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Foglio a cura del Coor­di­na­men­to ope­ra­io cit­ta­di­no, Bolo­gna, mar­zo 1977.

Abbia­mo dedi­ca­to ampio spa­zio alla cro­na­ca dei fat­ti e sia­mo par­ti­ti da lon­ta­no nel con­si­de­rar­li e met­te­re in evi­den­za que­gli aspet­ti posi­ti­vi di pro­gram­ma che sono emer­si nel­l’ul­ti­mo anno di lot­te, per­ché ci sem­bra che poco spa­zio gli sia sta­to dato nel­le assem­blee fino a qui tenu­te dagli stu­den­ti che pur ne sono sta­ti i mag­gio­ri pro­ta­go­ni­sti.
Auto­ri­du­zio­ni, ron­de pro­le­ta­rie e ope­ra­ie, occu­pa­zio­ni di case han­no sot­to­li­nea­to, nei mil­le rivo­li in cui si è sfran­gia­ta la lot­ta, il carat­te­re nuo­vo del­l’il­le­ga­li­tà di mas­sa e del­la com­po­nen­te inter­na a que­sta espe­rien­za.
Han­no dimo­stra­to intan­to che la lot­ta non era solo di stu­den­ti, ma di una com­po­nen­te pro­le­ta­ria che ingros­sa il mer­ca­to del­le brac­cia, disoc­cu­pa­ti, sot­toc­cu­pa­ti, e che vive il suo biso­gno in ter­mi­ni di red­di­to.
Non c’è sta­ta la capa­ci­tà di ade­gua­re la discus­sio­ne su que­sti pro­ble­mi che si evi­den­zia­va­no e si è fini­ti mol­te vol­te per coglier­ne un sin­go­lo aspet­to ed esal­tar­lo, sen­za capir­ne gli ele­men­ti di uni­tà e poten­zia­li­tà che fin dal­l’i­ni­zio que­sto movi­men­to pote­va espri­me­re.
Ci sen­tia­mo da que­sto pun­to di vista inter­ni e voglia­mo espri­mer­ci con un nostro pun­to di vista in un momen­to in cui sem­bra pre­va­le­re una teo­ria del­l’af­fos­sa­men­to di que­ste espe­rien­ze, non capen­do­ne gli ele­men­ti di con­ti­nui­tà e di sal­da­tu­ra che pos­so­no ave­re con lo scon­tro aper­to nel­le fab­bri­che intor­no alla tema­ti­ca del sala­rio e dell’orario.

Dicia­mo no ai teo­ri­ci del­la scon­fit­ta
Voglia­mo inter­ve­ni­re per­ché con­ti­nua­men­te nel­le assem­blee si par­la del «rap­por­to» con gli ope­rai, e anco­ra non è emer­so su cosa si voglia ave­re que­sto rap­por­to e con chi.
Non è solo un pro­ble­ma di scel­ta di fun­zio­na­li­tà (con tut­ti davan­ti ai can­cel­li e con la Flm all’u­ni­ver­si­tà), ma una pre­ci­sa linea poli­ti­ca che con­trad­di­stin­gue alcu­ne for­ze. Non a caso nel­le assem­blee si sono visti riaf­fio­ra­re scia­cal­li e cor­vi, gli stes­si che sino all’i­ni­zio del­le auto­ri­du­zio­ni spu­ta­va­no mer­da sul­le cose che suc­ce­de­va­no e ora, nel momen­to del­la repres­sio­ne, si pon­go­no come gesto­ri del riflus­so, cer­can­do con­ti­nua­men­te di spo­sta­re il tiro, di demo­cra­tiz­za­re il ter­re­no di lot­ta, di aggan­ciar­lo al car­ret­to­ne sin­da­ca­le, per ricon­qui­star­si quel­lo spa­zio che le lot­te den­tro e fuo­ri la fab­bri­ca gli ave­va­no sem­pre nega­to, indi­vi­duan­do­li come codi­sti e reg­gi­co­da del Pci; la vel­lei­tà di rap­pre­sen­ta­re la nuo­va area rifor­mi­sta. Il peso socia­le e com­ples­si­vo del­la cri­si ha indot­to modi­fi­ca­zio­ni pro­fon­de alla strut­tu­ra del mer­ca­to del lavo­ro e alla com­po­si­zio­ne ope­ra­ia. Non è pos­si­bi­le oggi rico­no­sce­re una figu­ra ege­mo­ne dal pun­to di vista pro­dut­ti­vo, e i richia­mi alla clas­se ope­ra­ia rischia­no di esse­re richia­mi a una cate­go­ria socio­lo­gi­ca, a una tema­ti­ca fab­bri­chi­sta, se non sono cor­re­da­ti dal­la con­sa­pe­vo­lez­za che la «cen­tra­li­tà ope­ra­ia» va vista in ter­mi­ni di pro­gram­ma che riu­ni­fi­ca una serie di biso­gni intor­no alla pro­spet­ti­va di pote­re, che uni­fi­ca sul ter­ri­to­rio la figu­ra nuo­va di ope­ra­io socia­le.
Que­sto pro­gram­ma è inter­no ai com­por­ta­men­ti di resi­sten­za dif­fu­sa, di rifiu­to del­la logi­ca sin­da­ca­le del­le lot­te che non è e non può esse­re patri­mo­nio di tut­ti gli ope­rai di fab­bri­ca.
È aper­to den­tro la fab­bri­ca uno spac­ca­to pro­fon­do, anche se non anco­ra espli­ci­to a Bolo­gna, che con­trap­po­ne, per sche­ma­tiz­za­re, – l’o­pe­ra­io del 3° livel­lo a quel­lo del 5° e 5° s., cioè colo­ro che non si sen­to­no più garan­ti­ti sia del red­di­to che del posto di lavo­ro, e colo­ro che gra­zie ai pri­vi­le­gi di sala­rio, alla figu­ra pro­fes­sio­na­le che han­no assun­to den­tro alla pro­du­zio­ne, alla loro affe­zio­ne al lavo­ro (più alta per­cen­tua­le di straor­di­na­ri), per la sicu­rez­za che han­no otte­nu­to (casa di pro­prie­tà, lavo­ret­ti extra all’o­ra­rio di lavo­ro ecc.) han­no tut­to l’in­te­res­se a man­te­ne­re le cose così come stan­no, sono dispo­sti a fare sacri­fi­ci, per­ché san­no di esse­re pri­vi­le­gia­ti rispet­to all’o­pe­ra­io comu­ne. È que­sti ulti­mi che il sin­da­ca­to rap­pre­sen­ta e ne tute­la gli inte­res­si Pro­prio gli ulti­mi avve­ni­men­ti han­no inne­sca­to den­tro le fab­bri­che la discus­sio­ne con­trap­po­nen­do que­ste due com­po­nen­ti.
E ci sia­mo anche accor­ti che quan­do la discus­sio­ne si bloc­ca­va sul­la vetri­na rot­ta, solo la capa­ci­tà di gesti­re inte­ra­men­te que­sto ter­re­no (met­ten­do anche in evi­den­za il carat­te­re di «devia­zio­ne» che in alcu­ni casi que­sta pra­ti­ca reca con sé, che non può esse­re assun­ta come ele­men­to pro­po­si­ti­vo, ma deve esse­re gui­da­to da una capa­ci­tà poli­ti­ca di fare del­le scel­te non indi­scri­mi­na­te sugli obiet­ti­vi, anche se cer­to non pre­sen­ta­no di per sé ele­men­to di estra­nei­tà alla pre­sen­za di mas­sa sul­la piaz­za) ha fat­to chia­rez­za non sui sin­go­li fat­ti ma sul signi­fi­ca­to poli­ti­co e la por­ta­ta di que­sta lot­ta, e/​o su chi (per ideo­lo­gia) si è cri­stal­liz­za­to sul­le sue posi­zio­ni.
Se oggi que­sto spac­ca­to signi­fi­ca pos­si­bi­li­tà di far emer­ge­re un pun­to di vista comu­ni­sta la cosa che dob­bia­mo dire è No al mostro sacro del­l’u­ni­tà di clas­se come una­ni­mi­smo sin­da­ca­le, sì a una bat­ta­glia sul pro­gram­ma che evi­den­zi il fron­te del­l’oc­cu­pa­zio­ne da quel­lo del­l’ac­cet­ta­zio­ne del­la tema­ti­ca dei sacri­fi­ci e del­la gestio­ne del­la cri­si. Cre­dia­mo infat­ti che solo se si è all’at­tac­co sul pro­gram­ma si rie­sce a supe­ra­re l’ul­ti­ma trin­cea che il con­trol­lo revi­sio­ni­sta ha tes­su­to intor­no alle lot­te. Mai come in que­sti mesi l’ap­por­to del Pci si è rap­pre­sen­ta­to come cor­po di poli­zia socia­le da usa­re con­tro l’a­rea del­la ribel­lio­ne, mai come ora ha però dimo­stra­to la debo­lez­za del­la sua rete di con­trol­lo, quan­do comin­cia­no a sal­ta­re alcu­ni equi­li­bri eco­no­mi­ci, quan­do l’a­rea del con­sen­so si incri­na (lot­te dei dipen­den­ti pub­bli­ci), e il movi­men­to si espri­me aper­ta­men­te con­tro ogni logi­ca di recu­pe­ro in ille­ga­li­tà di mas­sa. Al di là del ruo­lo poli­zie­sco del Pci, tra­mi­te i suoi orga­ni di stam­pa che costrui­sco­no mon­ta­tu­re per sca­gio­na­re gli assas­si­ni di Sta­to, oltre alla rete di spie infil­tra­ta nel movi­men­to che ha stret­to rap­por­ti con la que­stu­ra, oltre al ser­vi­zio d’or­di­ne con­tro gli estre­mi­sti, si sta facen­do sem­pre più chia­ro cosa sia il «gover­no del­le asten­sio­ni». Quan­do le lot­te esco­no dagli argi­ni del con­trol­lo «sin­da­ca­le», allo­ra il Pci si pre­sen­ta in quan­to par­ti­to ope­ra­io a fare da tam­po­ne con una pre­sen­za ter­ro­ri­sti­ca e pater­na­li­sti­ca sul­la piaz­za (come a Roma), ma quan­do que­sto non basta allo­ra inter­ven­go­no le auto­blin­do per decre­ta­re lo sta­to d’as­se­dio. Così Zan­ghe­ri, sin­da­co di Bolo­gna, con­se­gna la cit­tà in mano all’e­ser­ci­to quan­do vede che non basta­no gli appel­li alle for­ze demo­cra­ti­che. E oggi la poli­zia non si accon­ten­ta di una pura ope­ra di con­te­ni­men­to e di repres­sio­ne, ma pren­de lo spun­to per ope­ra­re una vera e pro­pria azio­ne anti­guer­ri­glia a cui da tan­to tem­po squa­dre spe­cia­li e Sid si sono dedi­ca­ti.
Così Roma, Bolo­gna e Pado­va come la Sar­de­gna, il Friu­li, Seve­so diven­ta­no zone di ope­ra­zio­ni mili­ta­ri. Si dichia­ra lo sta­to d’as­se­dio, si instau­ra il tri­bu­na­le spe­cia­le, si chiu­do­no le fon­ti di infor­ma­zio­ne non di regi­me, si fan­no i rastrel­la­men­ti di mas­sa, le per­qui­si­zio­ni a tap­pe­to, si tie­ne la cit­tà con le auto­blin­do. Quan­do un ter­ri­to­rio si sta tra­sfor­man­do in pro­ba­bi­le ter­re­no di orga­niz­za­zio­ne, allo­ra occor­re eva­cuar­lo e instau­ra­re un cli­ma di ter­ro­re poli­zie­sco; lo san­no i mez­zi di infor­ma­zio­ne di regi­me che devo­no copri­re tale ope­ra­zio­ne. Quel­lo di cui han­no avu­to pau­ra non era la rispo­sta che si era espres­sa in sé vener­dì e saba­to; ma la qua­li­tà inter­na che con­te­ne­va.
Per la pri­ma vol­ta si sono tro­va­ti di fron­te a un cor­teo non più disar­ma­to, le cui sedi di deci­sio­ne poli­ti­ca rea­le non era­no più le assem­blee ma tut­ta la cit­tà e le bar­ri­ca­te. Era lì che risie­de­va la vera capa­ci­tà di deci­sio­ne poli­ti­ca, è sta­to lì che il movi­men­to ha fat­to un note­vo­le sal­to uni­fi­can­do nel fuo­co del­lo scon­tro ini­zia­ti­va poli­ti­ca e mili­ta­re. Que­sta ric­chez­za è sta­ta in par­te anche il segno di una debo­lez­za del movi­men­to che si espri­me­va soprat­tut­to come spon­ta­nei­tà e crea­ti­vi­tà più che con sedi­men­ti rea­li di orga­niz­za­zio­ne, e in più pun­ti que­sto ha por­ta­to a una «disper­sio­ne» di for­za e di stru­men­ti per la lot­ta. Ma d’al­tra par­te quel­lo che ha posto in rilie­vo è sta­to rap­pre­sen­ta­re come pos­si­bi­le da oggi il pra­ti­ca­re for­me embrio­na­li di libe­ra­zio­ne del ter­ri­to­rio, e lì den­tro san­ci­re una nuo­va «rego­la», una capa­ci­tà comu­ni­sta di rom­pe­re la legit­ti­mi­tà del­le mer­ci, ridi­stri­buen­do­le non più tra­mi­te dena­ro ma secon­do la neces­si­tà e il biso­gno. Costrui­re momen­ti di con­tro­po­te­re Costrui­re momen­ti di con­tro­po­te­re deve esse­re oggi la paro­la d’or­di­ne che l’e­spe­rien­za di orga­niz­za­zio­ne den­tro la clas­se deve affron­ta­re non più solo come pro­ble­ma di dibat­ti­to ma di pra­ti­ca di lot­ta. Libe­ra­zio­ne del ter­ri­to­rio e pra­ti­ca del con­tro­po­te­re non pos­so­no esse­re visti come un pro­ces­so di insur­re­zio­ne a cui richia­ma il tes­su­to socia­le di mili­tan­ti comu­ni­sti, ma deve esse­re la pra­ti­ca di un ter­re­no che ogni gior­no si sedi­men­ta e cre­sce, dove il pro­ble­ma non è costrui­re espe­rien­za geo­gra­fi­ca­men­te vasta, ma con­qui­star­si spa­zi poli­ti­ci in cui ricom­por­re il pro­ble­ma del­la tenu­ta con quel­lo del­l’in­di­ca­zio­ne di mas­sa. Ricom­por­re sul ter­ri­to­rio la figu­ra socia­le del­l’o­pe­ra­io legan­do lavo­ra­to­ri garan­ti­ti e non garan­ti­ti intor­no alla tema­ti­ca del red­di­to con un ciclo di lot­te che pren­do­no e non chie­do­no, vuo­le dire arti­co­la­re un ter­re­no di ini­zia­ti­va che dal­la tema­ti­ca del­la ridu­zio­ne gene­ra­le nata dal­l’o­ra­rio si leghi alle lot­te per la garan­zia del sala­rio, un’ar­ti­co­la­zio­ne che deve risco­pri­re una fac­cia pas­si­va rilan­cian­do le lot­te sul­le occu­pa­zio­ni del­le case, i pic­chet­ti di super­mer­ca­ti, spe­se poli­ti­che, auto­ri­du­zio­ne.
È la ron­da pro­le­ta­ria che garan­ti­sce que­ste espe­rien­ze, che indi­vi­dua gli obiet­ti­vi, che impo­ne la pre­sen­za orga­niz­za­ta degli stu­den­ti, dei disoc­cu­pa­ti davan­ti ai can­cel­li del­le fab­bri­che il saba­to, con­tro gli straor­di­na­ri, legan­do­li agli obiet­ti­vi inter­ni, alle soli­de scin­til­le di lot­ta: le gerar­chie di fab­bri­ca, i rit­mi, la noci­vi­tà, l’e­sten­sio­ne e l’au­men­to dei pre­sa­la­rio degli stu­den­ti, il prez­zo poli­ti­co del­la men­sa e l’a­per­tu­ra di men­se di quar­tie­re, l’au­men­to dei sus­si­di di disoc­cu­pa­zio­ne e il con­trol­lo sugli uffi­ci di col­lo­ca­men­to, la lot­ta con­tro il lavo­ro nero. Lot­te che por­ta­no il segno di una tema­ti­ca di pote­re; dal­la fab­bri­ca al socia­le si rap­pre­sen­ta la stes­sa fac­cia del­la ristrut­tu­ra­zio­ne. Fare un sal­to nel­la qua­li­tà del­le for­me di lot­ta e di pro­gram­ma signi­fi­ca dar­si anche stru­men­ti nuo­vi di orga­niz­za­zio­ne; è più che mai neces­sa­rio costrui­re un cen­tro di ini­zia­ti­va poli­ti­ca che riu­ni­fi­ca non a paro­le ma su una pra­ti­ca di lot­ta ope­rai, stu­den­ti, disoc­cu­pa­ti, lavo­ra­to­ri dei ser­vi­zi, brac­cia per il lavo­ro nero.