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Pub­bli­chia­mo l’Intro­du­zio­ne a Cen­to fuo­chi. La lot­ta arma­ta nel ’77 di Emi­lio Men­ta­sti, fre­sco di stam­pa per DeriveApprodi.

Quan­do si par­la di lot­ta arma­ta in Ita­lia si affron­ta per lo più solo la sto­ria di alcu­ne «orga­niz­za­zio­ni comu­ni­ste com­bat­ten­ti», omet­ten­do di rico­no­sce­re che quel feno­me­no è sta­to di dimen­sio­ni ben più gran­di, coin­vol­gen­do miglia­ia di mili­tan­ti dell’intero movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio ita­lia­no. Il gran­de movi­men­to di mas­sa del 1977, oltre alle radi­ca­li dif­fe­ren­ze con il ’68 e la rot­tu­ra con le orga­niz­za­zio­ni rifor­mi­ste, si è carat­te­riz­za­to anche per il suo rap­por­to con la teo­riz­za­zio­ne e la pra­ti­ca del­la vio­len­za poli­ti­ca. Il libro docu­men­ta l’enorme dif­fu­sio­ne del feno­me­no arma­to nel 1977, anno in cui ha vis­su­to un vero sal­to di qua­li­tà. Dal­le Bri­ga­te ros­se ai Nuclei arma­ti pro­le­ta­ri, da Azio­ne rivo­lu­zio­na­ria a Pri­ma linea, alle Uni­tà comu­ni­ste com­bat­ten­ti, alle Bri­ga­te comu­ni­ste, ai Col­let­ti­vi poli­ti­ci vene­ti, ai Comi­ta­ti comu­ni­sti rivo­lu­zio­na­ri e alle deci­ne e deci­ne di altre sigle (i «cen­to fuo­chi»), a dimo­stra­zio­ne del­la vasti­tà di una guer­ri­glia dif­fu­sa in tut­ti i ter­ri­to­ri, i luo­ghi di lavo­ro, di stu­dio, di socialità.

* * *

All’interno del­la sini­stra di clas­se, già sul fini­re degli anni Ottan­ta, ci si è posti il dilem­ma di come tro­va­re uno sboc­co poli­ti­co al ciclo di lot­te del decen­nio pre­ce­den­te, ciclo che ormai ave­va esau­ri­to il suo cor­so. Nell’area più lega­ta al movi­men­to la rispo­sta è sta­ta un assor­dan­te silen­zio, poi­ché una sua par­te con­si­sten­te repu­ta­va impos­si­bi­le tira­re un bilan­cio dell’esperienza, in par­ti­co­la­re quel­la arma­ta, fino a quan­do tut­ti i com­pa­gni non fos­se­ro usci­ti dal carcere.

A mio pare­re era inve­ce neces­sa­rio affron­ta­re la discus­sio­ne fin da subi­to, per evi­ta­re che il silen­zio inghiot­tis­se la ric­chez­za di quel ciclo di lot­te evi­tan­do così che si raf­for­zas­se la posi­zio­ne di colo­ro imme­dia­ta­men­te impe­gna­ti a rimuo­ve­re l’esperienza col­let­ti­va del movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio ita­lia­no degli anni Set­tan­ta in tut­te le sue arti­co­la­zio­ni: lot­te, sog­get­ti, pun­ti critici.

Da una par­te affron­ta­re quel­la sto­ria pre­ve­de il supe­ra­men­to di quel ciclo, in par­ti­co­la­re dichia­ran­do­ne la fine, dall’altra fis­sa una demar­ca­zio­ne net­ta con varie for­me di abiu­ra, rin­ne­ga­men­to, tra­di­men­to. In que­sto sen­so fac­cio mie le paro­le di un con­te­sta­to docu­men­to dell’epoca: «per rimar­ca­re il discri­mi­ne che ci sepa­ra da tut­ti colo­ro che han­no pro­mos­so o pra­ti­ca­to il ter­re­no regres­si­vo del­la dis­so­cia­zio­ne [1]. Rispet­to alla qua­le non ci si può limi­ta­re a una cri­ti­ca di super­fi­cie, essen­do neces­sa­rio rile­va­re il prin­ci­pio oscu­ran­ti­sta su cui essa si fon­da. Vale a dire il rin­ne­ga­men­to sacri­fi­ca­le del­la pro­pria sto­ria e del­la pro­pria iden­ti­tà in fun­zio­ne del­la legit­ti­ma­zio­ne del pre­te­so vincitore».

In una socie­tà com­ples­sa come l’attuale, nes­su­no può dichia­rar­si vin­ci­to­re asso­lu­to o viver­si come per­den­te, la dina­mi­ca di quel movi­men­to lo dimo­stra, basti pen­sa­re alle radi­ca­li tra­sfor­ma­zio­ni mate­ria­li e socia­li che ha pro­dot­to, alle con­trad­di­zio­ni che ha fat­to emer­ge­re, anco­ra vive o in atte­sa di riaf­fio­ra­re con più forza.

Ciò che è neces­sa­rio assu­me­re è che quel momen­to sto­ri­co, quel movi­men­to, quel­la par­te­ci­pa­zio­ne, sono irri­pe­ti­bi­li. Trop­pe cose sono cam­bia­te (con­te­sto inter­na­zio­na­le, orga­niz­za­zio­ne del lavo­ro e rela­ti­va com­po­si­zio­ne di clas­se ecc.); que­sto non signi­fi­ca però che quel­la ric­chez­za di sog­get­ti­vi­tà deb­ba cade­re nell’oblio solo per­ché ha «per­so»: non è que­stio­ne di «dis­so­ciar­si» dal pas­sa­to e di spo­sa­re la cau­sa di un vin­ci­to­re che dimo­stra tut­ta la sua inu­ma­ni­tà. Impor­tan­te inve­ce è sto­ri­ciz­za­re quel­la espe­rien­za così da coglier­ne final­men­te tut­ta la ric­chez­za, cri­ti­car­la quan­do è il caso per supe­rar­ne i limi­ti, per pro­get­ta­re un futu­ro miglio­re e smet­te­re di esse­re reti­cen­ti in nome di un pas­sa­to che non c’è più.

Riper­cor­re­re quel perio­do vuol dire com­pren­de­re che la socie­tà ita­lia­na di allo­ra era attra­ver­sa­ta da mol­te­pli­ci scos­so­ni poli­ti­ci inter­ni e inter­na­zio­na­li di dif­fi­ci­le inter­pre­ta­zio­ne e/​o solu­zio­ne e da una ristrut­tu­ra­zio­ne eco­no­mi­ca i cui esi­ti radi­ca­li era­no inve­ce già piut­to­sto chia­ri all’interno del movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio. A fron­te di que­sta cri­si e del­la evi­den­te inca­pa­ci­tà del siste­ma poli­ti­co, ere­de in buo­na par­te del regi­me fasci­sta, di far­vi fron­te, cre­sce­va pre­po­ten­te un movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio fat­to di lavo­ra­to­ri, gio­va­ni, don­ne, dete­nu­ti che chie­de­va­no qual­co­sa di diver­so, una socie­tà più libe­ra e giu­sta. La rispo­sta isti­tu­zio­na­le è sta­ta dura e pesan­te, sen­za alcu­na aper­tu­ra, con l’utilizzo di tut­te le armi pos­si­bi­li per scon­fig­ge­re quel­le insor­gen­ze (stra­gi, ten­ta­ti col­pi di sta­to, P2, com­pro­mes­so sto­ri­co, leg­ge Rea­le, emer­gen­za ter­ro­ri­smo e leg­gi sui pen­ti­ti, gover­ni di uni­tà nazio­na­le, pat­ti socia­li, repres­sio­ne del­le piaz­ze, car­ce­ri spe­cia­li ecc.).

La lot­ta arma­ta fa par­te di quel movi­men­to e ne con­di­vi­de per­ciò i risul­ta­ti, chia­ra­men­te anche i fal­li­men­ti e gli insuc­ces­si. Rac­con­tar­ne le diver­se dina­mi­che è neces­sa­rio se si vuo­le cono­sce­re e inter­pre­ta­re sia la sto­ria di quel movi­men­to che quel­la ita­lia­na del periodo.

Il 1977 non è un anno qua­lun­que per il movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio ita­lia­no. Quan­do si scri­ve di 1977 è ine­vi­ta­bi­le rife­rir­si soprat­tut­to a quan­to il movi­men­to è sta­to in gra­do di met­te­re in cam­po quell’anno: una for­za dirom­pen­te per tut­ta la socie­tà ita­lia­na. Un movi­men­to vero che coin­vol­ge una fet­ta con­si­sten­te di una gene­ra­zio­ne, che si svi­lup­pa sul ter­ri­to­rio nazio­na­le in modo incre­di­bi­le, che pro­po­ne tesi poli­ti­che che sosten­go­no l’attualità del comu­ni­smo, del­la pos­si­bi­li­tà di un supe­ra­men­to in tem­pi bre­vi del­la schia­vi­tù del lavo­ro sala­ria­to date le pos­si­bi­li­tà tec­ni­che e la radi­ca­li­tà e matu­ri­tà dei biso­gni pro­le­ta­ri. Un movi­men­to che può esse­re inter­pre­ta­to attra­ver­so quat­tro chia­vi di let­tu­ra: la sua continuità/​discontinuità col ’68, la rot­tu­ra tota­le con il Pci, il rap­por­to pro­fon­do tra vio­len­za e movi­men­to e più in spe­ci­fi­co tra movi­men­to di mas­sa e lot­ta arma­ta, la sta­gio­ne del movimento.

Un movi­men­to però non è un par­ti­to, così le opzio­ni poli­ti­che e orga­niz­za­ti­ve per il cam­bia­men­to sono mol­te­pli­ci, favo­ri­te anche da un’espansione ter­ri­to­ria­le che diver­si­fi­ca i com­por­ta­men­ti e le scel­te sul­la base del­le carat­te­ri­sti­che ambien­ta­li (pen­sia­mo alle dif­fe­ren­ze tra ciò che avvie­ne a Bolo­gna rispet­to all’esperienza vene­ta, a come si svi­lup­pa a Roma inve­ce che a Mila­no). Un movi­men­to con una for­te dia­let­ti­ca inter­na, con­no­ta­ta di for­te aggres­si­vi­tà, la posta in gio­co è alta, anzi altis­si­ma. Pen­sia­mo al con­ve­gno bolo­gne­se con­tro la repres­sio­ne, alla resa dei con­ti tra le due gran­di «ani­me» di quel movi­men­to: quel che resta di Lot­ta con­ti­nua rac­col­ta intor­no al pro­prio quo­ti­dia­no e l’Autonomia ope­ra­ia. Lo scon­tro non è giu­sti­fi­ca­to solo da una volon­tà di ege­mo­nia poli­ti­ca, è un con­fron­to tra due giu­di­zi sul­la lot­ta arma­ta, Lc la rifiu­ta e la con­dan­na ormai da tem­po, l’area dell’Autonomia la esal­ta. Da una par­te con­ti­nua la costan­te emor­ra­gia di mili­tan­ti di Lot­ta con­ti­nua che si avvi­ci­na­no alle orga­niz­za­zio­ni arma­te non rico­no­scen­do­si più nel­la sua linea «paci­fi­sta», dall’altra la dimo­stra­zio­ne pale­se di ade­sio­ne alla lot­ta arma­ta quan­do, nel cul­mi­ne del­la dispu­ta dia­let­ti­ca all’interno del palaz­zet­to del­lo sport bolo­gne­se, in mas­sa gri­da 10, 100, 1000 Bri­ga­te ros­se [2].

La lot­ta arma­ta nel 1977. Una dif­fe­ren­za evi­den­te tra ’68 e ’77 è il rap­por­to del movi­men­to con l’uso del­la vio­len­za, che da «sim­bo­li­co» diven­ta «pra­ti­co». Già a par­ti­re dal ’68 il dibat­ti­to su que­sto tema è pre­sen­te nel movi­men­to, che met­te ben pre­sto il paci­fi­smo in secon­do pia­no spo­stan­do il ragio­na­men­to sul gra­do cor­ret­to di vio­len­za da pra­ti­ca­re e sul­la sua for­ma miglio­re. Tut­ti i grup­pi extra­par­la­men­ta­ri met­to­no in atto qual­che for­ma di vio­len­za orga­niz­za­ta più o meno dichia­ra­ta, più o meno riven­di­ca­ta, tut­ti sosten­go­no la cor­ret­tez­za del­la vio­len­za di mas­sa ma anche d’avanguardia.

Il movi­men­to del ’77 non solo evo­ca l’uso del­la vio­len­za, ma la met­te in pra­ti­ca in modo inten­so e soprat­tut­to di mas­sa. I ser­vi­zi d’ordine pas­sa­no in secon­do pia­no, il movi­men­to non si difen­de sol­tan­to dal­la poli­zia, dai fasci­sti, dai cru­mi­ri, ma attac­ca deli­be­ra­ta­men­te con la coscien­za e la volon­tà di far­lo, di col­pi­re tut­to ciò che è rife­ri­bi­le al pote­re. Le armi da fuo­co nei cor­tei non sono cer­to una novi­tà, la loro esi­bi­zio­ne osten­ta­ta e l’uso fre­quen­te sì!

Nel movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio la lot­ta arma­ta è vis­su­ta come un per­cor­so asso­lu­ta­men­te inter­no e vie­ne con­dot­ta con l’intento di supe­ra­re l’inevitabile spon­ta­nei­smo, gene­ro­so ma sen­za rea­li prospettive.

Il ’77 è l’anno del movi­men­to del­le uni­ver­si­tà ma è anche l’anno in cui le Bri­ga­te ros­se si con­so­li­da­no (l’anno suc­ces­si­vo rapi­sco­no Aldo Moro), si dif­fon­de la lot­ta arma­ta, nasco­no nuo­ve orga­niz­za­zio­ni comu­ni­ste com­bat­ten­ti, il cosid­det­to «spon­ta­nei­smo arma­to» è sem­pre più dif­fu­so: un dato su tut­ti è il nume­ro del­le azio­ni arma­te (gli «atten­ta­ti») rife­ri­bi­li alla sini­stra, che pas­sa­no da 263 nel 1976 a 777 nel 1977 [3].

La lot­ta arma­ta come for­ma di azio­ne poli­ti­ca è all’ordine del gior­no del movi­men­to del ’77, se ne discu­te in ogni assem­blea, in ogni col­let­ti­vo. Ciò deve esse­re chia­ro per non far appa­ri­re quel movi­men­to come for­ma­to dai «buo­ni» ma inqui­na­to da qual­che «lupo cat­ti­vo», ope­ra­zio­ne quest’ultima già riu­sci­ta a pro­po­si­to del ’68. Si potreb­be obiet­ta­re che lad­do­ve il movi­men­to ha espres­so le sue pun­te più alte di con­flit­to di mas­sa (Bolo­gna e Roma per inten­der­ci) le orga­niz­za­zio­ni arma­te non han­no qua­si ope­ra­to, ma non si può dimen­ti­ca­re l’enorme esten­der­si del­la «guer­ri­glia dif­fu­sa» pro­prio in quel­le stes­se cit­tà e il fat­to che a Roma si stia costi­tuen­do la loca­le colon­na del­le Bri­ga­te ros­se con l’apporto fon­da­men­ta­le di mili­tan­ti pro­ve­nien­ti diret­ta­men­te dal movimento.

È da sfa­ta­re anche la leg­gen­da che il movi­men­to del ’77 muo­re per­ché nasce la lot­ta arma­ta (già ben pre­sen­te, fat­to che non ha di cer­to impe­di­to la dif­fu­sio­ne del movi­men­to, anzi ne ha sti­mo­la­to il dibat­ti­to) o per la repres­sio­ne (la legi­sla­zio­ne spe­cia­le nasce con la leg­ge Rea­le, ema­na­ta nel 1975 a segui­to di vio­len­te mani­fe­sta­zio­ni di mas­sa). Sem­mai i pro­ble­mi di cre­sci­ta del movi­men­to nasco­no per la sua inca­pa­ci­tà di orga­niz­zar­si e per l’impossibilità di tro­va­re sboc­chi all’enorme poten­za di mas­sa espres­sa quell’anno. È pro­prio a segui­to di que­sta impas­se che mol­ti mili­tan­ti scel­go­no di ingros­sa­re le fila del­le orga­niz­za­zio­ni arma­te, così come mol­ti sono quel­li che abban­do­na­no l’impegno poli­ti­co, cer­to non solo per l’azione repres­si­va del pote­re o per l’innalzamento del livel­lo del­lo scon­tro impo­sto dal­le Br con il rapi­men­to Moro.

Que­sto libro vuo­le dar con­to dell’enorme com­ples­si­tà del movi­men­to del ‘77 par­ten­do da un aspet­to che lo ha for­te­men­te carat­te­riz­za­to, la lot­ta arma­ta, con la con­sa­pe­vo­lez­za che è solo uno dei temi del movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio. La let­tu­ra di que­sto libro non può elu­de­re l’ampiezza del­la sto­ria; per esse­re com­ple­ta l’opera ha biso­gno di un appro­fon­di­men­to del con­te­sto, deve dare con­to del­la tota­li­tà del feno­me­no. Il pro­get­to è di con­ti­nua­re ad ana­liz­za­re la sto­ria di quel perio­do con un altro testo che affron­ti gli aspet­ti fon­da­men­ta­li dell’ultimo «assal­to al cie­lo» nel mon­do occidentale.

Note [1] Si ten­ga pre­sen­te che ci sono sta­te nume­ro­sis­si­me for­me di dis­so­cia­zio­ne, alcu­ne col­let­ti­ve (pen­sia­mo a Pri­ma linea e al Docu­men­to dei 51 per esem­pio), mol­te altre indi­vi­dua­li. I gra­di di dis­so­cia­zio­ne sono mol­te­pli­ci, c’è chi rin­ne­ga tut­ta l’esperienza del movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio, chi con­dan­na le orga­niz­za­zio­ni com­bat­ten­ti, chi denun­cia la lot­ta arma­ta, chi tut­ta la pro­pria espe­rien­za, chi chie­de scu­sa alle isti­tu­zio­ni e alla socie­tà che com­bat­te­va, chi riven­di­ca comun­que un per­cor­so di libe­ra­zio­ne anti­ca­pi­ta­li­sta. Que­ste diver­se atti­tu­di­ni fan­no sì che, a livel­lo giu­di­zia­rio, c’è chi con­fer­ma nei fat­ti le dichia­ra­zio­ni dei «pen­ti­ti» e chi inve­ce sostie­ne una linea meno col­la­bo­ra­ti­va. La fra­se cita­ta si rife­ri­sce alla dis­so­cia­zio­ne più dra­sti­ca. [2] Per Pie­ro Ber­noc­chi «al Pala­sport si svol­se la più gran­de mani­fe­sta­zio­ne di sim­pa­tia nei con­fron­ti del­le Bri­ga­te ros­se e dei grup­pi arma­ti clan­de­sti­ni che mai ci sia sta­ta in Ita­lia». P. Ber­noc­chi, Dal ’77 in poi, Mas­sa­ri edi­to­re, Roma 1997, p. 59. [3] M. Gal­le­ni, Rap­por­to sul ter­ro­ri­smo, Riz­zo­li, Mila­no 1981.

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Emi­lio Men­ta­sti ha pub­bli­ca­to: Ber­ga­mo 1967–1980. Lot­te, movi­men­ti, orga­niz­za­zio­ni (2003); La guar­dia ros­sa rac­con­ta. Sto­ria del Comi­ta­to ope­ra­io del­la Magne­ti Marel­li (2006); Sen­za tre­gua. Sto­ria dei Comi­ta­ti comu­ni­sti per il pote­re ope­ra­io (1975–1976), Cen­to fuo­chi. La lot­ta arma­ta nel ’77 (Deri­veAp­pro­di, 2022).