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Da «Comu­ni­ca­to del Comi­ta­to Tri­ve­ne­to per il sala­rio al lavo­ro domestico»

La pre­sen­za di don­ne nel livel­lo arma­to del­la lot­ta poli­ti­ca ha sor­pre­so lo Sta­to. Quel­lo stes­so Sta­to che, per garan­ti­re a sé e ai padro­ni il mas­si­mo del pro­fit­to, ha pro­trat­to – osce­na­men­te indif­fe­ren­te – fino a oggi la «stra­ge del­le inno­cen­ti» pur di con­ti­nua­re a eser­ci­ta­re un coman­do ter­ro­ri­sti­co sui nostri ute­ri, come sul­le nostre brac­cia.
Gene­ral­men­te era­va­mo con­dan­na­te a mori­re su que­gli stes­si tavo­li da cuci­na dove spen­de­va­mo gran par­te del nostro lavo­ro gra­tui­to o, con un fer­ro da cal­za infi­la­to nel­l’u­te­ro, dis­san­gua­te su que­gli stes­si let­ti dove pro­crea­va­mo e acquie­ta­va­mo la ses­sua­li­tà maschi­le.
Gene­ral­men­te pote­va­mo pian­ge­re sui figli e mari­ti ster­mi­na­ti in guer­ra o con­su­ma­ti in fab­bri­ca o sven­du­ti all’e­ste­ro a bas­so prez­zo.
Gene­ral­men­te pote­va­mo impaz­zi­re di dolo­re duran­te il par­to, «assi­sti­te» da medi­ci sadi­ci, pote­va­mo esse­re vio­len­ta­te e basto­na­te tran­quil­le che le «for­ze del­l’or­di­ne» non sareb­be­ro accor­se né la stam­pa l’a­vreb­be con­si­de­ra­ta una noti­zia rile­van­te. Gene­ral­men­te pote­va­mo come «ope­ra­ie del­la stra­da» (pro­sti­tu­te) esse­re vio­len­ta­te a paga­men­to men­tre lo Sta­to riscuo­te­va la tan­gen­te. Chis­sà per­ché que­sta situa­zio­ne «va stret­ta» a sem­pre più don­ne per cui sem­pre più don­ne, rifiu­tan­do il «loro posto», pren­do­no mil­le stra­de? Lo Sta­to si stu­pi­sce. Gli uomi­ni si stu­pi­sco­no. Noi ci stu­pia­mo che si stu­pi­sca­no. E ades­so venia­mo al pro­ble­ma. Per­ché la ribel­lio­ne del­le don­ne c’è sem­pre sta­ta, ma come non basta la ribel­lio­ne iso­la­ta, così non basta l’in­di­stin­ta «lot­ta di clas­se» anche ai livel­li più «agguer­ri­ti» a costrui­re una for­za di mas­sa alle don­ne sui pro­pri inte­res­si. Per­ché nel­la clas­se esi­ste una pre­ci­sa stra­ti­fi­ca­zio­ne di pote­re che il capi­ta­le ha usa­to e ten­ta di con­ti­nua­re a usa­re fino in fon­do. Fon­da­men­tal­men­te il pote­re del­la sezio­ne più for­te, i sala­ria­ti maschi, con­tro il pote­re del­la sezio­ne più debo­le, le don­ne, che lavo­ra­no 24 ore su 24 sen­za un sala­rio pro­prio.
Ed è pre­ci­sa­men­te que­sta stra­ti­fi­ca­zio­ne che va distrut­ta con la lot­ta, per­ché rap­pre­sen­ta la più gros­sa debo­lez­za del­la clas­se nel suo com­ples­so. I maschi han­no sem­pre lar­ga­men­te usa­to la loro vio­len­za nel­la fami­glia, e fuo­ri, per assi­cu­rar­si i van­tag­gi e i frut­ti del nostro lavo­ro.
Anzi, oggi, ucci­sio­ni di don­ne, vio­len­ze car­na­li e bot­te aumen­ta­no tan­to più quan­to più aumen­ta il rifiu­to da par­te del­le don­ne del lavo­ro e del­la disci­pli­na fami­lia­re. Se non fos­si­mo usci­te dal­le cuci­ne, dal­le came­re da let­to, dal­le fab­bri­che, dagli uffi­ci, dal­le scuo­le, per costrui­re un movi­men­to di mas­sa, un pro­ces­so di lot­ta aper­ta e dichia­ra­ta, a par­ti­re dal pri­mo lavo­ro che ci acco­mu­na tut­te, e che deter­mi­na tut­ta la nostra vita, e, in quan­to lavo­ro non sala­ria­to, la nostra debo­lez­za all’in­ter­no del­la clas­se e il nostro posto subal­ter­no a qua­lun­que livel­lo del­l’or­ga­niz­za­zio­ne di clas­se, anco­ra oggi, non avrem­mo alcu­na garan­zia sul nostro «desti­no». Ci pare ridi­co­lo allo­ra, spe­cie in un momen­to in cui il fem­mi­ni­smo ser­peg­gia in ogni casa, in ogni fab­bri­ca, in ogni uffi­cio, l’at­teg­gia­men­to di chi inda­ga sui «tra­scor­si fem­mi­ni­sti» del­l’u­na o del­l’al­tra. È chia­ro comun­que che, se del­le mil­le stra­de signi­fi­ca­ti­ve, parec­chie don­ne non aves­se­ro scel­to spe­ci­fi­ca­ta­men­te il fati­co­so, aper­to, costruir­si del Movi­men­to fem­mi­ni­sta, non ci sareb­be­ro sta­te né le 10.000 don­ne a Tren­to, né poche mesi dopo, 20.000 don­ne a Roma. Il fem­mi­ni­smo, come movi­men­to che si allar­ga sem­pre più e sem­pre più ha neces­si­tà di orga­niz­za­zio­ne, ha un solo pro­ble­ma, che è quel­lo di deter­mi­na­re la rot­tu­ra del­la fon­da­men­ta­le stra­ti­fi­ca­zio­ne di pote­re all’in­ter­no del­la clas­se, costruen­do un pote­re auto­no­mo alle don­ne sui loro inte­res­si spe­ci­fi­ci, che è l’u­ni­ca for­za deter­mi­nan­te per il pote­re del­la tota­li­tà del­la clas­se. La lot­ta con­tro il lavo­ro sala­ria­to è impo­ten­te a deter­mi­na­re la distru­zio­ne del rap­por­to capi­ta­li­sti­co se non è soste­nu­ta da una lot­ta di mas­sa con­tro il lavo­ro dome­sti­co non sala­ria­to. La lot­ta sul «red­di­to garan­ti­to», fin­ché non c’è sta­to un movi­men­to di don­ne che ha comin­cia­to a par­la­re e a orga­niz­zar­si per il sala­rio al lavo­ro dome­sti­co, non sol­le­ci­ta­va né com­pren­de­va di per sé una lot­ta sul sala­rio dome­sti­co; si par­la­va anche allo­ra di orga­niz­za­zio­ne gene­ra­le del­la clas­se, in real­tà c’e­ra solo la gestio­ne maschi­le del­la lot­ta di clas­se.
Pro­prio tale gestio­ne maschi­le, come non ave­va visto la lot­ta più mas­si­fi­ca­ta che le don­ne da lun­go tem­po ave­va­no con­dot­to, il rifiu­to di diven­ta­re madri, altret­tan­to non ave­va visto il com­por­ta­men­to di mas­sa su cui tale lot­ta si era inne­sta­ta: il rifiu­to del lavo­ro dome­sti­co.
Il rifiu­to del lavo­ro dome­sti­co è sta­to ed è il rifiu­to che sta die­tro a ogni momen­to di lot­ta del­la don­na, per­ché il lavo­ro dome­sti­co è il lavo­ro che deter­mi­na non solo le con­di­zio­ni in cui dob­bia­mo accet­ta­re anche il lavo­ro ester­no e i ser­vi­zi, ma la qua­li­tà com­ples­si­va del­la nostra vita, la nostra ses­sua­li­tà in fun­zio­ne pro­crea­ti­va e le con­di­zio­ni stes­se del­la pro­crea­zio­ne. Quin­di, tan­to per cita­re l’ul­ti­mo e più noto esem­pio di lot­ta a livel­lo di mas­sa del­le don­ne, anche die­tro la lot­ta sul­l’a­bor­to c’è la lot­ta sul lavo­ro dome­sti­co, il rifiu­to del lavo­ro dome­sti­co. Si trat­ta di «sve­la­re» que­sto rifiu­to che sta die­tro a ogni lot­ta pro­prio per riu­sci­re ad appro­fon­dir­lo. Si trat­ta, dal pun­to di vista del­l’au­to­no­mia fem­mi­ni­sta, di tra­sfor­ma­re il com­por­ta­men­to di mas­sa di rifiu­to del lavo­ro dome­sti­co in lot­ta orga­niz­za­ta per la distru­zio­ne del lavo­ro dome­sti­co. Ma solo la richie­sta di sala­rio al lavo­ro dome­sti­co è in gra­do di deter­mi­na­re tale pas­sag­gio.
È su que­sta richie­sta allo­ra che va con­cen­tra­to lo sfor­zo orga­niz­za­ti­vo nel sen­so di riu­sci­re a deter­mi­na­re una mobi­li­ta­zio­ne di mas­sa. Sen­za tale mobi­li­ta­zio­ne, sen­za que­sto sfor­zo orga­niz­za­ti­vo in cui ogni mobi­li­ta­zio­ne per l’a­bor­to deve diven­ta­re allo stes­so tem­po mobi­li­ta­zio­ne per il sala­rio al lavo­ro dome­sti­co, non pos­sia­mo pen­sa­re di instau­ra­re più alti livel­li orga­niz­za­ti­vi che han­no sen­so solo se, par­ten­do dal­l’in­ter­pre­ta­zio­ne degli inte­res­si del­le don­ne, sia­no soste­nu­ti dal movi­men­to di mas­sa del­le don­ne stes­se su tali inte­res­si. Il Movi­men­to fem­mi­ni­sta deve inter­pre­ta­re fino in fon­do i biso­gni espres­si dal­le lot­te del­le don­ne arri­van­do a coglier­ne il biso­gno fon­da­men­ta­le di libe­ra­zio­ne dal lavo­ro dome­sti­co espres­so in tut­te, se vuo­le riu­sci­re a dare alle stes­se un col­le­ga­men­to desti­na­to non solo a dura­re ma soprat­tut­to ad appro­fon­dir­si e a cre­sce­re. E altret­tan­to, nel­la cre­sci­ta del pro­ces­so orga­niz­za­ti­vo deve man­te­ne­re una auto­no­mia fem­mi­ni­sta a tut­ti i livel­li di cre­sci­ta del­l’or­ga­niz­za­zio­ne. Non è un caso, ripe­tia­mo, che la sini­stra maschi­le non aves­se mai visto il lavo­ro dome­sti­co.
Gli uomi­ni, diret­ti desti­na­ta­ri e con­trol­lo­ri del nostro lavo­ro, se fino a ieri non lo ave­va­no visto come tale, cer­ta­men­te oggi non pos­so­no per noi rap­pre­sen­ta­re una garan­zia per la libe­ra­zio­ne dal­lo stes­so. Obiet­ti­va­men­te, l’au­to­no­mia per­ciò anche ai livel­li più alti del­la lot­ta, si rico­no­sce­rà nel tipo di azio­ne, nel­la spe­ci­fi­ci­tà di inte­res­si che que­sta azio­ne por­ta avan­ti cor­ri­spon­den­te­men­te agli inte­res­si su cui il Movi­men­to fem­mi­ni­sta a livel­lo di mas­sa si muo­ve.
E in quan­to i tem­pi, i modi ecc. sia­no appun­to deter­mi­na­ti dal Movi­men­to fem­mi­ni­sta stes­so. Come si sa, i vari livel­li del­la lot­ta non sono mai sta­ti «omo­ge­nea­men­te pro­gram­ma­bi­li» né que­sto è il nostro inten­to.
Nel­la lot­ta ha un sen­so mol­to rela­ti­vo par­la­re di «erro­ri» e di «se era tem­po» o «se non era tem­po». Ha sen­so inve­ce, per­ché i tem­pi e modi «acce­le­ra­ti» o «ritar­da­ti» non appar­ten­go­no ad altri che alle don­ne, che sia­no misu­ra­ti sul Movi­men­to stes­so del­le don­ne. E quin­di, anche un’a­zio­ne spe­ci­fi­ca, per­ché ritor­ni come nuo­vo livel­lo di for­za al Movi­men­to, deve offri­re un’in­di­ca­zio­ne rac­co­gli­bi­le dal­le don­ne stes­se.
Da «Comu­ni­ca­to del Comi­ta­to Tri­ve­ne­to per il sala­rio al lavo­ro dome­sti­co», Pado­va, gen­na­io 1975