nep­pu­re alcu­na trac­cia di vit­ti­mi­smo, anzi: «Sono orgo­glio­so – affer­ma Pie­ro – di dire che non mi sono mai tra­sfor­ma­to in un esu­le. Inve­ce nel­la mia lun­ga lati­tan­za la rete di soli­da­rie­tà che ho tro­va­to è sta­ta signi­fi­ca­ti­va in quan­to indi­ce di ciò che sia­mo stati».

Poi sareb­be­ro venu­ti gli anni Ottan­ta, la con­tro­ri­vo­lu­zio­ne capi­ta­li­sti­ca e il leghi­smo. Si apre un’altra sto­ria, che però non va let­ta in modo disgiun­to: è in qual­che modo la rispo­sta a que­sta sto­ria, quel­la dell’Autonomia. La fuga dal­la fab­bri­ca che diven­ta autoim­pren­di­to­ria­li­tà, le pro­vin­ce che i Cpv non sono riu­sci­ti a tra­sfor­ma­re fino in fon­do, il con­tro­po­te­re auto­no­mo che si tra­sfi­gu­ra nel sepa­ra­ti­smo pro­prie­ta­rio: ecco, dice Gia­co­mo, dove nasce l’uomo del­la Lega, che sa inter­pre­ta­re e pie­ga­re ver­so i pro­pri fini i muta­men­ti del­la com­po­si­zio­ne socia­le del Vene­to. Tut­to som­ma­to, negli anni Ottan­ta e Novan­ta fa quel­lo che – con segno oppo­sto – i Cpv ave­va­no fat­to nel decen­nio pre­ce­den­te. «For­se – riflet­te a voce alta Pie­ro – non sia­mo sta­ti suf­fi­cien­te­men­te radi­ca­li, nel sen­so in cui il nostro Marx usa que­sta paro­la: di anda­re alla radi­ce del­le cose. Non so se per il tem­po che ci è man­ca­to, per erro­ri nostri di valu­ta­zio­ne – aver soprav­va­lu­ta­to trop­po noi stes­si e sot­to­va­lu­ta­to gli altri – oppu­re, ma que­sto lo dico col sen­no di poi, per non aver com­pre­so a tem­po la rea­le posta in gio­co». Altret­tan­to impor­tan­te è il ragio­na­men­to di Gia­co­mo attor­no alla sog­get­ti­vi­tà, que­stio­ne cru­cia­le che spes­so anche nel­la nostra tra­di­zio­ne poli­ti­ca è sta­ta sof­fo­ca­ta da un ridu­zio­ni­smo che potrem­mo defi­ni­re mec­ca­ni­ci­sta: la com­po­si­zio­ne poli­ti­ca, affer­ma cor­ret­ta­men­te, è infat­ti un impa­sto di cose mol­te­pli­ci e talo­ra con­trad­dit­to­rie, non solo del­la col­la­zio­ne nel­la stra­ti­fi­ca­zio­ne del­la for­za lavoro.

Infi­ne, con luci­da chia­rez­za vie­ne ana­liz­za­to il com­por­ta­men­to poli­ti­co in car­ce­re e il tema del­la dis­so­cia­zio­ne: «Noi – spie­ga Gia­co­mo – ave­va­mo sem­pre dato bat­ta­glia ai com­pa­gni del­le Br con­dan­nan­do­ne le dege­ne­ra­zio­ni nel men­tre si dava­no, ma la nostra era una bat­ta­glia poli­ti­ca men­tre que­sta del­la dis­so­cia­zio­ne di poli­ti­co non ave­va nul­la per­ché a con­dur­re il gio­co era lo Sta­to, quel­lo Sta­to che i com­pa­gni, che la dis­so­cia­zio­ne ave­va­no pro­mos­so, dice­va­no di aver com­bat­tu­to. Noi la bat­ta­glia pro­ces­sua­le l’abbiamo con­dot­ta aven­do sem­pre di mira le lot­te fuo­ri dal car­ce­re. Que­sti com­pa­gni ave­va­no pre­fe­ri­to l’autoreferenzialità vesten­do i pan­ni di un ceto poli­ti­co sepa­ra­to, con “il mani­fe­sto” come mega­fo­no e il dia­lo­go con le isti­tu­zio­ni come il loro impe­gno pre­ci­puo». Dopo l’accelerazione in un avan­ti sepa­ra­to, ecco l’accelerazione in un rin­cu­lo sepa­ra­to. Il pro­ble­ma è che, quan­do non si pen­sa con le mani, al pari di quan­do non si agi­sce col cer­vel­lo, la testa si stac­ca dal cor­po, l’individuo dal col­let­ti­vo, il tem­po del pro­prio sé dal­la tem­po­ra­li­tà del pro­ces­so orga­niz­za­ti­vo e dal­la pro­du­zio­ne allar­ga­ta di sog­get­ti­vi­tà: è la stra­da di una com­pia­ciu­ta o fret­to­lo­sa «auto­re­fe­ren­zia­li­tà», appunto.

Su que­sto si chiu­de il dia­lo­go dei Despa­li insie­me al cura­to­re. Un dia­lo­go che met­te il let­to­re-mili­tan­te con­ti­nua­men­te a con­fron­to con i nodi irri­sol­ti del pas­sa­to e dun­que con i pro­ble­mi dell’oggi, di una sto­ria spe­ci­fi­ca che è ter­mi­na­ta e di una sto­ria rivo­lu­zio­na­ria che rico­min­cia sem­pre da capo. A trat­ti sem­bre­reb­be for­se man­ca­re un appro­fon­di­men­to sul pia­no del pro­ces­so di orga­niz­za­zio­ne con­cre­to e quo­ti­dia­no, di cui Gia­co­mo e Pie­ro sono sta­ti non solo par­te­ci­pi ma figu­re pro­ta­go­ni­ste. Cre­dia­mo che non sia una disat­ten­zio­ne, ben­sì la scel­ta di man­te­ner­si su un livel­lo di ana­li­si più com­ples­si­vo. Tale scel­ta si avva­le del con­cor­da­to com­ple­ta­men­to del volu­me con altri due pez­zi fon­da­men­ta­li, che si inca­stra­no uno con l’altro: il già cita­to L’Autonomia ope­ra­ia vicen­ti­na di Taglia­pie­tra e il neo­na­to sito sul­la sto­ria dei Cpv (www.collettivipoliticiveneti.it).

Va pure det­to che il libro è non solo fon­da­men­ta­le, ma anche bel­lo – come auspi­ca il cura­to­re. Non di quel­la bel­lez­za for­ni­ta da una vuo­ta sug­ge­stio­ne, da paro­le che vola­no via un istan­te dopo che sono sta­te pro­nun­cia­te o let­te, da una tem­po­ra­li­tà effi­me­ra: in poche paro­le, non è una bel­lez­za che rispon­de ai codi­ci dell’estetica post­mo­der­na. Al con­tra­rio, que­sta sto­ria è di una bel­lez­za radi­ca­ta nel­la ter­ra, da coglie­re con la testa – riba­dia­mo, da pen­sa­re con le mani. Per leg­ge­re un simi­le libro, avver­ti­va Nie­tzsche, è neces­sa­ria soprat­tut­to una cosa «per cui si deve esse­re qua­si vac­che e in ogni caso non “uomi­ni moder­ni”: il rumi­na­re». Rumi­nan­do, allo­ra, con­ti­nuia­mo e ria­pria­mo la discus­sio­ne: non sul pas­sa­to, ma imme­dia­ta­men­te sul pre­sen­te. Sapen­do che l’autonomia non è mai data una vol­ta per tut­te: la si con­qui­sta e rein­ven­ta di con­ti­nuo, rom­pen­do con l’esistente e con quel­lo che sia­mo, o che sia­mo diventati.

Trat­to da: http://archivio.commonware.org/index.php/gallery//923-pensare-con-le-mani

Pensare con le mani

Quella persistente memoria autonoma

di Gio­van­ni Iozzoli

Gia­co­mo e Pie­ro Despa­li (a cura di Mim­mo Ser­san­te), Sto­ria dei col­let­ti­vi poli­ti­ci vene­ti per il pote­re ope­ra­io, Gli auto­no­mi – volu­me VI, Edi­zio­ni Deri­veAp­pro­di, Roma, 2020, pp. 260, € 19,00

È usci­to il sesto volu­me del­la serie Gli auto­no­mi – e que­sta è già una noti­zia, visto che una col­la­na di tale per­si­sten­za, meri­ta qual­che con­si­de­ra­zio­ne. Il pri­mo volu­me risa­le al lon­ta­nis­si­mo 2007 ed è già in gesta­zio­ne il nume­ro set­te. Qual è la pla­tea che sostie­ne que­sta con­ti­nui­tà di inte­res­se su un ter­re­no che potreb­be sem­bra­re mono­te­ma­ti­co o spe­cia­li­sti­co? Tut­ti over 65 che con­tem­pla­no malin­co­ni­ca­men­te il loro pas­sa­to piro­tec­ni­co? No, cer­to. Fra gli acca­ni­ti let­to­ri di que­sti libri, sem­pre mira­co­lo­sa­men­te in equi­li­brio tra memo­ria­li­sti­ca e sag­gi­sti­ca poli­ti­ca, esi­ste di sicu­ro una ric­ca ete­ro­ge­nei­tà di vol­ti e sto­rie, fat­ta anche di gio­va­nis­si­mi: tut­ta gen­te che si inter­ro­ga sul pre­sen­te e sul futu­ro, usan­do que­sti volu­mi come stru­men­ti per aggre­di­re i nodi del qui e ora, la bat­ta­glia poli­ti­ca e socia­le dell’oggi, il bilan­cio sto­ri­co del movi­men­to anta­go­ni­sta come bilan­cio del movi­men­to rea­le del con­flit­to in que­sto pae­se – l’autonomia “sto­ri­ca” come ele­men­to di rifles­sio­ne sull’”autonomia possibile”.

Gia­co­mo e Pie­ro Despa­li, sot­to la gui­da di Mim­mo Ser­san­te, tes­so­no il rac­con­to appas­sio­na­to e luci­do di una sta­gio­ne che sem­bra lon­ta­na anni luce, guar­dan­do il Vene­to d’oggi, ridot­to a subur­ra leghi­sta. Ma ci rac­con­ta­no (come già ave­va fat­to Dona­to Taglia­pie­tra nel volu­me pre­ce­den­te dedi­ca­to al ter­ri­to­rio vicen­ti­no) che anche il “loro” Vene­to, quel­lo che uscì dal tur­bi­ne degli anni ’60, era il risul­ta­to di una mas­sic­cia tra­sfor­ma­zio­ne antro­po­lo­gi­ca, matu­ra­ta nell’arco di un mat­ti­no: un mon­do di arre­tra­tez­za arcai­ca, di pro­vin­cia­li­smo demo­cri­stia­no, che pare­va immo­to e immu­ta­bi­le, nel giro di pochi anni diven­ne un labo­ra­to­rio di pra­ti­che socia­li rivo­lu­zio­na­rie, che coglie­va­no ed esa­spe­ra­va­no, fino a por­tar­li al pun­to di rot­tu­ra, gli ele­men­ti di svi­lup­po e moder­niz­za­zio­ne pro­dot­ti dal boom eco­no­mi­co e dal­la sco­la­riz­za­zio­ne di massa.

Al cen­tro del­la nar­ra­zio­ne, una gene­ra­zio­ne di gio­va­nis­si­mi mili­tan­ti, qua­si tut­ti stu­den­ti del­le scuo­le tec­ni­che e pro­fes­sio­na­li o lavo­ra­to­ri del­le micro­fab­bri­chet­te, che si pone l’obiettivo di un inse­dia­men­to rea­le nel cor­po di clas­se e nel cuo­re di que­sti ter­ri­to­ri in rapi­da modi­fi­ca­zio­ne. Rom­pen­do con il vec­chio Vene­to pro­vin­cia­le e rura­le, ma anche con il quie­ti­smo pic­ci­sta che spe­ra nel­la lun­ga iner­zia elet­to­ra­le, per scal­za­re la DC. I fra­tel­li Despa­li sono due gio­va­not­ti come tan­ti, poli­ti­ciz­za­ti nel­le scuo­le medie supe­rio­ri e appro­da­ti in Pote­re Ope­ra­io, la spon­da più radi­ca­le tra quel­le dispo­ni­bi­li. La sta­gio­ne dei grup­pi che sta vol­gen­do al ter­mi­ne, ha comun­que costi­tui­to un inva­so e un dispo­si­ti­vo di for­ma­zio­ne per miglia­ia di gio­va­nis­si­mi mili­tan­ti. Quan­do Potop si scio­glie, non tut­ti con­di­vi­do­no que­sta scel­ta, anzi Gia­co­mo e Pie­ro Despa­li – e con loro, pro­ba­bil­men­te la mag­gior par­te del qua­dro dif­fu­so dell’organizzazione – non ne col­go­no nean­che bene le ragioni.

Ricor­do che lo scio­gli­men­to di Pote­re Ope­ra­io a Roso­li­na l’ho vis­su­to in manie­ra nega­ti­va per­ché il fat­to di rima­ne­re o non rima­ne­re in Pote­re Ope­ra­io, dare con­ti­nui­tà a quell’esperienza oppu­re uscir­ne per dare for­ma ad altre espe­rien­ze, è sta­to un effet­ti­vo ele­men­to di con­fu­sio­ne. Per quan­to mi riguar­da, ero allo­ra – par­lia­mo del 1973 – in un grup­po di stu­den­ti, medi ed ex medi, che sul momen­to non ave­va capi­to il vero moti­vo del­lo scio­gli­men­to per­ché la pro­po­sta di dare cen­tra­li­tà alle assem­blee auto­no­me del­le gran­di fab­bri­che pote­va solo signi­fi­ca­re che si andas­se tut­ti a Mar­ghe­ra a fare lavo­ro ester­no; e però que­sta cosa non c’entrava nien­te con la nostra espe­rien­za ter­ri­to­ria­le. (pag. 35)

Pote­re Ope­ra­io si scio­glie, ma la sua inte­la­ia­tu­ra orga­niz­za­ti­va a Pado­va è anco­ra in pie­di. Nel­la con­fu­sio­ne dei rife­ri­men­ti nazio­na­li e del­le varie ipo­te­si, il “che fare”, per i gio­va­nis­si­mi qua­dri vene­ti, è la ricon­du­zio­ne dell’iniziativa poli­ti­ca al ter­ri­to­rio: non un rin­cu­lo, ma una spe­cie di intui­zio­ne stra­te­gi­ca, che solo nel tem­po tro­ve­rà le paro­le – e l’armamentario teo­ri­co – per esse­re razio­na­liz­za­ta. I Col­let­ti­vi per il pote­re ope­ra­io rap­pre­sen­ta­no, anche nel­la sigla, que­sta fase di supe­ra­men­to: si man­tie­ne testar­da­men­te il rife­ri­men­to al “pote­re ope­ra­io”, ma è ormai tra­mon­ta­ta la pro­spet­ti­va che basti anda­re a trai­no del­le gran­di fab­bri­che e dell’operaio mas­sa; la ristrut­tu­ra­zio­ne socia­le è velo­cis­si­ma, cam­bia i ter­ri­to­ri, l’organizzazione del lavo­ro, gli inse­dia­men­ti pro­dut­ti­vi, la scuo­la; più che affi­dar­si alla fun­zio­ne sal­vi­fi­ca del mon­do ope­ra­io, si devo­no riper­cor­re­re i nes­si che stan­no legan­do tut­te que­ste tra­sfor­ma­zio­ni, leg­ger­ne gli atto­ri socia­li, coglier­ne le poten­zia­li­tà con­flit­tua­li o ricom­po­si­ti­ve. Per fare que­sto c’è biso­gno di una gene­ra­zio­ne di qua­dri – e di una orga­niz­za­zio­ne – adat­ta a que­sta fase di inten­sa movimentazione.

Ci ritro­via­mo con quan­ti ave­va­no con­di­vi­so a Pado­va l’esperienza di Pote­re Ope­ra­io; l’attivo regi­stra in veri­tà la sua fine. Alcu­ni di noi, sem­pre più con­sa­pe­vo­li del limi­te del­la pro­po­sta di Pote­re Ope­ra­io nazio­na­le, pro­prio rife­ren­do­si a que­sta pra­ti­ca poli­ti­ca di radi­ca­men­to ter­ri­to­ria­le, deci­do­no di razio­na­liz­za­re l’intervento strut­tu­ran­do­ci in col­let­ti­vi poli­ti­ci fis­sa­ti da spe­ci­fi­ci ambi­ti di lavo­ro. […] Il pri­mo a for­mar­si è il Col­let­ti­vo Pado­va Nord […] L’aggancio ci è offer­to dall’intervento sul caro tra­spor­ti dell’anno pri­ma del Comi­ta­to Inte­ri­sti­tu­to; par­ten­do dall’autoriduzione dell’aumento del prez­zo dei bigliet­ti e dell’abbonamento, dall’organizzazione degli scio­pe­ri e dal bloc­co del­le cor­rie­re, ave­va­mo costrui­to i Comi­ta­ti di linea dei pen­do­la­ri, una for­ma di orga­niz­za­zio­ne di fat­to per­ma­nen­te che ci sareb­be tor­na­ta uti­le l’anno dopo (pag. 44)

Ver­ten­zia­li­tà e ter­ri­to­rio. Que­sta la ricet­ta. E poi ade­gua­ta stru­men­ta­zio­ne orga­niz­za­ti­va: i Col­let­ti­vi come strut­tu­ra gene­ra­le, e poi i Grup­pi Socia­li, i Coor­di­na­men­ti ope­rai, gli orga­ni­smi stu­den­te­schi, tut­to den­tro il mede­si­mo tes­su­to con­net­ti­vo, ani­ma­ti da stru­men­ti di comu­ni­ca­zio­ne col­let­ti­vi – vedi Radio Sher­wood e più tar­di il set­ti­ma­na­le «Auto­no­mia» – in un cre­scen­do di legit­ti­ma­zio­ne socia­le che farà tre­ma­re par­ti­ti e isti­tu­zio­ni.
Tut­ta la tema­ti­ca dell’operaio socia­le, si dispie­ghe­rà pri­ma nel­la pras­si, e poi, dopo, tro­ve­rà una sua siste­ma­tiz­za­zio­ne teo­ri­ca: «Noi vi scor­gem­mo il nostro pun­to di luce nel gio­va­ne pro­le­ta­rio, stu­den­te di un isti­tu­to pro­fes­sio­na­le o tec­ni­co, fre­quen­ta­to­re dell’oratorio par­roc­chia­le, pros­si­mo a var­ca­re le soglie di una fab­bri­chet­ta oppu­re, se fem­mi­na, di un labo­ra­to­rio» (pag. 48)

Dopo di che abbia­mo vol­ta­to pagi­na pri­vi­le­gian­do fin da subi­to la figu­ra dell’operaio socia­le. Aggiun­ge­rei natu­ral­men­te per­ché anche noi ne face­va­mo par­te per età, per­cor­si sco­la­sti­ci, for­me di vita e tut­to que­sto a pre­scin­de­re dai pae­si e dal­le fami­glie di pro­ve­nien­za. In più sen­ti­va­mo di far­ne par­te. Si, c’era que­sto comu­ne sen­ti­re che era dif­fi­ci­le da spie­ga­re, for­se per­ché non c’era nul­la da spie­ga­re; era così e basta. E’ il moti­vo per cui non sia­mo entra­ti in manie­ra signi­fi­ca­ti­va nel­le roc­ca­for­ti dell’operaio mas­sa, nel­la fab­bri­che di tre-quat­tro­cen­to ope­rai dove era il par­ti­to a fare il bel­lo e il cat­ti­vo tem­po. In que­sto caso si sareb­be trat­ta­to di una scel­ta, che non pote­va esse­re la nostra per­ché ci sarem­mo sen­ti­ti come pesci fuor d’acqua. Sono con­vin­to che solo più tar­di Negri comin­ce­rà a valo­riz­za­re la cen­tra­li­tà di que­sta nuo­va com­po­si­zio­ne di clas­se. Da par­te nostra pos­sia­mo dire di aver­lo pro­prio anti­ci­pa­to sul ter­re­no del­la poli­ti­ca pra­ti­ca (pag. 51)

Il dibat­ti­to sul­la com­po­si­zio­ne “tec­ni­ca e poli­ti­ca” di clas­se – e quin­di sull’imputazione del sog­get­to rivo­lu­zio­na­rio – agi­te­rà furio­sa­men­te tut­ta la sini­stra rivo­lu­zio­na­ria e anche la stes­sa area dell’autonomia, sem­pre divi­sa, tra i suoi tre-quat­tro tron­co­ni prin­ci­pa­li, al momen­to di con­ver­ge­re su ipo­te­si di ricom­po­si­zio­ne nazio­na­le. Così come altret­tan­to lace­ran­te sarà la discus­sio­ne, in quell’infuocato decen­nio, sul­la legit­ti­mi­tà del­la lot­ta arma­ta e, in gene­ra­le, sull’uso del­la forza:

L’uso del­la for­za, tra­du­zio­ne sul ter­re­no del­la pra­ti­ca con­tin­gen­te del­la lot­ta arma­ta la cui vali­di­tà sul pia­no stra­te­gi­co non era mes­sa in discus­sio­ne, la com­mi­su­ra­va­mo a que­sto pro­get­to di inter­ven­to ter­ri­to­ria­le e la sua legit­ti­ma­zio­ne pote­va veni­re solo dal­le strut­tu­re e non da fon­ti auto­ri­ta­ti­ve ester­ne. Sen­za que­sta pre­mes­sa, la lot­ta arma­ta avreb­be potu­to svi­lup­par­si solo avvi­tan­do­si su se stes­sa, come di fat­to avven­ne con le BR dopo il seque­stro e l’uccisione di Aldo Moro. Anche se il distin­guo per chi leg­ge oggi potreb­be suo­na­re cap­zio­so, per noi vio­len­za poli­ti­ca ed omi­ci­dio poli­ti­co non furo­no mai la stes­sa cosa. Oggi è tor­na­ta di moda l’idea che solo lo Sta­to è legit­ti­ma­to a usa­re la for­za e che solo la vio­len­za di Sta­to è quel­la legit­ti­ma. È la rivin­ci­ta postu­ma di Hob­bes su Spi­no­za e di Kant su Marx. Eppu­re per noi era diver­so; vera­men­te da que­sto pun­to di vista sia­mo sta­ti i figli di que­sto seco­lo, del­le sue rivo­lu­zio­ni. È alla luce del­la sua sto­ria che abbia­mo potu­to met­te­re in discus­sio­ne quel mono­po­lio di Sta­to con­ser­van­do nel con­tem­po i nostri distin­guo (pag. 53)

Uso dell’illegalità, orga­niz­za­zio­ne, spo­sta­men­to dei rap­por­ti di for­za sui ter­ri­to­ri: «è sta­to duran­te il 76 che abbia­mo ini­zia­to a par­la­re seria­men­te di con­tro­po­te­re, che abbia­mo comin­cia­to a cre­der­ci», cioè è la pra­ti­ca rea­le, il con­sen­so di mas­sa, la vit­to­ria nel­le ver­ten­ze, a dar­ti l’idea che quel­la paro­la tan­te vol­te evo­ca­ta – con­tro­po­te­re – sta­va diven­tan­do eser­ci­zio con­cre­to e quotidiano.

Duran­te tut­to il ’76 con­ti­nuia­mo il nostro radi­ca­men­to in cit­tà e in pro­vin­cia, svi­lup­pia­mo in manie­ra anco­ra più este­sa le pra­ti­che di pro­gram­ma sul sala­rio diret­to e indi­ret­to, il Comi­ta­to Inte­ri­sti­tu­to si radi­ca anco­ra di più nel­le scuo­le, comin­cia­mo a met­te­re pie­de in alcu­ne facol­tà, sem­pre attra­ver­so ex medi; oltre a Scien­ze Poli­ti­che comin­cia­mo ad esse­re mol­to pre­sen­ti a Psi­co­lo­gia e Let­te­re. Iscri­ver­si non costa­vo un caz­zo e l’università era in que­gli anni vera­men­te di mas­sa. Evi­den­te­men­te il ciclo di lot­te par­ti­to nel ’67 nel­le Uni­ver­si­tà di mez­za Ita­lia ave­va dato i suoi frut­ti. Nes­su­no ci ave­va rega­la­to nien­te e quel­lo che ave­va­mo ce l’eravamo gua­da­gna­to. Così Psi­co­lo­gia sta­va diven­tan­do per Pado­va quel­lo che Socio­lo­gia era diven­ta­ta per Tren­to: una buo­na facol­tà di ten­den­za, con bra­vi inse­gna­ti e uno sboc­co garan­ti­to soprat­tut­to per le don­ne. Con Psi­co­lo­gia appro­da a Pado­va lo stu­den­te mas­sa […] ora sono miglia­ia con una com­po­si­zio­ne omo­ge­nea mol­to diver­sa dal­lo stu­den­te tra­di­zio­na­le, espres­sio­ne del­la bor­ghe­sia di un cer­to tipo. Mol­ti di noi si sen­to­no par­te del­la nuo­va com­po­si­zio­ne per cui la scel­ta di que­sta facol­tà non è casua­le. Sic­co­me Psi­co­lo­gia e Let­te­re era­no vici­no a Piaz­za dei Signo­ri, anche noi era­va­mo sem­pre lì in piaz­za al pun­to che que­sta era diven­ta­ta la nostra piaz­za, il nostro cen­tro socia­le: un cock­tail mici­dia­le gra­zie a que­sta com­bi­na­zio­ne di un casi­no di gen­te con carat­te­ri­sti­che nuo­ve, che espri­me­va un’idea diver­sa di stu­dio e del modo di sta­re al mon­do. Ave­va­mo tro­va­to il nostro bro­do di col­tu­ra, let­te­ral­men­te. Qua­le stu­den­te pote­va resi­ste­re al fasci­no dei Col­let­ti­vi? (pag. 58)

Se la real­tà pado­va­na non con­sen­te l’intervento sull’operaio mas­sa, i Coor­di­na­men­ti ope­rai saran­no comun­que uno stru­men­to di ricom­po­si­zio­ne tra la clas­se ope­ra­ia dif­fu­sa dei pic­co­li labo­ra­to­ri e i disoc­cu­pa­ti pro­dot­ti dal pro­ces­so di crisi/​ristrutturazione ini­zia­to nel­la pri­ma metà dei set­tan­ta. La lot­ta agli straor­di­na­ri, diven­ta tema­ti­ca cen­tra­le, per tene­re al cen­tro del­le pra­ti­che la paro­la d’ordine “lavo­ra­re tut­ti lavo­ra­re meno” e in pro­spet­ti­va il rifiu­to del lavo­ro sala­ria­to, come cri­ti­ca all’immolazione del tem­po di vita al moloch del­la pro­du­zio­ne e all’etica lavo­ri­sta, così radi­ca­ta in quel­le terre.

per noi lo straor­di­na­rio, ogni saba­to, in una situa­zio­ne di for­te disoc­cu­pa­zio­ne, dove­va esse­re com­bat­tu­to ovun­que, e non solo nel­le medie e gran­di fab­bri­che, attra­ver­so la ron­da. La ron­da era una for­ma di lot­ta che coin­vol­ge­va soprat­tut­to i disoc­cu­pa­ti; anda­va davan­ti la fab­bri­ca, anche con gli ope­rai del­la fab­bri­ca, per bloc­ca­re lo straor­di­na­rio. A ben vede­re, per i disoc­cu­pa­ti era la sola for­ma di lot­ta pos­si­bi­le, quel­la che resti­tui­va loro digni­tà per­ché per­met­te­va di lot­ta­re per i loro inte­res­si. (pag. 66)

Men­tre i rit­mi del­la lot­ta di clas­se in Ita­lia subi­sco­no dra­sti­che acce­le­ra­zio­ni, si riflet­te con serie­tà sul­la neces­si­tà di non lasciar­si intrap­po­la­re da ideo­lo­gie ter­ri­to­ria­li­ste: c’è biso­gno di un oriz­zon­te nazio­na­le com­ples­si­vo per tra­sfor­ma­re i con­flit­ti dif­fu­si in pro­gram­ma comu­ni­sta.
Il tema dell’Autonomia Ope­ra­ia Orga­niz­za­ta – il nodo, in ulti­ma ana­li­si, del par­ti­to –, tra il ’76 e il ’77 diven­ta sem­pre più strin­gen­te; per i col­let­ti­vi vene­ti signi­fi­ca raf­for­za­re l’asse con gli orga­ni­smi mila­ne­si di «Ros­so», sta­bi­len­do la nuo­va real­tà orga­niz­za­ti­va, anche median­te un signi­fi­ca­ti­vo cam­bio del­la testa­ta del giornale:

A san­ci­re la nuo­va casa comu­ne sarà «Ros­so per il pote­re ope­ra­io» il cui pri­mo nume­ro è del novem­bre 1977, che non a caso apre sul tema dell’Organizzazione nazio­na­le dell’Autonomia. […] Da par­te nostra vole­va­mo che i nostri inter­lo­cu­to­ri intan­to con­di­vi­des­se­ro l’idea che il nuo­vo ciclo di movi­men­to fos­se final­men­te pro­mos­so e orga­niz­za­to dall’Autonomia; in secon­do luo­go, che l’organizzazione ven­ti­la­ta fos­se lega­ta ad alcu­ni pun­ti, in pri­mis il radi­ca­men­to ter­ri­to­ria­le a garan­zia dell’effettiva con­si­sten­za di quan­ti si fos­se­ro dichia­ra­ti d’accordo col pro­get­to. […] Da que­sto pun­to di vista era­va­mo inte­res­sa­ti a par­la­re solo con chi era espres­sio­ne di un per­cor­so pro­prio, radi­ca­to, rea­le e gros­so. […] Una pri­ma rispo­sta è sta­ta quin­di quel­la di un pat­to fede­ra­ti­vo tra real­tà orga­niz­za­te e radi­ca­te sul pia­no ter­ri­to­ria­le, capa­ci di rap­pre­sen­ta­re in ter­mi­ni qua­li­ta­ti­vi e quan­ti­ta­ti­vi for­me rea­li di ricom­po­si­zio­ne di clas­se. (pag. 92)

I tem­pi incal­za­no, esal­tan­ti e fero­ci. I vene­ti attra­ver­sa­no e si lascia­no attra­ver­sa­re dal movi­men­to del ’77, inten­si­fi­can­do anco­ra di più il pro­ces­so di matu­ra­zio­ne orga­niz­za­ti­vo. Die­tro l’angolo, però, c’è già il 1978, l’anno del seque­stro Moro e di un ulte­rio­re scom­pa­gi­na­men­to di qual­sia­si illu­sio­ne di un ordi­na­to e pro­gres­si­vo accu­mu­lo di for­za dell’autonomia ope­ra­ia. Ram­men­ta Pie­ro Despali:

Anch’io ricor­do bene che come mili­tan­te dei col­let­ti­vi vene­ti non mi sfug­gì la por­ta­ta di quell’operazione mili­ta­re. Nono­stan­te che del ’77 non aves­se­ro capi­to un caz­zo, che fos­se­ro anco­ra lega­ti alla gran­de fab­bri­ca già ristrut­tu­ra­ta e che si fos­se­ro mos­si in asso­lu­ta auto­no­mia impo­nen­do­ci dall’alto la loro deci­sio­ne, pen­sai che que­sta vol­ta era diver­so, e che a fare la dif­fe­ren­za era pro­prio la poten­za mili­ta­re espres­sa in via Fani; que­sta stes­sa poten­za – era il mio timo­re – avreb­be potu­to fun­zio­na­re come un ipo­te­ca del loro pro­get­to poli­ti­co rispet­to a tut­to. A mag­gior ragio­ne l’urgenza di apri­re una bat­ta­glia poli­ti­ca per con­tra­star­la. […] La nostra rispo­sta era obbli­ga­ta e non basta­va dire che il nostro nemi­co era lo Sta­to. Dove­va­mo rispon­de­re anche alle Br affron­tan­do di pet­to talu­ni aspet­ti del­la nostra pro­po­sta alter­na­ti­va, in pri­mis quel­lo dell’Organizzazione che non c’era. Se pri­ma di Moro i tem­pi che ave­va­mo pre­so in con­si­de­ra­zio­ne era­no più o meno lun­ghi, ades­so biso­gna­va acce­le­ra­re. È in que­sta otti­ca che va let­to l’articolo di Toni sul par­ti­to dell’Autonomia nel nume­ro di «Ros­so per il pote­re ope­ra­io» di Mag­gio. Si trat­ta di un acco­ra­to appel­lo a met­te­re mano al Par­ti­to. (pagg. 98–99)

Mol­to luci­da la let­tu­ra degli effet­ti del dopo Moro e del­la “geo­me­tri­ca poten­za” di via Fani den­tro al movi­men­to: nasce la cate­go­ria poli­ti­co-socio­lo­gi­ca del­la tifoseria.

Il tifo­so è quel­lo che si affa­sci­na, che non ragio­na più sugli effet­ti per­ché non ha il pro­ble­ma di anda­re il gior­no dopo a costrui­re qual­co­sa di poli­ti­ca­men­te uti­le, ragio­na in for­ma astrat­ta […] Die­tro la sua ombra puoi scor­ge­re in con­tro­lu­ce quel­lo che sma­net­ta al com­pu­ter, par­la di tut­to, se ne sta a casa sua, non ha alcun rap­por­to con la real­tà. (pag. 103)

I Col­let­ti­vi intan­to, spe­ri­men­ta­no livel­li sem­pre più alti di ille­ga­li­tà, fino ad arri­va­re alla “cri­ti­ca del­le armi”. Que­sti pas­sag­gi sono però tut­ti inter­ni ai livel­li orga­niz­za­ti­vi, alle cam­pa­gne, alle sca­den­ze di movi­men­to, e non giun­ge­ran­no mai all’uso dell’omicidio come “pro­pa­gan­da arma­ta”. Le “not­ti dei fuo­chi” con la riap­pro­pria­zio­ne manu mili­ta­ri di pez­zi di ter­ri­to­rio e il san­zio­na­men­to di mas­sa di pre­ci­si obiet­ti­vi poli­ti­ci, reste­ran­no esem­pi impor­tan­ti nel pano­ra­ma nazionale.

Si arri­va così al 1979, alla sta­gio­ne del set­te apri­le – e alle inchie­ste suc­ces­si­ve, con la pesca “a stra­sci­co” pra­ti­ca­ta con lar­ghez­za dagli inqui­ren­ti den­tro al movi­men­to. Il teo­re­ma Calo­ge­ro postu­la l’esistenza di un’assurda cupo­la uni­ta­ria che ha ete­ro­di­ret­to tut­ti i fer­men­ti rivo­lu­zio­na­ri in Ita­lia, dal ’69 ad allo­ra. La costru­zio­ne giu­ri­di­ca mani­co­mia­le giun­ge­rà all’indicazione di Negri come tele­fo­ni­sta del­le BR.

Pie­ro Despa­li si farà 13 anni da lati­tan­te. Gia­co­mo sei anni in car­ce­re. Con loro tan­ti altri qua­dri e mili­tan­ti. Con malin­co­ni­ca fran­chez­za, i due nar­ra­to­ri ricor­da­no che più del­le pro­vo­ca­zio­ni calo­ge­ria­ne, ebbe un effet­to lace­ran­te la tra­ge­dia di Thie­ne – tre gio­va­ni mili­tan­ti dei col­let­ti­vi ucci­si dall’esplosione acci­den­ta­le di un ordi­gno che dove­va ser­vi­re nel­la cam­pa­gna di rispo­sta agli arre­sti del 7 apri­le, con il tra­gi­co corol­la­rio del sui­ci­dio in car­ce­re di un quar­to mili­tan­te, Loren­zo Bor­to­li, due mesi dopo. Il decen­nio Set­tan­ta si chiu­de nel­le con­di­zio­ni di mas­si­ma durez­za immaginabili.

La sta­gio­ne di cac­cia di Calo­ge­ro sarà lun­ga e fago­ci­te­rà sto­rie, vite, mili­tan­za in tut­ta Ita­lia, come una schiac­cia­sas­si. Gli ulti­mi pro­ces­si si con­clu­de­ran­no alla fine degli anni ’80. Gli auto­no­mi vene­ti si ritro­ve­ran­no in car­ce­re a con­fron­tar­si con due pas­sag­gi, anche uma­na­men­te, lace­ran­ti: da una par­te l’egemonia del­le BR che cer­ca­no di tra­sfor­ma­re il car­ce­re in un pro­prio fron­te di orga­niz­za­zio­ne; dall’altro lo svi­lup­po del movi­men­to del­la dis­so­cia­zio­ne, tan­to più lace­ran­te e peri­co­lo­so, per­ché coin­vol­gen­te nomi che ave­va­no rap­pre­sen­ta­to mol­to nel­la sto­ria dell’autonomia.
Tra que­sti set­to­ri e i giu­di­ci ini­zia un dia­lo­go, che diven­te­rà sem­pre più gra­vi­do di conseguenze:

Se vuoi, e per sem­pli­fi­ca­re al mas­si­mo, men­tre per noi resta­va vali­do l’assunto comu­ni­sta del­lo “Sta­to si abbat­te e non si cam­bia”, per loro, inve­ce, da nemi­co asso­lu­to lo Sta­to diven­ta­va un sog­get­to con cui pote­vi tran­quil­la­men­te dia­lo­ga­re, il che com­por­ta­va la mes­sa in mora di ogni for­ma di lot­ta arma­ta fina­liz­za­ta per l’appunto alla sua distru­zio­ne. È il moti­vo per cui que­sti stes­si com­pa­gni pen­sa­va­no di poter spie­ga­re al giu­di­ce – istrut­to­re, inqui­ren­te o giu­di­can­te, poco impor­ta – le buo­ne ragio­ni dell’Autonomia con­trap­po­ste alle cat­ti­ve ragio­ni del­le BR. Rite­ne­va­no di poter con­vin­ce­re i giu­di­ci del­la loro diver­si­tà che pen­sa­va­no abis­sa­le per cui, a par­ti­re da que­ste con­si­de­ra­zio­ni, il trat­ta­men­to con­se­guen­te avreb­be dovu­to esse­re diver­si­fi­ca­to (pag. 144)

Avvia­to il dia­lo­go con i magi­stra­ti “illu­mi­na­ti”, ela­bo­ra­ti alcu­ni docu­men­ti poli­ti­ci che dove­va­no fare da spar­tiac­que, ini­ziò la for­ma­zio­ne del­le “aree omo­ge­nee” den­tro le car­ce­ri. Il pro­ces­so del­la dis­so­cia­zio­ne era pie­na­men­te avvia­to e si con­clu­de­rà con la leg­ge 34 del 1987.

Ma io, e con me gli altri com­pa­gni dei Col­let­ti­vi, da chi avrei dovu­to dis­so­ciar­mi? Noi ave­va­mo sem­pre dato bat­ta­glia ai com­pa­gni del­le BR con­dan­nan­do­ne le dege­ne­ra­zio­ni nel men­tre si dava­no, ma la nostra era una bat­ta­glia poli­ti­ca, men­tre que­sta del­la dis­so­cia­zio­ne, di poli­ti­co non ave­va nul­la per­ché a con­dur­re il gio­co era lo Sta­to, quel­lo Sta­to che i com­pa­gni, che la dis­so­cia­zio­ne ave­va­no pro­mos­so, dice­va­no di aver sem­pre com­bat­tu­to. Noi la bat­ta­glia pro­ces­sua­le l’abbiamo con­dot­ta aven­do sem­pre di mira le lot­te fuo­ri dal car­ce­re. Que­sti com­pa­gni ave­va­no pre­fe­ri­to l’autoreferenzialità, vesten­do i pan­ni di un ceto poli­ti­co sepa­ra­to, con il «Il Mani­fe­sto» come mega­fo­no e il dia­lo­go con le isti­tu­zio­ni come il loro impe­gno pre­ci­puo. Comun­que sia, il mon­do car­ce­ra­rio si divi­de­rà pre­sto nei due emi­sfe­ri dei dis­so­cia­ti e degli irri­du­ci­bi­li, per cui il dilem­ma di sta­re con gli uni o con gli altri sarà il rovel­lo di chi, pre­so atto che ter­tium non datur, si tro­va­va costret­to a navi­ga­re, come dice il poe­ta, in acque peri­glio­se e a guar­dar­si le spal­le dagli uni e dagli altri […] Chi era­va­mo? Non poten­do ricon­dur­re la mia esi­sten­za di car­ce­ra­to al con­cet­to di dis­so­cia­to, pen­ti­to, irri­du­ci­bi­le bri­ga­ti­sta, per quan­to mi riguar­da ave­vo opta­to per il sin­tag­ma nomi­na­le “pri­gio­nie­ro poli­ti­co comu­ni­sta” (pagg. 145–146)

Sono anni di rot­tu­re uma­ne, di disgre­ga­zio­ne di una comu­ni­tà poli­ti­ca e car­ce­ra­ria che per lun­go tem­po segne­rà le vite di chi attra­ver­sò quel­le espe­rien­ze lace­ran­ti. La sto­ria dei Col­let­ti­vi fini­sce più o meno in que­sta tem­pe­rie infuo­ca­ta. Nasce il Movi­men­to Comu­ni­sta Vene­to (arti­co­la­zio­ne ter­ri­to­ria­le di una pro­po­sta nazio­na­le mai decol­la­ta) e anche la nar­ra­zio­ne dei due fra­tel­li pro­ta­go­ni­sti del­la sto­ria, si inter­rom­pe, non sen­za qual­che neces­sa­rio ele­men­to di bilancio.

I Col­let­ti­vi Poli­ti­ci Vene­ti per il pote­re ope­ra­io, saran­no l’organizzazione auto­no­ma più radi­ca­ta e per­si­sten­te del­la sto­ria, insie­me ai Comi­ta­ti auto­no­mi roma­ni: ma con un agi­re da par­ti­to – una ten­den­za al par­ti­to, potrem­mo dire – più evi­den­te e coe­ren­te. I miti­ci “pado­va­ni” era­no sem­pre addi­ta­ti come esem­pio da segui­re nel rigo­re orga­niz­za­ti­vo; non si trat­ta­va di fis­sa­zio­ne orga­niz­za­ti­vi­sti­ca, ma di meto­do: tut­ta la pro­du­zio­ne di auto­va­lo­riz­za­zio­ne pro­le­ta­ria, dove­va “costi­tuir­si” in un livel­lo strut­tu­ra­to di con­tro­po­te­re, dar­si una for­ma, una visi­bi­li­tà; e l’autonomia ope­ra­ia orga­niz­za­ta era lo sfor­zo inter­no, a que­sti movi­men­ti, per ele­va­re l’antagonismo socia­le in pro­spet­ti­va comu­ni­sta. I col­let­ti­vi poli­ti­ci – tra mobi­li­tà del­le for­me e sapien­ti fun­zio­ni di accen­tra­men­to – furo­no lo stru­men­to uti­le a svol­ge­re quel ruo­lo in quel­la fase.

Solo la for­za dell’insediamento e la con­ti­nui­tà del meto­do, per­mi­se­ro all’autonomia ope­ra­ia vene­ta di soprav­vi­ve­re e ritro­var­si, anco­ra in pie­di, nel decen­nio suc­ces­si­vo. Tra i fal­li­men­ti nazio­na­li, lo scom­pa­gi­na­men­to pro­dot­to dal­le inchie­ste e dal­la gale­ra, le gran­di scon­fit­te socia­li, solo un orga­niz­za­zio­ne soli­da pote­va soprav­vi­ve­re a que­sto tsu­na­mi e, sia pur pie­na di cerot­ti e stam­pel­le, l’autonomia vene­ta res­se. Sono anco­ra dispo­ni­bi­li in rete le bel­lis­si­me imma­gi­ni ama­to­ria­li del­la mani­fe­sta­zio­ne cit­ta­di­na a Pado­va, con­vo­ca­ta per l’assassinio di Pie­tro Gre­co, nel­la pri­ma­ve­ra del 1985. Fu l’occasione del­la rot­tu­ra del “copri­fuo­co” impo­sto alle mani­fe­sta­zio­ni di piaz­za a Pado­va, fin dall’aprile 1979. Si vedo­no mol­ti ragaz­zi e ragaz­ze, in quel­le imma­gi­ni un po’ sgra­na­te, che riven­di­ca­no il nome di quel loro fra­tel­lo mag­gio­re che non conob­be­ro, ammaz­za­to come un cane in un aggua­to sbir­re­sco – ragaz­zi che non ave­va­no cono­sciu­to gli anni ’70 ma che ave­va­no scel­to di esse­re lì, in piaz­za, a rac­co­glie­re quel­le ban­die­re, a riven­di­ca­re una memo­ria, a guar­da­re al futu­ro. Calo­ge­ro era sta­to sconfitto.

Trat­to da: https://www.carmillaonline.com/2020/03/11/quella-persistente-memoria-autonoma/

Mostri pieni di speranza

Mostri pieni di speranza

La sto­ria dei Col­let­ti­vi poli­ti­ci vene­ti rac­con­ta­ta dai suoi pro­ta­go­ni­sti. Il VI volu­me degli Auto­no­mi rico­strui­sce, attra­ver­so le voci di Pie­ro e Gia­co­mo Despa­li, il lun­go Ses­san­tot­to ita­lia­no nel ter­ri­to­rio – il Nord Est – che più di altri sarà inve­sti­to dal muta­men­to pro­dut­ti­vo e poli­ti­co del­la Secon­da Repubblica

di Fran­ce­sco Raparelli

7 apri­le 2020

Mili­tan­te com­ples­si­vo. Sem­bre­reb­be, di pri­mo acchi­to, quel­lo «di pro­fes­sio­ne» pre­sen­ta­to da Lenin nel Che fare? Eppu­re, non è la stes­sa cosa. È un modo di esse­re del sog­get­to rivo­lu­zio­na­rio nel­la tran­si­zio­ne nove­cen­te­sca, il sal­to d’epoca che dal for­di­smo, e dal­lo Sta­to key­ne­sia­no, pro­ce­de ver­so la socie­tà del gene­ral intel­lect. Un mili­tan­te comu­ni­sta e com­bat­ten­te, cer­to, ma del tut­to inter­no al pro­le­ta­ria­to gio­va­ni­le, nel­la sua «gran­de tra­sfor­ma­zio­ne». Orga­niz­za­to­re rigo­ro­so, è vero, ma desi­de­ro­so di assa­po­ra­re i Grun­dris­se di Marx o gli Illu­mi­ni­sti. Agi­ta­to­re davan­ti ai can­cel­li del­le fab­bri­che, senz’altro, ma pure e soprat­tut­to nel­le piaz­ze libe­re, ascol­tan­do i Led Zep­pe­lin e pro­get­tan­do un lun­go viag­gio. Un roma­no del­la spe­cie in que­stio­ne, scom­par­so trop­po pre­sto, per ritrar­re fat­tez­ze e com­por­ta­men­ti del­la nuo­va figu­ra pro­dut­ti­va, dell’intel­let­tua­li­tà di mas­sa, usò un’espressione avvin­cen­te: hope­ful­mon­sters; in gene­ti­ca, i mostri pie­ni di spe­ran­za che scan­di­sco­no i sal­ti evo­lu­ti­vi. Sfug­ge ai più, ma la com­par­sa del­le figu­re ormai fin trop­po note del lavo­ro cogni­ti­vo – pove­ro di sala­rio, pre­ca­rio di con­trat­to, ric­co di com­pe­ten­ze e capa­ci­tà impren­di­to­ria­li – ha un pre­ce­den­te nel mili­tan­te com­ples­si­vo degli ita­li­ci anni Set­tan­ta. Mostro pie­no di spe­ran­za, appun­to.

Il libro-inter­vi­sta a cura di Mim­mo Ser­san­te, il VI volu­me Deri­veAp­pro­di dedi­ca­to alla sto­ria dell’Autonomia Ope­ra­ia, ha per pro­ta­go­ni­sti due mili­tan­ti com­ples­si­vi di Pado­va: due fra­tel­li di ori­gi­ne dal­ma­ta, Pie­ro e Gia­co­mo Despa­li. La loro sto­ria por­ta con sé e rac­con­ta quel­la dei Col­let­ti­vi poli­ti­ci vene­ti, vicen­da nata dopo lo scio­gli­men­to del grup­po Pote­re Ope­ra­io e con­clu­sa dal­la furia repres­si­va che ha ini­zio il 7 apri­le del 1979. Il volu­me, com­po­sto anche da sche­de, inter­vi­ste e docu­men­ti, diver­te e appas­sio­na chi i fra­tel­li li cono­sce e li ha fre­quen­ta­ti, ma sol­le­ci­ta anche i gio­va­ni che da non mol­to si sono but­ta­ti nel­la mischia. Il rac­con­to è den­so e impe­gna­ti­vo, inten­dia­mo­ci. Eppu­re c’è rit­mo: la for­ma del dia­lo­go è quel­la giu­sta, per­ché sen­za poli­fo­nia non c’è sto­ria di que­gli anni; il ricor­do del­le gesta, giu­sta­men­te orgo­glio­so, non sfug­ge alla lama dell’autocritica; il det­ta­glio bio­gra­fi­co, che pure com­pa­re, è sem­pre aggan­cia­to ai sus­sul­ti dell’epoca.

Pro­via­mo a indi­vi­dua­re alcu­ni pun­ti sin­go­la­ri, che orien­ta­no e muo­vo­no la lettura.

Il ter­ri­to­rio. Un Mao non dog­ma­ti­co inse­gna ai pado­va­ni che la spa­zio non è già dato, sta­ti­co. È piut­to­sto dina­mi­co, ha a che fare con la fab­bri­ca che si fa socie­tà, con la pro­du­zio­ne che divie­ne coe­sten­si­va alla ripro­du­zio­ne. Non stu­pi­sce, allo­ra, che il ter­ri­to­rio sia in pri­mo luo­go quel­lo dei pen­do­la­ri, la mer­ce for­za-lavo­ro, sia essa in for­ma­zio­ne o già impie­ga­ta, che si muo­ve e cir­co­la. Non è Mao, ma è Marx ovvia­men­te, quel­lo acu­mi­na­to dell’operaismo dei “Qua­der­ni ros­si” e di “Clas­se ope­ra­ia”, quel­lo che ha il nome di Toni Negri e dell’Istituto di Scien­ze Poli­ti­che dell’Università di Pado­va. Il gio­co del go, però, indi­ca che il ter­ri­to­rio va strap­pa­to, occu­pa­to. È nel ter­ri­to­rio che si fa la «base ros­sa», il con­tro­po­te­re, ovve­ro un dua­li­smo di pote­re per­ma­nen­te, che non ambi­sce alla pre­sa del Palaz­zo d’Inverno. È nel ter­ri­to­rio che il nuo­vo sog­get­to pro­le­ta­rio – sco­la­riz­za­to, osti­le alla fati­ca sala­ria­ta, intra­pren­den­te – si com­po­ne e fa del­la sua esi­sten­za, del suo desi­de­rio di cono­scen­za, tra­ma offensiva.

La muta. Il com­bat­ten­te non è un clan­de­sti­no, e nem­me­no un «tifo­so». Ha sem­pre in men­te l’adagio di Lukács – da Lenin sem­pre ispi­ra­to: «per lot­ta­re effi­ca­ce­men­te con­tro la bor­ghe­sia, occor­re varia­re di con­ti­nuo le armi lega­li e ille­ga­li e spes­so uti­liz­zar­le con­tem­po­ra­nea­men­te nel­le stes­se que­stio­ni». Non si trat­ta di eroi roman­ti­ci, né di mona­ci del­la III Inter­na­zio­na­le: meglio pen­sa­re ai lupi. Il mas­si­mo teo­ri­co del­la sovra­ni­tà sta­ta­le, ovve­ro Tho­mas Hob­bes, defi­ni­reb­be le mute di lupi «siste­mi irre­go­la­ri». Cosa inten­de­va il misan­tro­po? Il fede­ra­li­smo con­tro lo Sta­to, l’uso col­let­ti­vo del­la for­za con­tro il Levia­ta­no. Il mostro bibli­co, che fa il popo­lo con­tro la mol­ti­tu­di­ne, teme fol­le­men­te la mol­ti­tu­di­ne con­tro il popo­lo. C’è dun­que una lun­ga tra­di­zio­ne che pre­ce­de e sol­le­ci­ta gli auto­no­mi vene­ti, e non solo loro ovvia­men­te (pen­sia­mo a Roma, Mila­no, Bolo­gna): quel­la che ritie­ne rego­la la sedi­tio e leg­ge il com­pro­mes­so tem­po­ra­neo; quel­la che strin­ge pat­ti bat­ta­glian­do, ma respin­ge i con­trat­ti e il dirit­to privato.

Biblio­te­ca. I pri­mi sag­gi del mate­ria­li­smo, quel­lo razio­na­le e quel­lo sto­ri­co, Pie­ro e Gia­co­mo li tro­va­no tra i libri degli Isti­tu­ti tec­ni­ci fre­quen­ta­ti. Si chia­ma mobi­li­tà socia­le. La lot­ta ope­ra­ia e il lun­go Ses­san­tot­to ita­lia­no sono in pri­mo luo­go que­sto: «non farò la tua stes­sa spor­ca vita», lamen­ta­va Clau­dio Lol­li. Rifiu­to del lavo­ro è sì com­bat­ti­men­to, ma per­ché è desi­de­rio di cono­scen­za, di socia­li­tà altra. I fra­tel­li Despa­li, ed è for­se il movi­men­to più bel­lo del rac­con­to, fan­no del­le loro let­tu­re le pro­ta­go­ni­ste del­la sce­na, al pari del pic­chet­to e del­la men­sa auto­ge­sti­ta, degli scon­tri e del­le assem­blee del 1977. L’operaismo è la sco­per­ta di un Marx sco­no­sciu­to, dal Pci e dal­la sini­stra mano­mes­so e mal­trat­ta­to. Ed è una chia­ve per met­te­re in scac­co Fran­co­for­te e la sua Scuo­la. Ma ci sono anche Geor­ge Jack­son e Ange­la Davis. C’è il Set­te­cen­to fran­ce­se che pre­pa­ra la rivo­lu­zio­ne bor­ghe­se, c’è la Fran­cia di Fou­cault e Deleu­ze. Il mili­tan­te com­ples­si­vo sco­pre mon­di, pre­pa­ran­do le sue armi.

Essen­do una sto­ria dei Col­let­ti­vi poli­ti­ci, il rac­con­to si fer­ma con la deva­sta­zio­ne repres­si­va di Calo­ge­ro e teo­re­mi vari. È vero però che, se c’è un ele­men­to dav­ve­ro sin­go­la­re dell’Autonomia vene­ta, que­sto è la sua con­ti­nui­tà, la capa­ci­tà di rilan­cia­re l’innovazione poli­ti­ca con la sta­gio­ne dei cen­tri socia­li, col «popo­lo di Seat­tle», col movi­men­to dei Forum socia­li. È vero pure che inter­ru­zio­ne vi fu. Per la repres­sio­ne, indub­bia­men­te, ma per un pro­ble­ma più rile­van­te, che anco­ra ci afflig­ge: qua­le il rove­scio del­la fab­bri­ca post­for­di­sta? Il movi­men­to dell’Autonomia, che anti­ci­pa il sal­to d’epoca, vie­ne dal­lo stes­so supe­ra­to. I mostri pie­ni di spe­ran­za si fan­no recal­ci­tran­ti alla for­ma par­ti­to, più in gene­ra­le all’organizzazione, pre­fe­ren­do l’exit alla voi­ce. Pro­ble­ma di ieri, nel­la tran­si­zio­ne in cor­so; pro­ble­ma di oggi, con la tran­si­zio­ne fini­ta da un pez­zo e il neo­li­be­ra­li­smo, con­tro­ri­vo­lu­zio­ne per­ma­nen­te, che pas­sa di cri­si in crisi.

Nel­la foto 28/​05/​1975: scon­tri a Pado­va per impe­di­re il comi­zio del pre­si­den­te dell’Msi Covel­li (via col­let­ti­vi­po­li­ti­ci­ve­ne­ti)

Trat­to da: https://www.dinamopress.it/news/mostri-pieni-speranza

Gli autonomi e gli anni 70 in un’obiettiva storia di parte

Gli autonomi e gli anni 70 in un’obiettiva storia di parte

Le vicen­de dei col­let­ti­vi comu­ni­sti che ani­ma­ro­no il decen­nio più inten­so del secon­do Nove­cen­to arri­va al sesto volu­me, per i tipi di Deriveapprodi.

La neces­si­tà di dis­so­da­re il cam­po vasto del rea­le spin­ge ogni intra­pre­sa col­let­ti­va a de-scri­ver­si per non diven­ta­re ogget­to pas­si­vo e impo­ten­te del­la espo­si­zio­ne e del­la clas­si­fi­ca­zio­ne altrui. Da que­sta pre­mes­sa muo­vo­no Ser­gio Bian­chi e il suo col­let­ti­vo Deri­veap­pro­di nell’editare il sesto volu­me de Gli auto­no­mi per nar­ra­re, sen­za com­pen­dia­re, e docu­men­ta­re cri­ti­ca­men­te l’organizzazione, la for­ma e le pra­ti­che poli­ti­che del comu­ni­smo ope­rai­sta in Ita­lia. Testi da appro­fon­di­re in par­ti­co­la­re da par­te di stu­dio­si e mili­tan­ti che per ragio­ni ana­gra­fi­che non han­no vis­su­to que­gli anni. Appro­fon­di­men­to ancor più neces­sa­rio sul­la secon­da par­te degli anni Set­tan­ta, anni che una cer­ta sto­rio­gra­fia ha defi­ni­to “anni di piom­bo” e che non van­no esal­ta­ti in una con­tro-meta­fo­ra metal­lur­gi­ca come età dell’oro del­le lot­te socia­li. Esal­ta­zio­ne e autoe­sal­ta­zio­ne che non c’è negli auto­ri – mas­si­mi diri­gen­ti dei col­let­ti­vi poli­ti­ci vene­ti – Gia­co­mo e Pie­ro Despa­li che, con Mar­zio, Ste­fa­no, Eli­sa­bet­ta e San­dro, ne affron­ta­no ana­li­ti­ca­men­te tut­to il ciclo di militanza.

I col­let­ti­vi sono par­te fon­da­men­ta­le del movi­men­to di tra­sfor­ma­zio­ne poli­ti­ca in que­sto arco tem­po­ra­le: dal­la fine dell’organizzazione Pote­re Ope­ra­io con il con­ve­gno di Roso­li­na, i pri­mi di giu­gno 1973, alla mor­te acci­den­ta­le di tre mili­tan­ti a Thie­ne, il gior­no 11 apri­le 1979, neĺ­la pre­pa­ra­zio­ne di un ordi­gno rudi­men­ta­le. Movi­men­to che, quin­di, non crol­la con l’operazione mas­si­ma nel­la sto­ria del­la repres­sio­ne ita­lia­na, gli arre­sti del 7 apri­le 1979, ma nel pri­mo e uni­co even­to tra­gi­co inter­no all’organizzazione che ave­va mani­fe­sta­to il fat­to che “si era arri­va­ti alla resa dei con­ti del ciclo di lot­te ope­ra­ie e pro­le­ta­rie degli anni Set­tan­ta”, vale a dire con la secon­da onda­ta di arre­sti l’11 mar­zo 1980 (pag. 126).

Il libro va let­to a ritro­so, par­ten­do dal­la sezio­ne docu­men­ta­le, che per scel­ta degli auto­ri e del cura­to­re Mim­mo Ser­san­te chia­ri­sce in quat­tro pas­sag­gi chi sono e cosa voglio­no i col­let­ti­vi, un sog­get­to poli­ti­co orga­niz­za­to del­la clas­se fina­liz­za­to alla rot­tu­ra trau­ma­ti­ca del capi­ta­li­smo, tan­to come modo di pro­du­zio­ne quan­to come stru­men­to di ripro­du­zio­ne sociale.

Quat­tro docu­men­ti appar­te­nen­ti al gene­re let­te­ra­rio del docu­men­to poli­ti­co, gene­re – come giu­sta­men­te osser­va­to – sot­to­po­sto più di altri all’insidia del tem­po, come il sopra­bi­to: “lo ripo­ni con cura nell’armadio per tirar­lo fuo­ri chi sa quan­do” (pag. 205). Ma gene­re infi­ni­ta­men­te più accon­cio degli atti di un giu­di­ce istrut­to­re, di un sosti­tu­to pro­cu­ra­to­re o di una abbor­rac­cia­ta com­mis­sio­ne bica­me­ra­le a descri­ve­re il pro­get­to, la pras­si e la tem­pe­rie in cui que­sti si inse­ri­sco­no. I col­let­ti­vi, dun­que, ave­va­no due strut­tu­re di dire­zio­ne com­ples­si­va: la com­mis­sio­ne fab­bri­che e la com­mis­sio­ne poli­ti­ca, a ripro­va del fat­to che l’intervento di mas­sa e l’intervento mili­ta­re doves­se­ro esse­re fina­liz­za­ti sem­pre alla ricom­po­si­zio­ne di classe.

Nes­su­na con­ces­sio­ne è offer­ta all’insurrezionalismo, in fon­do il pun­to teo­ri­co su cui PotOp si era divi­so, ma una lot­ta di lun­ga di dura­ta, di movi­men­to e al con­tem­po di posi­zio­ne, con la costru­zio­ne di basi ros­se per dispie­ga­re sul ter­ri­to­rio un con­tro­po­te­re anche fon­da­to sull’illegalità dif­fu­sa. E nes­su­na con­ces­sio­ne nem­me­no all’omicidio poli­ti­co, sin­to­mo dell’autismo del­le prin­ci­pa­li for­ma­zio­ni lot­tar­ma­ti­ste pas­sa­te dall’attacco al cuo­re del­lo Sta­to alla giu­sti­zia som­ma­ria (pag. 240). Risul­ta­no evi­den­ti i prin­ci­pa­li rife­ri­men­ti poli­ti­ci dei col­let­ti­vi: il maoi­smo e il leni­ni­smo, che ven­go­no appro­fon­di­ti con spe­ci­fi­che sche­de (pagg. 196–200). Rife­ri­men­ti mol­to tra­di­zio­na­li sal­vo nel­la scel­ta di aver agi­to da par­ti­to sen­za il soste­gno di un par­ti­to (pag. 28).

La par­te più memo­ria­li­sti­ca non lascia spa­zio ad alcun det­ta­glio inu­ti­le al fine di rico­strui­re la gene­ra­zio­ne di rivo­lu­zio­na­ri di mestie­re che agi­va in que­gli anni nel pado­va­no, nel vicen­ti­no, nel rodi­gi­no e nel por­de­no­ne­se. Trat­tan­do­si di un movi­men­to gene­ra­zio­na­le, non casual­men­te, resta sul­lo sfon­do la vicen­da di Por­to Mar­ghe­ra, dove sus­si­ste­va­no una clas­se diri­gen­te pro­ta­go­ni­sta del­le lot­te ope­ra­ie fin dal ’68, come Augu­sto Fin­zi, e una spe­ci­fi­ci­tà nell’organizzazione poli­ti­ca dal Comi­ta­to auto­no­mo del Petrol­chi­mi­co disar­ti­co­la­to­si col fini­re di PotOp e in cui la rico­stru­zio­ne dell’intervento in fab­bri­ca fu più inter­ge­ne­ra­zio­na­le tra qua­dri di fab­bri­ca già esper­ti, come Arman­do Pen­zo e Fran­co Bel­lot­to, avvi­ci­na­ti dal­le nuo­ve leve. In tale con­te­sto tut­to divie­ne più com­pli­ca­to, alla luce del ruo­lo svol­to dal­lo Sta­to con le sue par­te­ci­pa­zio­ni sta­ta­li, il qua­le eser­ci­ta­va il coman­do del­la pro­du­zio­ne, in par­ti­co­la­re chi­mi­ca e navalmeccanica. 

Il trat­to distin­ti­vo dell’organizzazione è dato dal­la sua com­po­si­zio­ne socia­le, costi­tui­ta dal­la figu­ra dell’operaio socia­le in tut­te le sue decli­na­zio­ni: i pro­le­ta­ri e sot­to­pro­le­ta­ri inse­ri­ti nel­la filie­ra del­la fab­bri­ca dif­fu­sa, gli stu­den­ti medi di for­ma­zio­ne tec­ni­ca, gli uni­ver­si­ta­ri che, a miglia­ia, approc­cia­no per la pri­ma vol­ta la for­ma­zio­ne tra Magi­ste­ro, Psi­co­lo­gia e, ovvia­men­te, Scien­ze poli­ti­che, base ros­sa per anto­no­ma­sia. Sono i fra­tel­li mino­ri e più for­tu­na­ti dell’operaio mas­sa, pro­ta­go­ni­sta di Voglia­mo tut­to, che dal­la cam­pa­gna vene­ta mar­cia­no divi­si per col­pi­re uni­ti la ter­ri­to­ria­liz­za­zio­ne del­la valo­riz­za­zio­ne del capi­ta­le che si espri­me nel­la mol­ti­pli­ca­zio­ne del­le fab­bri­che, del­le ban­che e del­le sedi uni­ver­si­ta­rie. Per rispon­de­re a que­sta ristrut­tu­ra­zio­ne biso­gna­va costrui­re una “nuo­va allean­za” tra i con­si­gli di fab­bri­ca, da con­trol­la­re da den­tro e da fuo­ri da un lato e, dall’altro lato, tra col­let­ti­vi ter­ri­to­ria­li in lot­ta con­tro il caro­vi­ta, per il dirit­to all’abitare e all’acculturamento. 

E una nuo­va leva di sta­ta­li e para­sta­ta­li attrat­ti nel ciclo di pro­du­zio­ne dei ser­vi­zi pub­bli­ci dal­le rifor­me del com­pro­mes­so di attua­zio­ne costi­tu­zio­na­le: in fer­ro­via, all’Enel, negli ospe­da­li, nel­le scuole.

Il radi­ca­men­to for­tis­si­mo sul ter­ri­to­rio è cro­ce e deli­zia (pag.89), poi­ché per­met­te di svol­ge­re un ruo­lo anti­ci­pa­to­re sul movi­men­to del ’77, di ave­re la testa del cor­teo di Bolo­gna nel giu­gno di quell’anno, ma ren­de i col­let­ti­vi ogget­ti­va­men­te mar­gi­na­li l’anno seguen­te con il seque­stro Moro. Gli auto­ri non l’esplicitano fino in fon­do, ma da quel momen­to il ruo­lo del col­let­ti­vo di via dei Vol­sci, da un lato, e del col­let­ti­vo del­la nasci­tu­ra rivi­sta Metro­po­li dall’altro, diven­ta pre­pon­de­ran­te per il movi­men­to comu­ni­sta anta­go­ni­sta. Tor­na, così, il pro­ces­so mai matu­ra­to del par­ti­to dell’operaio socia­le nazio­na­le che riu­ni­fi­cas­se il barel­lie­re del poli­cli­ni­co dal for­te accen­to roma­no al con­to­ter­zi­sta dell’alta pado­va­na, ma che non pote­va nasce­re dal­la nuo­va fase come giu­stap­po­si­zio­ne di espe­rien­ze locali.

Col­pi­sce nel­la rico­stru­zio­ne il trat­to di cul­tu­ra poli­ti­ca dei fra­tel­li Despa­li, vale a dire la cri­ti­ca al revi­sio­ni­smo del Pci fino dal­la svol­ta di Saler­no. La valu­ta­zio­ne net­ta sul tren­ten­nio pre­ce­den­te del­la più nume­ro­sa orga­niz­za­zio­ne dell’Occidente non con­sen­ti­va alla loro impre­sa poli­ti­ca di rivol­ger­si a pla­sma­re il “vero” par­ti­to comu­ni­sta, pro­prio per­ché l’autenticità del pro­get­to rivo­lu­zio­na­rio era venu­ta meno non già col ber­lin­gue­ri­smo, ma con la fine del­la Resistenza. 

Sono dav­ve­ro mol­ti gli argo­men­ti ana­liz­za­ti nell’opera, che non dà l’idea di esse­re sta­ta scrit­ta come pagi­na di “sto­ria dei vin­ti”. Volen­do ascri­ve­re al pen­sie­ro ben­ja­mi­nia­no i fra­tel­li Despa­li, sem­bra abbia­no chia­ro che la social­de­mo­cra­zia ha spez­za­to il ner­vo del­la clas­se facen­do­le disap­pren­de­re l’odio e la volon­tà del sacri­fi­cio, “poi­ché entram­bi si ali­men­ta­no all’immagine degli avi asser­vi­ti e non all’ideale dei libe­ri nipoti”.

Autonomia Operaia: i rivoluzionari si raccontano

Autonomia Operaia: i rivoluzionari si raccontano

Da non per­de­re il libro dei fra­tel­li Gia­co­mo e Pie­ro Despa­li sul­la sto­ria dei Col­let­ti­vi poli­ti­ci vene­ti per il pote­re ope­ra­io, edi­to da Derive/​Approdi

L’oblio del­la memo­ria è un virus for­se anco­ra più leta­le di Covid-19, per­ché “ucci­de” nel­la men­te degli uma­ni la Sto­ria e l’esperienza che essa tra­smet­te nel tem­po, ren­den­do tut­to un futi­le eter­no pre­sen­te. Lo sta­to pre­sen­te del­le cose. E, così, anche il futu­ro sco­lo­ra in una rei­te­ra­zio­ne dell’esistente, pri­vo d’ideali e di uto­pie, con­si­de­ra­ti sogni irrea­liz­za­bi­li e dun­que fuor­vian­ti. Que­sto virus non è estra­neo alla nazio­ne ita­lia­na, al nostro carat­te­re nazio­nal-popo­la­re, anzi è una male­det­ta costan­te dell’italianità. Dimen­ti­chia­mo facil­men­te even­ti, cri­mi­ni, respon­sa­bi­li­tà, col­pe. Il per­do­ni­smo è poi il fra­tel­lo gemel­lo dell’oblio del­la memo­ria. Vi sono però ecce­zio­ni impor­tan­ti, ce ne sono sta­te anche in pas­sa­to per meri­to di ope­re sto­rio­gra­fi­che in con­tro­ten­den­za e di figu­re intel­let­tua­li degne di que­sto nome. Anche se la Sto­ria, si sa, la fan­no i vin­ci­to­ri. Ma non sem­pre. Un’opera per tut­te vale la pena di cita­re: “Pro­le­ta­ri sen­za rivo­lu­zio­ne” di Ren­zo del Car­ria. Una sor­ta di “enci­clo­pe­dia” cult che riscri­ve la Sto­ria, appun­to, del­le lot­te popo­la­ri e pro­le­ta­rie dall’Unità d’Italia al 1975, data fati­di­ca per­ché segna effet­ti­va­men­te un pas­sag­gio epo­ca­le, for­se non da tut­ti rico­no­sciu­to come tale. Per saper­ne di più con­si­glio di leg­ge­re un roman­zo recen­te di valo­re “La scuo­la cat­to­li­ca” di Edoar­do Albinati.

Rare sono, dun­que, le ope­re che con­tra­sta­no seria­men­te la sin­dro­me dell’amnesia, get­tan­do luce su even­ti e perio­di che meri­ta­no di esse­re stu­dia­ti e ricor­da­ti, in quan­to han­no mol­to da inse­gna­re ai poste­ri. E oggi ne sco­pria­mo in libre­ria, qua­si per caso, una di que­ste: “Gli auto­no­mi. Sto­ria dei col­let­ti­vi poli­ti­ci vene­ti per il pote­re ope­ra­io”, dei fra­tel­li Gia­co­mo e Pie­ro Despa­li, edi­ta da Derive/​Approdi. Un libro pre­zio­so per diver­se ragio­ni. In pri­mo luo­go per­ché riper­cor­re con sguar­do cri­ti­co gli “anni di fuo­co” o “di piom­bo” – come si pre­fe­ri­sce chia­mar­li – che han­no carat­te­riz­za­to l’ultima fase del seco­lo scor­so, nel­la qua­le la Guer­ra Fred­da era all’epilogo. E il glo­bo appa­ri­va attra­ver­sa­to da con­flit­ti, lot­te, rivol­te, stra­gi, impe­ri emer­gen­ti e altri che sta­va­no per crol­la­re. In Ita­lia, poi, si svol­ge­va una sor­ta di “guer­ra a bas­sa inten­si­tà”, inte­sa come arti­co­la­zio­ne spe­ci­fi­ca e di “tea­tro” del più vasto con­flit­to geo­po­li­ti­co mon­dia­le in corso.

In tal con­te­sto, il libro nar­ra l’esperienza poli­ti­ca di una sezio­ne fon­da­men­ta­le di quell’arcipelago di orga­niz­za­zio­ni sov­ver­si­ve cono­sciu­to come “Auto­no­mia Ope­ra­ia orga­niz­za­ta”. Espe­rien­za rivo­lu­zio­na­ria a pie­no tito­lo che ha ege­mo­niz­za­to i movi­men­ti di lot­ta degli anni ’70 e ’80. Al cen­tro del rac­con­to – fat­to in for­ma dia­lo­gi­ca dai due pro­ta­go­ni­sti, Gia­co­mo e Pie­ro (ecco un altro pre­gio del libro)- ci sono i Col­let­ti­vi poli­ti­ci vene­ti per il pote­re ope­ra­io. Una strut­tu­ra di mili­tan­ti comu­ni­sti con­cen­tra­ta pre­va­len­te­men­te nel Nord-Est, con quar­tier gene­ra­le a Pado­va, ma anche con signi­fi­ca­ti­ve pro­ie­zio­ni nazio­na­li, in Lom­bar­dia, a Roma e Napoli.

Come, quan­do, dove e per­ché si costi­tui­sce que­sta orga­niz­za­zio­ne, ce lo dico­no attra­ver­so una sug­ge­sti­va con­ver­sa­zio­ne i due lea­der. Si capi­sce subi­to che vita pri­va­ta e azio­ne poli­ti­ca han­no rap­pre­sen­ta­to un bino­mio indis­so­lu­bi­le nel­la loro bio­gra­fia, car­ne e san­gue del loro esse­re-nel-mon­do. Uni­ti da un lega­me di fra­tel­lan­za, da idea­li e da una meta comu­ni, ma anche dif­fe­ren­zia­ti da tem­pe­ra­men­ti per­so­na­li e da rife­ri­men­ti cul­tu­ra­li e teo­ri­ci non iden­ti­ci, Gia­co­mo e Pie­ro han­no domi­na­to tut­ta la vicen­da dei Col­let­ti­vi, dal­la fon­da­zio­ne nel ’74-’75 ori­gi­na­ta dal­le cene­ri di Pote­re Ope­ra­io ai gior­ni nostri. Alla base di que­sta scel­ta c’è innan­zi tut­to – è bene sot­to­li­near­lo – un’adesione for­te al mar­xi­smo e al comu­ni­smo, non inte­si tut­ta­via in manie­ra dog­ma­ti­ca e fidei­sti­ca, come inve­ce acca­de­va per altre for­ma­zio­ni rivo­lu­zio­na­rie di quel perio­do. Nel loro baga­glio teo­ri­co figu­ra­no cer­ta­men­te Karl Marx (soprat­tut­to quel­lo dei Grun­dris­se), Lenin, un cer­to Mao e la Resi­sten­za, ma anche la Scuo­la di Fran­co­for­te, Ador­no e Mar­cu­se, Fanon, Paul Swee­zy, ma soprat­tut­to i Qua­der­ni Ros­si, con Ranie­ro Pan­zie­ri, Mario Tron­ti, ecc. Insom­ma, quel grup­po d’intellettuali-militanti di matri­ce socia­li­sta che, median­te l’inchiesta ope­ra­ia, sta­va ristu­dian­do la fab­bri­ca tay­lo­ri­sti­ca, il nuo­vo cor­so del neo­ca­pi­ta­li­smo, la figu­ra dell’operaio-massa in qua­li­tà di sog­get­to poten­zial­men­te rivo­lu­zio­na­rio. Tut­to ciò in alter­na­ti­va allo sto­ri­ci­smo revi­sio­ni­sta del PCI su cui si fon­da­va la dop­piez­za togliat­tia­na del­la “via ita­lia­na al socia­li­smo”. In altre paro­le, l’ossatura del mar­xi­smo cri­ti­co degli anni ’60. Più tar­di si aggiun­ge­rà la figu­ra cen­tra­le di Anto­nio Negri, il “cat­ti­vo mae­stro” per eccel­len­za secon­do i media uffi­cia­li. Qua­li gli atout che decre­ta­no il suc­ces­so matu­ra­to dai Col­let­ti­vi nel bien­nio ’76-’77? Lo spie­ga­no con chia­rez­za Pie­ro e Gia­co­mo Despali.

In pri­mis, un’attenzione par­ti­co­la­re ver­so quel­la che defi­ni­va­no la “nuo­va com­po­si­zio­ne di clas­se”, ossia l’insieme degli atto­ri socia­li che, a par­ti­re da con­di­zio­ni e biso­gni mate­ria­li e non da affla­ti ideo­lo­gi­ci, avreb­be­ro potu­to poten­zial­men­te incar­na­re un per­cor­so rivo­lu­zio­na­rio all’interno di un Pae­se a capi­ta­li­smo ormai avan­za­to come l’Italia. La stra­te­gia poli­ti­ca dell’organizzazione dove­va quin­di basar­si sul­la ricom­po­si­zio­ne del­le nuo­ve figu­re pro­le­ta­rie pro­dot­te dal­la ristrut­tu­ra­zio­ne capi­ta­li­sti­ca del­la gran­de fab­bri­ca: stu­den­ti-lavo­ra­to­ri, disoc­cu­pa­ti, cas­sin­te­gra­ti, lavo­ra­to­ri in nero, ecc. E’ la nuo­va sog­get­ti­vi­tà dell’ “ope­ra­io socia­le” che sosti­tui­sce in par­te quel­la dell’ope­ra­io-mas­sa ormai in decli­no e ani­ma la fab­bri­ca dif­fu­sa sul ter­ri­to­rio. Una cate­go­ria, nel frat­tem­po teo­riz­za­ta dal pro­fes­sor Anto­nio Negri. Del resto, la strut­tu­ra pro­dut­ti­va del Vene­to, fon­da­ta sul­le Pmi, si atta­glia­va per­fet­ta­men­te a que­sta ana­li­si di stam­po socio­lo­gi­co. In altre paro­le, a quel­la che i nostri auto­ri chia­ma­no la “let­tu­ra del­la nuo­va com­po­si­zio­ne di clas­se”. Di con­se­guen­za, obiet­ti­vo stra­te­gi­co dell’agire poli­ti­co dei Col­let­ti­vi non pote­va che esse­re la costru­zio­ne d’istituti di con­tro­po­te­re ter­ri­to­ria­le attra­ver­so la costi­tu­zio­ne di vere e pro­prie “basi ros­se”.

Sul pia­no orga­niz­za­ti­vo, un simi­le impian­to teo­ri­co-poli­ti­co si è tra­dot­to in una for­ma arti­co­la­ta com­pren­den­te comi­ta­ti, coor­di­na­men­ti di zona, grup­pi socia­li, col­let­ti­vi, che han­no avu­to la capa­ci­tà di radi­car­si a Pado­va, nell’Università e negli isti­tu­ti supe­rio­ri, ma soprat­tut­to nei pae­si cir­co­stan­ti e in alcu­ne fab­bri­che. Altra intui­zio­ne feli­ce del grup­po diri­gen­te dei Col­let­ti­vi, che ha con­tri­bui­to non poco al suc­ces­so di cui si par­la­va, è sta­ta l’adozione di una moda­li­tà ope­ra­ti­va inno­va­ti­va: agi­re per “cam­pa­gne”. All’interno del­le qua­li pre­ve­de­re anche quel­li che la stam­pa del tem­po stig­ma­tiz­za­va come “fuo­chi dif­fu­si”, ossia atten­ta­ti mira­ti e col­le­ga­ti in siner­gia dia­let­ti­ca con le lot­te di mas­sa che si dispie­ga­va­no con­tro il caro­vi­ta, gli straor­di­na­ri, il lavo­ro nero, la vio­len­za dei fasci­sti, per gli aumen­ti sala­ria­li, le auto­ri­du­zio­ni del­le bol­let­te e del­le tarif­fe, per la con­qui­sta di spa­zi di socia­liz­za­zio­ne alter­na­ti­va, ecc. Insom­ma, per l’autovalorizzazione pro­le­ta­ria a disca­pi­to del­la valo­riz­za­zio­ne del capi­ta­le, come la defi­ni­va il “cat­ti­vo mae­stro” Negri. Il tema del­la vio­len­za, dun­que, entra di pre­po­ten­za nel­la sto­ria dei Col­let­ti­vi, dato che nel frat­tem­po sta­va cre­scen­do d’intensità il ruo­lo del­le orga­niz­za­zio­ni comu­ni­ste com­bat­ten­ti, spe­cial­men­te le BR. E i fra­tel­li Despa­li lo affron­ta­no sen­za infin­gi­men­ti, spie­gan­do moti­va­zio­ni e dif­fe­ren­ze con il com­por­ta­men­to di que­sti gruppi.

“L’uso del­la for­za, tra­du­zio­ne sul ter­re­no del­la pra­ti­ca con­tin­gen­te del­la lot­ta arma­ta la cui vali­di­tà sul pia­no stra­te­gi­co non era mes­sa in discus­sio­ne, la com­mi­su­ra­va­mo a que­sto pro­get­to d’intervento ter­ri­to­ria­le e la sua legit­ti­ma­zio­ne pote­va veni­re solo dal­le strut­tu­re e non da fon­ti auto­ri­ta­ti­ve ester­ne – scri­ve Pie­ro – Sen­za que­sta pre­mes­sa, la lot­ta arma­ta avreb­be potu­to svi­lup­par­si solo avvi­tan­do­si su se stes­sa, come di fat­to avven­ne con le BR dopo il seque­stro e l’uccisione di Aldo Moro”. Pur­trop­po, dopo l’ascesa inter­vie­ne pun­tual­men­te il decli­no, sem­pre, che arri­va il 7 apri­le 1979 a ope­ra del pm Calo­ge­ro. Il magi­stra­to, sull’onda del cli­ma nazio­na­le, lan­cia una mas­sic­cia ope­ra­zio­ne anti Col­let­ti­vi nel Vene­to con mol­ti arre­sti. Intan­to, la repres­sio­ne ha comin­cia­to a col­pi­re pesan­te­men­te in tut­to il Pae­se dopo il seque­stro Moro. Il Movi­men­to del ’77, che riem­pi­va piaz­ze e stra­de del­le cit­tà, con scon­tri e mani­fe­sta­zio­ni, per­de col­pi e avvia la sua fase di disin­te­gra­zio­ne. I Col­let­ti­vi subi­sco­no il col­po, ma resi­sto­no e, dopo un po’, si riorganizzano.

Che acca­de nei pri­mi anni ’80? Se vole­te saper­lo, cari let­to­ri, leg­ge­te il libro. Noi ci fer­mia­mo qua, non pos­sia­mo sve­la­re tut­to… Una cosa, però, pos­sia­mo dir­la sen­za tema di smen­ti­ta. Que­sto lavo­ro – che pre­sen­ta anche una ric­ca appen­di­ce di docu­men­ti dell’epoca e inter­vi­ste ad altri mili­tan­ti – deve esse­re con­si­de­ra­to legit­ti­ma­men­te, per spes­so­re e veri­tà sto­ri­ca mes­si in cam­po, il capi­to­lo fina­le di “Pro­le­ta­ri sen­za rivo­lu­zio­ne” di Ren­zo del Carria.

Aldo Musci

Trat­to da: http://www.chronopolis.it/autonomia-operaia-i-rivoluzionari-si-raccontano/