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La secon­da par­te del­l’in­ter­vi­sta ai fra­tel­li Despa­li, pro­ta­go­ni­sti asso­lu­ti del­le vicen­de degli anni Set­tan­ta che han­no dato vita agli “Auto­no­mi”. Il 30 gen­na­io esce il loro libro che rac­con­ta nei det­ta­gli le vicen­de di que­gli anni“

Inter­vi­sta di Ivan Groz­ny Com­pas­so per Pado­vaOg­gi del 26 gen­na­io 2020

A pochi gior­ni dal­l’u­sci­ta de “Gli Auto­no­mi, sto­ria dei col­let­ti­vi poli­ti­ci per il pote­re ope­ra­io”, nel­le libe­rie dal 30 gen­na­io, ecco la secon­da par­te del­l’inter­vi­sta ai due fra­tel­li Despa­li, pro­ta­go­ni­sti asso­lu­ti di una vicen­da che anco­ra oggi divi­de. Far­ci rac­con­ta­re la sto­ria degli anni Set­tan­ta secon­do il pun­to vista dei pro­ta­go­ni­sti è una occa­sio­ne che non pote­va­mo dav­ve­ro lasciar­ci sfug­gi­re. Ma cosa ani­ma­va tan­ti gio­va­ni in que­gli anni cosa era il sogno che si anda­va inse­guen­do: «L’unità dei comu­ni­sti – lo spie­ga Gia­co­mo Despa­li – non era un sogno. In diver­si Pae­si si è dimo­stra­to che è una cosa che pote­va suc­ce­de­re. Non un’utopia, non un sogno ma una pos­si­bi­li­tà con­cre­ta. Oggi mi ren­do con­to che è dif­fi­cil­men­te com­pren­si­bi­le ma allo­ra que­sto si cer­ca­va. Si agi­va tut­ti all’interno di una stes­sa area poli­ti­ca ma c’erano pra­ti­che e dif­fe­ren­ze orga­niz­za­ti­ve tra le varie real­tà. Strut­tu­rar­si come col­let­ti­vi, nel nostro caso, è sta­ta una scel­ta poli­ti­ca e organizzativa».

L’intervista

«Ci strut­tu­ria­mo, non si può lascia­re al caso nul­la. Diven­ta indi­spen­sa­bi­le raf­for­za­re i rap­por­ti inter­ni, sape­re sem­pre chi si ha a fian­co», spie­ga Gia­co­mo. Un aspet­to che per­met­te­rà ai col­let­ti­vi pado­va­ni di rima­ne­re sem­pre uni­ti, anche a fron­te di divi­sio­ni che inve­ce inve­sto­no tan­te real­tà simi­li in tut­ta Ita­lia. «Per riu­sci­re dav­ve­ro a deter­mi­na­re un pro­get­to matu­ro di cam­bia­men­to che met­te insie­me tut­ti colo­ro che agi­va­no all’interno dell’area comu­ni­sta era l’unica pos­si­bi­li­tà per cam­bia­re un Pae­se come il nostro. Ser­vi­va non solo la lot­ta ma anche il ragio­na­men­to, l’analisi, il con­fron­to. Una cre­sci­ta col­let­ti­va che esclu­de il nascon­der­si o la clan­de­sti­ni­tà ma che ha biso­gno di esse­re con­di­vi­sa pub­bli­ca­men­te». Que­sto meto­do orga­niz­za­ti­vo e que­sta scel­ta poli­ti­ca si raf­for­za anco­ra di più dopo l’episodio di Pon­te di Brenta.“

piero despali disegnato da claudio calia per padovaoggi

Un epi­so­dio che segna la vita di un gio­va­nis­si­mo Pie­ro Despa­li che in quel momen­to ha solo 22 anni. La mat­ti­na del 4 set­tem­bre 1975, ver­so le die­ci e tren­ta, alla peri­fe­ria di Pon­te di Bren­ta una pat­tu­glia del­la poli­zia stra­da­le fer­ma una Fiat 128 per un con­trol­lo. Nell’auto vi sono due gio­va­ni, Car­lo Pic­chiu­ra e Pie­ro Despa­li. I due si cono­sco­no ma Despa­li  non sa che Pic­chiu­ra ha scel­to da qual­che gior­no di entra­re nel­le Bri­ga­te Ros­se e di con­se­guen­za in clan­de­sti­ni­tà. Si incon­tra­no qua­si per caso, Despa­li è vici­no casa sua sen­za docu­men­ti e in cia­bat­te. Pic­chiu­ra lo vede, lo fa sali­re in auto dove comin­cia­no una con­ver­sa­zio­ne. I due si cono­sco­no da mol­to tem­po. Così quan­do li fer­ma­no, è il pri­mo dei pas­sag­gi for­ti del­la pri­ma par­te del libro, Pic­chiu­ra pur non essen­do ricer­ca­to, rea­gi­sce. Ne nasce una spa­ra­to­ria in cui per­de la vita l’appuntato Anto­nio Nied­da, che rima­ne ucci­so. Despa­li rima­ne sor­pre­so men­tre le pal­lot­to­le gli fischia­no sopra la testa. Con l’arrivo di altre pat­tu­glie, Pic­chiu­ra e Despa­li ven­go­no arre­sta­ti. La posi­zio­ne di Despa­li vie­ne in poco tem­po chia­ri­ta. Despa­li vie­ne arre­sta­to e mas­sa­cra­to di bot­te in que­stu­ra e pas­sa un mese in iso­la­men­to, dopo­di­ché vie­ne scarcerato.“

«Nel 76 – rac­con­ta Gia­co­mo – il pro­get­to cre­sce e oltre al coin­vol­gi­men­to degli stu­den­ti è for­te anche la com­po­nen­te ope­ra­ia. Negli anni poi aumen­ta sem­pre più il nume­ro di gio­va­ni che scel­go­no di veni­re a stu­dia­re a Pado­va pro­prio per vive­re que­sto tipo di espe­rien­za». Pra­ti­che e idee si dif­fon­do­no tan­to che nasco­no col­let­ti­vi in tut­ta Ita­lia. Nel 1977 c’è l’omicidio di Fran­ce­sco Lorus­so, ucci­so da un pro­iet­ti­le spa­ra­to da un cara­bi­nie­re di leva: «E’ chia­ro che a quel pun­to ci si chie­de se è anco­ra giu­sto che a spa­ra­re sia solo lo Sta­to. E i gior­ni suc­ces­si­vi a Bolo­gna, e soprat­tut­to la mani­fe­sta­zio­ne nazio­na­le di Roma, han­no mobi­li­ta­to cen­ti­na­ia di miglia­ia di per­so­ne, arma­te, per le vie del cen­tro del­la Capi­ta­le. Gia­co­mo cita il bri­ga­ti­sta Mario Moret­ti per pun­tua­liz­za­re un aspet­to: «Lui dice che del “movi­men­to del ‘77” non ci ha mai capi­to un caz­zo, io dico che si vede. Infat­ti loro non han­no sapu­to com­pren­de­re cosa sta­va acca­den­do fuo­ri dal­le fab­bri­che». Le BR in quell’anno rapi­sco­no e ucci­do­no. «Noi ci doman­dia­mo cosa vuol dire usa­re la for­za – inter­vie­ne Pie­ro che rac­con­ta un epi­so­dio acca­du­to a Pado­va – se pen­so a quan­to suc­ces­so al Por­tel­lo nel mag­gio del 1977 dove abbia­mo di fat­to ripro­dot­to situa­zio­ni che sta­va­no acca­den­do a Mila­no e Roma. Quel gior­no abbia­mo mes­so in cam­po un sac­co di ini­zia­ti­ve, le più diver­se. Abbia­mo bloc­ca­to le stra­de, fat­to espro­pri nei super­mer­ca­ti. Gli scon­tri a quel pun­to sono sta­ti ine­vi­ta­bi­li e duris­si­mi. Quat­tro com­pa­gni furo­no arre­sta­ti». Quell’anno comin­cia l’inchiesta del giu­di­ce Calo­ge­ro che por­te­rà agli arre­sti del 7 apri­le 1979 e pro­se­gui­rà con gli arre­sti dell’11 mar­zo 1980. Calo­ge­ro e il suo teo­re­ma che descri­ve Pado­va come la cen­tra­le del ter­ro­ri­smo in Ita­lia. Nel­la vicen­da giu­di­zia­ria si incro­cia­no anche le vite di due giu­di­ci, Calo­ge­ro ovvia­men­te ma anche Palombarini.“

«La let­tu­ra di Palom­ba­ri­ni, che è quel­lo che ci man­da a giu­di­zio – rac­con­ta Pie­ro – si dif­fe­ren­za da quel­la di Calo­ge­ro, pro­prio nell’impostazione. Calo­ge­ro sostie­ne una serie di put­ta­na­te, cioè che ogni real­tà rivo­lu­zio­na­ria agi­sce sot­to una uni­ca regia, che Toni Negri è capo del­le Bri­ga­te Ros­se. Cose che non stan­no né in cie­lo né in ter­ra». Tra gli Auto­no­mi e le Br c’erano visio­ni asso­lu­ta­men­te oppo­ste. Già l’idea di clan­de­sti­ni­tà coz­za con lo sti­le di vita, «noi vive­va­mo, ci diver­ti­va­mo, non ci nascon­de­va­mo affat­to. Non era sacri­fi­cio la lot­ta poli­ti­ca, tutt’altro». Pur non usan­do dei rife­ri­men­ti diret­ti fan­no inten­de­re non solo una visio­ne del mon­do ma anche dell’intendere le bat­ta­glie socia­li. La spa­ra­to­ria di Pon­te di Bren­ta ci dice che i mili­tan­ti poli­ti­ci in que­gli anni si cono­sce­va­no tut­ti anche se appar­te­nen­ti ad altri grup­pi. Era­no ragaz­zi e ragaz­ze mol­to gio­va­ni che ave­va­no spes­so con­di­vi­so gli stu­di, quin­di incon­trar­si non era inso­li­to. «Noi nel libro rac­con­tia­mo anche del­le gam­biz­za­zio­ni ma mai abbia­mo accet­ta­to il con­cet­to e la pra­ti­ca dell’omicidio poli­ti­co. Ovvio che pen­sa­to oggi sem­bra tut­to assur­do. Ma non si può dav­ve­ro para­go­na­re i due perio­di. Più che con­te­stua­liz­za­re biso­gna capi­re quel­lo spe­ci­fi­co momen­to del Nove­cen­to che ave­va un cer­to tipo di carat­te­ri­sti­che. Se lo rap­por­tia­mo ad oggi fac­cia­mo una ope­ra­zio­ne dav­ve­ro sbagliata».

Palom­ba­ri­ni, giu­di­ce istrut­to­re è con­tral­ta­re di Calo­ge­ro, sostie­ne che i col­let­ti­vi, la loro strut­tu­ra, sono sì ban­da arma­ta ma che non c’era nes­su­na regia al di fuo­ri del con­te­sto ter­ri­to­ria­le in cui agi­va­mo. Anche Palom­ba­ri­ni fa una for­za­tu­ra per far pas­sa­re la sua tesi, sor­vo­lan­do anche su limi­ti di tipo giu­ri­di­co». L’arresto di un gio­va­ne, Andrea Migno­ne, fa pre­ci­pi­ta­re le cose dal pun­to di vista del­la repres­sio­ne. La sua casa vie­ne per­qui­si­ta e non vie­ne tro­va­to nul­la. Migno­ne però sa che in casa sua ci sono del­le armi, non dice nul­la agli inqui­ren­ti ma avver­te il padre che inve­ce di far­le spa­ri­re lo denun­cia ai cara­bi­nie­ri. «Una vicen­da che inve­ste anche la moglie dell’arrestato Miriam, che è uno dei miei gran­di dolo­ri – rac­con­ta Pie­ro visi­bil­men­te toc­ca­to – per­ché que­sta ragaz­za sarà dopo addi­ta­ta da tut­ti come una infa­me per­ché si pen­sa sia sta­ta lei a met­te­re gli inqui­ren­ti sul­le trac­ce del­le armi. Men­tre inve­ce lei non ha nes­su­na respon­sa­bi­li­tà. Quel­lo che subi­sce, ed è sta­ta anche trop­po for­te a resi­ste­re a una situa­zio­ne in cui non solo veni­va iso­la­ta ma cari­ca­ta di respon­sa­bi­li­tà che sicu­ra­men­te non ave­va, è tre­men­do, tan­to da por­tar­la a toglier­si la vita. Una tra­ge­dia di cui sia­mo tut­ti respon­sa­bi­li e che si pote­va cer­ca­re di evi­ta­re. Un peso che è dif­fi­ci­le togliersi».

«Sono le nuo­vi gene­ra­zio­ni che devo­no tro­va­re la nuo­va via, ognu­no ha la pro­pria sto­ria. basta che non sia­no i pre­ti però la rispo­sta. Non può esse­re Ber­go­glio il pun­to di rife­ri­men­to. Que­sto è un po’ trop­po. Una figu­ra sug­ge­sti­va, una bra­va per­so­na ma è il Papa, rap­pre­sen­ta un pote­re con le sue con­trad­di­zio­ni inter­ne che nasco­no dal­la pre­oc­cu­pa­zio­ne del­la sua soprav­vi­ven­za di fron­te a cam­bia­men­ti epo­ca­li. Pen­sia­mo al feno­me­no dell’immigrazione, in una Euro­pa a mag­gio­ran­za lai­ca se non atea, la Chie­sa è chia­ro che guar­da a que­ste per­so­ne con inte­res­se. E’ la for­ma mis­sio­na­ria attua­liz­za­ta ai gior­ni d’oggi. Ovvio che di fron­te a tan­to raz­zi­smo la cari­tà sem­bra rivo­lu­zio­na­ria». La fine del­la vostra espe­rien­za coin­ci­de con la nasci­ta del­la Lega, un caso? «Biso­gna non dare il pesce, ma inse­gna­re a pesca­re, è uno dei tan­ti slo­gan che fece suo Umber­to Bos­si tra­sfor­man­do­lo però in una paro­la d’ordine raz­zi­sta. Anche noi dice­va­mo che biso­gna­va cam­bia­re e costrui­re a casa pro­pria, pren­de­re in mano il pro­prio desti­no. Una vol­ta era­no con­cet­ti di sini­stra men­tre oggi si sono tra­sfor­ma­ti in paro­le d’ordine raz­zi­ste e in slo­gan di destra. Que­sto men­tre dall’altra par­te quel­lo che era per noi ciò che anda­va com­bat­tu­to è diven­ta­to oggi il rife­ri­men­to, il pun­to di vista. E’ pro­prio cam­bia­to il mon­do e ades­so è chia­ro che tut­to è anco­ra più dif­fi­ci­le». Una curio­si­tà che mi è venu­ta subi­to dopo aver fini­to il libro è sape­re per­ché non vi sie­te par­la­ti per trent’anni. Come mai Gia­co­mo? «Non sono affa­ri tuoi». Inter­vie­ne Pie­ro che final­men­te si è rilas­sa­to e cer­ca un con­tat­to fisi­co con chi lo sta inter­vi­stan­do. Riden­do que­sta vol­ta dav­ve­ro diver­ti­to, bat­te sul­la spal­le del suo inter­lo­cu­to­re e dice: «Sono caz­zi nostri, certo».

Trat­to da: http://www.padovaoggi.it/attualita/padova-anni-70-affinita-divergenze-autonomia-operaia-brigate-rosse-padova-26-gennaio-2019.html