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Frankenstein – trimestrale di tecnologia, poesia e mercato

«Frank­en­stein – tri­me­stra­le di tec­no­lo­gia, poe­sia e mer­ca­to», è una pub­bli­ca­zio­ne di dif­fi­ci­le repe­ri­bi­li­tà archi­vi­sti­ca, sin­go­la­re e dal­la vita rela­ti­va­men­te bre­ve; da quel che ci risul­ta ne sono sta­ti stam­pa­ti – nono­stan­te la pro­mes­sa del sot­to­ti­to­lo – solo quat­tro nume­ri tra il 1971 e il 1973.

Il perio­do è quel­lo suc­ces­si­vo alla mis­sio­ne Apol­lo 11, quan­do insie­me all’uomo sul­la Luna sbar­ca nell’immaginario col­let­ti­vo una nuo­va for­ma di posi­ti­vi­smo, nel qua­le la tec­no­lo­gia assu­me un ruo­lo cen­tra­le. Quel­le che nel­le pagi­ne di «Frank­en­stein» ven­go­no defi­ni­te «scien­ze e tec­ni­che pras­seo­lo­gi­che» diven­ta­no un poten­te stru­men­to ideo­lo­gi­co per il nuo­vo capi­ta­li­smo, che attra­ver­so esse si rap­pre­sen­ta come ogget­ti­vo, razio­na­le e ineluttabile.

Paral­le­la­men­te, a par­ti­re dal 1968–1969 si era inau­gu­ra­ta una nuo­va sta­gio­ne del­la lot­ta di clas­se in Ita­lia, che vede le fab­bri­che (e dun­que un ambien­te for­te­men­te tec­no­lo­gi­co) come uno dei ter­re­ni prin­ci­pa­li del­lo scontro.

Tra i col­let­ti­vi ope­rai si intra­pren­do­no discus­sio­ni e azio­ni poli­ti­che tema­ti­che che muo­vo­no i pri­mi pas­si dal­la con­te­sta­zio­ne del­la con­ti­gui­tà del­le mul­ti­na­zio­na­li con l’imperialismo – Honey­well e IBM era­no tra i pro­dut­to­ri di tec­no­lo­gia bel­li­ca per la guer­ra in Viet­nam – per appro­da­re ad ana­li­si e riven­di­ca­zio­ni mol­to avan­za­te. Un esem­pio inte­res­san­te può esse­re rin­trac­cia­to nel­le azio­ni e nel­le ela­bo­ra­zio­ni del Grup­po di stu­dio IBM (un col­let­ti­vo di ope­rai nato nel 1969 nel­la IBM Ita­lia di Vimer­ca­te), che deno­ta­no una gran­de con­sa­pe­vo­lez­za del ruo­lo che le tec­no­lo­gie svol­go­no in cam­po scien­ti­fi­co e in tut­to l’assetto capitalistico.

La rivi­sta «Frank­en­stein» si muo­ve quin­di sul cri­na­le di que­sti due aspet­ti: la deco­stru­zio­ne ideo­lo­gi­ca e un’analisi eco­no­mi­ca e politica.

A ren­de­re il tut­to più inte­res­san­te è l’approccio tra­sver­sa­le tipi­co del­le avan­guar­die arti­sti­che degli anni Ses­san­ta. Signi­fi­ca­ti­va­men­te, l’editore di «Frank­en­stein» è l’agenzia pub­bli­ci­ta­ria Al.Sa., fon­da­ta da Ser­gio Alber­go­ni e Gian­ni Sas­si, un duo (la sigla Al.Sa. sta pro­prio per Al.bergoni/Sa.ssi) di arti­sti e agi­ta­to­ri cul­tu­ra­li atti­vi a par­ti­re dal 1963 e tra i prin­ci­pa­li redat­to­ri del­la pubblicazione.

Duran­te il perio­do di atti­vi­tà del­la rivi­sta, i due scri­ve­ran­no i testi degli Area per il loro pri­mo album Arbeit Macht Frei del 1973, fir­man­do­si con lo pseu­do­ni­mo Frank­en­stein. Gian­ni Sas­si, tra le tan­te cose anche illu­stra­to­re, è auto­re del­le gra­fi­che per lo stes­so album e, con ogni pro­ba­bi­li­tà, per tut­ti i nume­ri del­la rivi­sta. Insie­me fon­de­ran­no anche la sto­ri­ca eti­chet­ta disco­gra­fi­ca «Cramps», che nel logo ripor­ta pro­prio l’immagine sti­liz­za­ta di Frank­en­stein. Sas­si fon­de­rà nel 1979 insie­me a Nan­ni Bale­stri­ni la rivi­sta «Alfa­be­ta», di cui sarà anche il direttore.

Padova e gli anni ’70. Gli “autonomi”: «Ora quella storia ve la raccontiamo noi»

Padova e gli anni ’70. Gli “autonomi”: «Ora quella storia ve la raccontiamo noi»

Inter­vi­sta di Ivan Groz­ny Com­pas­so per Pado­vaOg­gi del 19 gen­na­io 2020

Pado­va e gli anni ’70. Gli “auto­no­mi”: «Ora quel­lo sto­ria ve la rac­con­tia­mo noi»

Gia­co­mo e Pie­ro Despa­li sono due fra­tel­li sul­la soglia dei settant’anni. I due non si par­la­va­no da tren­ta. I loro nomi ai più diran­no poco o nul­la, ma han­no con­tri­bui­to a scri­ve­re una pagi­na di sto­ria sem­pre mol­to discus­sa ma mai rac­con­ta­ta dai pro­ta­go­ni­sti di quei gior­ni. Una pagi­na per mol­ti con­tro­ver­sa e pie­na di ombre, che copre il perio­do che va da metà anni set­tan­ta fino ai pri­mi ottan­ta con l’intervento del­la magi­stra­tu­ra. Una pagi­na che “gli scon­fit­ti” ave­va­no sem­pre lascia­to in bian­co e che ora han­no riem­pi­to tan­to da far­ne un libro, in usci­ta il 30 gen­na­io edi­to da Deri­ve e Approdi. 

Terrorismo e Wikipedia

Se si va ad esem­pio sul­la pagi­na di wiki­pe­dia, la voce “col­let­ti­vi poli­ti­ci per il pote­re ope­ra­io” è cata­lo­ga­ta come grup­po ter­ro­ri­sti­co. Se è come dice l’enciclopedia onli­ne, quel­li che stia­mo inter­vi­stan­do sono due ex ter­ro­ri­sti? «Ha col­pi­to mol­to anche me tro­va­re quel tipo di defi­ni­zio­ne la pri­ma vol­ta che l’ho cer­ca­ta – rac­con­ta Gia­co­mo, il più gran­de dei due – quin­di vuol dire che è tem­po che si rac­con­ti in pri­ma per­so­na chi era­va­mo, cosa abbia­mo fat­to e ripor­ta­re a gal­la l’atmosfera, le situa­zio­ni e le moti­va­zio­ni dell’epoca, oltre che la repres­sio­ne, le per­se­cu­zio­ni giu­di­zia­rie e i mor­ti». Pren­de fia­to e aggiun­ge: «Ter­ro­ri­smo è ucci­de­re indi­scri­mi­na­ta­men­te, ter­ro­ri­smo sono le stra­gi: le bom­be sui tre­ni Ita­li­cus o quel­la alla sta­zio­ne di Bolo­gna o alla Ban­ca dell’Agricoltura. Quel­lo è sta­to ter­ro­ri­smo». Lo spie­ga con cal­ma, pren­den­do­si il suo tem­po, Gia­co­mo. Lo farà per tut­to il cor­so di que­sta inter­vi­sta, cir­ca quat­tro ore di rispo­ste e spie­ga­zio­ni mol­to det­ta­glia­te che vista la com­ples­si­tà del tema e la vasti­tà di infor­ma­zio­ni rac­col­te abbia­mo deci­so di divi­de­re in due par­ti, que­sta la pri­ma. «Se lo fos­si­mo sta­ti – pro­se­gue Gia­co­mo – ter­ro­ri­sti, sarem­mo sta­ti iso­la­ti, cosa che pro­prio non era. Agi­va­mo in un con­te­sto socia­le ampis­si­mo, come era l’area del­la sini­stra del tem­po. Cer­to, era­va­mo con­sa­pe­vo­li che ci sareb­be sta­ta la fer­ma rispo­sta del­le isti­tu­zio­ni e anche la repres­sio­ne, che pun­tual­men­te è arri­va­ta, ma era­no in tan­ti ad esse­re coin­vol­ti in que­sto per­cor­so che al tem­po sem­bra­va pos­si­bi­le. Il con­te­sto inter­na­zio­na­le del tem­po ci auto­riz­za­va a far­lo. Se il Vene­to è una regio­ne in cui vige lo stra­po­te­re del­la Demo­cra­zia Cri­stia­na, nel mon­do c’è l’Unione Sovie­ti­ca, la Cina di Mao, Cuba con Castro. Agli  ini­zi degli anni Set­tan­ta si respi­ra­va que­sta atmo­sfe­ra tra chi si sen­te mili­tan­te rivo­lu­zio­na­rio per il comunismo». 

Logica collegiale

Voi non ave­va­te dei capi a dif­fe­ren­za di altre orga­niz­za­zio­ni: «All’interno dei col­let­ti­vi c’erano quel­li con più respon­sa­bi­li­tà e quin­di più espo­sti a rischi e quel­li meno». Voi face­va­te cer­ta­men­te par­te del­la pri­ma cate­go­ria, ma è trop­po sem­pli­ci­sti­co dire che sie­te voi che ave­te dato vita alla sta­gio­ne degli “auto­no­mi” ? «Noi sia­mo tra i tan­ti», rispon­de sec­co Gia­co­mo. Quin­di sì, rilan­cia­mo: «La logi­ca del­la lea­der­ship non ci appar­te­ne­va, un altro con­to – inter­vie­ne Pie­ro – è inve­ce assu­mer­si del­le respon­sa­bi­li­tà. Noi le abbia­mo avu­te, mag­gio­ri e a vol­te più di altri, ma sem­pre den­tro una dina­mi­ca col­le­gia­le, di con­di­vi­sio­ne di un pun­to di vista. Non c’era un capo, non ne ave­va­mo biso­gno». Poi fa nota­re: «Basta dire che per noi l’egualitarismo era una bat­ta­glia che por­ta­va­mo nel­la socie­tà, ma con­cet­ti ad esem­pio come l’uguaglianza tra uomo e don­na al nostro inter­no era­no un dato già acquisito».

Come vi defi­ni­re­ste? «Noi era­va­mo dei mili­tan­ti rivo­lu­zio­na­ri, mol­to sco­la­riz­za­ti. L’elemento fon­da­men­ta­le, per quan­to riguar­da il nostro per­cor­so, è una sog­get­ti­vi­tà pur gio­va­ne, che ha un alto tas­so di istru­zio­ne. A quel tem­po acce­de­re agli stu­di era faci­le e anche l’Università non costa­va. I per­cor­si e le pro­po­ste for­ma­ti­ve era­no mol­to vari. C’erano i semi­na­ri di pro­fes­so­ri come Negri, Fer­ra­ri Bra­vo e Bolo­gna. La qua­li­tà di chi ci for­ma­va era di un cer­to livel­lo. L’Università atti­ra­va gio­va­ni da tut­ta Ita­lia. Poi però nel­le uni­ver­si­tà c’erano anche docen­ti e mili­tan­ti fasci­sti. Era­no tan­ti in cit­tà». In que­gli anni vi scon­tra­va­te nel­le stra­de: «Sì – inter­vie­ne Gia­co­mo – ma non ci abbia­mo mes­so mol­to a rele­gar­li in via Zaba­rel­la, men­tre pri­ma gira­va­no indi­stur­ba­ti in tut­ta la cit­tà. A quel pun­to l’unico luo­go sicu­ro era la sede del MSI, che si tro­va­va pro­prio in quel­la via. E que­sto tipo di per­cor­so si vede­va. Alcu­ni com­pa­gni era­no sta­ti aggre­di­ti così sono nate del­le ron­de che sono pas­sa­te dall’intervenire in aiu­to al pre­ve­ni­re il pro­ble­ma, in poco tem­po». Era­va­te tan­ti, non cer­to una real­tà mar­gi­na­le: «Non era un discor­so solo nume­ri­co, noi vive­va­mo la cit­tà e il ter­ri­to­rio. Ne era­va­mo par­te inte­gran­te. Per que­sto non abbia­mo mai volu­to sce­glie­re la clan­de­sti­ni­tà, per­ché vole­va­mo vive­re alla luce del sole la feli­ci­tà del cam­bia­men­to che vive­va­mo o che comun­que auspi­ca­va­mo. Que­sto fino a che non è nata l’inchiesta Calo­ge­ro col suo teo­re­ma. Non era­va­mo in un ghet­to, die­tro c’era un humus socia­le e cul­tu­ra­le che coin­vol­ge­va tut­ti gli stra­ti socia­li del­la cit­tà. I ceti di pro­ve­nien­za era­no varie­ga­ti. La cit­tà era coin­vol­ta, c’era un radi­ca­men­to vero, socia­le. Per que­sto abbia­mo tenu­to anche sul pia­no pro­ces­sua­le, al con­tra­rio di real­tà ana­lo­ghe in altre cit­tà. Per­ché sia­mo rima­sti uni­ti. Nell’epoca del pen­ti­ti­smo e del­la dis­so­cia­zio­ne, gli stru­men­ti che lo Sta­to usa­va per col­pi­re i movi­men­ti, noi non abbia­mo scel­to né l’una e nep­pu­re l’altra». I Despa­li han­no pas­sa­to gli ulti­mi due anni e mez­zo a rileg­ge­re tut­ti gli atti dell’inchiesta del giu­di­ce Calo­ge­ro, com­pre­si gli interrogatori.

Il giudice Calogero

«Per Calo­ge­ro è sta­to fon­da­men­ta­le l’aiuto con testi­mo­ni e stru­men­ti poli­ti­ci del­la fede­ra­zio­ne di via Bea­to Pel­le­gri­no del PCI. Per quel par­ti­to è intol­le­ra­bi­le la pre­sen­za di qual­sia­si real­tà che stia alla sua sini­stra. Il PCI è dal ’68 che face­va fati­ca a leg­ge­re la real­tà del­le fab­bri­che e men che meno le istan­ze gio­va­ni­li. Per loro era­va­mo quin­di una gra­na». E Calo­ge­ro? «Lo con­vin­co­no che Pado­va è “la cen­tra­le” che met­te in peri­co­lo la demo­cra­zia. Lui ci cre­de con un atteg­gia­men­to direi fana­ti­co. In quel­la fase poli­ti­ca in cit­tà il radi­ca­men­to dei col­let­ti­vi poli­ti­ci e del movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio era mol­to for­te. Sono gli anni in cui il par­ti­to di Ber­lin­guer lavo­ra per met­te­re in atto il com­pro­mes­so sto­ri­co». Lo rac­con­ta tut­to di un fia­to: «E’ anche da Pado­va che par­te la voce che i tele­fo­ni­sti del­le BR che par­la­no con la fami­glia di Aldo Moro fos­se­ro il gior­na­li­sta de l’Espresso Pino Nico­tri e il pro­fes­sor Toni Negri. La voce di Negri è incon­fon­di­bi­le, impos­si­bi­le con­fon­de­re lui con qual­cun altro o vice­ver­sa». E chi dice di rico­no­sce­re que­ste voci e le distin­gue? «Un assi­sten­te di mate­ma­ti­ca a Inge­gne­ria, Rena­to Troi­lo che del PCI face­va par­te, dice di rico­no­sce­re la voce di Pino Nico­tri, cosa che non è asso­lu­ta­men­te vera». Poi Pie­ro Despa­li,  fa un pas­so indie­tro: «Nel 1976 Calo­ge­ro pro­ces­sa tren­ta­tre fasci­sti a Pado­va e alcu­ni di noi, for­se con un po’ di leg­ge­rez­za, chia­ma­ti a testi­mo­nia­re con­tro gli impu­ta­ti, ci van­no. E’ nel­la logi­ca che con­tro i fasci­sti vale tut­to – sot­to­li­nea con un sor­ri­so sar­ca­sti­co ma non trop­po com­pia­ciu­to – così Calo­ge­ro comin­cia a rac­co­glie­re infor­ma­zio­ni su di noi e allo stes­so tem­po si costrui­sce una cer­ta fama». 

La CIA

Però voi sor­ri­de­te quan­do si accen­na a teo­rie su com­plot­ti e “gran­di vec­chi” che diri­go­no mas­se e siste­mi: «Maga­ri ci fos­se sta­ta una gran­de orga­niz­za­zio­ne alle spal­le, maga­ri inter­na­zio­na­le – scop­pia in una gran­de risa­ta Gia­co­mo – inve­ce non è affat­to così. E vale lo stes­so per la nostra vicen­da pro­ces­sua­le». Inter­vie­ne di nuo­vo Pie­ro, che con tono que­sta vol­ta mol­to sar­ca­sti­co ma non per que­sto meno serio, dice: «Ma cer­to che ci cre­de­va Calo­ge­ro e ha fat­to di tut­to per dimo­stra­re la sua tesi. Che non sta­va in pie­di, cer­to. Ma que­sto per­ché il giu­di­ce Calo­ge­ro non ave­va gli stru­men­ti per com­pren­de­re i movi­men­ti. Uti­liz­za­va degli sche­mi con l’approccio di un mania­co sul­la pre­da più che quel­lo di uno che vuo­le accer­ta­re dei fat­ti. Cre­de­va che fos­si­mo paga­ti dal­la CIA», sot­to­li­nea­to con una risata.

Disegno di Claudio Calia raffigurante Ivan Grozny Compasso

Violenza politica

E’ raro che i due si lasci­no anda­re ad entu­sia­smi, ma le poche vol­te in cui rido­no non è mai per vero diver­ti­men­to ma solo a sot­to­li­nea­re para­dos­si. Come quan­do chie­dia­mo inge­nua­men­te come si può rac­con­ta­re a chi è nato negli anni Zero quel perio­do, quel modo di sta­re in piaz­za fat­to anche di scon­tri, di molo­tov e di col­pi d’arma da fuo­co. Oggi si giu­di­ca più il modo di sta­re in piaz­za che i con­te­nu­ti e le rimo­stran­ze che si voglio­no evi­den­zia­re, dal­le “sar­di­ne” alla fiac­co­la­te per inten­der­ci: «Com’è cam­bia­to il mon­do, una vol­ta in stra­da si alza­va in alto il pugno in segno di lot­ta, oggi si avan­za con le mani alza­te – ci scher­za su, Gia­co­mo – ma è impos­si­bi­le rap­por­ta­re la real­tà attua­le a quel­la di que­gli anni». Sot­to­li­nea Pie­ro: «Non si pos­so­no para­go­na­re le due epo­che. Ai tem­pi la cosid­det­ta “ille­ga­li­tà di mas­sa”, come ad esem­pio le occu­pa­zio­ni o gli espro­pri pro­le­ta­ri,  era mol­to pra­ti­ca­ta e dif­fu­sa. La vio­len­za poli­ti­ca era vista come una pos­si­bi­li­tà in rispo­sta alla vio­len­za del­le isti­tu­zio­ni, alle car­ce­ri o ai pestag­gi nel­le caser­me e nel­le que­stu­re. Ma non c’entra nul­la con l’omicidio poli­ti­co che noi abbia­mo sem­pre rifiu­ta­to. Non per que­sto non sape­va­mo da che par­te sta­re. Non si può valu­ta­re quell’epoca usan­do gli stru­men­ti inter­pre­ta­ti­vi che si uti­liz­za­no per com­pren­de­re il tem­po pre­sen­te, come ci fos­se una con­ti­nui­tà. Per que­sto nel libro descri­via­mo e entria­mo nel det­ta­glio per­ché non è solo il con­te­sto ma la com­ples­si­tà di quel tem­po che è indi­spen­sa­bi­le com­pren­de­re se si ha dav­ve­ro voglia di capi­re. Soprat­tut­to per un pado­va­no, poi si può apprez­za­re oppu­re no, ma c’è l’opportunità per la pri­ma vol­ta di sen­ti­re rac­con­ta­re quel­la sto­ria da den­tro e non come è sta­ta vista, inter­pre­ta­ta e giu­di­ca­ta solo attra­ver­so un tipo di nar­ra­zio­ne asso­lu­ti­sta e pregiudizievole».

Lega 

Il rac­con­to di una scon­fit­ta: «Cer­to sì, il rac­con­to di una scon­fit­ta. Ma noi rac­con­tia­mo tut­to nel libro, pro­prio tut­to. E a pen­sar­ci oggi, que­sto sì, non è anda­ta bene nep­pu­re per i vin­ci­to­ri di allo­ra. Guar­da caso oggi vola la Lega, la cui nasci­ta coin­ci­de pro­prio con la chiu­su­ra dell’esperienza dei col­let­ti­vi poli­ti­ci veneti».

Trat­to da: http://www.padovaoggi.it/attualita/padova-anni-70-autonomi-raccontano-collettivi-politici-potere-operaio-padova-19-gennaio-2019.html

Padova e gli anni ’70: affinità e divergenze tra Autonomia Operaia e Brigate Rosse

Padova e gli anni ’70: affinità e divergenze tra Autonomia Operaia e Brigate Rosse

La secon­da par­te del­l’in­ter­vi­sta ai fra­tel­li Despa­li, pro­ta­go­ni­sti asso­lu­ti del­le vicen­de degli anni Set­tan­ta che han­no dato vita agli “Auto­no­mi”. Il 30 gen­na­io esce il loro libro che rac­con­ta nei det­ta­gli le vicen­de di que­gli anni“

Inter­vi­sta di Ivan Groz­ny Com­pas­so per Pado­vaOg­gi del 26 gen­na­io 2020

A pochi gior­ni dal­l’u­sci­ta de “Gli Auto­no­mi, sto­ria dei col­let­ti­vi poli­ti­ci per il pote­re ope­ra­io”, nel­le libe­rie dal 30 gen­na­io, ecco la secon­da par­te del­l’inter­vi­sta ai due fra­tel­li Despa­li, pro­ta­go­ni­sti asso­lu­ti di una vicen­da che anco­ra oggi divi­de. Far­ci rac­con­ta­re la sto­ria degli anni Set­tan­ta secon­do il pun­to vista dei pro­ta­go­ni­sti è una occa­sio­ne che non pote­va­mo dav­ve­ro lasciar­ci sfug­gi­re. Ma cosa ani­ma­va tan­ti gio­va­ni in que­gli anni cosa era il sogno che si anda­va inse­guen­do: «L’unità dei comu­ni­sti – lo spie­ga Gia­co­mo Despa­li – non era un sogno. In diver­si Pae­si si è dimo­stra­to che è una cosa che pote­va suc­ce­de­re. Non un’utopia, non un sogno ma una pos­si­bi­li­tà con­cre­ta. Oggi mi ren­do con­to che è dif­fi­cil­men­te com­pren­si­bi­le ma allo­ra que­sto si cer­ca­va. Si agi­va tut­ti all’interno di una stes­sa area poli­ti­ca ma c’erano pra­ti­che e dif­fe­ren­ze orga­niz­za­ti­ve tra le varie real­tà. Strut­tu­rar­si come col­let­ti­vi, nel nostro caso, è sta­ta una scel­ta poli­ti­ca e organizzativa».

L’intervista

«Ci strut­tu­ria­mo, non si può lascia­re al caso nul­la. Diven­ta indi­spen­sa­bi­le raf­for­za­re i rap­por­ti inter­ni, sape­re sem­pre chi si ha a fian­co», spie­ga Gia­co­mo. Un aspet­to che per­met­te­rà ai col­let­ti­vi pado­va­ni di rima­ne­re sem­pre uni­ti, anche a fron­te di divi­sio­ni che inve­ce inve­sto­no tan­te real­tà simi­li in tut­ta Ita­lia. «Per riu­sci­re dav­ve­ro a deter­mi­na­re un pro­get­to matu­ro di cam­bia­men­to che met­te insie­me tut­ti colo­ro che agi­va­no all’interno dell’area comu­ni­sta era l’unica pos­si­bi­li­tà per cam­bia­re un Pae­se come il nostro. Ser­vi­va non solo la lot­ta ma anche il ragio­na­men­to, l’analisi, il con­fron­to. Una cre­sci­ta col­let­ti­va che esclu­de il nascon­der­si o la clan­de­sti­ni­tà ma che ha biso­gno di esse­re con­di­vi­sa pub­bli­ca­men­te». Que­sto meto­do orga­niz­za­ti­vo e que­sta scel­ta poli­ti­ca si raf­for­za anco­ra di più dopo l’episodio di Pon­te di Brenta.“

piero despali disegnato da claudio calia per padovaoggi

Un epi­so­dio che segna la vita di un gio­va­nis­si­mo Pie­ro Despa­li che in quel momen­to ha solo 22 anni. La mat­ti­na del 4 set­tem­bre 1975, ver­so le die­ci e tren­ta, alla peri­fe­ria di Pon­te di Bren­ta una pat­tu­glia del­la poli­zia stra­da­le fer­ma una Fiat 128 per un con­trol­lo. Nell’auto vi sono due gio­va­ni, Car­lo Pic­chiu­ra e Pie­ro Despa­li. I due si cono­sco­no ma Despa­li  non sa che Pic­chiu­ra ha scel­to da qual­che gior­no di entra­re nel­le Bri­ga­te Ros­se e di con­se­guen­za in clan­de­sti­ni­tà. Si incon­tra­no qua­si per caso, Despa­li è vici­no casa sua sen­za docu­men­ti e in cia­bat­te. Pic­chiu­ra lo vede, lo fa sali­re in auto dove comin­cia­no una con­ver­sa­zio­ne. I due si cono­sco­no da mol­to tem­po. Così quan­do li fer­ma­no, è il pri­mo dei pas­sag­gi for­ti del­la pri­ma par­te del libro, Pic­chiu­ra pur non essen­do ricer­ca­to, rea­gi­sce. Ne nasce una spa­ra­to­ria in cui per­de la vita l’appuntato Anto­nio Nied­da, che rima­ne ucci­so. Despa­li rima­ne sor­pre­so men­tre le pal­lot­to­le gli fischia­no sopra la testa. Con l’arrivo di altre pat­tu­glie, Pic­chiu­ra e Despa­li ven­go­no arre­sta­ti. La posi­zio­ne di Despa­li vie­ne in poco tem­po chia­ri­ta. Despa­li vie­ne arre­sta­to e mas­sa­cra­to di bot­te in que­stu­ra e pas­sa un mese in iso­la­men­to, dopo­di­ché vie­ne scarcerato.“

«Nel 76 – rac­con­ta Gia­co­mo – il pro­get­to cre­sce e oltre al coin­vol­gi­men­to degli stu­den­ti è for­te anche la com­po­nen­te ope­ra­ia. Negli anni poi aumen­ta sem­pre più il nume­ro di gio­va­ni che scel­go­no di veni­re a stu­dia­re a Pado­va pro­prio per vive­re que­sto tipo di espe­rien­za». Pra­ti­che e idee si dif­fon­do­no tan­to che nasco­no col­let­ti­vi in tut­ta Ita­lia. Nel 1977 c’è l’omicidio di Fran­ce­sco Lorus­so, ucci­so da un pro­iet­ti­le spa­ra­to da un cara­bi­nie­re di leva: «E’ chia­ro che a quel pun­to ci si chie­de se è anco­ra giu­sto che a spa­ra­re sia solo lo Sta­to. E i gior­ni suc­ces­si­vi a Bolo­gna, e soprat­tut­to la mani­fe­sta­zio­ne nazio­na­le di Roma, han­no mobi­li­ta­to cen­ti­na­ia di miglia­ia di per­so­ne, arma­te, per le vie del cen­tro del­la Capi­ta­le. Gia­co­mo cita il bri­ga­ti­sta Mario Moret­ti per pun­tua­liz­za­re un aspet­to: «Lui dice che del “movi­men­to del ‘77” non ci ha mai capi­to un caz­zo, io dico che si vede. Infat­ti loro non han­no sapu­to com­pren­de­re cosa sta­va acca­den­do fuo­ri dal­le fab­bri­che». Le BR in quell’anno rapi­sco­no e ucci­do­no. «Noi ci doman­dia­mo cosa vuol dire usa­re la for­za – inter­vie­ne Pie­ro che rac­con­ta un epi­so­dio acca­du­to a Pado­va – se pen­so a quan­to suc­ces­so al Por­tel­lo nel mag­gio del 1977 dove abbia­mo di fat­to ripro­dot­to situa­zio­ni che sta­va­no acca­den­do a Mila­no e Roma. Quel gior­no abbia­mo mes­so in cam­po un sac­co di ini­zia­ti­ve, le più diver­se. Abbia­mo bloc­ca­to le stra­de, fat­to espro­pri nei super­mer­ca­ti. Gli scon­tri a quel pun­to sono sta­ti ine­vi­ta­bi­li e duris­si­mi. Quat­tro com­pa­gni furo­no arre­sta­ti». Quell’anno comin­cia l’inchiesta del giu­di­ce Calo­ge­ro che por­te­rà agli arre­sti del 7 apri­le 1979 e pro­se­gui­rà con gli arre­sti dell’11 mar­zo 1980. Calo­ge­ro e il suo teo­re­ma che descri­ve Pado­va come la cen­tra­le del ter­ro­ri­smo in Ita­lia. Nel­la vicen­da giu­di­zia­ria si incro­cia­no anche le vite di due giu­di­ci, Calo­ge­ro ovvia­men­te ma anche Palombarini.“

«La let­tu­ra di Palom­ba­ri­ni, che è quel­lo che ci man­da a giu­di­zio – rac­con­ta Pie­ro – si dif­fe­ren­za da quel­la di Calo­ge­ro, pro­prio nell’impostazione. Calo­ge­ro sostie­ne una serie di put­ta­na­te, cioè che ogni real­tà rivo­lu­zio­na­ria agi­sce sot­to una uni­ca regia, che Toni Negri è capo del­le Bri­ga­te Ros­se. Cose che non stan­no né in cie­lo né in ter­ra». Tra gli Auto­no­mi e le Br c’erano visio­ni asso­lu­ta­men­te oppo­ste. Già l’idea di clan­de­sti­ni­tà coz­za con lo sti­le di vita, «noi vive­va­mo, ci diver­ti­va­mo, non ci nascon­de­va­mo affat­to. Non era sacri­fi­cio la lot­ta poli­ti­ca, tutt’altro». Pur non usan­do dei rife­ri­men­ti diret­ti fan­no inten­de­re non solo una visio­ne del mon­do ma anche dell’intendere le bat­ta­glie socia­li. La spa­ra­to­ria di Pon­te di Bren­ta ci dice che i mili­tan­ti poli­ti­ci in que­gli anni si cono­sce­va­no tut­ti anche se appar­te­nen­ti ad altri grup­pi. Era­no ragaz­zi e ragaz­ze mol­to gio­va­ni che ave­va­no spes­so con­di­vi­so gli stu­di, quin­di incon­trar­si non era inso­li­to. «Noi nel libro rac­con­tia­mo anche del­le gam­biz­za­zio­ni ma mai abbia­mo accet­ta­to il con­cet­to e la pra­ti­ca dell’omicidio poli­ti­co. Ovvio che pen­sa­to oggi sem­bra tut­to assur­do. Ma non si può dav­ve­ro para­go­na­re i due perio­di. Più che con­te­stua­liz­za­re biso­gna capi­re quel­lo spe­ci­fi­co momen­to del Nove­cen­to che ave­va un cer­to tipo di carat­te­ri­sti­che. Se lo rap­por­tia­mo ad oggi fac­cia­mo una ope­ra­zio­ne dav­ve­ro sbagliata».

Palom­ba­ri­ni, giu­di­ce istrut­to­re è con­tral­ta­re di Calo­ge­ro, sostie­ne che i col­let­ti­vi, la loro strut­tu­ra, sono sì ban­da arma­ta ma che non c’era nes­su­na regia al di fuo­ri del con­te­sto ter­ri­to­ria­le in cui agi­va­mo. Anche Palom­ba­ri­ni fa una for­za­tu­ra per far pas­sa­re la sua tesi, sor­vo­lan­do anche su limi­ti di tipo giu­ri­di­co». L’arresto di un gio­va­ne, Andrea Migno­ne, fa pre­ci­pi­ta­re le cose dal pun­to di vista del­la repres­sio­ne. La sua casa vie­ne per­qui­si­ta e non vie­ne tro­va­to nul­la. Migno­ne però sa che in casa sua ci sono del­le armi, non dice nul­la agli inqui­ren­ti ma avver­te il padre che inve­ce di far­le spa­ri­re lo denun­cia ai cara­bi­nie­ri. «Una vicen­da che inve­ste anche la moglie dell’arrestato Miriam, che è uno dei miei gran­di dolo­ri – rac­con­ta Pie­ro visi­bil­men­te toc­ca­to – per­ché que­sta ragaz­za sarà dopo addi­ta­ta da tut­ti come una infa­me per­ché si pen­sa sia sta­ta lei a met­te­re gli inqui­ren­ti sul­le trac­ce del­le armi. Men­tre inve­ce lei non ha nes­su­na respon­sa­bi­li­tà. Quel­lo che subi­sce, ed è sta­ta anche trop­po for­te a resi­ste­re a una situa­zio­ne in cui non solo veni­va iso­la­ta ma cari­ca­ta di respon­sa­bi­li­tà che sicu­ra­men­te non ave­va, è tre­men­do, tan­to da por­tar­la a toglier­si la vita. Una tra­ge­dia di cui sia­mo tut­ti respon­sa­bi­li e che si pote­va cer­ca­re di evi­ta­re. Un peso che è dif­fi­ci­le togliersi».

«Sono le nuo­vi gene­ra­zio­ni che devo­no tro­va­re la nuo­va via, ognu­no ha la pro­pria sto­ria. basta che non sia­no i pre­ti però la rispo­sta. Non può esse­re Ber­go­glio il pun­to di rife­ri­men­to. Que­sto è un po’ trop­po. Una figu­ra sug­ge­sti­va, una bra­va per­so­na ma è il Papa, rap­pre­sen­ta un pote­re con le sue con­trad­di­zio­ni inter­ne che nasco­no dal­la pre­oc­cu­pa­zio­ne del­la sua soprav­vi­ven­za di fron­te a cam­bia­men­ti epo­ca­li. Pen­sia­mo al feno­me­no dell’immigrazione, in una Euro­pa a mag­gio­ran­za lai­ca se non atea, la Chie­sa è chia­ro che guar­da a que­ste per­so­ne con inte­res­se. E’ la for­ma mis­sio­na­ria attua­liz­za­ta ai gior­ni d’oggi. Ovvio che di fron­te a tan­to raz­zi­smo la cari­tà sem­bra rivo­lu­zio­na­ria». La fine del­la vostra espe­rien­za coin­ci­de con la nasci­ta del­la Lega, un caso? «Biso­gna non dare il pesce, ma inse­gna­re a pesca­re, è uno dei tan­ti slo­gan che fece suo Umber­to Bos­si tra­sfor­man­do­lo però in una paro­la d’ordine raz­zi­sta. Anche noi dice­va­mo che biso­gna­va cam­bia­re e costrui­re a casa pro­pria, pren­de­re in mano il pro­prio desti­no. Una vol­ta era­no con­cet­ti di sini­stra men­tre oggi si sono tra­sfor­ma­ti in paro­le d’ordine raz­zi­ste e in slo­gan di destra. Que­sto men­tre dall’altra par­te quel­lo che era per noi ciò che anda­va com­bat­tu­to è diven­ta­to oggi il rife­ri­men­to, il pun­to di vista. E’ pro­prio cam­bia­to il mon­do e ades­so è chia­ro che tut­to è anco­ra più dif­fi­ci­le». Una curio­si­tà che mi è venu­ta subi­to dopo aver fini­to il libro è sape­re per­ché non vi sie­te par­la­ti per trent’anni. Come mai Gia­co­mo? «Non sono affa­ri tuoi». Inter­vie­ne Pie­ro che final­men­te si è rilas­sa­to e cer­ca un con­tat­to fisi­co con chi lo sta inter­vi­stan­do. Riden­do que­sta vol­ta dav­ve­ro diver­ti­to, bat­te sul­la spal­le del suo inter­lo­cu­to­re e dice: «Sono caz­zi nostri, certo».

Trat­to da: http://www.padovaoggi.it/attualita/padova-anni-70-affinita-divergenze-autonomia-operaia-brigate-rosse-padova-26-gennaio-2019.html

Giorgio Bertani editore ribelle

Nel gran pro­li­fe­ra­re di espres­sio­ni edi­to­ria­li (rivi­ste, libre­rie, case edi­tri­ci) che han­no carat­te­riz­za­to il perio­do dal ’68 fino ai pri­mi anni ottan­ta, un posto par­ti­co­la­re spet­ta all’e­di­to­re Gior­gio Ber­ta­ni, per la capa­ci­tà che ha avu­to di ospi­ta­re nel suo cata­lo­go le voci più signi­fi­ca­ti­ve del pen­sie­ro cri­ti­co di que­gli anni. Frut­to di un lun­go lavo­ro di ricer­ca tra archi­vi e sto­ria ora­le, que­sto libro riper­cor­re la sto­ria di una casa edi­tri­ce e del­la cit­tà in cui è nata, Vero­na, all’e­po­ca labo­ra­to­rio di cul­tu­re anta­go­ni­ste, al pari di Mila­no, Bolo­gna e Padova.