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Inter­vi­sta di Ivan Groz­ny Com­pas­so per Pado­vaOg­gi del 19 gen­na­io 2020

Pado­va e gli anni ’70. Gli “auto­no­mi”: «Ora quel­lo sto­ria ve la rac­con­tia­mo noi»

Gia­co­mo e Pie­ro Despa­li sono due fra­tel­li sul­la soglia dei settant’anni. I due non si par­la­va­no da tren­ta. I loro nomi ai più diran­no poco o nul­la, ma han­no con­tri­bui­to a scri­ve­re una pagi­na di sto­ria sem­pre mol­to discus­sa ma mai rac­con­ta­ta dai pro­ta­go­ni­sti di quei gior­ni. Una pagi­na per mol­ti con­tro­ver­sa e pie­na di ombre, che copre il perio­do che va da metà anni set­tan­ta fino ai pri­mi ottan­ta con l’intervento del­la magi­stra­tu­ra. Una pagi­na che “gli scon­fit­ti” ave­va­no sem­pre lascia­to in bian­co e che ora han­no riem­pi­to tan­to da far­ne un libro, in usci­ta il 30 gen­na­io edi­to da Deri­ve e Approdi. 

Terrorismo e Wikipedia

Se si va ad esem­pio sul­la pagi­na di wiki­pe­dia, la voce “col­let­ti­vi poli­ti­ci per il pote­re ope­ra­io” è cata­lo­ga­ta come grup­po ter­ro­ri­sti­co. Se è come dice l’enciclopedia onli­ne, quel­li che stia­mo inter­vi­stan­do sono due ex ter­ro­ri­sti? «Ha col­pi­to mol­to anche me tro­va­re quel tipo di defi­ni­zio­ne la pri­ma vol­ta che l’ho cer­ca­ta – rac­con­ta Gia­co­mo, il più gran­de dei due – quin­di vuol dire che è tem­po che si rac­con­ti in pri­ma per­so­na chi era­va­mo, cosa abbia­mo fat­to e ripor­ta­re a gal­la l’atmosfera, le situa­zio­ni e le moti­va­zio­ni dell’epoca, oltre che la repres­sio­ne, le per­se­cu­zio­ni giu­di­zia­rie e i mor­ti». Pren­de fia­to e aggiun­ge: «Ter­ro­ri­smo è ucci­de­re indi­scri­mi­na­ta­men­te, ter­ro­ri­smo sono le stra­gi: le bom­be sui tre­ni Ita­li­cus o quel­la alla sta­zio­ne di Bolo­gna o alla Ban­ca dell’Agricoltura. Quel­lo è sta­to ter­ro­ri­smo». Lo spie­ga con cal­ma, pren­den­do­si il suo tem­po, Gia­co­mo. Lo farà per tut­to il cor­so di que­sta inter­vi­sta, cir­ca quat­tro ore di rispo­ste e spie­ga­zio­ni mol­to det­ta­glia­te che vista la com­ples­si­tà del tema e la vasti­tà di infor­ma­zio­ni rac­col­te abbia­mo deci­so di divi­de­re in due par­ti, que­sta la pri­ma. «Se lo fos­si­mo sta­ti – pro­se­gue Gia­co­mo – ter­ro­ri­sti, sarem­mo sta­ti iso­la­ti, cosa che pro­prio non era. Agi­va­mo in un con­te­sto socia­le ampis­si­mo, come era l’area del­la sini­stra del tem­po. Cer­to, era­va­mo con­sa­pe­vo­li che ci sareb­be sta­ta la fer­ma rispo­sta del­le isti­tu­zio­ni e anche la repres­sio­ne, che pun­tual­men­te è arri­va­ta, ma era­no in tan­ti ad esse­re coin­vol­ti in que­sto per­cor­so che al tem­po sem­bra­va pos­si­bi­le. Il con­te­sto inter­na­zio­na­le del tem­po ci auto­riz­za­va a far­lo. Se il Vene­to è una regio­ne in cui vige lo stra­po­te­re del­la Demo­cra­zia Cri­stia­na, nel mon­do c’è l’Unione Sovie­ti­ca, la Cina di Mao, Cuba con Castro. Agli  ini­zi degli anni Set­tan­ta si respi­ra­va que­sta atmo­sfe­ra tra chi si sen­te mili­tan­te rivo­lu­zio­na­rio per il comunismo». 

Logica collegiale

Voi non ave­va­te dei capi a dif­fe­ren­za di altre orga­niz­za­zio­ni: «All’interno dei col­let­ti­vi c’erano quel­li con più respon­sa­bi­li­tà e quin­di più espo­sti a rischi e quel­li meno». Voi face­va­te cer­ta­men­te par­te del­la pri­ma cate­go­ria, ma è trop­po sem­pli­ci­sti­co dire che sie­te voi che ave­te dato vita alla sta­gio­ne degli “auto­no­mi” ? «Noi sia­mo tra i tan­ti», rispon­de sec­co Gia­co­mo. Quin­di sì, rilan­cia­mo: «La logi­ca del­la lea­der­ship non ci appar­te­ne­va, un altro con­to – inter­vie­ne Pie­ro – è inve­ce assu­mer­si del­le respon­sa­bi­li­tà. Noi le abbia­mo avu­te, mag­gio­ri e a vol­te più di altri, ma sem­pre den­tro una dina­mi­ca col­le­gia­le, di con­di­vi­sio­ne di un pun­to di vista. Non c’era un capo, non ne ave­va­mo biso­gno». Poi fa nota­re: «Basta dire che per noi l’egualitarismo era una bat­ta­glia che por­ta­va­mo nel­la socie­tà, ma con­cet­ti ad esem­pio come l’uguaglianza tra uomo e don­na al nostro inter­no era­no un dato già acquisito».

Come vi defi­ni­re­ste? «Noi era­va­mo dei mili­tan­ti rivo­lu­zio­na­ri, mol­to sco­la­riz­za­ti. L’elemento fon­da­men­ta­le, per quan­to riguar­da il nostro per­cor­so, è una sog­get­ti­vi­tà pur gio­va­ne, che ha un alto tas­so di istru­zio­ne. A quel tem­po acce­de­re agli stu­di era faci­le e anche l’Università non costa­va. I per­cor­si e le pro­po­ste for­ma­ti­ve era­no mol­to vari. C’erano i semi­na­ri di pro­fes­so­ri come Negri, Fer­ra­ri Bra­vo e Bolo­gna. La qua­li­tà di chi ci for­ma­va era di un cer­to livel­lo. L’Università atti­ra­va gio­va­ni da tut­ta Ita­lia. Poi però nel­le uni­ver­si­tà c’erano anche docen­ti e mili­tan­ti fasci­sti. Era­no tan­ti in cit­tà». In que­gli anni vi scon­tra­va­te nel­le stra­de: «Sì – inter­vie­ne Gia­co­mo – ma non ci abbia­mo mes­so mol­to a rele­gar­li in via Zaba­rel­la, men­tre pri­ma gira­va­no indi­stur­ba­ti in tut­ta la cit­tà. A quel pun­to l’unico luo­go sicu­ro era la sede del MSI, che si tro­va­va pro­prio in quel­la via. E que­sto tipo di per­cor­so si vede­va. Alcu­ni com­pa­gni era­no sta­ti aggre­di­ti così sono nate del­le ron­de che sono pas­sa­te dall’intervenire in aiu­to al pre­ve­ni­re il pro­ble­ma, in poco tem­po». Era­va­te tan­ti, non cer­to una real­tà mar­gi­na­le: «Non era un discor­so solo nume­ri­co, noi vive­va­mo la cit­tà e il ter­ri­to­rio. Ne era­va­mo par­te inte­gran­te. Per que­sto non abbia­mo mai volu­to sce­glie­re la clan­de­sti­ni­tà, per­ché vole­va­mo vive­re alla luce del sole la feli­ci­tà del cam­bia­men­to che vive­va­mo o che comun­que auspi­ca­va­mo. Que­sto fino a che non è nata l’inchiesta Calo­ge­ro col suo teo­re­ma. Non era­va­mo in un ghet­to, die­tro c’era un humus socia­le e cul­tu­ra­le che coin­vol­ge­va tut­ti gli stra­ti socia­li del­la cit­tà. I ceti di pro­ve­nien­za era­no varie­ga­ti. La cit­tà era coin­vol­ta, c’era un radi­ca­men­to vero, socia­le. Per que­sto abbia­mo tenu­to anche sul pia­no pro­ces­sua­le, al con­tra­rio di real­tà ana­lo­ghe in altre cit­tà. Per­ché sia­mo rima­sti uni­ti. Nell’epoca del pen­ti­ti­smo e del­la dis­so­cia­zio­ne, gli stru­men­ti che lo Sta­to usa­va per col­pi­re i movi­men­ti, noi non abbia­mo scel­to né l’una e nep­pu­re l’altra». I Despa­li han­no pas­sa­to gli ulti­mi due anni e mez­zo a rileg­ge­re tut­ti gli atti dell’inchiesta del giu­di­ce Calo­ge­ro, com­pre­si gli interrogatori.

Il giudice Calogero

«Per Calo­ge­ro è sta­to fon­da­men­ta­le l’aiuto con testi­mo­ni e stru­men­ti poli­ti­ci del­la fede­ra­zio­ne di via Bea­to Pel­le­gri­no del PCI. Per quel par­ti­to è intol­le­ra­bi­le la pre­sen­za di qual­sia­si real­tà che stia alla sua sini­stra. Il PCI è dal ’68 che face­va fati­ca a leg­ge­re la real­tà del­le fab­bri­che e men che meno le istan­ze gio­va­ni­li. Per loro era­va­mo quin­di una gra­na». E Calo­ge­ro? «Lo con­vin­co­no che Pado­va è “la cen­tra­le” che met­te in peri­co­lo la demo­cra­zia. Lui ci cre­de con un atteg­gia­men­to direi fana­ti­co. In quel­la fase poli­ti­ca in cit­tà il radi­ca­men­to dei col­let­ti­vi poli­ti­ci e del movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio era mol­to for­te. Sono gli anni in cui il par­ti­to di Ber­lin­guer lavo­ra per met­te­re in atto il com­pro­mes­so sto­ri­co». Lo rac­con­ta tut­to di un fia­to: «E’ anche da Pado­va che par­te la voce che i tele­fo­ni­sti del­le BR che par­la­no con la fami­glia di Aldo Moro fos­se­ro il gior­na­li­sta de l’Espresso Pino Nico­tri e il pro­fes­sor Toni Negri. La voce di Negri è incon­fon­di­bi­le, impos­si­bi­le con­fon­de­re lui con qual­cun altro o vice­ver­sa». E chi dice di rico­no­sce­re que­ste voci e le distin­gue? «Un assi­sten­te di mate­ma­ti­ca a Inge­gne­ria, Rena­to Troi­lo che del PCI face­va par­te, dice di rico­no­sce­re la voce di Pino Nico­tri, cosa che non è asso­lu­ta­men­te vera». Poi Pie­ro Despa­li,  fa un pas­so indie­tro: «Nel 1976 Calo­ge­ro pro­ces­sa tren­ta­tre fasci­sti a Pado­va e alcu­ni di noi, for­se con un po’ di leg­ge­rez­za, chia­ma­ti a testi­mo­nia­re con­tro gli impu­ta­ti, ci van­no. E’ nel­la logi­ca che con­tro i fasci­sti vale tut­to – sot­to­li­nea con un sor­ri­so sar­ca­sti­co ma non trop­po com­pia­ciu­to – così Calo­ge­ro comin­cia a rac­co­glie­re infor­ma­zio­ni su di noi e allo stes­so tem­po si costrui­sce una cer­ta fama». 

La CIA

Però voi sor­ri­de­te quan­do si accen­na a teo­rie su com­plot­ti e “gran­di vec­chi” che diri­go­no mas­se e siste­mi: «Maga­ri ci fos­se sta­ta una gran­de orga­niz­za­zio­ne alle spal­le, maga­ri inter­na­zio­na­le – scop­pia in una gran­de risa­ta Gia­co­mo – inve­ce non è affat­to così. E vale lo stes­so per la nostra vicen­da pro­ces­sua­le». Inter­vie­ne di nuo­vo Pie­ro, che con tono que­sta vol­ta mol­to sar­ca­sti­co ma non per que­sto meno serio, dice: «Ma cer­to che ci cre­de­va Calo­ge­ro e ha fat­to di tut­to per dimo­stra­re la sua tesi. Che non sta­va in pie­di, cer­to. Ma que­sto per­ché il giu­di­ce Calo­ge­ro non ave­va gli stru­men­ti per com­pren­de­re i movi­men­ti. Uti­liz­za­va degli sche­mi con l’approccio di un mania­co sul­la pre­da più che quel­lo di uno che vuo­le accer­ta­re dei fat­ti. Cre­de­va che fos­si­mo paga­ti dal­la CIA», sot­to­li­nea­to con una risata.

Disegno di Claudio Calia raffigurante Ivan Grozny Compasso

Violenza politica

E’ raro che i due si lasci­no anda­re ad entu­sia­smi, ma le poche vol­te in cui rido­no non è mai per vero diver­ti­men­to ma solo a sot­to­li­nea­re para­dos­si. Come quan­do chie­dia­mo inge­nua­men­te come si può rac­con­ta­re a chi è nato negli anni Zero quel perio­do, quel modo di sta­re in piaz­za fat­to anche di scon­tri, di molo­tov e di col­pi d’arma da fuo­co. Oggi si giu­di­ca più il modo di sta­re in piaz­za che i con­te­nu­ti e le rimo­stran­ze che si voglio­no evi­den­zia­re, dal­le “sar­di­ne” alla fiac­co­la­te per inten­der­ci: «Com’è cam­bia­to il mon­do, una vol­ta in stra­da si alza­va in alto il pugno in segno di lot­ta, oggi si avan­za con le mani alza­te – ci scher­za su, Gia­co­mo – ma è impos­si­bi­le rap­por­ta­re la real­tà attua­le a quel­la di que­gli anni». Sot­to­li­nea Pie­ro: «Non si pos­so­no para­go­na­re le due epo­che. Ai tem­pi la cosid­det­ta “ille­ga­li­tà di mas­sa”, come ad esem­pio le occu­pa­zio­ni o gli espro­pri pro­le­ta­ri,  era mol­to pra­ti­ca­ta e dif­fu­sa. La vio­len­za poli­ti­ca era vista come una pos­si­bi­li­tà in rispo­sta alla vio­len­za del­le isti­tu­zio­ni, alle car­ce­ri o ai pestag­gi nel­le caser­me e nel­le que­stu­re. Ma non c’entra nul­la con l’omicidio poli­ti­co che noi abbia­mo sem­pre rifiu­ta­to. Non per que­sto non sape­va­mo da che par­te sta­re. Non si può valu­ta­re quell’epoca usan­do gli stru­men­ti inter­pre­ta­ti­vi che si uti­liz­za­no per com­pren­de­re il tem­po pre­sen­te, come ci fos­se una con­ti­nui­tà. Per que­sto nel libro descri­via­mo e entria­mo nel det­ta­glio per­ché non è solo il con­te­sto ma la com­ples­si­tà di quel tem­po che è indi­spen­sa­bi­le com­pren­de­re se si ha dav­ve­ro voglia di capi­re. Soprat­tut­to per un pado­va­no, poi si può apprez­za­re oppu­re no, ma c’è l’opportunità per la pri­ma vol­ta di sen­ti­re rac­con­ta­re quel­la sto­ria da den­tro e non come è sta­ta vista, inter­pre­ta­ta e giu­di­ca­ta solo attra­ver­so un tipo di nar­ra­zio­ne asso­lu­ti­sta e pregiudizievole».

Lega 

Il rac­con­to di una scon­fit­ta: «Cer­to sì, il rac­con­to di una scon­fit­ta. Ma noi rac­con­tia­mo tut­to nel libro, pro­prio tut­to. E a pen­sar­ci oggi, que­sto sì, non è anda­ta bene nep­pu­re per i vin­ci­to­ri di allo­ra. Guar­da caso oggi vola la Lega, la cui nasci­ta coin­ci­de pro­prio con la chiu­su­ra dell’esperienza dei col­let­ti­vi poli­ti­ci veneti».

Trat­to da: http://www.padovaoggi.it/attualita/padova-anni-70-autonomi-raccontano-collettivi-politici-potere-operaio-padova-19-gennaio-2019.html