Filtra per Categoria
Autonomia Bolognese
Autonomie del Meridione
Fondo DeriveApprodi
Collettivi Politici Veneti
Autonomia Toscana
Blog
Argo­men­ti: 2023

Pub­bli­ca­to su Dina­mo Press  16 apri­le 2023

Una rifles­sio­ne su e a par­ti­re dai tre volu­mi del­la serie sugli auto­no­mi di Deri­ve Appro­di dedi­ca­ti all’autonomia ope­ra­ia nel sud d’Italia (a cura di Anto­nio Bove e Fran­ce­sco Festa). Sot­to­svi­lup­po, disoc­cu­pa­zio­ne e ciò che resta di que­sti movi­men­ti in quel­li di oggi.

di Luca Man­gia­cot­ti

«anda­re al nord per fare lo svi­lup­po. Per­ché a loro sù gli ser­vi­va il nostro sot­to­svi­lup­po per far­lo. Chi ha fat­to lo svi­lup­po del nord tut­to lo svi­lup­po dell’Italia e dell’Europa? Noi lo abbia­mo fat­to, noi brac­cian­ti del sud. Come fos­se­ro una cosa diver­sa gli ope­rai del nord e i brac­cian­ti del sud. Altro che sot­to­pro­le­ta­ria­to. Per­ché sia­mo noi che sia­mo gli ope­rai del nord»

Nan­ni Bale­stri­ni, Voglia­mo tutto


Ritor­na­re a Sud, ieri come oggi, signi­fi­ca riper­cor­re­re le stra­de di un eso­do dal­le stra­ne rit­mi­che acco­mu­na­te tut­te dall’esigenza di par­ti­re da un luo­go asse­gna­to a una sto­ria mar­gi­na­le. Mol­ti sono sta­ti gli sguar­di che han­no legit­ti­ma­to que­sto ruo­lo di serie B, dal­le cate­go­rie acca­de­mi­che del fami­li­smo amo­ra­le alle cate­go­rie gior­na­li­sti­che degli sfa­ti­ca­ti del diva­no; pochi sono sta­ti gli sfor­zi ad anda­re ai resti del­la sto­ria recu­pe­ran­do fon­ti, archi­vi e testi­mo­nian­ze. Nei tre volu­mi di recen­te usci­ta per Deri­ve Appro­di (Gli auto­no­mi vol.10 L’autonomia ope­ra­ia meri­dio­na­le. Par­te pri­maGli auto­no­mi vol.11 . L’autonomia ope­ra­ia meri­dio­na­le. Napo­li e la Cam­pa­nia. Par­te secon­daGli auto­no­mi, vol.12. L’autonomia ope­ra­ia meri­dio­na­le. Basi­li­ca­ta, Cala­bria, Puglia, Sici­lia. Ter­za par­te, tut­ti e tre a cura di Anto­nio Bove e Fran­ce­sco Anto­nio Festa) lo sfor­zo ten­de a com­pier­si rico­no­scen­do l’alterità di un’autonomia con la “a” minu­sco­la per­ché esi­sten­zia­le, dif­fu­sa e con­no­ta­ta dal­la dif­fi­col­tà di far­si orga­niz­za­zio­ne, iden­ti­fi­ca­bi­le qua­si come una postu­ra matu­ra­ta nel­la pro­pria sto­ria di resi­sten­za al coman­do capi­ta­li­sti­co e sta­tua­le. Nel­le pie­ghe di que­ste sto­rie si dàn­no feno­me­ni con­trad­dit­to­ri con le vicen­de che han­no attra­ver­sa­to l’Autonomia ope­ra­ia orga­niz­za­ta – pre­sen­te tra Roma e il cen­tro-nord –, infat­ti, non può esse­re altri­men­ti per due movi­men­ti di mas­sa che si dan­no nei due tem­pi del modo di pro­du­zio­ne capi­ta­li­sti­co: svi­lup­po (al cen­tro-nord), sot­to­svi­lup­po (al Sud e nel­le iso­le); e infi­ne lo Sta­to come sin­te­si atta a garan­ti­re il dispie­gar­si del­la pro­du­zio­ne del mas­si­mo valo­re tra­mi­te l’esercizio del gover­no di svi­lup­po e sottosviluppo.

I volu­mi resti­tui­sco­no l’eterogeneità poli­ti­ca del Sud Ita­lia rico­struen­do i pro­ces­si di ricom­po­si­zio­ne poli­ti­ca auto­no­ma del pro­le­ta­ria­to den­tro il gover­no del­lo svi­lup­po attra­ver­so lo stru­men­to del “pia­no” Cas­sa per il mez­zo­gior­no e l’emergenza dell’attacco al red­di­to ed indi­ret­to nell’assenza del wel­fa­re. Per que­sto, all’interno del­la rac­col­ta gli inter­ven­ti sul­le lot­te ai mar­gi­ni del­la pro­du­zio­ne sono pre­va­len­ti per qua­li­tà poli­ti­ca e cen­tra­li­tà del pro­le­ta­ria­to ester­no alla fab­bri­ca – inve­ce cen­tra­li nel­la nar­ra­zio­ne del sin­da­ca­li­smo con­fe­de­ra­le e del PCI – men­tre gli inter­ven­ti lega­ti al lavo­ro degli auto­no­mi meri­dio­na­li resti­tui­sco­no un cre­scen­te disaf­fe­zio­na­men­to alla fab­bri­ca con­no­ta­to da cre­scen­te rifiu­to del lavo­ro e del­la noci­vi­tà del­la pro­du­zio­ne, che si lega­no imme­dia­ta­men­te alle lot­te pro­le­ta­rie su red­di­to, casa e welfare. 

Ai cura­to­ri del­la tri­lo­gia, Fran­ce­sco Anto­nio Festa e Anto­nio Bove, va il meri­to del­la rico­stru­zio­ne del­le sto­rie dell’autonomia meri­dio­na­le attra­ver­so una minu­zio­sa ricer­ca del­le fon­ti, l’uso di inter­ven­ti di qua­dro sto­ri­co-poli­ti­co e la voce degli auto­no­mi. I con­tri­bu­ti di que­sti ulti­mi inter­ro­ga­no il meto­do con cui si è dato anta­go­ni­smo socia­le a Sud den­tro le linee del coman­do capi­ta­li­sta sul­lo svi­lup­po e nel­la for­ma­zio­ne dell’operaio socia­le; sti­mo­la­no la ricer­ca mili­tan­te sul­la costru­zio­ne di una nar­ra­zio­ne di ter­ri­to­ri e di un imma­gi­na­rio che non abbi­so­gna di accet­ta­re il ricat­to salu­te – lavo­ro, emi­gra­zio­ne – disoccupazione.

Pri­ma dell’autonomia par­te­no­pea. 1969 – 1973

L’autonomia par­te­no­pea si muo­ve ai mar­gi­ni del­le lot­te ope­ra­ie che han­no con­no­ta­to il perio­do che va dal 1969 al 1973 – con le rivol­te di Castel­lam­ma­re di Sta­bia e di Acer­ra – o al pro­prio inter­no nei Poli di svi­lup­po – ter­ri­to­ri all’interno del qua­le sono con­cen­tra­ti sta­bi­li­men­ti indu­stria­li e inve­sti­men­ti del­la Cas­sa per il mez­zo­gior­no. Il sal­to di qua­li­tà dell’autonomia meri­dio­na­le si ha a par­ti­re dal 1973, quan­do il com­bi­na­to dispo­sto di cri­si capi­ta­li­sti­ca glo­ba­le, infla­zio­ne ed epi­de­mia del cole­ra a Napo­li, van­no a col­pi­re in modo signi­fi­ca­ti­vo la già pre­ca­ria eco­no­mia meri­dio­na­le. Allo stes­so tem­po il ruo­lo dei grup­pi del­la sini­stra extra­par­la­men­ta­re è mar­gi­na­lea Sud – fat­ta ecce­zio­ne per l’intervento di Lot­ta Con­ti­nua con Mo’ che il tem­po si avvi­ci­na, for­ma­zio­ni mar­xi­ste-leni­ni­ste come i Grup­pi Lenin e for­ma­zio­ni di stam­po maoi­sta come Ser­vi­re il popo­lo – men­tre le for­me di autor­ga­niz­za­zio­ne e le pras­si auto­no­me si dàn­no spon­ta­nea­men­te. In quest’azione di ristrut­tu­ra­zio­ne capi­ta­li­sti­ca, pro­dut­ti­va e ter­ri­to­ria­le si inse­ri­sce anche il movi­men­to impre­vi­sto del­le migra­zio­ni di ritor­no degli ex emi­gran­ti par­ti­ti con la vali­gia di car­to­ne duran­te il perio­do del­lo svi­lup­po eco­no­mi­co – solo nel 1972 cir­ca 28mila ope­rai licen­zia­ti dal­le indu­strie tede­sche fan­no ritor­no in Ita­lia – che costi­tui­ro­no uno dei fat­to­ri di disgre­ga­zio­ne poli­ti­ca più signi­fi­ca­ti­vi per il pro­le­ta­ria­to meri­dio­na­le: «andar­se­ne è si nega­re la pro­pria for­za-lavo­ro al padro­ne, ma è anche nega­re se stes­si a una pos­si­bi­le orga­niz­za­zio­ne poli­ti­ca, è affer­ma­re la pro­pria dispe­ra­zio­ne nel­la pos­si­bi­li­tà di costrui­re una for­za poli­ti­ca pro­le­ta­ria effi­ca­ce. […] Chi emi­gra sono i pos­si­bi­li qua­dri poli­ti­ci, i gio­va­ni dota­ti di ini­zia­ti­va e corag­gio. Chi resta sono i vec­chi, sono gli scon­fit­ti, i ras­se­gna­ti o i ruf­fia­ni dei padro­ni» (Lucia­no Fer­ra­ri Bra­vo e Ales­san­dro Sera­fi­ni, Sta­to e sot­to­svi­lup­po, Fel­tri­nel­li, 1972). 

Que­sti si aggiun­go­no a 140mila disoc­cu­pa­ti e cir­ca 40mila ope­rai in cas­sa inte­gra­zio­ne nel­la pro­vin­cia di Napo­li per man­can­za di com­mes­se, oltre 35mila ope­rai del­la pic­co­la indu­stria sono espul­si dal­la fab­bri­ca a cau­sa di ridi­men­sio­na­men­ti e delo­ca­liz­za­zio­ni – Angus, GIE a Giu­glia­no in Cam­pa­nia e Mer­rel costi­tui­sco­no tre esem­pi ecla­tan­ti.  Così, vie­ne «smen­ti­ta la con­vin­zio­ne – dif­fu­sa in modo capil­la­re – che un aumen­to degli inve­sti­men­ti, soprat­tut­to indu­stria­li, avreb­be deter­mi­na­to una ridu­zio­ne del­la disoc­cu­pa­zio­ne e dell’emigrazione»), data dal rei­te­ra­to uso del­la minac­cia del­la smo­bi­li­ta­zio­ne indu­stria­le per rice­ve­re ulte­rio­re sov­ven­zio­na­men­to sta­ta­le sen­za che sia­no date garan­zie da par­te del­le impre­se e allo stes­so tem­po vie­ne meno la deter­mi­na­zio­ne del sot­to­pro­le­ta­ria­to usa­ta dal sin­da­ca­to per «spie­ga­re avve­ni­men­ti, nel mez­zo­gior­no, di un cer­to peso poli­ti­co che non fos­se­ro ricon­du­ci­bi­li agli sche­mi tra­di­zio­na­li dei rap­por­ti tra capi­ta­li­sti e pro­le­ta­ri» (Gio­van­ni Mot­tu­ra, Mez­zo­gior­no e clas­se ope­ra­ia, Coi­nes, 1973, pp. 147–148).

È il sog­get­to impre­vi­sto del disoc­cu­pa­to a far da cata­liz­za­to­re alle mobi­li­ta­zio­ni a Napo­li all’uscita dal­la cri­si di ini­zio anni ’70, un sog­get­to col­let­ti­vo che nasce «per non paga­re i costi del­la cri­si di Napo­li, non a caso chia­ma­ta la cri­si del­la disoc­cu­pa­zio­ne; sor­to ai pri­mi ten­ta­ti­vi come un grup­po di 20–30 per­so­ne, nel­la spe­ran­za di con­qui­sta­re un posto di lavo­ro». Ini­zial­men­te le azio­ni sono dif­fu­se e mol­to even­tua­li, tal­vol­ta assu­mo­no anche la for­ma di rivol­te popo­la­ri – come nei casi di Castel­lam­ma­re di Sta­bia, Acer­ra e Pomi­glia­no nel 1971, e San Gio­van­ni a Teduc­cio nel 1972 – e inne­sta­no il pro­prio agi­re attor­no alle cam­pa­gne con­tro il caro-fit­ti e caro-vita. In que­sto con­te­sto «il tes­su­to del­le lot­te [..] è ampio e attra­ver­sa­to da com­por­ta­men­ti con­flit­tua­li radi­ca­li este­si a un vasto arco socia­le e il com­ples­so lavo­ro di tes­si­tu­ra di un model­lo orga­niz­za­ti­vo si con­fron­ta con le espe­rien­ze che in quel momen­to segna­no la mate­ria­li­tà del­lo scon­tro di clas­se in cit­tà» (Gli auto­no­mi, vol. X, p. 167).

 «È fer­nu­ta a ziz­zi­nel­la» – i disoc­cu­pa­ti si orga­niz­za­no. 1974 – 1980

La pri­ma signi­fi­ca­ti­va ini­zia­ti­va di orga­niz­za­zio­ne dei disoc­cu­pa­ti a Napo­li si ha tra il ’74-‘76 dal comi­ta­to di quar­tie­re San Loren­zo che assie­me ai sot­toc­cu­pa­ti del­la zona van­no a for­ma­re il comi­ta­to dei disoc­cu­pa­ti di Vico Cin­que­san­ti; altri comi­ta­ti si for­ma­no nei rio­ni attor­no ad asso­cia­zio­ni mutua­li­sti­che, grup­pi del­la sini­stra-extra­par­la­men­ta­re e cen­tri di documentazione. 

I comi­ta­ti van­no a ricom­por­re una clas­se lavo­ra­tri­ce dispie­ga­ta nel tes­su­to urba­no, con­no­ta­ta da un’ampia ete­ro­ge­nei­tà sog­get­ti­va e lavo­ra­ti­va. In mez­zo ai vico­li del­la metro­po­li non si rie­sce a intra­ve­de­re la cen­tra­li­tà dell’ope­ra­io mas­sa ma emer­ge con lar­go anti­ci­po il sog­get­to dell’ope­ra­io socia­le nel­le sue varie man­sio­ni lavo­ra­ti­ve da sot­toc­cu­pa­to o da proletario/​sottoproletario ai mar­gi­ni del­la lega­li­tà. Nel 1974, anche i lavo­ra­to­ri dell’industria som­mer­sa ille­ga­le, di fron­te all’instaurarsi di un «model­lo impren­di­to­ria­le mafio­so» ini­zia­no ad autor­ga­niz­zar­si per fron­teg­gia­re cri­si, repres­sio­ne e ristrut­tu­ra­zio­ne in sen­so capi­ta­li­sti­co del mestie­re del con­trab­ban­die­re. Davan­ti a quest’esigenza nasce il Col­let­ti­vo auto­no­mo con­trab­ban­die­ri, che annun­cia una del­le sue pri­me usci­te pub­bli­che all’Università Fede­ri­co II, con un volan­ti­no su cui si scri­ve: «Il con­trab­ban­do a Napo­li per­met­te a 50.000 fami­glie di soprav­vi­ve­re a sten­to. Da poco meno di un anno, oltre a chiu­de­re i posti di lavo­ro, lo Sta­to e la Finan­za han­no dichia­ra­to guer­ra al con­trab­ban­do. Ci spa­ra­no addos­so quan­do uscia­mo con i moto­sca­fi blu. Il con­trab­ban­do non si toc­ca! Fino a quan­do non ci daran­no un altro mez­zo per vive­re. Dob­bia­mo orga­niz­zar­ci ed esse­re uni­ti per difen­de­re il nostro dirit­to alla vita. Riu­nio­ne di tut­ti i con­trab­ban­die­ri napo­le­ta­ni. Gio­ve­dì 15 alle ore 10 davan­ti all’Università di Scien­ze di via Mez­zo­can­no­ne 16 di fron­te al Cine­ma Astra» (Gli auto­no­mi, vol. X, pp. 174–175)

 L’esperienza, sep­pur di bre­ve dura­ta resti­tui­sce pez­zi di un mon­do entro cui si muo­vo­no cen­ti­na­ia di com­pa­gne e com­pa­gni che cer­ca­no di strut­tu­ra­re un lavo­ro poli­ti­co den­tro e con­tro la crisi.

Autor­ga­niz­za­re il col­lo­ca­men­to. Disoc­cu­pa­ti e liste di lotta

Il pri­mo obiet­ti­vo del movi­men­to è la costru­zio­ne «in auto­no­mia [di] un col­lo­ca­men­to alter­na­ti­vo» per com­bat­te­re quel­lo “uffi­cia­le”, veste lega­le di ogni ille­git­ti­mi­tà e com­pra­ven­di­ta di posti lavo­ra­ti­vi, e impor­re con la lot­ta la pro­pria ver­ten­za, scon­tran­do­si con sin­da­ca­ti e isti­tu­zio­ni» (Gli auto­no­mi, vol. X, p. 107). Il cri­te­rio con cui si com­pon­go­no le liste di lot­ta del col­lo­ca­men­to alter­na­ti­vo è la par­te­ci­pa­zio­ne atti­va alla mobi­li­ta­zio­ne dei disoc­cu­pa­ti orga­niz­za­ti, attra­ver­so la pre­sen­za alle assem­blee, ai cor­tei e alle ini­zia­ti­ve di lot­ta: «gli ope­rai fir­ma­no il car­tel­li­no in fab­bri­ca, noi fir­mia­mo il nostro car­tel­li­no in stra­da» (F. Rai­mon­di­no, L’irresistibile asce­sa di Ago­sti­no O’ paz­zo, “Inchie­sta”, 22Deda­lo edi­zio­ni pp. 15–24). Insie­me ai comi­ta­ti popo­la­ri e orga­niz­za­ti da mili­tan­ti affe­ren­ti all’ormai disgre­ga­ta area del­la sini­stra extra-par­la­men­ta­re, spun­ta­no comi­ta­ti crea­ti ad hoc da DC e CISNAL – come la «lista 19» – per mina­re l’efficacia dell’azione dei disoc­cu­pa­ti orga­niz­za­ti, per rein­di­riz­za­re la fun­zio­ne del col­lo­ca­men­to su diret­tri­ci clien­te­la­ri. Que­sti ten­ta­ti­vi ven­go­no stron­ca­ti alla base sul nasce­re gra­zie all’azione popo­la­re, anti­fa­sci­sta e anti­de­mo­cri­stia­na del movi­men­to dei disoc­cu­pa­ti, tan­to che le sedi del­la CISL saran­no spes­so occu­pa­te dal movi­men­to nel cor­so degli anni e quel­le del MSI ripe­tu­ta­men­te assaltate. 

L’attacco isti­tu­zio­na­le alle richie­ste del movi­men­to arri­va pun­tua­le con la rifor­ma del col­lo­ca­men­to – leg­ge l285/​1977 – volu­ta dai sin­da­ca­ti e dal PCI. In que­sto modo, le richie­ste dei disoc­cu­pa­ti ven­go­no di nuo­vo immes­se in uno sche­ma di par­cel­liz­za­zio­ne, acce­le­ran­do l’impasse entro cui si ritro­va il movi­men­to spac­ca­to tra fazio­ni vici­ne al PCI ­ e di con­se­guen­za alla nuo­va ammi­ni­stra­zio­ne comu­na­le gui­da­ta dal sin­da­co Valen­ti ­­– e anco­ra­te a una dina­mi­ca di sin­da­ca­liz­za­zio­ne dell’occupazione; e com­po­nen­ti con­trad­di­stin­te­si per cre­scen­ti com­por­ta­men­ti auto­no­mi, rac­col­te attor­no al comi­ta­to ban­chi nuo­vi ani­ma­to dagli auto­no­mi par­te­no­pei, d’opposizione al Gover­no loca­le e cen­tra­le, e non di meno alla poli­ti­ca dei sacri­fi­ci o dell’auste­ri­tà operaia.

Sala­rio garan­ti­to, sala­rio integrale

Nel movi­men­to c’è un filo con­ti­nuo che lega le sto­rie dei disoc­cu­pa­ti, esem­pli­fi­ca­to nel­lo slo­gan «lavo­ro o non lavo­ro voglia­mo cam­pa­re, sala­rio garan­ti­to sala­rio inte­gra­le». La que­stio­ne uni­sce il movi­men­to e dà ad esso una pro­pria capa­ci­tà ricom­po­si­ti­va nel pro­le­ta­ria­to mar­gi­na­le-ille­ga­le e sot­to­pro­le­ta­ria­to metro­po­li­ta­no, ed anche sul­la clas­se ope­ra­ia impie­ga­ta nell’industria. L’esigenza di inter­ve­ni­re sul sala­rio indi­ret­to è tra­sver­sa­le. Lo scop­pio dell’epidemia di cole­ra ha l’effetto diret­to l’implementazione del­la stret­ta repres­si­va sui “lavo­ra­to­ri non dichia­ra­ti, cioè pro­le­ta­ri che lavo­ra­no a sot­to sala­rio e sen­za alcu­na pre­vi­den­za” (Cen­tro di coor­di­na­men­to cam­pa­no, Con­tro l’uso capi­ta­li­sti­co del cole­ra, 1973), l’economia del vico­lo e il pro­le­ta­ria­to ille­ga­le, e l’accelerazione del ten­ta­ti­vo di ristrut­tu­ra­zio­ne ter­ri­to­ria­le del cen­tro sto­ri­co di Napo­li, ovve­ro, il ter­ri­to­rio in cui ha luo­go la pro­du­zio­ne di que­sti set­to­ri disgre­ga­ti di clas­se. L’effetto indi­ret­to di tale ope­ra­zio­ne è quel­lo di imple­men­ta­re l’autorganizzazione popo­la­re: par­to­no le mobi­li­ta­zio­ni dei disoc­cu­pa­ti ver­so gli uffi­ci del col­lo­ca­men­to, aumen­ta la con­flit­tua­li­tà dif­fu­sa con­tro le for­ze dell’ordine e soprat­tut­to ini­zia­no le cam­pa­gne di auto­di­fe­sa con «cam­pa­gne popo­la­ri per le auto­ri­du­zio­ni di tarif­fe e bol­let­te, riap­pro­pria­zio­ne di ser­vi­zi e spa­zi socia­li, requi­si­zio­ni e occu­pa­zio­ni di case, espro­pri pro­le­ta­ri e pra­ti­che di ille­ga­li­tà dif­fu­sa» (Gli auto­no­mi, vol. XI, p. 104) – tra il 1974 e il 1975 cir­ca 70mila fami­glie su 310mila si auto­ri­du­co­no le bol­let­te. La richie­sta quin­di di un sala­rio garan­ti­to fa da filo con­dut­to­re tra set­to­ri del pro­le­ta­ria­to e sot­to­pro­le­ta­ria­to napo­le­ta­no, data la sua capa­ci­tà di inter­ve­ni­re sul sala­rio indi­ret­to nel momen­to del­la cri­si; di aggan­cia­re il discor­so pro­dot­to nel­le fab­bri­che sul sala­rio sgan­cia­to dal­la pro­dut­ti­vi­tà a quel­lo pro­dot­to nel­la fab­bri­ca metro­po­li­ta­na, poi­ché «in una cit­tà nel­la qua­le il red­di­to uffi­cial­men­te distri­bui­to è solo un quar­to del­la quan­ti­tà di mas­sa mone­ta­ria real­men­te coin­vol­ta nel­la cir­co­la­zio­ne socia­le, il con­fi­ne fra mar­gi­na­li­tà e sua nega­zio­ne si per­de» (G. Lovan­co, Una cit­tà fra mar­gi­na­li­tà e inte­gra­zio­ne, “Metro­po­li”, 5Coo­pe­ra­ti­va Linea di Con­dot­ta, 1981, p. 20). 

La riven­di­ca­zio­ne del sala­rio garan­ti­to, sep­pur con­ti­nua nel movi­men­to, arri­va ad affron­ta­re un sal­to di qua­li­tà con il muta­men­to del­la com­po­si­zio­ne socia­le del movi­men­to. Nel­la pri­ma fase la pre­va­len­za di ex-arti­gia­ni e le migra­zio­ni di ritor­no di ex-ope­rai spes­so sin­da­ca­liz­za­ti, ha por­ta­to il movi­men­to ad ave­re riven­di­ca­zio­ni lega­te all’occupazione e di con­se­guen­za il sala­rio garan­ti­to era trat­ta­to come una riven­di­ca­zio­ne desti­na­ta a esse­re prov­vi­so­ri. Quan­do inve­ce, a par­ti­re dal 1976, muta la com­po­si­zio­ne socia­le pre­va­len­te nel movi­men­to, il discor­so sul sala­rio garan­ti­to assu­me una sua cen­tra­li­tà insie­me alla gene­ra­liz­za­zio­ne di un discor­so sul rifiu­to del lavo­ro: il nuo­vo disoc­cu­pa­to, gio­va­ne e sco­la­riz­za­to, rifiu­ta il lavo­ro in quan­to for­ma di costri­zio­ne e ini­zia a riven­di­ca­re sala­rio, non cede alla fram­men­ta­zio­ne impo­sta con le cate­go­rie dei can­tie­ri­sti e cor­si­sti: «due anni di for­ma­zio­ne pro­fes­sio­na­le, quan­do nel­la situa­zio­ne attua­le basta­no tre mesi di cor­so, altro che mano­do­pe­ra spe­cia­liz­za­ta, è che non ci voglio­no inse­ri­re nel ciclo pro­dut­ti­vo, voglio­no met­ter­ci solo chi ci pare a loro, chi san­no che è ubbi­dien­te e non gli rom­pe le pal­le. Comun­que, quel­lo che ci devo­no dare è chia­ro, o lavo­ro o sala­rio» (L. Castel­la­no e P. Vir­no, Par­la­no i Ban­chi Nuo­vi, “Metro­po­li”, 4, 1981, p. 17) L’unità del movi­men­to vie­ne mes­sa alla pro­va dal­le mano­vre di gover­no. Nel set­tem­bre 1978 ven­go­no mes­si a ban­do pri­ma 4mila posti con fina­li­tà essen­zial­men­te assi­sten­zia­li e suc­ces­si­va­men­te ven­go­no mes­si a ban­do cir­ca 6mila posti da cor­si­sta davan­ti ad una pla­tea com­ples­si­va di 31mila disoc­cu­pa­ti iscrit­ti alle liste del col­lo­ca­men­to. Il Comi­ta­to Ban­chi Nuo­vi pren­de l’iniziativa poli­ti­ca veden­do nell’alleanza con gli ope­rai una via d’uscita all’impasse entro cui sono costret­ti. La pras­si entro cui si inne­sta quest’alleanza è quel­la del bloc­co del­la cit­tà attra­ver­so bloc­chi con­ti­nui del­la cir­co­la­zio­ne fino a tar­da not­te ed inter­ven­to atti­vo al fian­co degli ope­rai all’AlfaSud, sia con l’intervento all’assemblea sin­da­ca­le del 6 otto­bre in cui inter­vie­ne anche Ingrao sia con il bloc­co rei­te­ra­to del­le mer­ci fino al 12 otto­bre. Nel­le assem­blee tra disoc­cu­pa­ti e ope­rai si regi­stra l’ultimo gran­de sus­sul­to del movi­men­to pri­ma di una fase di bas­sa che dure­rà fino al ter­re­mo­to del novem­bre 1980.

O’ ter­re­mo­to, 1981

Il movi­men­to dei disoc­cu­pa­ti napo­le­ta­ni, lace­ra­to da una sostan­zia­le dimi­nu­zio­ne del­le liste dei disoc­cu­pa­ti a cir­ca mil­le uni­tà e da una con­giun­tu­ra eco­no­mi­ca sfa­vo­re­vo­le, avrà un ruo­lo poli­ti­co di pri­mo pia­no nell’organizzazione del­le lot­te socia­li all’indomani del ter­re­mo­to. Le spac­ca­tu­re all’interno del­la neo­na­ta UDN – Unio­ne dei disoc­cu­pa­ti napo­le­ta­ni, in cui il PCI ave­va un ruo­lo ege­mo­ne – por­ta­no alla for­ma­zio­ne del Comi­ta­to disoc­cu­pa­ti orga­niz­za­ti – 25 giu­gno, che assie­me al Comi­ta­to ban­chi nuo­vi e ai comi­ta­ti dei disoc­cu­pa­ti in cui gli auto­no­mi napo­le­ta­ni han­no un ruo­lo orga­niz­za­ti­vo di pri­mo pia­no – Vome­ro, Rio­ne Tra­ia­no, e nell’area fle­grea e del­la cin­tu­ra vesu­via­na – avrà uns fun­zio­ne cru­cia­le nel­la pro­du­zio­ne di con­flit­tua­li­tà den­tro e oltre l’emergenza del ter­re­mo­to. Nel­la not­te del 23 novem­bre 1980 i dan­ni più ingen­ti si con­ta­no nell’entroterra irpi­no, poten­ti­no e saler­ni­ta­no, men­tre inve­ce a Napo­li le case dei quar­tie­ri bene – Posil­li­po e Vome­ro – resi­sto­no sen­za trop­pi dan­ni, quel­le dei quar­tie­ri popo­la­ri inve­ce crol­la­no come castel­li di car­ta; l’80% dei dan­ni sono ad abi­ta­zio­ni a uso civi­le, men­tre per l’apparato indu­stria­le i dan­ni sono resi­dua­li: dopo 15 gior­ni dal ter­re­mo­to il 90% degli sta­bi­li­men­ti fun­zio­na a pie­no regi­me  (P. Bas­so, Disoc­cu­pa­ti e Sta­to: il movi­men­to dei disoc­cu­pa­ti orga­niz­za­ti a Napoli:(1975–1981), Fran­co Ange­li, 1981). 

Davan­ti al ter­re­mo­to la sini­stra extra-par­la­men­ta­re e lar­ga par­te del movi­men­to auto­no­mo, in par­ti­co­la­re i comi­ta­ti auto­no­mi de I Vol­sci e di Radio Onda Ros­sa, strut­tu­ra­no il pro­prio lavo­ro poli­ti­co in Irpi­nia dove le isti­tu­zio­ni han­no mostra­to la pro­pria cri­mi­na­le inef­fi­ca­cia. Nel­la pri­ma riu­nio­ne del­le aree anta­go­ni­ste del­la cit­tà, inve­ce, Pie­tro Bas­so del Cen­tro d’iniziativa mar­xi­sta pro­po­ne ai com­pa­gni di «resta­re nel­la metro­po­li per­ché dopo il ter­re­mo­to natu­ra­le si sareb­be veri­fi­ca­to un altro ter­re­mo­to, quel­lo socia­le» e «riven­di­cò al nascen­te nuo­vo movi­men­to dei disoc­cu­pa­ti orga­niz­za­ti una pos­si­bi­le fun­zio­ne di trai­no orga­niz­za­ti­vo ver­so il resto del pro­le­ta­ria­to urba­no e chie­se a tut­ti i mili­tan­ti di unir­si in una mobi­li­ta­zio­ne che avreb­be dovu­to inve­sti­re la cit­tà» (Gli auto­no­mi, vol. XI, p. 39). L’intuizione è lun­gi­mi­ran­te, poi­ché c’è l’esigenza di tene­re insie­me una ete­ro­ge­nea com­po­si­zio­ne del lavo­ro, che muo­ven­do­si tra sot­toc­cu­pa­zio­ne, ille­ga­li­tà, infor­ma­li­tà e lavo­ro a domi­ci­lio rie­sce a tene­re assie­me un pia­no com­ples­si­vo di attac­co alle isti­tu­zio­ni loca­li e nazio­na­li. Le riven­di­ca­zio­ni del movi­men­to si river­sa­no su di una piat­ta­for­ma poli­ti­ca con paro­le d’ordine riguar­dan­ti ristrut­tu­ra­zio­ne a cari­co del­lo Sta­to del­le case ina­gi­bi­li, lavo­ro sta­bi­le e sicu­ro, sala­rio garan­ti­to ed esen­zio­ne dal­le bol­let­te per i pro­le­ta­ri. La piat­ta­for­ma si fa imme­dia­ta­men­te mobi­li­ta­zio­ne per­ma­nen­te: nei mesi suc­ces­si­vi non si rie­sco­no a con­ta­re i cor­tei spon­ta­nei nel capo­luo­go cam­pa­no e all’interno di que­sti non tar­da­no a emer­ge­re com­por­ta­men­ti auto­no­mi e anta­go­ni­sti – come nel pri­mo cor­teo post-sisma in cui una par­te dei mani­fe­stan­ti si diri­ge ver­so auto­no­ma­men­te ver­so Piaz­za Gari­bal­di per attua­re bloc­chi stra­da­li dan­do alle fiam­me dei pullman. 

L’ambizione del Comi­ta­to Ban­chi Nuo­vi e dei disoc­cu­pa­ti del “25 giu­gno” di uni­fi­ca­re il movi­men­to ini­zia a dar­si nel­le pras­si, nei cor­tei che nel mese di gen­na­io 1981 met­to­no a fer­ro e fuo­co i palaz­zi del­le isti­tu­zio­ni, nel­lo iato col sin­da­ca­to che per­de con­tat­to con il movi­men­to e nel­le tra­sfer­te roma­ne con­tro la nuo­va rifor­ma del col­lo­ca­men­to «che non dà lavo­ro a chi non ce l’ha» a cui par­te­ci­pa­no oltre 10mila disoc­cu­pa­ti napo­le­ta­ni. In quest’ultimo even­to, il movi­men­to deci­de di occu­pa­re la sede di “Repub­bli­ca” per lan­cia­re la pro­pria piat­ta­for­ma che ver­te sui pun­ti del rico­no­sci­men­to del­le liste di lot­ta dei disoc­cu­pa­ti orga­niz­za­ti, uso dei disoc­cu­pa­ti orga­niz­za­ti nel lavo­ro di rico­stru­zio­ne, rico­no­sci­men­to del dirit­to all’abitare nel cen­tro sto­ri­co per i pro­le­ta­ri napo­le­ta­ni, ridu­zio­ne dra­sti­ca dell’orario di lavo­ro e varo entro il 15 mar­zo dei cor­si di for­ma­zio­ne-lavo­ro. I disoc­cu­pa­ti fan­no una “guer­ra quo­ti­dia­na” al gover­no loca­le e nazio­na­le con la pro­pria mobi­li­ta­zio­ne per­ma­nen­te  e per l’opposizione alla ristrut­tu­ra­zio­ne ter­ri­to­ria­le, poli­ti­ca ed eco­no­mi­ca attua­ta a mez­zo com­mis­sa­ria­men­to cit­ta­di­no e rico­stru­zio­ne attra­ver­so la leg­ge spe­cia­le l291/​1981 che ser­vì solo a «elar­gi­re una mon­ta­gna di finan­zia­men­ti a una clas­se impren­di­tri­ce (in mag­gio­ran­za del nord Ita­lia tra cui una con­si­sten­te par­te affe­ren­te al cir­cui­to del­la lega del­le coo­pe­ra­ti­ve, all’epoca lega­ta a dop­pio filo con il PCI) la qua­le appe­na si esau­ri­ro­no i flus­si finan­zia­ri dismi­se imme­dia­ta­men­te la gran par­te degli inse­dia­men­ti pro­dut­ti­vi dis­se­mi­nan­do il ter­ri­to­rio di capan­no­ni abban­do­na­ti, river­san­do sui con­ti del­lo sta­to deci­ne di miglia­ia di lavo­ra­to­ri che recla­ma­va­no cas­sa inte­gra­zio­ne e ammor­tiz­za­to­ri socia­li». Davan­ti a que­sta deter­mi­na­zio­ne del movi­men­to «il mini­stro del lavo­ro fran­co Foschi fu costret­to [..] a pre­ci­pi­tar­si a Napo­li dove, in un Palaz­zo San­ta Lucia asse­dia­to da miglia­ia e miglia­ia di sen­za lavo­ro sot­to­scris­se un accor­do per l’avvio di 10mila nuo­vi posti di lavo­ro con i rap­pre­sen­tan­ti del­le liste di lot­ta» (Gli auto­no­mi, vol. XI, p. 46), l’ennesima pro­mes­sa fat­ta per seda­re la mobi­li­ta­zio­ne dei disoc­cu­pa­ti organizzati.

 I con­ti col presente

L’esperienza di lot­ta pro­dot­ta dai disoc­cu­pa­ti orga­niz­za­ti si è gene­ra­liz­za­ta, con­ta­mi­nan­do i col­let­ti­vi auto­no­mi meri­dio­na­li con meto­di e pra­ti­che di lot­ta, e con­cen­tra­ta in un lavo­ro capil­la­re e con­ti­nua­ti­vo a Napo­li. L’esempio di orga­niz­za­zio­ne e moda­li­tà d’intervento poli­ti­co con­ta­mi­na i disoc­cu­pa­ti di cit­tà come Fog­gia, Bari, Taran­to, Paler­mo e Saler­no; la pras­si del­le occu­pa­zio­ni e del­la con­te­sta­zio­ne del gover­no del­la for­za-lavo­ro è l’elemento di usci­ta dal­lo sta­to di invi­si­bi­li­tà a cui si è desti­na­ti; la con­te­sta­zio­ne del­la gestio­ne capi­ta­li­sti­ca dell’intervento socia­le e wel­fa­ri­sti­co pub­bli­co come esi­gen­za di chi a sala­rio o non sala­rio deve cam­pa­re. A oggi la lot­ta dei disoc­cu­pa­ti con­ti­nua a segna­re il tem­po del­la lot­ta pro­le­ta­ria al ricat­to del coman­do capi­ta­li­sti­co del­la for­za-lavo­ro, riven­di­can­do sala­rio garan­ti­to e agi­bi­li­tà poli­ti­ca; l’attacco alle misu­re di atte­nua­men­to del­la pover­tà come il red­di­to di cit­ta­di­nan­za nell’incedere del­la cri­si pri­ma pan­de­mi­ca e poi infla­zio­ni­sti­ca, ha pro­dot­to l’organizzazione poli­ti­ca dei disoc­cu­pa­ti orga­niz­za­ti in cit­tà come Paler­mo – dove il tas­so di disoc­cu­pa­zio­ne rag­giun­ge il 15,6%.

Il lavo­ro dei disoc­cu­pa­ti orga­niz­za­ti a Napo­li con­ti­nua attor­no a ver­ten­ze sull’avviamento al lavo­ro e dei cor­si pro­fes­sio­na­liz­zan­ti con la Regio­ne Cam­pa­nia sot­to la dire­zio­ne del movi­men­to disoc­cu­pa­ti 7 novem­bre«Da più di 9 anni que­sto movi­men­to, uni­ta­men­te dall’estate scor­sa al “Can­tie­re 167 Scam­pia”, si bat­te per la con­qui­sta di un lavo­ro sta­bi­le e sicu­ro. Una lot­ta, con­dot­ta da cen­ti­na­ia di “ulti­mi”» e si allar­ga alle riven­di­ca­zio­ni con­tro l’attacco al sala­rio indi­ret­to con il movi­men­to con­tro il caro­vi­ta noi non