da «Fuori dalle linee» n. 1
Ancora una volta, lotta a oltranza alla Fiat. Come sempre, la lotta degli operai Fiat è, per la classe operaia in Italia, il segnale dell’attacco. E infatti, appena iniziata la oltranza e il blocco di Mirafiori, il movimento si è esteso rapidamente all’Alfa Romeo di Arese e di Pomigliano, all’Italsider di Taranto, Trieste, Genova, Bagnoli; all’Olivetti di Ivrea, alla Zoppas, alla Fiat di Cento. Un meccanismo generale di ripresa dell’offensiva operaia – che già si era da parecchie settimane rimessa in moto a partire dalla Fiat, dalla Pirelli, dall’Alfa Romeo – ha ricevuto la sua decisiva accelerazione.
Una cosa è certa: è fallito il tentativo dei padroni di assicurarsi la tregua sociale e su questa base di avviare un processo di generale ristrutturazione della fabbrica e della società, per ribadire il loro dominio sugli operai, per distruggere l’unità e la forza che la classe operaia ha accumulato in questi anni di lotte. Una cosa è chiara: non è passata la manovra dei padroni, che tendeva a rovesciare contro gli operai gli effetti della crisi economica e politica a cui in primo luogo le lotte, in secondo luogo le loro contraddizioni interne hanno inchiodato il sistema capitalistico. Lo scorso autunno doveva essere l’autunno dei padroni, l’occasione buona per sconfiggere lo straordinario movimento nato nel ’68–69 nelle fabbriche italiane. A questo, a mettere in ginocchio gli operai, doveva servire la crisi energetica, e l’inflazione. Dovevano servire a dire agli operai: «Se volete mantenere le vostre attuali condizioni di vita, dovete lavorare di più, tornare a farvi sfruttare al limite delle vostre possibilità. La “festa” è finita». Ma gli operai non hanno nessuna voglia di aiutare il padrone per farsi mettere i piedi sulla testa. E così la risposta è arrivata, l’iniziativa è tornata in mano agli operai. È possibile parlare di apertura di un nuovo ciclo di lotte operaie.
Ma la lotta operaia nella crisi ha un carattere particolare: è necessariamente lotta politica, non semplicemente rivendicativa. Si gioca sul terreno del potere, non della trattativa. Da che esiste il capitalismo, quando il padrone non ha margini riformistici (cioè non può e non vuole concedere nulla), o gli operai piegano la testa e accettano la sconfitta, o devono organizzarsi sul terreno dello scontro violento. In altre parole: nella crisi, o la lotta è generale, politica, organizzata e armata, o non è. Gli operai si trovano di fronte tutta la struttura di comando dei padroni, dalla fabbrica allo Stato: e allora è il terreno del potere, dei rapporti di forza generali, è il problema della guerra di classe che viene in primo piano.
Questa è la situazione attuale dello scontro di classe in Italia. I padroni e i loro rappresentanti politici, da un lato, hanno continuato a provocare la collera operaia con una serie continua di manovre di aperta violenza anti-operaia: il razionamento, la austerity, l’attacco forsennato al potere d’acquisto dei salari, i licenziamenti, l’intensifìcazione dello sfruttamento in fabbrica. Gli operai, dal canto loro, hanno ricominciato con gli scioperi, con le fermate selvagge, i cortei che spazzano le fabbriche; i pestaggi dei capi, dei crumiri, dei dirigenti, i picchetti duri, i cortei «armati», dentro e fuori la fabbrica.
Tutto questo esprime la volontà degli operai di rompere la camicia di forza della tregua, del cedimento, che il sindacato e i partiti riformisti vogliono stringere attorno alle lotte. Gli operai hanno ben chiaro in testa che il «compromesso storico» con il padrone rappresenterebbe la loro sconfitta generale, la liquidazione di tutto quanto in questi anni si sono conquistati come potere di organizzazione e di lotta. Per questo hanno cominciato a preparare lo sciopero del 27, rilanciando la massiccia offensiva di questi giorni. Il 27 doveva essere l’occasione – passaggio iniziale ma essenziale – di un rilancio della contrattazione della tregua fra sindacati, padroni, governo; gli operai vogliono farne un’occasione di scontro che indichi quale dovrà essere la qualità, il percorso, il tipo di lotta nella fase che si apre.
Questo foglio d’agitazione, che Potere operaio propone come strumento di organizzazione a tutte le avanguardie comuniste, vuole essere un frammento di iniziativa in questa direzione. Questo strumento ha un senso, se viene sottratto a una dimensione di gruppo e diventa voce di un processo, ben più ampio e significativo, di organizzazione operaia.
Questo strumento ha un senso, se si lega alla costruzione di momenti organizzati: di unità delle avanguardie, di elementi di organizzazione operaia di attacco.
È di qui che si comincia a costruire il partito della guerra al lavoro, il partito armato degli operai comunisti. A un nuovo ciclo di lotte deve oggi corrispondere un nuovo ciclo di organizzazione. Vogliamo raccogliere e rilanciare il segnale d’attacco delle avanguardie operaie della Fiat, che preparano per il 27 una grande giornata di lotta, un momento di scontro politico che mandi all’aria il piano padronale di sconfitta operaia, il piano sindacale di tregua e di cedimento.
In questa settimana, prima e dopo lo sciopero generale del 27, questo giornale uscirà ogni giorno, per costruire dentro il movimento delle lotte una scadenza significativa, che sposti, ancora una volta in avanti il terreno dello scontro.