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Da «Magaz­zi­no», n. 1, Gen­na­io 1979

DA MARX A HEGEL E VICEVERSA

Nul­la da dire: Cac­cia­ri ci pren­de. Nell’ ”opu­sco­lo mar­xi­sta” (n. 25, ora pub­bli­ca­to da Fel­tri­nel­li: Dia­let­ti­ca e cri­ti­ca del poli­ti­co.
Sag­gio su Hegel) egli rias­su­me nel modo miglio­re un equi­li­bra­to e cen­tra­to giu­di­zio sul­la filo­so­fia del­lo Sta­to di Hegel.
Un filo­ne sto­rio­gra­fi­co e cri­ti­co, da Rosen­z­weig a Bodei, ave­va det­to le stes­se cose, con mino­re enfa­si ma con altret­tan­to rigo­re: “Il meto­do hege­lia­no nel­l’af­fron­ta­re l’ar­ca­no (del­lo Sta­to) è radi­ca­le.
Non sol­tan­to egli non rispon­de al pro­ble­ma ridu­cen­do imme­dia­ta­men­te la con­trad­di­zio­ne ad uno dei suoi ter­mi­ni, ma affer­ma che entram­bi i momen­ti devo­no esi­ste­re nel pie­no del­la loro for­za, van­no svi­lup­pa­ti radi­cal­men­te”, (p. 16) Lo Sta­to hege­lia­no dun­que non nega ma con­tie­ne il nega­ti­vo, non è il supe­ra­men­to ma è il momen­to di pro­du­zio­ne del supe­ra­men­to.
La vicen­da teo­ri­ca del­lo Sta­to hege­lia­no è una con­ti­nua pre­mes­sa del­la sua deter­mi­na­zio­ne sto­ri­ca: l’ar­ca­no del­lo Sta­to è la sua effet­tua­le tra­sfor­ma­bi­li­tà.
La tra­sfor­ma­bi­li­tà del­lo Sta­to ne rap­pre­sen­ta la legit­ti­ma­zio­ne. Cer­to: la figu­ra del­lo Sta­to hege­lia­no è figu­ra stret­ta­men­te rica­va­ta sul­lo svi­lup­po del­la rivo­lu­zio­ne bor­ghe­se. “In altri ter­mi­ni: il pro­ble­ma riguar­da il rap­por­to tra for­ma spe­ci­fi­ca del­la “rivo­lu­zio­ne” bor­ghe­se del rap­por­to socia­le e la sua (pos­si­bi­le) for­ma-Sta­to, la trans-for­ma­zio­ne del­la “rivo­lu­zio­ne” del rap­por­to socia­le in Sta­to, del pote­re del sog­get­to emer­gen­te da tale “rivo­lu­zio­ne”, nel­la sua ina­lie­na­bi­le e irre­ver­si­bi­le liber­tà, in orga­ni­smo nor­ma­ti­vo, isti­tu­zio­na­le.
Que­sta trans-for­ma­zio­ne deve fon­dar­si sul­la natu­ra spe­ci­fi­ca di quel pote­re – cioè, la for­ma-Sta­to moder­na deve legit­ti­mar­si sul fon­da­men­to del­la natu­ra spe­ci­fi­ca del­la rivo­lu­zio­ne bor­ghe­se: la for­ma di tale rivo­lu­zio­ne inten­de la for­ma-Sta­to, la Auf-hebung del sog­get­to la pro­du­ce” (ivi, pag. 27).
L’a­na­li­si di Cac­cia­ri va bene a fon­do su que­sto tema. La reim­mis­sio­ne del nega­ti­vo nel­la defi­ni­zio­ne del pen­sie­ro filo­so­fi­co hege­lia­no sul­lo Sta­to costi­tui­sce il pun­to feli­ce del­l’a­na­li­si.
Pro­ba­bil­men­te sareb­be sta­to più uti­le a dimo­strar­lo la ripre­sa degli scrit­ti di Hegel sul Reform­bill del 1831, oppu­re di altri scrit­ti più matu­ri, lad­do­ve la figu­ra del nega­ti­vo e del­la sua costi­tu­zio­na­liz­za­zio­ne è asso­lu­ta­men­te chia­ra.
Men­tre inve­ce il richia­mo che fa Cac­cia­ri alla tema­ti­ca del Pòbel (ple­be, popo­lac­cio) sem­bra risen­ti­re da un lato del­la fan­ta­sia inter­pre­ta­ti­va che è tipi­ca del­l’au­to­re, dal­l’al­tro di una for­se incon­sa­pe­vo­le ma chia­ra ascen­den­za cro­cia­na (Pòbel come Leben­di­g­keit, ossia vita­li­tà, ossia espres­sio­ne ele­men­ta­re del­l’e­co­no­mi­co nel­la dia­let­ti­ca dei distin­ti – pag. 47).
Hegel dun­que non è un rea­zio­na­rio.
Le inter­pre­ta­zio­ni del­la destra, così come quel­le del­la sini­stra, sono inter­pre­ta­zio­ni par­zia­li e fon­da­men­tal­men­te erra­te.
Lo Sta­to in Hegel è un ente costi­tu­zio­na­le, è la nega­zio­ne del clas­si­co, del­l’o­mo­ge­neo, del con­ti­guo. Il suo Sta­to è la pos­si­bi­li­tà di con­te­ni­men­to dei rap­por­ti socia­li con­trad­di­to­ri, eppu­re anche la pos­si­bi­li­tà di supe­ra­men­to del­la alie­na­zio­ne. L’ ”Hegel poli­ti­co” è il gran­de espe­ri­men­to di que­sta pos­si­bi­li­tà: lo Sta­to sì pro­du­ce come sepa­ra­to, come Auto­no­mia – ma tale Auto­no­mia è pro­du­zio­ne del sog­get­to come fon­da­men­to, del sog­get­to come sostan­za.
Il sog­get­to, com­pre­so razio­nal­men­te come fon­da­men­to, pro­du­ce la for­ma auto­no­ma del­lo Sta­to. Poli­ti­co è appun­to que­sto ope­ra­re del sog­get­to – ope­ra­re sui gene­ris: poli­ti­co è la dimen­sio­ne del pro­dur­re il sepa­ra­to, l’au­to­no­mo, come pro­dur­re, ex pri­me­re, la pro­pria sog­get­ti­vi­tà in quan­to sostan­zia­li­tà. In tale dimen­sio­ne il movi­men­to del­la alie­na­zio­ne si tra­sfor­ma in movi­men­to di affer­ma­zio­ne del sog­get­to, di libe­ra­zio­ne-rico­no­sci­men­to del fon­da­men­to del sog­get­to” (pag. 73). È inte­res­san­te que­sta let­tu­ra. A par­te la sua cor­ret­tez­za filo­lo­gi­ca sor­ge un pri­mo pro­ble­ma: come nasce que­sto testo nel­l’e­spe­rien­za del­l’au­to­re? Nasce, secon­do me, dal­la cri­si del meto­do di Kri­sis.
Nel­la sua esa­spe­ra­zio­ne ideo­lo­gi­ca quel meto­do non pote­va tene­re: anda­va fon­da­to o sul sog­get­to pro­le­ta­rio o, con rea­li­smo (?), sul­la socie­tà, su quel­la socie­tà che si fa Sta­to. Cac­cia­ri lo rico­no­sce: il pen­sie­ro nega­ti­vo ha con­si­de­ra­to Hegel un “paz­zo per lo Sta­to” ed ha nega­to la pos­si­bi­li­tà di un Poli­ti­co dia­let­ti­co.
Il pen­sie­ro nega­ti­vo ha con­dot­to la dia­let­ti­ca ver­so il rove­scia­men­to, l’an­ta­go­ni­smo e il dislo­ca­men­to. Nei con­fron­ti del­lo Sta­to tut­to ciò non può esse­re det­to. Più equi­li­bra­to di Nie­tzsche, Hegel ha trat­te­nu­to la con­trad­di­zio­ne nel­la tra­sfor­ma­zio­ne.
La ragio­ne­vo­le ideo­lo­gia di Cac­cia­ri sa ora pie­gar­si a que­sto rico­no­sci­men­to. Dopo aver rivol­ta­to il meto­do del­la Kri­sis con­tro il sog­get­to, dopo aver­ne fat­to un mez­zo per la nega­zio­ne del sog­get­to anzi­ché (come dovu­to) per la sua esal­ta­zio­ne pro­le­ta­ria, l’i­deo­lo­gia ragio­ne­vo­le rifon­da siste­ma­ti­ca­men­te il qua­dro del­la tota­li­tà: la dia­let­ti­ca ritor­na ad esse­re cir­co­la­re e teleo­lo­gi­ca.
Esat­ta­men­te come in Prou­d­hon: la tra­sfor­ma­bi­li­tà è la veri­tà del­la dia­let­ti­ca. Il para­dos­so che segue sareb­be rigo­ro­so se non fos­se comi­co: chi par­la di distru­zio­ne del­lo Sta­to cadreb­be nel­la “mise­ria” del mar­xi­smo. Ogni affer­ma­zio­ne di una dia­let­ti­ca che si svol­ge ver­so l’an­ta­go­ni­smo fareb­be par­te di un discor­so orga­ni­ci­sti­co-sta­to­la­tra!
Così la pen­sa Cac­cia­ri il qua­le, appre­stan­do­si a vota­re il pia­no Pan­dol­fi, ritie­ne che Agno­li, Offe, e O’Con­nor sia­no sta­to­la­tri (p. 54).
Cosa inde­cen­te è piut­to­sto star­naz­za­re a coman­do dì Bob­bio e simi­li: fin­ché c’è con­flit­to c’è lo Sta­to, lo Sta­to c’è fin­ché c’è con­flit­to, ren­dia­mo costi­tu­zio­na­li l’u­no e l’al­tro, garan­tia­mo­ne la con­si­sten­za e la per­ma­nen­za. Se poi c’è un “resto di nega­ti­vo dia­let­ti­ca­men­te insu­pe­ra­to” e se il supe­ra­men­to “non può com­pren­de­re que­sto risul­ta­to del siste­ma dei biso­gni”, bene, non biso­gna ideo­lo­giz­za­re: basta la poli­zia (“che Hegel inten­de evi­den­te­men­te come for­ma di gover­no nel­la socie­tà civi­le, non come sem­pli­ce orga­ni­smo di appli­ca­zio­ne repres­si­va del­la leg­ge”, pag. 37). Esat­ta­men­te la stes­sa inter­pre­ta­zio­ne di un gran­de allie­vo di Hegel, Lorenz von Stein, che, pri­ma di tra­sfor­ma­re la Poli­zei­wis­sen­schaft set­te­cen­te­sca e di fon­da­re la moder­na scien­za del­l’am­mi­ni­stra­zio­ne, fece per anni il suo novi­zia­to come infil­tra­to del­la poli­zia prus­sia­na a Pari­gi, nel “nega­ti­vo dia­let­ti­ca­men­te insu­pe­ra­to”, cioè nel grup­po di Marx e dei suoi com­pa­gni. A chi gio­va? Ridi­scen­dia­mo da. que­ste subli­mi altez­ze alla mise­ria del dibat­ti­to cul­tu­ra­le inter­no al PCI e, rime­sco­lan­do i fon­di del caf­fè, fac­cia­mo qual­che con­get­tu­ra. A me, que­sto pro­He­gel, que­sto anti-Nie­tzsche sem­bra sola­men­te un anti-Tron­ti. «Hegel dispie­ga le ragio­ni alle qua­li deve sot­to­sta­re la razio­na­li­tà del­lo Sta­to con­tem­po­ra­neo, del­lo Sta­to del­la socie­tà bor­ghe­se in quan­to epo­cal­men­te distin­ta dal­la civil socie­ty degli ini­zi del­la filo­so­fia bor­ghe­se del­la sto­ria”.
Come “si chiu­de” que­sta dimo­stra­zio­ne? Come può “chiu­der­si”?
Come legit­ti­ma­re la vio­len­za del­lo Sta­to con­tem­po­ra­neo “de-sacra­liz­za­to”? “de-teo­lo­giz­za­to”?
Come assu­mer­ne dia­let­ti­ca­men­te le divi­sio­ni di lavo­ro e di clas­se?
Come supe­rar­ne il nihi­li­smo e pro­por­ne come Valo­re la strut­tu­ra orga­niz­za­ti­va?
Come inten­der­ne la neces­sa­ria auto­no­mia e, insie­me, il suo esse­re pro­du­zio­ne del­la dia­let­ti­ca del­l’au­to­co­scien­za nel­la liber­tà?
È sul­lo sfon­do di que­ste doman­de che ha luo­go il con­fron­to del “pen­sie­ro nega­ti­vo” con Hegel.
E sono que­ste doman­de a veni­re sem­pre dimen­ti­ca­te allor­ché si camuf­fa Hegel da sem­pli­ce Real­po­li­ti­ker, o da mero com­pi­men­to del­la linea Machia­vel­li-Hob­bes in nome di equi­vo­ci pri­ma­ti del Poli­ti­co» (sovra­co­per­ta p. 4). Cac­cia­ri attac­ca dun­que “l’au­to­no­mia del poli­ti­co”, ridi­scen­de da Marx a Hegel per affer­ma­re la dia­let­ti­ca fra socie­tà civi­le e Sta­to, nega il subli­me.
Per­so­nal­men­te non ho avu­to mai nes­sun affet­to per l’ ”auto­no­mia del poli­ti­co” e le sue teo­rie, dovreb­be quin­di far­mi pia­ce­re que­sta démar­che di Cac­cia­ri: e inve­ce no, è solo una regres­sio­ne, qua­si gram­scia­na. L’ ”auto­no­mia del poli­ti­co” di Tron­ti è un sal­to irrea­li­sti­co in avan­ti, è il cini­smo leni­ni­sta ripro­po­sto, è l’il­lu­sio­ne di un uso del­lo Sta­to per la clas­se ope­ra­ia, ma è anche una for­mi­da­bi­le appli­ca­zio­ne, par­zia­le quan­to si vuo­le ma rigo­ro­sa, del­la dia­let­ti­ca del nega­ti­vo, è in buo­na sostan­za il rifiu­to di ogni meto­do­lo­gia hege­lia­na o rifor­mi­sti­ca.
Se tut­to ciò è peri­co­lo­so e irrea­li­sti­co, non è cer­to meno impor­tan­te: effet­ti mise­ra­bi­li discen­de­va­no dal­l’of­fer­ta che la teo­ria face­va di se stes­sa all’u­so del PCI! Ma nes­sun pun­to di vista ope­ra­io e mar­xi­sta può esclu­de­re dal pro­prio oriz­zon­te la radi­ca­le discon­ti­nui­tà di quel pro­get­to, né nel­la for­ma del­l’au­to­no­mia del poli­ti­co, né nel­la for­ma del­la meto­do­lo­gia di Kri­sis.
In ciò con­si­ste­va l’im­por­tan­za del­l’i­po­te­si di Tron­ti: un’i­po­te­si da attac­ca­re poli­ti­ca­men­te ma da assu­me­re teo­ri­ca­men­te nel dibat­ti­to.
L’He­gel fal­so di Tron­ti è per­ciò infi­ni­ta­men­te più inte­res­san­te del­l’­He­gel vero di Cac­cia­ri: qui il cor­to­cir­cui­to è tota­le e la misti­fi­ca­zio­ne asso­lu­ta. * * * Chis­sà per­chè (pro­ba­bil­men­te solo la con­tem­po­ra­nei­tà del­la let­tu­ra), ma si sem­bra inte­res­san­te inse­ri­re qui qual­che nota su Simon Nora/​Alain Minc, L’in­for­ma­ti­sa­tion de la Socie­té (La Docu­men­ta­tion Fran­cai­se, Paris, 1978). Cer­to, scen­dia­mo dal­le bana­li­tà del pen­sie­ro nie­tzschea­no agli abis­si di quel­lo di Woo­dy Alien: comun­que si trat­ta di un rap­por­to pre­sen­ta­to a Giscard d’E­staing da “due illu­stri diret­to­ri gene­ra­li del­le Finan­ze” ed è un libro tal­men­te ric­co di sol­le­ci­ta­zio­ni che dif­fi­cil­men­te puoi tra­scu­ra­re, una vol­ta che ti sia cadu­to fra le mani. Da Marx a Hegel, inclu­sio­ne del­la nega­ti­vi­tà e tra­sfor­ma­bi­li­tà del­lo Sta­to: que­sti signo­ri ci pen­sa­no in con­cre­to. Qua­li sono le con­se­guen­ze che com­por­ta l’in­for­ma­ti­ca nel­la sua gene­ra­le appli­ca­zio­ne alla gestio­ne del­lo Sta­to e del­la socie­tà? Lo spi­ri­to si fa velo­ce­men­te rea­le, mac­chi­na addi­rit­tu­ra, tan­to velo­ce­men­te che sia­mo ormai in gra­do di misu­ra­re la com­pa­ti­bi­li­tà dei pro­get­ti del­le varie par­ti socia­li e di appros­si­mar­ne la con­si­de­ra­zio­ne in tem­po rea­le. La fles­si­bi­li­tà del con­trol­lo siste­ma­ti­co divie­ne la leg­ge riso­lu­ti­va di ogni anta­go­ni­smo poten­zia­le; l’u­ni­tà del­lo svi­lup­po socia­le è garan­zia del­la sua arti­co­la­zio­ne. L’ap­pli­ca­zio­ne del­l’in­for­ma­ti­ca al con­trol­lo socia­le attra­ver­so il suo inne­sto sui cir­cui­ti di tele­co­mu­ni­ca­zio­ne, la for­ma­zio­ne per­ciò di un oriz­zon­te tele­ma­ti­co, può per­met­te­re, secon­do gli auto­ri, di rispon­de­re alla serie di pro­ble­mi e di rischi che risor­go­no attor­no ai tre gran­di com­ples­si (per dir­la con Nora ma già con Offe) del­l’e­qui­li­brio eco­no­mi­co, del con­sen­so socia­le e del­l’in­di­pen­den­za nazio­na­le. Ma basta con l’a­po­lo­gia: d’al­tra par­te è anche quel­lo che fa Nora. Il suo pro­ble­ma non è quel­lo di costrui­re una nuo­va uto­pia del­la auto­ma­zio­ne socia­le ma piut­to­sto quel­lo di ana­liz­za­re i pro­gres­si del­l’au­to­ma­zio­ne socia­le in ter­mi­ni poli­ti­ci. Il suo pro­ble­ma è da un lato quel­lo di for­ni­re indi­ca­zio­ni per­ché lo Sta­to fran­ce­se pos­sa attrez­zar­si di stru­men­ti tele­ma­ti­ci e di satel­li­ti, per poter­ne difen­de­re l’in­di­pen­den­za con­tro le mul­ti­na­zio­na­li (inge­nuo quan­to gene­ro­so pro­get­to da nuo­vo filo­so­fo!), dal­l’al­tro quel­lo di garan­ti­re un qua­dro den­tro il qua­le il siste­ma dei pote­ri di una socie­tà cosid­det­ta demo­cra­ti­ca pos­sa man­te­ner­si. Vale a dire che il siste­ma infor­ma­ti­co deve esse­re con­trol­la­to dal­lo Sta­to ed esse­re mes­so in gra­do di deter­mi­na­re dal suo inter­no orga­niz­za­zio­ne, gerar­chia, dipen­den­ze ed esclu­sio­ni. Il siste­ma infor­ma­ti­co divie­ne la chia­ve del con­trol­lo del­la ripro­du­zio­ne del­la socie­tà. Divie­ne dun­que una del­le for­me fon­da­men­ta­li nel­le qua­li si svi­lup­pa il coman­do del­lo Sta­to, non come mera repres­sio­ne, anzi, come pos­si­bi­li­tà ela­sti­ca di con­te­ne­re il nega­ti­vo, di pro­muo­ve­re gli equi­li­bri in for­ma ade­gua­ta al con­te­ni­men­to del­le rot­tu­re, ecc. Nasco­no in pro­po­si­ti alcu­ni impor­tan­ti pro­ble­mi. Il pri­mo riguar­da la natu­ra pro­dut­ti­va del­l’at­ti­vi­tà infor­ma­ti­ca. Negli Anné­xes del volu­me di Nora (si trat­ta di quat­tro volu­mi cura­ti dal­l’Ad­mi­ni­stra­tion fran­ce­se) il pro­ble­ma del­la valu­ta­zio­ne quan­ti­ta­ti­va degli effet­ti del­l’in­for­ma­ti­ca sugli equi­li­bri macroe­co­no­mi­ci vie­ne lar­ga­men­te docu­men­ta­to, con rife­ri­men­to ad alcu­ni impor­tan­ti con­tri­bu­ti giap­po­ne­si ed ame­ri­ca­ni, ma sostan­zial­men­te lascia­to cade­re. Non così avvie­ne attor­no al secon­do pro­ble­ma: che è quel­lo, fon­da­men­ta­le, del rap­por­to fra modi­fi­ca­zio­ni del siste­ma di gover­no del­l’e­co­no­mia e del­la socie­tà e com­po­si­zio­ne del­la clas­se pro­le­ta­ria. Qui l’i­deo­lo­gia si fa, rie­sce a far­si mac­chi­na sta­ta­le, effet­ti­va capa­ci­tà di pre­fi­gu­ra­zio­ne. Ora com­pren­dia­mo anche per­ché il pri­mo pro­ble­ma sia sta­to fat­to cade­re: per­chè l’ef­fi­ca­cia eco­no­mi­ca è qui com­ple­ta­men­te subor­di­na­ta all’ef­fi­ca­cia poli­ti­ca, – e cioè alla capa­ci­tà che il con­trol­lo infor­ma­ti­co offre di disin­te­gra­re i gran­di poli di clas­se del­le socie­tà con­tem­po­ra­nee, di costrui­re e con­trol­la­re una socie­tà mul­ti­po­la­re, con un’in­fi­ni­tà di con­flit­ti decen­tra­ti, disar­ti­co­la­ti, ecc. L’i­deo­lo­gia si fa dun­que diret­ta­men­te mac­chi­na sta­ta­le, stra­te­gia di divi­sio­ne e di rias­sun­zio­ne con­trol­la­ta e fun­zio­na­le dei con­flit­ti. Nora lamen­ta che la coscien­za sta­ta­le non sia anco­ra pro­ce­du­ta sino a que­sto livel­lo di matu­ri­tà. La dia­let­ti­ca non è anco­ra entra­ta nel­la testo­na di quei buro­cra­ti repub­bli­ca­ni! Pre­sto tut­ta­via ci entre­rà: in Fran­cia come in Ita­lia, anche se da noi la leg­ge 675 (sul­l’in­for­ma­ti­ca) fa un pove­ro effet­to dinan­zi al pia­no Nora. Ma non è che un ini­zio, si può ben spe­ra­re: lascia­te fare a Cac­cia­ri. In ter­zo luo­go, tut­ta­via, va con­si­de­ra­to un pro­ble­ma non del tut­to secon­da­rio: ed è il fat­to che l’in­for­ma­ti­ca fun­zio­na sul­l’in­for­ma­zio­ne, che la gestio­ne pre­fi­gu­ra­ti­va del­l’e­qui­li­brio deve comun­que, a val­le, scon­trar­si con il dise­qui­li­brio. È ben vero che a que­sto pro­po­si­to il modo di pro­du­zio­ne capi­ta­li­sti­co, avvian­do­si ad entra­re nel­la fase infor­ma­ti­ca, ha ten­ta­to di orga­niz­za­re il pro­ces­so lavo­ra­ti­vo in manie­ra ade­gua­ta: inse­ren­do nel­la fab­bri­ca gli agen­ti del­l’in­for­ma­zio­ne a tut­ti i livel­li del­la cate­na di pro­du­zio­ne, uti­liz­zan­do le media­zio­ni poli­ti­che degli ope­rai per far­ne pun­ti di spio­nag­gio (attra­ver­so la col­la­bo­ra­zio­ne del sin­da­ca­to); disar­ti­co­lan­do, d’al­tra par­te, la pro­du­zio­ne e dif­fon­den­do­la fuo­ri dal­la fab­bri­ca in modo da poter­la – esso solo, il capi­ta­le – ricom­por­re e met­ten­do in atto un siste­ma poli­ti­co di infor­ma­zio­ne di ter­ri­to­rio del tut­to irri­gi­di­to nel­la sua fun­zio­na­li­tà poli­ti­ca. Ma que­sto è solo un aspet­to del pro­ble­ma. Nora sa qui, ed è pre­oc­cu­pa­to, quel­lo che tut­ti gli hege­lia­ni, alla Cac­cia­ri, ormai san­no (e non mostra­no di esser­ne suf­fi­cien­te­men­te pre­oc­cu­pa­ti): la poten­za del nega­ti­vo. Nora espli­ci­ta­men­te dichia­ra che l’au­to­ma­zio­ne e la rego­la­zio­ne dei con­flit­ti pos­so­no fun­zio­na­re solo quan­do i sog­get­ti sia­no sta­ti mate­rial­men­te, pra­ti­ca­men­te coin­vol­ti nel pro­get­to. L’au­to­ma­zio­ne infor­ma­ti­ca è la demo­cra­zia par­te­ci­pa­ti­va, la demo­cra­zia socia­li­sta di un pro­ces­so pro­dut­ti­vo com­ple­ta­men­te socia­liz­za­to (alla Haber­mas, com­ple­ta­men­te pub­bli­ciz­za­to). Iro­nia del rico­no­sci­men­to del nega­ti­vo! Ma chi garan­ti­sce che gli indi­ca­to­ri indi­chi­no? chi garan­ti­sce (scu­sa­te le vir­go­let­te) “la rap­pre­sen­tan­za” degli indi­ci? Cer­to, il sogno degli infor­ma­ti­ci è quel­lo di un’in­for­ma­zio­ne glo­ba­le e par­te­ci­pa­ta. Ma l’in­for­ma­zio­ne glo­ba­le subi­sce la vicen­da para­dos­sa­le dei geo­gra­fi di Bor­ges: “… In quel­l’Im­pe­ro, l’Ar­te del­la Car­to­gra­fia giun­se a una tale Per­fe­zio­ne che la Map­pa di una sola Pro­vin­cia occu­pa­va tut­ta una Cit­tà, e la Map­pa del­l’Im­pe­ro tut­ta una Pro­vin­cia. Col tem­po, que­ste Map­pe smi­su­ra­te non basta­ro­no più. I Col­le­gi dei Car­to­gra­fi fece­ro una Map­pa del­l’Im­pe­ro che ave­va l’Im­men­si­tà del­l’Im­pe­ro e coin­ci­de­va per­fet­ta­men­te con esso. Ma le Gene­ra­zio­ni Seguen­ti, meno por­ta­te allo Stu­dio del­la Car­to­gra­fia, pen­sa­ro­no che que­sta Map­pa enor­me era inu­ti­le e non sen­za Empie­tà la abban­do­na­ro­no alle Incle­men­ze del Sole e degli Inver­ni. Nei Deser­ti del­l’O­ve­st soprav­vi­vo­no lace­ra­te Rovi­ne del­la Map­pa, abi­ta­te da Ani­ma­li e Medi­chi; in tut­to il Pae­se non c’è altra Reli­quia del­le Disci­pli­ne Geo­gra­fi­che”. Pro­sa que­sta, inve­ro, degna del­la cri­ti­ca ari­sto­te­li­ca del­l’e­nu­me­ra­zio­ne e del­lo scet­ti­co rea­li­smo del­la asi­mo­via­na fon­da­zio­ne Sel­don! L’in­for­ma­zio­ne glo­ba­le è appun­to un sogno. Tan­to più lo è quan­do i livel­li di com­po­si­zio­ne del­la clas­se, lun­gi dal­l’es­se­re fles­si­bi­li e dispo­ni­bi­li alla media­zio­ne infor­ma­ti­ca, sono rigi­di, pian­ta­ti su momen­ti di auto­va­lo­riz­za­zio­ne, disar­ti­co­la­ti in esten­sio­ne ma resi­sten­ti e ric­chi in inten­si­tà. Capi­ta­liz­za­re, per via infor­ma­ti­ca, que­sta micro­fi­si­ca del pote­re pro­le­ta­rio è for­se pos­si­bi­le, cer­to non è un’o­pe­ra­zio­ne di domi­nio che pas­se­rà facil­men­te a que­sto livel­lo del­la com­po­si­zio­ne di clas­se. Come sem­pre il pro­ble­ma è quel­lo del­la com­po­si­zio­ne di clas­se e del­la sua ana­li­si: que­sto è infat­ti il nega­ti­vo. Che la socie­tà si fac­cia Sta­to, lo si può ben­sì auspi­ca­re sul­la fal­sa­ri­ga di Hegel, oppu­re lo si può ten­ta­re sul­la base del­la stru­men­ta­zio­ne auto­ma­ti­ca. In real­tà ci si tro­va poi davan­ti alla testar­da rispo­sta di clas­se, all’e­mer­sio­ne di sog­get­ti­vi­tà tan­to anta­go­ni­sti­che da ridi­co­liz­za­re sia gli auspi­ci che i ten­ta­ti­vi. Que­sta com­po­si­zio­ne di clas­se, que­sta che ci sta davan­ti. Si può pro­va­re a divi­der­la, a diluir­la sul ter­ri­to­rio, a sepa­rar­la: ma il capi­ta­le può fare que­sto solo orga­niz­zan­do la socie­tà. Ogni ten­ta­ti­vo effet­ti­vo di disor­ga­niz­za­zio­ne del pro­le­ta­ria­to è quin­di comun­que un tra­mi­te, un poten­zia­le nuo­vo livel­lo di ricom­po­si­zio­ne. La rigi­di­tà mate­ria­le del­la com­po­si­zio­ne di clas­se è in ciò deci­si­va: ma non è sem­pli­ce­men­te un livel­lo di resi­sten­za, è anche un livel­lo di auto­va­lo­riz­za­zio­ne, di auto­no­mo svi­lup­po di biso­gni e di com­por­ta­men­ti pro­le­ta­ri. Que­sta com­po­si­zio­ne di clas­se (resi­sten­za ed auto­va­lo­riz­za­zio­ne) è venu­ta for­man­do­si in manie­ra ori­gi­na­le negli anni suc­ces­si­vi alla secon­da gran­de guer­ra impe­ria­li­sta e nel ’68 ha avu­to un pri­mo momen­to di auto­ri­co­no­sci­men­to. Non si capi­sce nul­la del­la lot­ta di clas­se, se non si ten­go­no pre­sen­ti que­ste sue qua­li­tà, que­ste sue deter­mi­na­zio­ni e que­sti suoi pun­ti com­ples­si­vi di svi­lup­po. Sia­mo nel 1978, decen­na­le del ’68. Di libri, ricor­di, valu­ta­zio­ni ecc. ne sono usci­ti un’in­fi­ni­tà. Non voglio cer­to dare un giu­di­zio com­ples­si­vo su que­sta pro­du­zio­ne libra­ria. Mi inte­res­sa­no poche cose di quel­le usci­te, fra le mani ho due libri di due mili­tan­ti, non solo del ’68 ma del­la lot­ta di clas­se. Régis Debray, Mode­ste con­tri­bu­tion aux discours et céré­mo­nies offi­ciel­les du dixiè­me anni­ver­sai­re, Maspe­ro, Pari­gi, 1978; Gui­do Via­le, Il ses­san­tot­to tra rivo­lu­zio­ne e restau­ra­zio­ne, Maz­zot­ta, Mila­no, 1978. Sono due bei libri, i ragaz­zi san­no scri­ve­re. Ma l’u­no e l’al­tro non capi­sco­no nul­la del pro­ble­ma che ci inte­res­sa: quel­lo del­la con­ti­nui­tà e del­la matu­ra­zio­ne del­la lot­ta di clas­se attra­ver­so il ’68, quel­lo del­la novi­tà che, nel­la con­ti­nui­tà del­la lot­ta, il ’68 rap­pre­sen­ta. Per Debray il gio­co è faci­le. Il ’68 rap­pre­sen­ta per lui sem­pli­ce­men­te un momen­to di rot­tu­ra del­la for­za ope­ra­ia, del­la resi­sten­za ope­ra­ia. Il ’68 è un’i­ni­zia­ti­va del capi­ta­le. Tra­du­cia­mo alcu­ne pagi­ne – pagi­ne comun­que degne di discus­sio­ne – rin­vian­do per il resto a quel­la che spe­ria­mo sia pre­sto la tra­du­zio­ne del volume. […]

Da «Magaz­zi­no», n. 2, Mag­gio 1979

AUTONOMIA O GHETTO?

Di nuo­vo, ricor­ren­te, la cri­si.
Com­pa­gni sbal­la­ti, nuo­vo ciclo gene­ra­zio­na­le di ricer­ca del­la feli­ci­tà, che decol­la pro­prio quan­do il pre­ce­den­te ciclo (quel­lo ini­zia­to nel ’68) giun­ge alla sua estre­ma unzio­ne.
Basta­no die­ci anni per tra­scor­re­re, come voglio­no i nuo­vi macon­di­ni, dai vizi dei Lum­pen a quel­li dei ric­chi, vizi, come ricor­da Marx, del tut­to paral­le­li e cor­ri­spon­den­ti.
Così deci­do­no le mode. Di cui sia­mo par­te. Ma sia­mo par­te anche di quel­lo che avvie­ne più a fon­do, di una real­tà in movi­men­to che la moda non basta a ren­de­re incoe­ren­te. La moda segue l’au­spi­cio del nemi­co di clas­se: “ci sono due socie­tà”, suo­na: ergo ci devo­no esse­re “due” socie­tà”.
L’a­na­li­si scien­ti­fi­ca com­bat­te l’au­spi­cio ed il biso­gno del nemi­co: ci sono due socie­tà, quel­la degli sfrut­ta­ti e quel­la degli sfrut­ta­to­ri, ci deve esse­re una sola socie­tà, del­la liber­tà e del comu­ni­smo.
L’ap­pa­ri­re del nuo­vo sog­get­to pro­le­ta­rio, nel­la dia­let­ti­ca che sem­pre con­fi­gu­ra la com­po­si­zio­ne del­la clas­se, nel­l’an­ta­go­ni­smo fra nuo­va for­ma del­la coo­pe­ra­zio­ne socia­le (for­ma ric­chis­si­ma di biso­gni radi­ca­li e di biso­gni poli­ti­ci) e nuo­vo modo di pro­du­zio­ne mul­ti­na­zio­na­le (orga­niz­za­to di con­se­guen­za dal­lo Sta­to per capi­ta­liz­za­re pro­prio que­sta micro­fi­si­ca pro­le­ta­ria, del pote­re), l’ap­pa­ri­re del nuo­vo sog­get­to pro­le­ta­rio è dun­que il nodo del­la con­trad­di­zio­ne.
Auto­no­mia o ghet­to?
Come sem­pre i rap­por­ti di for­za par­te­ci­pa­no del­la defi­ni­zio­ne.
Lad­do­ve, da par­te pro­le­ta­ria, la for­za è debo­le e da par­te padro­na­le è inve­ce robu­sta, ivi la teo­ria del­l’au­to­no­mia si pre­sen­ta come teo­ria del­la scon­fit­ta, come teo­ria del ghet­to.
Diver­sa­men­te, lad­do­ve i rap­por­ti di for­za sono diver­si o rove­scia­ti: 1′“altro” movi­men­to rias­sor­be qui nel­la pro­pria ten­sio­ne auto­no­ma anche il ghet­to e ne fa la base del­la pro­pria ini­zia­ti­va, il san­tua­rio inat­tac­ca­bi­le da cui muo­ve la guer­ri­glia.
In ogni caso, comun­que, l’an­ta­go­ni­smo è dato in manie­ra rea­le, come pre­sup­po­sto: e que­sto costi­tui­sce novi­tà e spe­ci­fi­ci­tà del nostro tem­po. Sono appar­si in Ger­ma­nia due volu­met­ti.
Il pri­mo è Auto­no­mia oder Get­to? Kon­tro­ver­sen uber­die Alter­na­ti­v­bewe­gung (Auto­no­mia o Ghet­to? Con­tro­ver­sie sul movi­men­to alter­na­ti­vo): vi han­no con­tri­bui­to una serie di com­pa­gni che han­no vis­su­to l’e­spe­rien­za del movi­men­to tede­sco in que­sto decen­nio (Peter Brüc­k­ner, Daniel Cohn-Ben­dit, Tho­mas Sch­mid e altri) (Ver­lag Neue Kri­tik, Frank­furt, 1978).
Il secon­do è Zwei Kul­tu­ren? Tunix, Mesco­le­ro und die Fol­gen (Ver­lag Aesthe­tik und Kom­mu­ni­ka­tion, Ber­lin, 1978), in cui alla tra­du­zio­ne dei sag­gi di Asor Rosa e Umber­to Eco sul­le “due socie­tà”, si accom­pa­gna­no inter­ven­ti di mili­tan­ti tede­schi fra i qua­li risul­ta­no quel­li di Johan­nes Agno­li e anco­ra di Tho­mas Sch­mid.
In entram­bi i volu­met­ti il pro­ble­ma è quel­lo posto più sopra, natu­ral­men­te con­fron­ta­to alla vicen­da nel movi­men­to tede­sco. Brüc­k­ner va subi­to al cen­tro del dibat­ti­to iden­ti­fi­can­do imme­dia­ta­men­te il con­cet­to di auto­no­mia all’in­ter­no del­la modi­fi­ca­zio­ne del­la com­po­si­zio­ne di clas­se e alla sua qua­li­fi­ca­zio­ne in ter­mi­ni di spe­ci­fi­ci inte­res­si rivo­lu­zio­na­ri.
Nel­l’o­mo­ge­neiz­za­zio­ne socio-cul­tu­ra­le del pro­le­ta­ria­to (pro­dot­to e ter­mi­ne del­la socia­liz­za­zio­ne capi­ta­li­sti­ca) si radi­ca­no alter­na­ti­ve che han­no in pri­mo luo­go, dal pun­to di vista ideo­lo­gi­co, il comu­ni­smo come con­te­nu­to – men­tre la for­ma del­la espres­sio­ne con­si­ste nel­la cri­ti­ca del­la figu­ra tra­di­zio­na­le del­l’or­ga­niz­za­zio­ne pro­dut­ti­va e del­le sue super­fe­ta­zio­ni poli­ti­che (il par­ti­to in pri­mo luo­go); in secon­do luo­go, sto­ri­ca­men­te, que­sti movi­men­ti alter­na­ti­vi arti­co­la­no la resi­sten­za all’in­te­gra­zio­ne con l’i­den­ti­fi­ca­zio­ne e lo svi­lup­po di for­me di indi­pen­den­za cul­tu­ra­le e di con­tro­po­te­re poli­ti­co.
Nul­la da aggiun­ge­re a que­sta pri­ma defi­ni­zio­ne. Anche Johan­nes Agno­li, su un pia­no descrit­ti­vo e con l’oc­chio rivol­to all’I­ta­lia, la con­fer­ma con esem­pi ed argo­men­ta­zio­ni pole­mi­che (fra que­ste, mol­to diver­ten­te, un richia­mo ad un arti­co­lo di cer­to Pic­ci­ril­lo in La civil­tà cat­to­li­ca, n. 19, 1868, serie VII, voi. 2, pp. 384 sgg., dove, a fron­te del pri­mo gran­de scio­pe­ro di Bolo­gna – 1868 appun­to – l’au­to­re­vo­le orga­no gesui­ta teo­riz­za le “due socie­tà” esat­ta­men­te come fat­to da Asor). (Per altro ver­so, per quan­to riguar­da la bor­ghe­sia fran­ce­se e la teo­ria del­le “due socie­tà” vedi la docu­men­ta­zio­ne e l’in­di­ca­zio­ne del con­ti­nuo riap­pa­ri­re, nel­la sua sto­ria, di que­sto spor­co ritor­nel­lo: Jean Paul de Gau­de­mar, La Mobi­li­sa­tion Gene­ral, Rap­port final de Récher­che, effec­tuée pour la Mis­sion de la Recher­che Urbai­ne, Facul­té de Scien­ces Eco­no­mi­que, CERS, Uni­ver­si­té d’Aix-Mar­seil­le II, giu­gno 1978, dove appun­to la teo­ria del­le due socie­tà è vista come con­tral­ta­re ideo­lo­gi­co del­le diver­se for­me di mobi­li­tà del lavo­ro impo­ste dal­l’ac­cu­mu­la­zio­ne capi­ta­li­sti­ca). È chia­ro tut­ta­via che il pro­ble­ma non è quel­lo del­l’i­den­ti­fi­ca­zio­ne socio­lo­gi­ca e/​o eco­no­mi­ca del­la fun­zio­ne del­la teo­ria del­le “due socie­tà”. Se il Capi­ta­le è un rap­por­to, nien­te di più faci­le che il ceto capi­ta­li­sta lo sen­ta come rap­por­to scis­so; se il capi­ta­le è un rap­por­to pro­por­zio­na­to in con­ti­nua ristrut­tu­ra­zio­ne, il ceto capi­ta­li­sta dove con­ti­nua­men­te for­gia­re la pro­por­zio­ne del rap­por­to attra­ver­so sus­sun­zio­ni e/​o esclu­sio­ni. La cul­tu­ra, come le sal­me­rie, segui­rà. Pro­ble­ma non sono dun­que le due cul­tu­re, la loro even­tua­le esi­sten­za e la loro vicen­da lun­ga o eva­ne­scen­te: il pro­ble­ma che nasce è solo quel­lo del­l’e­ge­mo­nia, meglio – fuo­ri dal­le fumi­ste­rie del con­cet­to “ege­mo­nia” – quel­lo del coman­do.
Chi coman­da chi?
Le cul­tu­re, in gene­ra­le, sono sem­pre sta­te degli uten­si­li del­la clas­se domi­nan­te.
Pos­so­no dive­ni­re una for­za del­la clas­se pro­le­ta­ria?
L’a­na­li­si socio­lo­gi­ca divie­ne solo a que­sto pun­to inte­res­san­te, quan­do cioè sco­pre la poten­zia­li­tà del coman­do svi­lup­par­si, attra­ver­so e con­tro lo svi­lup­po capi­ta­li­sti­co, dal­la par­te del­la clas­se ope­ra­ia e pro­le­ta­ria.
Le varian­ti, in pro­po­si­to, pos­so­no esse­re mol­te.
Negli scrit­ti di Tho­mas Sch­mid, ad esem­pio, com­pre­si in que­sti due volu­met­ti, la situa­zio­ne del­l’au­to­no­mia tede­sca è ripre­sa in esa­me con mol­to rea­li­smo: il para­dos­so qui rive­la­to è quel­lo di una effet­ti­va auto­no­miz­za­zio­ne del­la vita pro­le­ta­ria che è tut­ta­via domi­na­ta da un con­ti­nuo fuo­co di sbar­ra­men­to del capi­ta­le, non tan­to – quin­di ridot­ta ad esse­re fun­zio­ne di que­sto (che la sua con­si­sten­za non lo per­met­te già più) quan­to gio­ca­ta come ele­men­to pura­men­te cul­tu­ra­le, spin­ta ver­so la palu­de, ver­so la gran­de zup­pa dei mass media e del­le mode.
Il più indi­scri­mi­na­to “plu­ra­li­smo” – tra fumo e liber­tà indi­vi­dua­le – domi­na il qua­dro viep­più inte­rio­riz­za­to del movi­men­to.
Omo­lo­ghe sono la pres­sio­ne capi­ta­li­sti­ca e la coscien­za di par­te del movi­men­to. Castra­to.
L’in­ter­ven­to di Dany Cohn-Ben­dit, con tut­ta la sua pre­gnan­za rap­pre­sen­ta­ti­va del movi­men­to e con tut­ta l’am­bi­gui­tà ivi regi­stra­ta, con­fer­ma la pesan­tez­za del­l’at­tac­co di Tho­mas Sch­mid: si direb­be che Dany com­men­ti a sua insa­pu­ta la disin­can­ta­ta con­sta­ta­zio­ne mar­xia­na: ad un cer­to livel­lo del­lo svi­lup­po capi­ta­li­sti­co “la pro­sti­tu­zio­ne gene­ra­le si pre­sen­ta come una fase neces­sa­ria del carat­te­re socia­le del­le dispo­si­zio­ni, capa­ci­tà, abi­li­tà e atti­vi­tà per­so­na­li”, – tan­to più per il pro­le­ta­ria­to! Tra­ia­mo qui di pas­sag­gio due con­clu­sio­ni prov­vi­so­rie.
Pri­mo (socio­lo­gi­ca­men­te): il pro­ble­ma del­le due cul­tu­re è sem­pli­ce­men­te un indi­ce del­lo svol­ger­si dei rap­por­ti del­le due clas­si ver­so una cri­si defi­ni­ti­va. Da que­sto pun­to di vista è pura­men­te acci­den­ta­le il fat­to che si par­li di due cul­tu­re: baste­reb­be solo par­la­re di cri­si del­l’at­tua­le for­ma di civi­liz­za­zio­ne capi­ta­li­sti­ca.
Secon­do (poli­ti­ca­men­te): il pro­ble­ma del­le due cul­tu­re, il suo stes­so insor­ge­re, indi­ca­no una ten­den­za vin­cen­te del movi­men­to pro­le­ta­rio, con­tro il capi­ta­le. Non si sareb­be mai ricor­si alla imma­gi­ne del­le due cul­tu­re, da chi ne pos­sie­de una che è sem­pre sta­ta ege­mo­ne, se la for­za pro­le­ta­ria non fos­se emer­sa con tale indi­pen­den­te viva­ci­tà.
Natu­ral­men­te l’e­si­to del­lo scon­tro è inde­ci­so. Val tut­ta­via la pena di con­si­de­ra­re a que­sto pun­to l’al­ter­na­ti­va “auto­no­mia o ghet­to” come un’al­ter­na­ti­va com­ple­ta­men­te astrat­ta se posta in ter­mi­ni socio­lo­gi­ci o cul­tu­ra­li, vali­da tut­ta­via se la si pone in ter­mi­ni poli­ti­ci. Due ulte­rio­ri que­stio­ni, su lati, per così dire, oppo­sti.
Pri­mo.
Signi­fi­ca, que­sto nostro insi­ste­re sul con­cet­to poli­ti­co di cul­tu­ra pro­le­ta­ria, che si nega auto­no­mia e valo­re alle espres­sio­ni spe­ci­fi­ca­men­te cul­tu­ra­li del movi­men­to pro­le­ta­rio?
Secon­do.
Signi­fi­ca, que­sto nostro sot­to­li­nea­re la con­si­sten­za mate­ria­le del­la con­tro­cul­tu­ra di clas­se, for­se sot­to­va­lu­ta­re i momen­ti di riflus­so, di vera e pro­pria ghet­tiz­za­zio­ne subi­ti talo­ra dal movi­men­to?
Quan­to al pri­mo inter­ro­ga­ti­vo mi sem­bra che biso­gna rispon­de­re con mol­to equi­li­brio. Insi­ste­re sul­la natu­ra e qua­li­tà poli­ti­che del­la cul­tu­ra pro­le­ta­ria non signi­fi­ca negar­ne il valo­re intrin­se­co e spe­ci­fi­co ma solo defi­nir­lo come con­te­nu­to di lot­ta.
Il far­si del­la clas­se ope­ra­ia, il suo auto­no­mo making sono deter­mi­na­ti da un rap­por­to di for­ze sem­pre più inten­so quan­to più lo svi­lup­po capi­ta­li­sti­co pro­ce­de. Talu­ni, che pur si muo­vo­no mol­to bene su que­sto ter­re­no (vedi per esem­pio l’in­ter­ven­to di Vit­to­rio Dini sul­la sto­rio­gra­fia di clas­se nel n. 14 di Cri­ti­ca del Dirit­to) accu­sa­no una tale defi­ni­zio­ne di strut­tu­ra­li­smo.
Il rap­por­to di for­za, intrin­se­co alla defi­ni­zio­ne, neghe­reb­be l’au­ten­ti­ci­tà del­l’e­spres­sio­ne con­tro­cul­tu­ra­le di movi­men­to.
L’u­so di defi­ni­zio­ni poli­ti­che (dia­let­ti­che, strut­tu­ra­li) deter­mi­ne­reb­be effet­ti di rigi­di­tà tali da bloc­ca­re ogni for­ma di genui­na ori­gi­na­le espres­sio­ne cul­tu­ra­le del movi­men­to, da rele­ga­re in posi­zio­ne subor­di­na­ta al capi­ta­le il far­si del movi­men­to.
Non cre­do che di ciò si trat­ti.
Per due ragio­ni.
Innan­zi­tut­to, una di carat­te­re sto­ri­co: la dipen­den­za strut­tu­ra­le del movi­men­to di clas­se dal movi­men­to capi­ta­li­sti­co è ten­den­zial­men­te in via di esau­ri­men­to. Ciò è il cor­ri­spet­ti­vo del­la cri­si del­la leg­ge del valo­re. Ma il fat­to che la valo­riz­za­zio­ne capi­ta­li­sti­ca ven­ga meno come ele­men­to di qua­li­fi­ca­zio­ne del pro­ces­so non distrug­ge di per sé il coman­do di capi­ta­le e le rela­zio­ni da que­sto impo­ste.
Una secon­da ragio­ne, di carat­te­re teo­ri­co, segna­la il momen­to del libe­rar­si indi­pen­den­te del­la cul­tu­ra pro­le­ta­ria come distru­zio­ne del­l’av­ver­sa­rio: e la distru­zio­ne è un fat­to di liber­tà.
Nes­su­na teo­ria e nes­su­na filo­so­fia – se non la bece­ra sag­gez­za rea­zio­na­ria – riu­sci­ran­no mai a dimo­stra­re l’o­mo­lo­ga­bi­li­tà del gesto distrut­to­re e del­l’og­get­to distrut­to. (L’as­sun­zio­ne di que­sta omo­lo­gia rap­pre­sen­ta il con­te­nu­to fasci­sta del­le teo­rie del­la “dis­si­den­za” e del­la “nuo­va filo­so­fia”: è comun­que evi­den­te che né le une né l’al­tra pos­so­no esse­re esclu­si­va­men­te ridot­te a ciò).
Lo strut­tu­ra­li­smo stes­so può real­men­te esse­re distrut­to solo da un atto di distru­zio­ne del­l’av­ver­sa­rio: altri­men­ti la strut­tu­ra resta, non è un vizio teo­ri­co o un’or­mai inu­ti­le machi­ne à pen­ser, è un fat­to. Ma c’e­ra un altro inter­ro­ga­ti­vo.
Ci si chie­de­va se in tal modo non si sot­to­va­lu­ta­va­no gli effet­ti di ghet­tiz­za­zio­ne, in ter­mi­ni per­ver­si e inde­cen­ti.
Ora, non val cer­to la pena di sot­to­va­lu­ta­re gli effet­ti di ghet­tiz­za­zio­ne che la auto­no­ma cul­tu­ra pro­le­ta­ria può subi­re.
Pos­se­dia­mo una for­mi­da­bi­le docu­men­ta­zio­ne del­le sub­cul­tu­re, del­la loro for­za, del­la loro feli­ci­tà, nul­la può negar­lo: ma è anche vero che le sub­cul­tu­re appa­ri­va­no tan­to più for­ti quan­to più le clas­si era­no pro­fon­da­men­te divi­se. (In pro­po­si­to vedi il for­mi­da­bi­le libro M. Bakh­tin “L’oeu­vre de Fra­nçois Rabe­lais et la cul­tu­re popu­lai­re au Moyen Age et sous la Renais­san­ce, Gal­li­mard, 1970).
Dun­que, pur data la loro ric­chez­za e viva­ci­tà, pure sub­cul­tu­re resta­va­no. Sia­mo in una fase ana­lo­ga?
Oppu­re addi­rit­tu­ra in una fase di radi­ca­le immi­se­ri­men­to e di cre­scen­te vol­ga­ri­tà?
Le pre­oc­cu­pa­zio­ni dei com­pa­gni tede­schi, testi­mo­ni di uno svi­lup­po ter­ro­ri­sti­co del­lo Sta­to e di un ripie­ga­men­to inti­mi­sti­co del movi­men­to (ma solo in Ger­ma­nia di ciò si trat­ta?
E la sub­cul­tu­ra di Lot­ta Con­ti­nua for­ma­to Dea­glio-Boa­to dove la met­tia­mo?
E la sifi­li­de da “nuo­va filo­so­fia” ed il disfat­ti­smo di Libe­ra­tion?
E il pro­get­to, sem­pre su que­sto ter­re­no pato­lo­gi­co e con que­sti viziet­ti, del nuo­vo Tageszei­tung tede­sco?) – le testi­mo­nian­ze dun­que di alcu­ni com­pa­gni tede­schi por­ta­no su que­sto. Tunix – il radu­no del­l’au­to­no­mia ber­li­ne­se e tede­sca del­la scor­sa pri­ma­ve­ra è sta­to un ghet­to bor­del­la­to ed infa­me.
Come rom­per­lo? For­se è pos­si­bi­le.
Non dal di fuo­ri del ghet­to, non con pre­di­che e rim­brot­ti.
Al con­tra­rio.
Ricon­qui­stan­do il ghet­to non come rifu­gio di fru­stra­zio­ni (bor­ghe­si?) ma come sede col­let­ti­va di biso­gni e desi­de­ri pro­le­ta­ri alter­na­ti­vi. Come momen­to di lot­ta e di auto­va­lo­riz­za­zio­ne.
I moven­ti pro­fon­di del­la con­tro­cul­tu­ra van­no ripre­si e cri­ti­ca­ti pra­ti­ca­men­te.
I pro­le­ta­ri ame­ri­ca­ni inse­gna­no: è solo la dif­fu­sio­ne mas­si­fi­ca­ta dei nuo­vi biso­gni, il loro ade­ri­re alla vita quo­ti­dia­na, il loro strap­par­si all’i­so­la­men­to del­la sem­pli­ce espres­sio­ne ideo­lo­gi­ca, che resti­tui­sce la poli­ti­ca al movi­men­to.
Non l’i­deo­lo­gia ma la quo­ti­dia­ni­tà e la lot­ta tol­go­no l’au­to­no­mia dal ghet­to e la secon­da cul­tu­ra dal­la subal­ter­ni­tà.
È la mul­ti­la­te­ra­li­tà del­l’e­spe­rien­za pro­le­ta­ria a con­dur­re il pro­le­ta­ria­to all’in­di­pen­den­za poli­ti­ca. È la distru­zio­ne del­l’av­ver­sa­rio, la quo­ti­dia­ni­tà del­l’o­dio di clas­se e del­la lot­ta, a costi­tui­re la cul­tu­ra in for­za di liberazione.