Filtra per Categoria
Autonomia Bolognese
Autonomie del Meridione
Fondo DeriveApprodi
Collettivi Politici Veneti
Autonomia Toscana
Blog

Magazzino

Da «Magaz­zi­no», n. 1, gen­na­io 1979

A cura del­la reda­zio­ne di «Qua­der­ni del Territorio»

Nel Luglio scor­so si è tenu­to a Mila­no, a cura del­la reda­zio­ne dei «Qua­der­ni del ter­ri­to­rio» un semi­na­rio su “inchie­sta ope­ra­ia e com­po­si­zio­ne di clas­se”.
Obiet­ti­vo del semi­na­rio è sta­to il coor­di­na­men­to del­le inchie­ste e del­le ricer­che in cor­so (sul­l’or­ga­niz­za­zio­ne del lavo­ro nel­la fab­bri­ca dif­fu­sa, sul­la com­po­si­zio­ne socia­le e lavo­ra­ti­va degli stu­den­ti, sul­la pro­pen­sio­ne al lavo­ro dei gio­va­ni, sul­la rior­ga­niz­za­zio­ne del lavo­ro nei ser­vi­zi e nel pub­bli­co impie­go, sui cen­tri socia­li e le for­me asso­cia­ti­ve metro­po­li­ta­ne, sul mer­ca­to del lavo­ro fem­mi­ni­le, ecc.), in pre­pa­ra­zio­ne di un con­ve­gno che discu­ta i pri­mi risul­ta­ti e appro­fon­di­sca il dibat­ti­to teo­ri­co sul­la com­po­si­zio­ne di clas­se. Rias­su­mia­mo qui in modo sche­ma­ti­co le acqui­si­zio­ni del dibat­ti­to e i pro­ble­mi aper­ti a par­ti­re dal­le ana­li­si svi­lup­pa­te nel nume­ro 4/​5 dei QdT.
A) Il siste­ma post-tay­lo­ri­sti­co di pro­du­zio­ne, che inve­ste la rior­ga­niz­za­zio­ne capi­ta­li­sti­ca del­le aree di coman­do del capi­ta­le, distrug­ge le tra­di­zio­na­li fun­zio­ni di con­trol­lo del “mac­chi­na­rio” sul­la for­za lavo­ro, esem­pli­fi­ca­te dall’ ”intel­li­gen­za” del­la cate­na di mon­tag­gio appli­ca­ta al con­trol­lo di fra­zio­ni mole­co­la­ri e scom­po­ste di lavo­ro astrat­to. Il siste­ma post-tay­lo­ri­sti­co si fon­da a par­ti­re da una pro­fon­da muta­zio­ne di ruo­lo, nel­la divi­sio­ne inter­na­zio­na­le del lavo­ro, del­le aree metro­po­li­ta­ne, sem­pre più con­no­ta­te come “fab­bri­che del coman­do sul­la pro­du­zio­ne mon­dia­le”, carat­te­ri­sti­che dal­la pro­du­zio­ne di ser­vi­zi all’im­pre­sa, di fun­zio­ni di con­trol­lo e pro­gram­ma­zio­ne di cicli pro­dut­ti­vi com­ples­si e dif­fu­si, di fun­zio­ni con­nes­se alla razio­na­liz­za­zio­ne dei pro­ces­si di cir­co­la­zio­ne, alla pro­du­zio­ne di ser­vi­zi-mer­ce come stru­men­ti di con­trol­lo sui fat­to­ri ripro­dut­ti­vi del­la for­za lavo­ro; nel con­te­sto di un gigan­te­sco tra­sfe­ri­men­to di inve­sti­men­ti per la pro­du­zio­ne di mer­ci (e con­se­guen­te crea­zio­ne di clas­se ope­ra­ia) nel­la peri­fe­ria. I “figli” del­l’o­pe­ra­io-mas­sa sono dun­que, da una par­te gli ope­rai in for­ma­zio­ne del­le fab­bri­che dei pae­si emer­gen­ti e di alcu­ne aree del sot­to­svi­lup­po, dal­l’al­tra l’e­nor­me mas­sa di pro­le­ta­ria­to urba­no sco­la­riz­za­to (e, comun­que, di pro­ve­nien­za “urba­na”) pre­sen­te come resi­duo vivo, agen­te, del rifiu­to del lavo­ro astrat­to del­la gran­de fab­bri­ca tay­lo­ri­sti­ca. Nel­le aree metro­po­li­ta­ne è que­sto “mer­ca­to del lavo­ro” la quo­ta di pro­le­ta­ria­to “cen­tra­le” nel­la ride­fi­ni­zio­ne del­la com­po­si­zio­ne di clas­se; sia per il capi­ta­le, in quan­to è sui com­por­ta­men­ti socia­li di que­sta sezio­ne di for­za lavo­ro che ten­de a model­lar­si la for­ma del ciclo pro­dut­ti­vo post-tay­lo­ri­sti­co attra­ver­so la riap­pro­pria­zio­ne di nuo­ve qua­li­tà coo­pe­ra­ti­ve e del­l’in­tel­li­gen­za tec­ni­ca in rap­por­to alle nuo­ve fun­zio­ni “pro­dut­ti­ve”; sia per lo scon­tro di clas­se in quan­to è que­sta “sezio­ne di pro­le­ta­ria­to” a gui­da­re i movi­men­ti anta­go­ni­sti­ci alla rior­ga­niz­za­zio­ne del siste­ma di pro­du­zio­ne e ripro­du­zio­ne socia­le del capi­ta­le. In que­sto qua­dro l’a­na­li­si del­la “fab­bri­ca dif­fu­sa” non può esse­re ricon­dot­ta all’a­na­li­si del decen­tra­men­to pro­dut­ti­vo (sem­mai assu­mi­bi­le per stu­dia­re i pro­ces­si di divi­sio­ne del lavo­ro su sca­la inter­na­zio­na­le), ma è ana­li­si di un diver­so modo di orga­niz­za­zio­ne del coman­do sul lavo­ro vivo, in rap­por­to sia alla muta­zio­ne di fun­zio­ni del­le “aree cen­tra­li”, sia in rap­por­to alla muta­zio­ne del­la com­po­si­zio­ne di clas­se nel­le stes­se aree.
B) Dun­que, muta­zio­ne del­la for­ma, del pro­ces­so di valo­riz­za­zio­ne del capi­ta­le e muta­zio­ne del­le mer­ci pro­dot­te, costi­tui­sco­no due momen­ti inscin­di­bi­li del­l’a­na­li­si del pro­ces­so di ristrut­tu­ra­zio­ne; solo a par­ti­re da que­sta inscin­di­bi­li­tà è pos­si­bi­le affron­ta­re un dibat­ti­to non astrat­to sul pro­ble­ma del­la “cen­tra­li­tà ope­ra­ia”.
L’i­po­sta­tiz­za­zio­ne, nel­l’a­na­li­si sul­la com­po­si­zio­ne di clas­se, del­la cen­tra­li­tà poli­ti­ca degli ope­rai del­le gran­di fab­bri­che si pre­sen­ta come for­za­tu­ra ideo­lo­gi­ca e “nor­ma­ti­va”, non tan­to per­ché que­sta sezio­ne di clas­se non ha rap­pre­sen­ta­to in que­sta fase l’e­le­men­to trai­nan­te, ege­mo­ni­co dei com­por­ta­men­ti anta­go­ni­sti­ci, ma soprat­tut­to in quan­to è sta­ta mina­ta dal capi­ta­le la fun­zio­ne di “cuo­re del­la pro­du­zio­ne mon­dia­le di mer­ci” che la gran­de fab­bri­ca metro­po­li­ta­na ave­va nel ciclo di accu­mu­la­zio­ne che si è chiu­so negli anni ’60, ridu­cen­do­ne dra­sti­ca­men­te il peso rela­ti­vo rispet­to alla “gran­de fab­bri­ca di pro­du­zio­ne di coman­do” che, come abbia­mo det­to, pro­du­ce “altre” mer­ci in “for­ma” diver­sa. Oggi sem­mai, l’in­te­res­se del­l’in­chie­sta sul­la gran­de fab­bri­ca, “resi­dua­ta” nel­le aree metro­po­li­ta­ne dal pro­ces­so di ristrut­tu­ra­zio­ne sovra­na­zio­na­le, con­si­ste nel veri­fi­ca­re in che misu­ra, sul pia­no pro­dut­ti­vo e poli­ti­co, la “gene­ra­zio­ne ope­ra­ia” degli anni ’60 è par­te­ci­pe, è con­ta­gia­ta dai modi di pro­du­zio­ne e ripro­du­zio­ne, dai biso­gni emer­gen­ti, dai com­por­ta­men­ti col­let­ti­vi che inve­sto­no la “gene­ra­zio­ne ope­ra­ia” degli anni ’70 nel­la fab­bri­ca dif­fu­sa.
Si trat­ta in sostan­za di un per­cor­so inver­so a quel­lo che ha carat­te­riz­za­to la costru­zio­ne del­l’e­ge­mo­nia ope­ra­ia, alla fine degli anni ’60, dai gran­di poli di clas­se ver­so l’in­te­ro siste­ma del lavo­ro sala­ria­to; in quan­to pro­ce­de dal­le emer­gen­ze poli­ti­che che si svi­lup­pa­no nel cuo­re del­la pro­du­zio­ne socia­le e inve­ste spe­ci­fi­ci “seg­men­ti” del­la pro­du­zio­ne a par­ti­re dai con­no­ta­ti nuo­vi del­la com­po­si­zio­ne di clas­se e di capi­ta­le.
C) La “fab­bri­ca dif­fu­sa” distrug­ge la figu­ra del­l’o­pe­ra­io “pro­fes­sio­ni­sta” (uni­co lavo­ro, ripro­du­zio­ne e con­su­mi rego­la­ti dal­la disci­pli­na del siste­ma di fab­bri­ca), nel ten­ta­ti­vo di model­la­re la pro­du­zio­ne di mer­ci ser­vi­zio e di fun­zio­ni-coman­do sul­la nuo­va com­po­si­zio­ne tec­ni­ca e poli­ti­ca del mer­ca­to del lavo­ro metro­po­li­ta­no.
Gli aspet­ti feno­me­ni­ci di que­sta modi­fi­ca­zio­ne strut­tu­ra­le dei rap­por­ti di pro­du­zio­ne sono noti: riu­ti­liz­zo mas­sic­cio del lavo­ro auto­no­mo, di nuo­ve for­me di coo­pe­ra­zio­ne, del part-time, del dop­pio e tri­plo lavo­ro, del lavo­ro a ter­mi­ne, del lavo­ro nero e clan­de­sti­no; mobi­li­tà oriz­zon­ta­le del­la for­za lavo­ro, alter­nan­za, nel­l’u­so del­le stes­se figu­re socia­li di pro­dut­to­ri, di lavo­ro manua­le e intel­let­tua­le; pro­fon­do sal­to tec­no­lo­gi­co in atto nel­l’or­ga­niz­za­zio­ne del coman­do sul lavo­ro e nel con­trol­lo del­la pro­du­zio­ne (rivo­lu­zio­ne infor­ma­ti­ca) a par­ti­re dal­l’e­si­gen­za di gover­na­re cicli di pro­du­zio­ne dif­fu­si (cir­co­la­zio­ne del­le mer­ci, stoc­cag­gio, distri­bu­zio­ne, ecc.) e le for­me più sva­ria­te di rap­por­to lavo­ra­ti­vo, rispet­to a cui il lavo­ro sala­ria­to e con­trat­tua­liz­za­to non costi­tui­sce più l’e­sclu­si­vo momen­to defi­ni­to­rio dei rap­por­ti socia­li di pro­du­zio­ne (né è più misu­ra del­la distri­bu­zio­ne del red­di­to fra le clas­si). Le inchie­ste, le ricer­che, le stes­se ana­li­si poli­ti­che con­dot­te all’in­ter­no del movi­men­to han­no evi­den­zia­to, rispet­to a que­sta evo­lu­zio­ne del­la for­ma dei rap­por­ti di pro­du­zio­ne, nuo­ve e più pro­fon­de con­trad­di­zio­ni, in una fase di non dispie­ga­ta ricom­po­si­zio­ne di clas­se: – da una par­te sul­la “esplo­sio­ne” del tes­su­to pro­dut­ti­vo e sul­la modi­fi­ca­zio­ne dei rap­por­ti di pro­du­zio­ne si sono inne­sta­ti pro­ces­si di auto­re­go­la­zio­ne del­la gior­na­ta lavo­ra­ti­va e del tem­po di lavo­ro, di for­ma­zio­ne del red­di­to in for­me com­ples­se ed auto­re­go­la­te, di riap­pro­pria­zio­ne del tem­po di non lavo­ro come emer­gen­za di valo­ri asso­cia­ti­vi, di rap­por­ti socia­li non mer­ci­fi­ca­ti, e di nuo­vi biso­gni; vale a dire di pro­ces­si di auto­va­lo­riz­za­zio­ne che han­no reso inef­fi­cien­te la rego­la­zio­ne del­la gior­na­ta lavo­ra­ti­va e dei pro­ces­si ripro­dut­ti­vi a par­ti­re dal­la disci­pli­na di fab­bri­ca e dal­le sue pro­ie­zio­ni sta­tua­li; – dal­l’al­tra si è veri­fi­ca­ta, alme­no nel­la fase di attac­co alla com­po­si­zio­ne di clas­se pre­ce­den­te e di tra­sfor­ma­zio­ne del tes­su­to pro­dut­ti­vo, la per­di­ta del ter­re­no del­la con­trat­ta­zio­ne col­let­ti­va del­le con­di­zio­ni di ero­ga­zio­ne del lavo­ro (sala­rio e ora­rio), la per­di­ta di cono-scien­za (coscien­za) dei modi e del­le for­me di appro­pria­zio­ne del plu­sva­lo­re e di orga­niz­za­zio­ne del con­trol­lo tra­mi­te mac­chi­na­rio infor­ma­ti­co; l’au­men­to del­la gior­na­ta lavo­ra­ti­va socia­le, la disper­sio­ne e il “decen­tra­men­to” del­le diver­se sezio­ni di movi­men­to e del­le loro con­tro­par­ti.
D) A fron­te di que­sti pro­ces­si e di que­ste con­trad­di­zio­ni l’in­chie­sta (la cui uti­li­tà è data pro­prio dal fat­to di tro­var­ci in una fase in cui non si dan­no in for­ma espli­ci­ta pro­ces­si di ricom­po­si­zio­ne di clas­se) dovreb­be sostan­zial­men­te misu­rar­si su tre ordi­ni di pro­ble­mi: 1) come si orga­niz­za­no i rap­por­ti di pro­du­zio­ne nel siste­ma postay­lo­ri­sti­co? Le ana­li­si fino ad ora con­dot­te sul­la “fab­bri­ca dif­fu­sa” ne han­no sostan­zial­men­te evi­den­zia­to la feno­me­no­lo­gia; si trat­ta di con­dur­re ana­li­si più siste­ma­ti­che sul­l’or­ga­niz­za­zio­ne del lavo­ro, sul siste­ma del mac­chi­na­rio, sui pro­ces­si di valo­riz­za­zio­ne e di cir­co­la­zio­ne del capi­ta­le, ricon­du­cen­do all’u­ni­tà rea­le dei pro­ces­si di deci­sio­ne e di coman­do una strut­tu­ra di pro­du­zio­ne e di ripro­du­zio­ne alta­men­te com­ples­sa, appa­ren­te­men­te disgre­ga­ta, disper­sa e in par­te occul­ta. 2) come si ride­fi­ni­sce oggi il con­cet­to di cen­tra­li­tà ope­ra­ia? C’è un modo sbri­ga­ti­vo quan­to misti­fi­can­te di rife­rir­si alla cate­go­rie di “ope­rai, impie­ga­ti, tec­ni­ci; occu­pa­ti, disoc­cu­pa­ti, mar­gi­na­li,” ecc. e rispet­to a que­ste cate­go­rie “cer­te” inter­pre­ta­re i movi­men­ti del­l’in­te­ro siste­ma del­la for­za lavo­ro.
È un modo che con­fi­gu­ra oggi, a fron­te del­le tra­sfor­ma­zio­ni pro­fon­de che han­no inve­sti­to l’or­ga­niz­za­zio­ne socia­le del­la pro­du­zio­ne una let­tu­ra inte­ra­men­te ideo­lo­gi­ca del­la “cen­tra­li­tà ope­ra­ia” (veda­si ad esem­pio l’u­so, da par­te del PCI del con­cet­to di cen­tra­li­tà ope­ra­ia per moti­va­re un’in­ve­sti­tu­ra del­l’or­ga­niz­za­zio­ne ope­ra­ia come agen­te di nor­ma­liz­za­zio­ne e con­trol­lo sul­la “secon­da socie­tà”).
C’è dun­que un modo più com­ples­so, che tie­ne con­to del­la tra­sfor­ma­zio­ne del ruo­lo del­le diver­se sezio­ni di for­za lavo­ro nel pro­ces­so com­ples­si­vo di valo­riz­za­zio­ne del capi­ta­le. 3) qua­li ele­men­ti di pro­gram­ma sono leg­gi­bi­li nei com­por­ta­men­ti auto­no­mi di clas­se? È indub­bio che l’in­ter­pre­ta­zio­ne dei com­por­ta­men­ti col­let­ti­vi rife­ri­ti ai carat­te­ri nuo­vi del­la com­po­si­zio­ne di clas­se nel­le aree metro­po­li­ta­ne, se non vuo­le esse­re pura ripe­ti­zio­ne di ciò che già i sin­go­li movi­men­ti cono­sco­no di sé, deve assu­me­re come obiet­ti­vo gene­ra­le la veri­fi­ca di quan­to e come i pro­ces­si di auto­va­lo­riz­za­zio­ne pro­le­ta­ria si pon­go­no come embrio­ni fon­da­ti­vi di un siste­ma socia­le anta­go­ni­sti­co (in alter­na­ti­va al “far­si Sta­to”); discor­so che in alcu­ne sezio­ni di movi­men­to rischia il sog­get­ti­vi­smo più sfre­na­to se non si “ànco­ra” l’in­chie­sta ai rap­por­ti con­trad­di­to­ri fra com­por­ta­men­ti auto­no­mi, espres­sio­ni laten­ti o orga­niz­za­te di valo­ri d’u­so, emer­gen­ti dal­la rot­tu­ra del­la “gior­na­ta lavo­ra­ti­va di fab­bri­ca”, e modi e for­me di sus­sun­zio­ne del­la poten­zia­li­tà pro­dut­ti­va di tali com­por­ta­men­ti nei rap­por­ti socia­li di pro­du­zio­ne.
Risul­te­reb­be infat­ti erra­to par­la­re di “movi­men­to del valo­re d’u­so”, di auto­no­miz­za­zio­ne pro­le­ta­ria nel­l’u­so sel­vag­gio del red­di­to, se tut­to ciò fos­se “capi­ta­li­sti­ca­men­te” ricon­du­ci­bi­le al tem­po di non lavo­ro anche se dila­ta­to ed auto­ge­sti­to, al tem­po di con­su­mo anche se orga­niz­za­to col­let­ti­va­men­te.
La “rivol­ta dei con­su­ma­to­ri” non ha mai por­ta­to lon­ta­no, se i biso­gni espres­si nel tem­po di non lavo­ro non allu­do­no, non costi­tui­sco­no in embrio­ne una poten­zia­li­tà posi­ti­va, pro­get­tua­le di rot­tu­ra dei rap­por­ti di pro­du­zio­ne, non indi­ca­no “come” pro­dur­re, insie­me a “cosa” pro­dur­re.
E) Su que­sto ter­re­no il discor­so è anco­ra mol­to indie­tro. La varie­tà e la con­trad­dit­to­rie­tà di espe­rien­ze di movi­men­ti ren­de com­ples­sa (e anche scor­ret­ta) la “reduc­tio ad unum” del­la ana­li­si sul­la com­po­si­zio­ne di clas­se.
Non si dà, nel­la fase attua­le, una “sche­da d’in­chie­sta” uni­fi­can­te, ma la neces­si­tà di pro­ce­de­re anco­ra per spe­ci­fi­ci­tà, comin­cian­do a tes­se­re gli intrec­ci e le rela­zio­ni pos­si­bi­li, nel­la fab­bri­ca socia­le, del­le diver­se sezio­ni di movi­men­to. Così, non si può non pro­ce­de­re anco­ra in modo ana­li­ti­co a par­ti­re da una roz­za arti­co­la­zio­ne di pro­ble­mi d’in­chie­sta con­nes­si a diver­se “sezio­ni” di com­por­ta­men­to poli­ti­co di clas­se. Per esem­pio: – for­me di resi­sten­za alla ristrut­tu­ra­zio­ne, alla ridu­zio­ne del costo del lavo­ro; lot­te sul­la ridu­zio­ne del­l’o­ra­rio; for­me che inve­sto­no soprat­tut­to il dibat­ti­to sul­le gran­di fab­bri­che a par­ti­re dai fer­men­ti orga­niz­za­ti­vi auto­no­mi in atto e rispet­to a cui l’in­chie­sta dovreb­be soprat­tut­to incen­trar­si sul­l’a­na­li­si dei com­por­ta­men­ti ope­rai in quan­to “sezio­ne del­la fab­bri­ca dif­fu­sa” evi­den­zian­do sia gli intrec­ci ogget­ti­vi (for­ma­zio­ne com­ples­sa del red­di­to, dop­pio lavo­ro, part-time, mobi­li­tà e poli­va­len­za nel lavo­ro som­mer­so, ecc) che sog­get­ti­vi (modi di cir­co­la­zio­ne del­le infor­ma­zio­ni e dei com­por­ta­men­ti dal­la fab­bri­ca dif­fu­sa al “lavo­ro ope­ra­io”).
In que­sto sen­so ad esem­pio, un’in­chie­sta sul­la Fiat non può esse­re sol­tan­to inchie­sta su Mira­fio­ri e Rival­ta, ma sul tes­su­to pro­dut­ti­vo ripro­dut­ti­vo e socia­le in cui l’o­pe­ra­io FIAT è mate­rial­men­te coin­vol­to. – for­me di auto­ge­stio­ne, di coo­pe­ra­zio­ne, di “con­tro­e­co­no­mia”, di svi­lup­po del lavo­ro auto­no­mo, che inve­sto­no in for­ma dif­fu­sa e attra­ver­so sezio­ni con­si­sten­ti di pro­le­ta­ria­to gio­va­ni­le (coo­pe­ra­ti­ve in agri­col­tu­ra, nei ser­vi­zi, nel­la distri­bu­zio­ne; radio alter­na­ti­ve, cen­tri socia­li auto­ge­sti­ti, libre­rie; edi­to­ria, ecc.), che, al di là del­la loro scon­ta­ta mar­gi­na­li­tà eco­no­mi­ca, pre­sen­ta­no un inte­res­se poli­ti­co nel rap­por­to che deter­mi­na­no fra pro­du­zio­ne di valo­ri d’u­so, modo di pro­du­zio­ne e orga­niz­za­zio­ne del lavo­ro.
L’e­span­sio­ne del lavo­ro auto­no­mo e arti­gia­no in tut­ti i set­to­ri richie­de poi un’a­na­li­si più gene­ra­le sul­le pro­pen­sio­ni al lavo­ro dei gio­va­ni rispet­to a cui i pri­mi con­tri­bu­ti sono venu­ti dal­l’a­na­li­si del­le iscri­zio­ni alle liste spe­cia­li del­la leg­ge Ansel­mi (veda­si QdT N4/​5). – for­me di eco­no­mia ille­ga­le, di appro­pria­zio­ne vio­len­ta di red­di­to (delin­quen­za dif­fu­sa) che al di là del­la loro ambi­gui­tà di col­lo­ca­zio­ne rispet­to alle isti­tu­zio­ni, e pur essen­do in gran par­te pro­dot­to ende­mi­co del­la cri­si urba­na e del­la mar­gi­na­liz­za­zio­ne del “ghet­to”, inve­sta­no in quan­to com­por­ta­men­to mas­si­fi­ca­to sezio­ni con­si­sten­ti di pro­le­ta­ria­to gio­va­ni­le, non più rele­ga­bi­le nel­la mar­gi­na­li­tà in quan­to pro­fon­da­men­te intrec­cia­to con il modo di pro­du­zio­ne e di ripro­du­zio­ne nel­la fab­bri­ca dif­fu­sa, in par­ti­co­la­re per quan­to riguar­da il lavo­ro pre­ca­rio.
Il modo di for­ma­zio­ne del red­di­to nel­la fab­bri­ca dif­fu­sa non può esse­re inda­ga­to se non a par­ti­re da un’a­rea ter­ri­to­ria­le di pro­du­zio­ne e ripro­du­zio­ne inte­sa come “fab­bri­ca tota­le”. – for­me di lot­ta e di orga­niz­za­zio­ne dei “sen­za sala­rio” e del lavo­ro pre­ca­rio che, dopo il movi­men­to del ’77, han­no tro­va­to un pun­to di mas­si­fi­ca­zio­ne nel­le lot­te dei ser­vi­zi e del pub­bli­co impie­go con­tro il pia­no Pan­dol­fi, allu­den­do a signi­fi­ca­ti­vi momen­ti di ricom­po­si­zio­ne (coor­di­na­men­ti di lot­ta fra pre­ca­ri del­la scuo­la, ospe­da­lie­ri, pre­ca­ri del­la 285, degli enti loca­li, ecc.). Le lot­te nei ser­vi­zi rive­sto­no, rispet­to all’a­na­li­si del­la com­po­si­zio­ne di clas­se un inte­res­se cen­tra­le in quan­to: – al di là di una valu­ta­zio­ne atten­ta del feno­me­no di rot­tu­ra del sin­da­ca­li­smo con­fe­de­ra­le e dei pro­ces­si di autor­ga­niz­za­zio­ne, che poco han­no a che vede­re col sin­da­ca­li­smo auto­no­mo, rap­pre­sen­ta­no un pri­mo momen­to di mas­si­fi­ca­zio­ne poli­ti­ca dì quo­te rile­van­ti dei “non garan­ti­ti” nel­la fab­bri­ca dif­fu­sa; – riguar­da­no la sezio­ne di clas­se (pro­le­ta­ria­to urba­no sco­la­riz­za­to poli­va­len­te e mobi­le) che rite­nia­mo rive­sta impor­tan­za cen­tra­le nei pro­ces­si di rior­ga­niz­za­zio­ne del ruo­lo “pro­dut­ti­vo” del­le aree metro­po­li­ta­ne; – pre­sen­ta­no signi­fi­ca­ti­vi intrec­ci fra ele­men­ti riven­di­ca­ti­vi (sala­rio, con­trat­tua­liz­za­zio­ne, man­sio­na­ri, ecc.) e ele­men­ti poli­ti­ci (con­te­sta­zio­ne del­l’or­ga­niz­za­zio­ne del lavo­ro in rap­por­to alla pro­du­zio­ne di mer­ci-ser­vi­zi, evi­den­zia­zio­ne del rap­por­to fra biso­gni socia­li e atti­vi­tà lavo­ra­ti­va) che allu­do­no in modo con­cre­to al rap­por­to fra emer­gen­za di valo­ri d’u­so col­let­ti­vi e strut­tu­re pro­dut­ti­ve orga­niz­za­te per la loro mer­ci­fi­ca­zio­ne. Tut­te que­ste for­me ed altre in cui si espri­me la con­flit­tua­li­tà “spon­ta­nea” del pro­le­ta­ria­to metro­po­li­ta­no, lun­gi dal costi­tui­re un qua­dro dispie­ga­to di ricom­po­si­zio­ne di clas­se, ten­do­no, dopo la rot­tu­ra del­l’e­ge­mo­nia del­l’o­pe­ra­io mas­sa, a con­fi­gu­rar­si come movi­men­ti sepa­ra­ti, con pos­si­bi­li esi­ti set­to­ria­li o cor­po­ra­ti­vi, e in ciò sta il carat­te­re tran­si­to­rio del­la fase che stia­mo attra­ver­san­do.
Il pro­ble­ma del­l’in­chie­sta è dun­que anti­ci­pa­re, inter­pre­ta­re i luo­ghi e i modi pos­si­bi­li di for­ma­zio­ne del­la nuo­va cen­tra­li­tà ope­ra­ia nel­la metro­po­li del capi­ta­le; inter­pre­ta­re, nei mil­le rivo­li del­la con­trat­ta­zio­ne, dei pro­ces­si di for­ma­zio­ne del red­di­to e di auto­va­lo­riz­za­zio­ne, con­te­nu­ti di pro­gram­ma in gra­do rom­pe­re la disgre­ga­zio­ne in atto del tes­su­to proletario.

MOVIMENTO FEMMINISTA: UN GIUDIZIO DI FASE

di Ali­sa del Re

Non si può par­la­re oggi di movi­men­to fem­mi­ni­sta sen­za accen­na­re al libro di Annie Le Brun (nel­la edi­zio­ne del sole nero – 1978 – ha per tito­lo: Mol­la­te tut­to, e come sot­to­ti­to­lo: Fac­cia­mo­la fini­ta con il fem­mi­ni­smo), che tan­ta for­tu­na sta aven­do in que­sto momen­to.
Non so bene in Fran­cia, ma in Ita­lia sicu­ra­men­te è il libro più inu­ti­le che ci sia in com­mer­cio, è una vera fro­de poli­ti­co-let­te­ra­ria: e, guar­da caso, pro­prio per­ché par­te da pro­ble­mi veri e rea­li del movi­men­to fem­mi­ni­sta, del movi­men­to del­le don­ne: direi addi­rit­tu­ra che va a toc­ca­re il pun­to più dolen­te del­la fase attua­le, e cioè che cos’è il fem­mi­ni­smo oggi, se esse­re fem­mi­ni­ste signi­fi­ca anco­ra esse­re den­tro un pro­get­to di libe­ra­zio­ne.
Il tema è dun­que attua­le. Dove sta allo­ra la misti­fi­ca­zio­ne, che ren­de que­sto libro così ipo­cri­ta e così «gio­co let­te­ra­rio» con mala­fe­de poli­ti­ca? La cosa più evi­den­te è che Annie Le Brun par­la di fem­mi­ni­smo in rap­por­to alle «don­ne», enti­tà, da un pun­to di vista poli­ti­co, meta­fi­si­ca, astrat­ta, sen­za nes­sun refe­ren­te sto­ri­ca­men­te deter­mi­na­to.
In rap­por­to alle don­ne, dice­vo, e non in rap­por­to alle lot­te del­le don­ne, che sono un dato sto­ri­co cer­to e poli­ti­ca­men­te rile­van­te.
Non par­la di ciò che è sta­to il fem­mi­ni­smo, né di ciò che potrà esse­re nel­la sua evo­lu­zio­ne (e non cer­to in una sua fis­sa­zio­ne strut­tu­ra­le).
Non entra in un gio­co dia­let­ti­co in cui far­si even­tual­men­te con­tro­par­te, ma resta stu­pi­da­men­te allo stes­so bal­co­ne del­le «papes­se» fem­mi­ni­ste che cri­ti­ca, impan­ta­nan­do­si nel loro stes­so ter­re­no, la let­te­ra­tu­ra. E allo­ra libro inu­ti­le, ma allo­ra tema di cui par­la­re: Il movi­men­to fem­mi­ni­sta oggi. Ma per­ché par­lar­ne?
Pro­prio per la vio­len­za e la vasti­tà del­le lot­te del­le don­ne in con­trap­po­si­zio­ne al silen­zio tota­le e bru­cian­te dei grup­pi fem­mi­ni­sti; grup­pi che ave­va­no carat­te­riz­za­to il movi­men­to fino a qual­che anno fa. Si avver­te la man­can­za di una linea poli­ti­ca ege­mo­ne, la man­can­za di un dibat­ti­to poli­ti­co all’in­ter­no dei grup­pi e in gene­ra­le; si ha come l’im­pres­sio­ne di una scle­ro­si del­le idee, di un ina­ri­di­men­to, di un ripie­gar­si su se stes­se in iso­le che si auto­con­tem­pla­no. Il meri­to in pas­sa­to dei grup­pi fem­mi­ni­sti è sta­to pro­prio quel­lo di dispie­ga­re pub­bli­ca­men­te, bru­tal­men­te l’in­te­ra tema­ti­ca del­l’op­pres­sio­ne fem­mi­ni­le, il for­za­re una con­sa­pe­vo­lez­za col­let­ti­va e non più indi­vi­dua­le di que­st’op­pres­sio­ne, il far sor­ge­re con­cre­te spe­ran­ze di libe­ra­zio­ne. Ma è evi­den­te che que­sto ora non basta più: la spe­ran­za deve diven­ta­re cer­tez­za, l’op­pres­sio­ne scom­pa­ri­re, la con­sa­pe­vo­lez­za diven­ta­re orga­niz­za­zio­ne e lot­ta.
Lo richie­do­no le stes­se don­ne che già sono sce­se a miglia­ia in piaz­za per gri­da­re la loro rab­bia, il desi­de­rio di una vita diver­sa, con­tro i tabù, con­tro le vio­len­ze quo­ti­dia­na­men­te per­pe­tra­te nei loro con­fron­ti, con­tro il loro sfrut­ta­men­to.
Non basta per­ché non è mai basta­to gri­da­re con­tro, né scri­ve­re con­tro.
E qui, indub­bia­men­te, al fem­mi­ni­smo «sto­ri­co» dei grup­pi è man­ca­ta una mol­la, una spin­ta, la capa­ci­tà poli­ti­ca di fare un pas­so avan­ti nel­la sto­ria.
E non solo, ma quel­la che pote­va esse­re ini­zial­men­te un’ar­ma offen­si­va di estre­ma effi­ca­cia come la denun­cia del­la con­di­zio­ne fem­mi­ni­le, si è spun­ta­ta restan­do tale e favo­ren­do – caso mai – solo situa­zio­ni di denun­cia e di auto­com­mi­se­ra­zio­ne col­let­ti­va. C’è un’a­na­lo­gia evi­den­te con il movi­men­to dei gio­va­ni pro­le­ta­ri che per un cer­to perio­do ha teo­riz­za­to la pro­pria rea­le ogget­ti­va emar­gi­na­zio­ne come ter­re­no pro­prio, da riven­di­ca­re. Ma a un cer­to pun­to qual­cu­no si è stan­ca­to e s’è det­to: sono stu­fo di com­pia­cer­mi di esse­re un emar­gi­na­to, sono stu­fo di pian­ge­re insie­me agli altri la mia mise­ria; assie­me agli altri io voglio ride­re, gode­re, ave­re uno spa­zio inte­ro e non rita­glia­to den­tro un ghet­to. Per le don­ne si è crea­ta una situa­zio­ne in un cer­to sen­so simi­le eppu­re diver­sa.
Vedia­mo di chia­ri­re. Biso­gna innan­zi­tut­to par­ti­re dal­la defi­ni­zio­ne di movi­men­to fem­mi­ni­sta: esso si è con­fi­gu­ra­to sto­ri­ca­men­te come la pun­ta di un ice­berg che ha tali vaste e pal­pa­bi­li pro­por­zio­ni da ren­der­lo non para­go­na­bi­le a nes­sun altro movi­men­to di mas­sa.
Ecco: il cor­po sot­ter­ra­neo, nasco­sto, la sostan­za di que­sto ice­berg è: la «lot­ta del­le don­ne».
Ed è suc­ces­so pri­ma del fem­mi­ni­smo (e suc­ce­de­rà dopo il fem­mi­ni­smo) che le don­ne abbia­no lot­ta­to e lot­ti­no in manie­ra non subal­ter­na, rico­no­scen­do­si come sog­get­ti auto­no­mi, su esi­gen­ze pro­prie spe­ci­fi­che, lega­te alla pro­pria con­di­zio­ne.
Cos’è allo­ra che ha con­no­ta­to il fem­mi­ni­smo?
È sta­ta la capa­ci­tà di uni­fi­ca­zio­ne del­le varie istan­ze di lot­ta, l’a­ver deter­mi­na­to lo spe­ci­fi­co don­na astraen­do­lo da una real­tà disper­sa e disor­ga­ni­ca, l’a­ver assun­to la pre­mi­nen­za poli­ti­ca su un movi­men­to sot­ter­ra­neo por­tan­do­lo così alla luce, l’a­ver crea­to inti­me rela­zio­ni tra for­me di lot­ta diver­se, in un cer­to sen­so l’a­ver crea­to da un pro­ces­so una real­tà uni­fi­can­te.
Un esem­pio può esse­re dato dal­l’au­to­co­scien­za, pra­ti­ca che è nel­le don­ne da sem­pre, pro­prio nel­la for­ma del­la «sepa­ra­zio­ne auto­no­ma» che le fem­mi­ni­ste si sono date in que­sto perio­do sto­ri­co: la dif­fe­ren­za tra le «con­fi­den­ze con­so­la­to­rie» tra don­ne di ogni epo­ca, nei salot­ti, nei lava­toi, nel­le cuci­ne e l’au­to­co­scien­za di oggi con­si­ste pro­prio nel­la for­za­tu­ra che di que­sta è sta­ta fat­ta in un’e­po­ca di appa­ren­te egua­li­ta­ri­smo, e quin­di del­l’u­so pro­vo­ca­to­rio sia del­la sepa­ra­zio­ne sia del­la «cono­scen­za di se stes­se e dei pro­pri pro­ble­mi». Un altro ele­men­to deter­mi­nan­te è sta­to l’a­ver impo­sto l’ab­ban­do­no di ogni dele­ga per quan­to riguar­da la gestio­ne del­le pro­prie que­stio­ni e quin­di di aver inne­sca­to un pro­ces­so di auto­no­miz­za­zio­ne del­le lot­te non solo nel­la fase orga­niz­za­ti­va, ma anche nel­la fase di con­trat­ta­zio­ne e di pres­sio­ne poli­ti­ca per la riso­lu­zio­ne degli obiet­ti­vi posti dal movi­men­to.
Que­sto ha fat­to emer­ge­re una nuo­va sog­get­ti­vi­tà tra le don­ne, cumu­lo di anti­che capa­ci­tà mate­ria­li di gestio­ne del­le lot­te stes­se e di nuo­va inven­zio­ne di modi di esse­re den­tro le lot­te, di modi di espri­me­re se stes­se e la pro­pria rab­bia. Tut­to ciò ha segna­to l’e­spres­sio­ne più alta del movi­men­to fem­mi­ni­sta in Ita­lia: ma ha anche mostra­to i limi­ti che una simi­le posi­zio­ne ave­va den­tro di sé, e la neces­si­tà di un supe­ra­men­to.
I limi­ti era­no e sono ogget­ti­vi: la ghet­tiz­za­zio­ne dei com­por­ta­men­ti (fat­to che usa­to pro­vo­ca­to­ria­men­te pote­va ser­vi­re; diven­ta­va inu­ti­le e dan­no­so come ele­men­to di pro­gram­ma) si è pre­sta­ta a una ghet­tiz­za­zio­ne di obiet­ti­vi e di linea poli­ti­ca. Per spie­gar­ci, il recu­pe­ro del­la «con­di­zio­ne fem­mi­ni­le» come arma offen­si­va ha dege­ne­ra­to in auto­ri­co­no­sci­men­to di com­por­ta­men­ti lezio­si; la non aggres­si­vi­tà, la sorel­lan­za sono diven­ta­te un pacio­so sta­gno in cui tut­to il putri­du­me depo­si­ta in nome di non so bene cosa; nel nome don­na si è anne­ga­ta ogni pro­fes­sio­na­li­tà, e ciò è ser­vi­to a giu­sti­fi­ca­re tut­te le spe­cu­la­zio­ni.
L’im­ma­gi­ne del movi­men­to è arre­tra­ta all’im­ma­gi­ne dei grup­pi, i qua­li rispec­chia­no ormai solo il dis­sol­vi­men­to di se stes­si. Anti­no­mia tra fem­mi­ni­smo e lot­ta del­le don­ne o nasci­ta del nuo­vo fem­mi­ni­smo? Den­tro que­sto qua­dro di deso­lan­te immi­se­ri­men­to le don­ne han­no comun­que con­ti­nua­to a pro­dur­re lot­te e stru­men­ti orga­niz­za­ti­vi, al di là e oltre la volon­tà e il pro­get­to dei grup­pi fem­mi­ni­sti.
La spin­ta ini­zia­le è ser­vi­ta a intro­dur­re un pro­ces­so a valan­ga di ini­zia­ti­ve poli­ti­che in ogni situa­zio­ne: nei par­ti­ti, nel­le orga­niz­za­zio­ni extra­par­la­men­ta­ri, nei sin­da­ca­ti, in tut­ti i posti di lavo­ro, in ogni luo­go di aggre­ga­zio­ne di que­sta nuo­va sog­get­ti­vi­tà. Que­ste ini­zia­ti­ve si fon­da­no deci­sa­men­te su ele­men­ti mate­ria­li all’in­ter­no del rap­por­to di sfrut­ta­men­to e ven­go­no arric­chi­te dal­la estre­ma con­sa­pe­vo­lez­za e rea­li­smo del­le don­ne.
Lo scol­la­men­to avvie­ne da un lato sul­l’i­na­de­gua­tez­za dei pro­gram­mi dei grup­pi, in quan­to le deter­mi­na­zio­ni di pote­re e gli obiet­ti­vi di fat­to si espli­ci­ta­no a par­ti­re da una coscien­za acqui­si­ta dal­la pra­ti­ca quo­ti­dia­na dei rap­por­ti, e ora libe­ra­ta, con un supe­ra­men­to di fat­to di slo­gan arre­tra­ti e for­te­men­te ideo­lo­giz­za­ti («l’u­te­ro è mio e me lo gesti­sco io», «sala­rio al lavo­ro dome­sti­co», «sia­mo don­ne, sia­mo tan­te, sia­mo stu­fe», tan­to per cita­re i più noti): si mate­ria­liz­za­no infat­ti su con­qui­ste di spa­zi con­cre­ti, sia per­so­na­li sog­get­ti­vi (rifiu­to del lavo­ro), sia socia­li (richie­sta di ser­vi­zi, loro effi­cien­te fun­zio­na­men­to). D’al­tro lato si misu­ra anche l’i­na­de­gua­tez­za orga­niz­za­ti­va dei grup­pi: infat­ti essi pre­ve­de­va­no il movi­men­to di piaz­za come base flut­tuan­te, il grup­po come strut­tu­ra rigi­da e refe­ren­te gene­ra­le. L’or­ga­niz­za­zio­ne poli­ti­ca del­le don­ne nel­le lot­te pare inve­ce vada svi­lup­pan­do­si nel sen­so di ritro­va­re sem­pre più ele­men­ti mate­ria­li di orga­niz­za­zio­ne per­ma­nen­te nel­le con­di­zio­ni spe­ci­fi­che in cui la strut­tu­ra socia­le del­la pro­du­zio­ne e del­la ripro­du­zio­ne del­la for­za lavo­ro le ha oggi col­lo­ca­te.
Quin­di nei posti di lavo­ro e nel­le situa­zio­ni di aggre­ga­zio­ne socia­le, che le vedo­no prin­ci­pa­li uten­ti del­l’or­ga­niz­za­zio­ne capi­ta­li­sti­ca di con­trol­lo sul­la ripro­du­zio­ne del­la for­za lavo­ro, cioè i ser­vi­zi. Sono strut­tu­re orga­niz­za­ti­ve le più diver­se, che han­no mutua­to dal fem­mi­ni­smo solo la più rigo­ro­sa auto­no­mia; fon­da­no la loro esi­sten­za su obiet­ti­vi mate­ria­li pre­ci­si: dal­la ridu­zio­ne del­la gior­na­ta lavo­ra­ti­va, alla gra­tui­tà e amplia­men­to dei ser­vi­zi socia­li (dal­le case agli asi­li, men­se, lavan­de­rie ecc.), alla qua­li­tà di un benes­se­re di vita misu­ra­to dal­la qua­li­tà del lavo­ro gra­tui­to for­ni­to fino a oggi dal­le don­ne. In ogni fab­bri­ca, in ogni scuo­la, in ogni ospe­da­le comin­cia­no a costi­tuir­si comi­ta­ti, coor­di­na­men­ti di lavo­ra­tri­ci; negli asi­li (nidi e scuo­le mater­ne), coor­di­na­men­ti di madri; la cosa più recen­te: negli ospe­da­li, i comi­ta­ti per l’ap­pli­ca­zio­ne del­la leg­ge sul­l’a­bor­to, costi­tui­ti da don­ne ospe­da­lie­re e da uten­ti del ser­vi­zio.
Tut­to ciò garan­ti­sce un for­te svi­lup­po di lot­te in sen­so oriz­zon­ta­le – dif­fu­si­vo; e ogni situa­zio­ne orga­niz­za­ta è in gra­do di far­si latri­ce di un pro­get­to poli­ti­co più ampio, come di rece­pi­re istan­ze simi­li dal­l’e­ster­no e far­se­ne cari­co.
È indub­bia­men­te vero che anche que­sto tra non mol­to non sarà più suf­fi­cien­te: la neces­si­tà di con­fron­to poli­ti­co orga­niz­za­to tra le varie situa­zio­ni di lot­ta diven­ta sem­pre più impel­len­te.
Sem­pre più tra le don­ne si affac­cia la richie­sta di coor­di­na­men­to e di dire­zio­ne e ciò non può avve­ni­re se non attra­ver­so un ampio dibat­ti­to che agi­ti le acque ora trop­po che­te del fem­mi­ni­smo. Pro­vo­ca­to­ria­men­te but­tia­mo un sas­so nel­lo sta­gno: com­pa­gne uscia­mo dal ghet­to del­la nostra spe­ci­fi­ci­tà! Ma uscir­ne per le don­ne non signi­fi­ca – l’ab­bia­mo già visto – abban­do­na­re temi e for­me orga­niz­za­ti­ve che sono loro pro­prie. Signi­fi­ca inve­ce usa­re del­la pro­pria con­di­zio­ne gli ele­men­ti più tota­liz­zan­ti ed ever­si­vi; signi­fi­ca da un lato esse­re nel­la posi­zio­ne più favo­re­vo­le per far­si sog­get­to atti­vo nel­le lot­te che sem­bra­no dare un segno distin­ti­vo a que­sto perio­do: le lot­te per il red­di­to garan­ti­to con­tro il sala­rio reso varia­bi­le dipen­den­te; d’al­tro lato signi­fi­ca ribal­ta­re tut­ta la con­ce­zio­ne, comu­ne­men­te uti­liz­za­ta dal capi­ta­le, del­la con­trap­po­si­zio­ne tra sog­get­ti in lot­ta e popo­la­zio­ne, crean­do ele­men­ti di aggre­ga­zio­ne e di com­pat­ta­zio­ne che ren­da­no imme­dia­ta­men­te impra­ti­ca­bi­le que­sto pro­get­to; in ter­zo luo­go la pos­si­bi­li­tà, data dal­la pro­pria situa­zio­ne sog­get­ti­va, di rico­strui­re gli obiet­ti­vi par­zia­li dei «lavo­ra­to­ri» tra­sfor­man­do­li in obiet­ti­vi che com­pren­da­no lo stra­vol­gi­men­to, la ridu­zio­ne, il paga­men­to in sala­rio, beni e ser­vi­zi del­l’in­te­ra gior­na­ta lavo­ra­ti­va coman­da­ta dal capi­ta­le, fat­ta sia dal lavo­ro per la pro­du­zio­ne di mer­ci che dal lavo­ro per ripro­dur­re se stes­si e la pro­pria raz­za. E que­sta nuo­va sog­get­ti­vi­tà ha la pos­si­bi­li­tà, io cre­do, di usci­re dal­la pro­pria spe­ci­fi­ci­tà pro­prio usan­do­la fino in fon­do, espan­den­do­la, impo­nen­do gli «obiet­ti­vi del­le don­ne», pro­prio per­ché così lar­ghi, così «tota­li», in fon­do così poco spe­ci­fi­ci.
Quan­do tut­to il lavo­ro lega­to alla ripro­du­zio­ne comin­cia a venir riget­ta­to tra le brac­cia dei «ripro­dot­ti» dove è sog­get­ti­va­men­te pos­si­bi­le, in brac­cio allo Sta­to dove è orga­niz­za­ti­va­men­te pos­si­bi­le, con­tro l’or­ga­niz­za­zio­ne capi­ta­li­sti­ca del­la pro­du­zio­ne dove è poli­ti­ca­men­te fat­ti­bi­le, allo­ra comin­cia ad esse­re dif­fi­ci­le a chic­ches­sia tro­va­re argo­men­ti a favo­re del lavo­ro sala­ria­to, a favo­re del «giu­sto sfrut­ta­men­to», che non sia­no mera ideologia. (…)

NEOLOGISMI

Valo­riz­za­zio­ne
Per valo­riz­za­zio­ne si inten­de il pro­ces­so di svi­lup­po capi­ta­li­sti­co in quan­to mes­sa a valo­re del capi­ta­le e del­le sue par­ti com­po­nen­ti.
Logi­ca­men­te il pro­ces­so di valo­riz­za­zio­ne capi­ta­li­sti­co è distin­to dal pro­ces­so lavo­ra­ti­vo; ma, sto­ri­ca­men­te, i due pro­ces­si sono venu­ti man mano sovrap­po­nen­do­si.
Quan­do il pro­ces­so lavo­ra­ti­vo è com­ple­ta­men­te domi­na­to dal pro­ces­so di valo­riz­za­zio­ne si dice attua­ta la sus­sun­zio­ne rea­le del lavo­ro sot­to il capi­ta­le.
Il pro­ces­so di valo­riz­za­zio­ne capi­ta­li­sti­ca è dina­mi­co ed esten­si­vo: l’in­te­ra socie­tà è assog­get­ta­ta e rior­ga­niz­za­ta dal capi­ta­le, tan­to più quan­to più il capi­ta­le divie­ne esso stes­so una cate­go­ria socia­le.
In que­sto qua­dro .la clas­se ope­ra­ia ha una com­po­si­zio­ne tec­ni­ca che, sul pia­no nazio­na­le (mer­ca­to del lavo­ro) e sul pia­no inter­na­zio­na­le (divi­sio­ne inter­na­zio­na­le del lavo­ro), è ade­gua­ta alle neces­si­tà del­la valo­riz­za­zio­ne capi­ta­li­sti­ca.
Il fine del­la valo­riz­za­zio­ne capi­ta­li­sti­ca è la pro­du­zio­ne e la ripro­du­zio­ne del valo­re di scam­bio nel­la for­ma del pro­fit­to: nel­le fasi di cri­si, fine del­la valo­riz­za­zio­ne è la sem­pli­ce ripro­du­zio­ne del­le con­di­zio­ni di pro­du­zio­ne del pro­fit­to, la sem­pli­ce ripro­du­zio­ne dei rap­por­ti socia­li che sono sot­te­si alla pro­du­zio­ne del pro­fit­to.
In que­sto sen­so il pro­ces­so di valo­riz­za­zio­ne è pro­ces­so di con­ti­nua disci­pli­na­riz­za­zio­ne del­la for­za lavo­ro, a tut­ti i livel­li sui qua­li la disci­pli­na può esse­re impo­sta, dal­la fab­bri­ca sin­go­la allo Sta­to. Nei perio­di di cri­si la valo­riz­za­zio­ne ten­de a dive­ni­re sem­pre più deci­sa­men­te pro­ces­so di coman­do puro e sem­pli­ce Auto­va­lo­riz­za­zio­ne Per auto­va­lo­riz­za­zio­ne si inten­do­no tut­ti quei pro­ces­si di svi­lup­po del­la com­po­si­zio­ne di clas­se ope­ra­ia che non sono ridu­ci­bi­li imme­dia­ta­men­te alla dia­let­ti­ca del­la valo­riz­za­zio­ne capi­ta­li­sti­ca.
L’au­to­va­lo­riz­za­zio­ne ope­ra­ia con­si­ste nel­l’ac­cu­mu­lo, den­tro la clas­se ope­ra­ia, di livel­li irri­du­ci­bi­li di sala­rio rela­ti­vo, di livel­li di sape­re gene­ra­liz­za­ti, di livel­li di espres­sio­ne poli­ti­ca e di lot­ta, e di eser­ci­zio di con­tro­po­te­re. L’au­to­va­lo­riz­za­zio­ne ope­ra­ia è un ele­men­to anta­go­ni­sti­co del­lo svi­lup­po capi­ta­li­sti­co: è la sin­te­si di tut­ti gli ele­men­ti (sabo­tag­gio del­la pro­du­zio­ne, lot­ta sul sala­rio, con­qui­sta di sala­rio socia­le, indi­pen­den­za nel­la ripro­du­zio­ne, riap­pro­pria­zio­ne, espres­sio­ne di biso­gni poli­ti­ci e di orga­niz­za­zio­ne, “the making of wor­king class”) che non sono ridu­ci­bi­li al valo­re di scam­bio.
Lo svi­lup­po capi­ta­li­sti­co è un con­ti­nuo ten­ta­ti­vo di domi­na­re i momen­ti sto­ri­ci del­la auto­va­lo­riz­za­zio­ne di clas­se, le ristrut­tu­ra­zio­ni capi­ta­li­sti­che sono ope­ra­zio­ni inte­se a rifor­ma­re la pro­du­zio­ne e le con­di­zio­ni socia­li di pro­du­zio­ne per com­pren­der­vi la for­za auto­va­lo­riz­zan­te del­la clas­se ope­ra­ia.
Quan­do i livel­li di auto­va­lo­riz­za­zio­ne giun­go­no a con­so­li­dar­si su altis­si­mi limi­ti di espres­sio­ne, l’au­to­va­lo­riz­za­zio­ne si svi­lup­pa in tran­si­zio­ne: ciò signi­fi­ca che la clas­se ope­ra­ia e pro­le­ta­ria comin­cia allo­ra a svi­lup­pa­re momen­ti di ege­mo­nia e ad espri­me­re in manie­ra per­ma­nen­te il suo con­tro­po­te­re con­tro il pote­re del capi­ta­le.
È evi­den­te che a que­sto pun­to tut­te le cate­go­rie del capi­ta­le van­no in cri­si per­chè la dia­let­ti­ca del valo­re non rie­sce più a dispie­gar­si: essa è sosti­tui­ta dal­l’an­ta­go­ni­smo del­le for­ze sog­get­ti­ve (le due clas­si), ognu­na del­le qua­li ten­ta di espan­de­re e di esal­ta­re la pro­pria indi­pen­den­za sog­get­ti­va in manie­ra dina­mi­ca, fino alla distru­zio­ne del­l’av­ver­sa­rio. Auto­de­ter­mi­na­zio­ne Per auto­de­ter­mi­na­zio­ne si inten­de la for­za nor­ma­ti­va del­l’au­to­va­lo­riz­za­zio­ne.
Que­sta for­za nor­ma­ti­va si espri­me in due sen­si.
In pri­mo luo­go, essa è pro­ces­so coscien­te di ricom­po­si­zio­ne di clas­se, di “Ausglei­chung” (egua­glia­men­to) del­le sue dif­fe­ren­ze, è feno­me­no di riap­pro­pria­zio­ne di iden­ti­tà poli­ti­ca del­la clas­se ope­ra­ia e pro­le­ta­ria, è sin­te­si del­le diver­se auto­no­mie: in un pri­mo sen­so l’au­to­de­ter­mi­na­zio­ne è un pro­ces­so inten­si­vo di clas­se, den­tro la clas­se.
In un secon­do sen­so, auto­de­ter­mi­na­zio­ne è un pro­ces­so vol­to con­tro la clas­se nemi­ca.
L’or­ga­niz­za­zio­ne di clas­se, come ele­men­to deter­mi­na­to e neces­sa­rio per svi­lup­pa­re la lot­ta, il rap­por­to fra stra­te­gia e tat­ti­ca – rap­por­to fino in fon­do con­di­zio­na­to dal­la dina­mi­ca auto­va­lo­riz­zan­te del­la com­po­si­zio­ne di clas­se data – bene, tut­ti que­sti ele­men­ti ven­go­no rias­sun­ti nel­la auto­de­ter­mi­na­zio­ne di clas­se.
L’au­to­de­ter­mi­na­zio­ne di clas­se è dun­que in que­sto secon­do sen­so la for­za inno­va­ti­va in ter­mi­ni pro­pri, il rove­scio del­l’im­pren­di­to­ria­li­tà capi­ta­li­sti­ca, la fun­zio­ne fon­da­men­ta­le per­chè si attui il pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio.
Tut­ta la sto­ria del movi­men­to ope­ra­io rivo­lu­zio­na­rio può esse­re stu­dia­ta come sto­ria del rap­por­to fra dimen­sio­ni deter­mi­na­te del­l’au­to­va­lo­riz­za­zio­ne e for­me sto­ri­che del­l’au­to­de­ter­mi­na­zio­ne.
Risco­pri­re que­sto rap­por­to, in for­ma ade­gua­ta all’at­tua­le livel­lo del­la com­po­si­zio­ne di clas­se ed alla straor­di­na­ria attua­le altez­za del pro­ces­so di auto­va­lo­riz­za­zio­ne, è il com­pi­to di mas­sa che dob­bia­mo espletare.

Da «Magaz­zi­no», n. 2, mag­gio 1979

DAL TAYLORISMO AL POST-TAYLORISMO

Di San­dra Bon­fi­glio­li Perel­li e Alber­to Magnaghi

RISTRUTTURAZIONE E DECONCENTRAZIONE TERRITORIALE DEL CICLO PRODUTTIVO. DALLA METROPOLI INDUSTRIALE ALLA FORMAZIONE DELLA FABBRICA DIFFUSA.
UN PASSAGGIO STORICO NELLA FORMA DELL’ACCUMULAZIONE COME RISPOSTA ALLA LOTTA DELL’OPERAIO MASSA.
DECENTRAMENTO PRODUTTIVO SU SCALA MONDIALE E MODIFICAZIONE DI RUOLO DELLE AREE METROPOLITANE.
LE AREE METROPOLITANE COME FABBRICA DEL COMANDO SULLA PRODUZIONE MONDIALE. LA PRODUZIONE DIFFUSA: STRATEGIA NON CONGIUNTURALE DEL CAPITALE. CARATTERISTICHE DELLA PRODUZIONE DELL’IMPRESA POST-TAYLORISTA. LA NUOVA COMPOSIZIONE DI CLASSE E LE MODIFICAZIONI DEL MERCATO DEL LAVORO.
LA “FORMA URBANA” DELLA METROPOLI POST-TAYLORISTA. LE MODIFICAZIONI DEL GOVERNO LOCALE.
Rela­zio­ne tenu­ta al con­ve­gno sul Medi­ter­ra­neo, orga­niz­za­to dal­la Facol­tà di Archi­tet­tu­ra del Poli­tec­ni­co di Mila­no il 27 novem­bre 1978.

Ci pro­po­nia­mo con que­sta rela­zio­ne di deli­nea­re alcu­ne linee inter­pre­ta­ti­ve del pas­sag­gio sto­ri­co dal­la metro­po­li indu­stria­le, fase avan­za­ta del­la “cit­tà-fab­bri­ca”, carat­te­riz­za­ta dal­la pre­sen­za rego­la­tri­ce del­la gran­de fab­bri­ca tay­lo­ri­sti­ca, alla fab­bri­ca dif­fu­sa, inte­sa come una rior­ga­niz­za­zio­ne ten­den­zia­le, di tipo post-tay­lo­ri­sti­co, del­le fun­zio­ni e dei modi di pro­du­zio­ne nel­la metro­po­li capi­ta­li­sti­ca. La situa­zio­ne ita­lia­na, ed in par­ti­co­la­re la regio­ne indu­stria­le del Nord, in cui sono con­cen­tra­ti inve­sti­men­ti pro­dut­ti­vi e for­za-lavo­ro, rap­pre­sen­ta in modo esem­pla­re que­sto pro­ces­so, in rap­por­to anche alle rapi­de tra­sfor­ma­zio­ni pro­vo­ca­te dal ciclo di lot­te ope­ra­ie e pro­le­ta­rie degli anni ’60 e ’70. La cri­si del­la metro­po­li indu­stria­le si deter­mi­na negli anni ’70 non solo come cri­si tec­ni­ca di una for­ma deter­mi­na­ta di orga­niz­za­zio­ne ter­ri­to­ria­le del­la pro­du­zio­ne, ma soprat­tut­to come espres­sio­ne mate­ria­le del­la cri­si di un inte­ro ciclo di accu­mu­la­zio­ne e del­la sua for­ma sto­ri­ca; per que­sto è neces­sa­rio risa­li­re alle for­me gene­ra­li del­la rispo­sta capi­ta­li­sti­ca a tale cri­si per com­pren­de­re a fon­do i signi­fi­ca­ti del­le modi­fi­ca­zio­ni ter­ri­to­ria­li che ne deri­va­no. La rivol­ta degli ope­rai-mas­sa nel­la metro­po­li indu­stria­le, veri­fi­ca­ta­si a par­ti­re dal ’68, ha rove­scia­to i rap­por­ti di pro­du­zio­ne sul­la cui base il domi­nio capi­ta­li­sti­co si era fon­da­to distrug­gen­do la fun­zio­ne del sala­rio come varia­bi­le dipen­den­te, sca­ri­can­do i costi socia­li di ripro­du­zio­ne sul­la spe­sa pub­bli­ca, tra­sfor­man­do il ghet­to metro­po­li­ta­no in momen­to di orga­niz­za­zio­ne poli­ti­ca e socia­le, vani­fi­can­do attra­ver­so il rifiu­to del lavo­ro le for­me del coman­do d’im­pre­sa sul­l’e­ro­ga­zio­ne di lavo­ro e sul­la pro­dut­ti­vi­tà, ribal­tan­do la mobi­li­tà ter­ri­to­ria­le in fat­to­re di dif­fu­sio­ne dei pro­ces­si d’or­ga­niz­za­zio­ne e di omo­ge­neiz­za­zio­ne dei livel­li di lot­ta, deter­mi­nan­do una rigi­di­tà tota­le del mer­ca­to del lavo­ro indu­stria­le.
Que­sto ciclo di lot­te che ha inve­sti­to le prin­ci­pa­li “cit­ta­del­le” del­la pro­du­zio­ne mon­dia­le, ha intro­dot­to per il capi­ta­le l’ur­gen­za di una rispo­sta stra­te­gi­ca, di un pas­sag­gio sto­ri­co nel­la for­ma del­l’ac­cu­mu­la­zio­ne.
Il pas­sag­gio dal­la metro­po­li indu­stria­le alla fab­bri­ca dif­fu­sa deve dun­que esse­re ana­liz­za­to come ten­ta­ti­vo di rot­tu­ra del “pote­re ope­ra­io” sul ciclo di pro­du­zio­ne e ripro­du­zio­ne di capi­ta­le, come pro­ces­so gene­ra­le di tra­sfor­ma­zio­ne, nel­la cri­si, del­le con­di­zio­ni gene­ra­li di ero­ga­zio­ne del­la for­za-lavo­ro. Con­si­de­ria­mo allo­ra le carat­te­ri­sti­che costi­tu­ti­ve del­la “fab­bri­ca dif­fu­sa”, a par­ti­re dal “model­lo ita­lia­no” svi­lup­pa­to­si nel­le aree metro­po­li­ta­ne negli anni ’70. Pos­sia­mo iden­ti­fi­ca­re due livel­li di dif­fu­sio­ne del­la strut­tu­ra pro­dut­ti­va metro­po­li­ta­na: Un pri­mo livel­lo riguar­da il decen­tra­men­to pro­dut­ti­vo su sca­la mon­dia­le che, a par­ti­re dal ’69, ha deter­mi­na­to un rove­scia­men­to del model­lo di accu­mu­la­zio­ne basa­to sul­la con­cen­tra­zio­ne in alcu­ne regio­ni mon­dia­li. Que­sto model­lo è venu­to svi­lup­pan­do­si attra­ver­so la migra­zio­ne inter­na­zio­na­le del­la for­za-lavo­ro dal­la peri­fe­ria mon­dia­le ver­so la metro­po­li.
Un secon­do livel­lo riguar­da le modi­fi­ca­zio­ni dei modi e del­le for­me d’or­ga­niz­za­zio­ne del ciclo pro­dut­ti­vo all’in­ter­no del­le aree metro­po­li­ta­ne, una vol­ta che deter­mi­na­te fun­zio­ni pro­dut­ti­ve sono sta­te tra­sfe­ri­te ver­so la peri­fe­ria mon­dia­le.
Tali modi­fi­ca­zio­ni del ruo­lo del­le aree metro­po­li­ta­ne si sono svi­lup­pa­te secon­do le linee seguen­ti: – ridu­zio­ne del peso rela­ti­vo e asso­lu­to del­le gran­di con­cen­tra­zio­ni ope­ra­ie in rap­por­to ai pro­ces­si di ripro­du­zio­ne su sca­la socia­le; que­sta ridu­zio­ne è sta­ta rea­liz­za­ta attra­ver­so un insie­me di ope­ra­zio­ni del tipo: ridu­zio­ne mas­sic­cia del­l’oc­cu­pa­zio­ne (licen­zia­men­ti, “cas­sa inte­gra­zio­ne”, bloc­co del “turn-over”, pen­sio­na­men­to anti­ci­pa­to) in par­ti­co­la­re nei set­to­ri di pro­du­zio­ne dei beni di con­su­mo: intro­du­zio­ne di nuo­vi mac­chi­na­ri nel­le gran­di fab­bri­che (auto­ma­zio­ne cre­scen­te di tut­te le fasi pro­dut­ti­ve, intro­du­zio­ne nel lavo­ro mec­ca­ni­co di robot “intel­li­gen­ti” del­la ter­za gene­ra­zio­ne in sosti­tu­zio­ne del lavo­ro alle linee di sal­da­tu­ra, ver­ni­cia­tu­ra e pro­va, intro­du­zio­ne del­le “iso­le di mon­tag­gio”, com­pu­te­riz­za­zio­ne dei pro­ces­si di cir­co­la­zio­ne del­le mer­ci e di con­trol­lo dei “flux pro­duc­tifs”).
- diver­si­fi­ca­zio­ne pro­dut­ti­va da par­te del­le hol­ding mul­ti­na­zio­na­li, che svi­lup­pa­no nel­le aree metro­po­li­ta­ne i set­to­ri rela­ti­vi ai beni d’in­ve­sti­men­to (mac­chi­ne uten­si­li), alla pro­du­zio­ne di ener­gia (nuclea­re), ai siste­mi di comu­ni­ca­zio­ne e con­trol­lo (elet­tro­ni­ca, tele­co­mu­ni­ca­zio­ni), ai siste­mi sofi­sti­ca­ti di pro­gram­ma­zio­ne e gestio­ne (engee­ne­ring) e le fasi dei cicli pro­dut­ti­vi ad alta com­po­si­zio­ne orga­ni­ca, in pre­sen­za di lavo­ro qua­li­fi­ca­to. – svi­lup­po del ter­zia­rio “avan­za­to” rela­ti­vo all’au­men­to del­le fun­zio­ni di coman­do e di gestio­ne dei cicli pro­dut­ti­vi su sca­la mul­ti­na­zio­na­le (pro­du­zio­ne di ser­vi­zi per l’im­pre­sa, di fun­zio­ni di pro­gram­ma­zio­ne ciber­ne­ti­ca dei cicli pro­dut­ti­vi dif­fu­si, di fun­zio­ni rela­ti­ve alla razio­na­liz­za­zio­ne dei pro­ces­si di cir­co­la­zio­ne, pro­du­zio­ne di ser­vi­zi pub­bli­ci e socia­li, di pro­ces­si for­ma­ti­vi e di stru­men­ti di con­trol­lo del mer­ca­to del lavo­ro ecc.). A par­ti­re dal­lo svi­lup­po di que­ste fun­zio­ni si assi­ste a un cam­bia­men­to radi­ca­le del ruo­lo del­le aree metro­po­li­ta­ne che risul­ta­no sem­pre più carat­te­riz­za­te, nel con­te­sto del­la nuo­va divi­sio­ne inter­na­zio­na­le del lavo­ro, come cen­tri d’or­ga­niz­za­zio­ne del­la “fab­bri­ca di coman­do sul­la pro­du­zio­ne mon­dia­le”.
- “dif­fu­sio­ne” del pro­ces­so pro­dut­ti­vo (così modi­fi­ca­to nel­le fun­zio­ni e nel­la com­po­si­zio­ne dei set­to­ri mer­ceo­lo­gi­ci) nel ter­ri­to­rio metro­po­li­ta­no, non solo attra­ver­so il decen­tra­men­to del­le uni­tà pro­dut­ti­ve e la riu­ti­liz­za­zio­ne del­la pic­co­la e media impre­sa nel cir­cui­to finan­zia­rio e di gestio­ne del­la gran­de hol­ding, ma anche attra­ver­so l’e­span­sio­ne del part-time, del lavo­ro nero, del lavo­ro a domi­ci­lio, del dop­pio o tri­plo lavo­ro, del lavo­ro auto­no­mo, del lavo­ro clan­de­sti­no.
Que­sto pro­ces­so che inve­ste tut­ti i set­to­ri (agri­col­tu­ra, indu­stria, ter­zia­rio), non guar­da un uti­liz­zo con­giun­tu­ra­le di quo­te del mer­ca­to mar­gi­na­le, ma si svi­lup­pa come feno­me­no inter­no alle modi­fi­ca­zio­ni strut­tu­ra­li del­l’ap­pa­ra­to pro­dut­ti­vo, attra­ver­san­do tut­ti i set­to­ri avan­za­ti (mec­ca­ni­ca, elet­tro­mec­ca­ni­ca, elet­tro­ni­ca, chi­mi­ca), il pub­bli­co impie­go e le atti­vi­tà ter­zia­rie in gene­ra­le; que­sto pro­ces­so deter­mi­na una nuo­va for­ma gene­ra­liz­za­ta dei rap­por­ti di pro­du­zio­ne che ten­de a ribal­ta­re la rigi­di­tà del lavo­ro sala­ria­to tra­mi­te for­me più arti­co­la­te di for­za-lavo­ro e di con­trol­lo del­la pro­du­zio­ne, sot­traen­do ter­re­no alla con­trat­ta­zio­ne, deter­mi­nan­do for­me altis­si­me di mobi­li­tà e di auto­sfrut­ta­men­to, pro­lun­gan­do la gior­na­ta lavo­ra­ti­va socia­le.
A par­ti­re dal­le inchie­ste con­dot­te sul­la for­ma­zio­ne del­la fab­bri­ca dif­fu­sa nel­la regio­ne lom­bar­da, un ciclo pro­dut­ti­vo “tipo” di una gran­de impre­sa può esse­re scom­po­sto nel­le seguen­ti sezio­ni pro­dut­ti­ve: – sezio­ni pro­dut­ti­ve com­po­ste di uni­tà medio-gran­di, dove le con­di­zio­ni di ero­ga­zio­ne del lavo­ro sono garan­ti­te isti­tu­zio­nal­men­te tra­mi­te i con­trat­ti di lavo­ro.
In que­sti set­to­ri la com­po­si­zio­ne del­la for­za-lavo­ro subi­sce un pro­gres­si­vo invec­chia­men­to (età media 30/​40 anni), una ridu­zio­ne del­l’oc­cu­pa­zio­ne dovu­ta ai pro­ces­si d’au­to­ma­zio­ne e ciber­ne­tiz­za­zio­ne del­le fasi pro­dut­ti­ve spe­ci­fi­che e al bloc­co del turn-over, un aumen­to del­la pro­dut­ti­vi­tà del lavo­ro. Il coman­do sul lavo­ro in que­sti set­to­ri del ciclo è affi­da­to, oltre che ai capi tra­di­zio­na­li, alle nuo­ve strut­tu­re di orga­niz­za­zio­ne sin­da­ca­le (dele­ga­ti) e all’ul­te­rio­re tra­sfe­ri­men­to di “intel­li­gen­za” ai mac­chi­na­ri.
- sezio­ni pro­dut­ti­ve decen­tra­te dì tipo arti­gia­na­le o di pic­co­le uni­tà pro­dut­ti­ve in cui, a fian­co di alcu­ni ope­rai a con­trat­to, gra­vi­ta for­za lavo­ro che vie­ne assun­ta (sta­gio­na­le, a cot­ti­mo) o licen­zia­ta secon­do le oscil­la­zio­ni del­la pro­du­zio­ne.
Il lavo­ro ero­ga­to da que­ste figu­re ope­ra­ie pre­ca­rie non è sog­get­to ad alcu­na nor­ma­ti­va o garan­zia isti­tu­zio­na­le. La figu­ra socia­le pre­sen­te in que­sti set­to­ri è costi­tui­ta in par­te da ope­rai di fab­bri­ca (lavo­ra­to­ri tur­ni­sti, assen­tei­sti o lavo­ra­to­ri in “cas­sa inte­gra­zio­ne”) che fan­no un dop­pio lavo­ro, in par­te da stu­den­ti (che lavo­ra­no i gior­ni festi­vi o ora­ri extra­sco­la­sti­ci), in par­te da gio­va­ni pro­le­ta­ri che han­no inter­rot­to gli stu­di, in par­te da don­ne e da una for­za-lavo­ro espul­sa dal mer­ca­to del lavo­ro uffi­cia­le.
La com­po­si­zio­ne del­la for­za-lavo­ro è dun­que, in que­sti set­to­ri, con­ti­nua­men­te varia­bi­le; il coman­do sul lavo­ro vie­ne eser­ci­ta­to in par­te dal­la pre­sen­za diret­ta del padro­ne ed in par­te tra­mi­te una coo­pe­ra­zio­ne spon­ta­nea tra gli ope­rai sta­bi­li che orga­niz­za­no l’in­te­ra uni­tà pro­dut­ti­va rego­lan­do l’im­mis­sio­ne e l’e­spul­sio­ne del­la for­za-lavo­ro pre­ca­ria.
- sezio­ni pro­dut­ti­ve dif­fu­se all’in­ter­no dei luo­ghi di ripro­du­zio­ne (appar­ta­men­ti, can­ti­ne, solai, magaz­zi­ni ria­dat­ta­ti ecc.) in cui la for­za-lavo­ro è com­po­sta in par­te da ope­rai di fab­bri­ca che fan­no il dop­pio lavo­ro e, pre­va­len­te­men­te, da don­ne, da vec­chi, da ex-ope­rai, da gio­va­ni; l’or­ga­niz­za­zio­ne del lavo­ro e l’im­po­si­zio­ne ad esso si deter­mi­na­no attra­ver­so la gerar­chia del­la strut­tu­ra fami­lia­re che agi­sce essen­zial­men­te su due figu­re socia­li: don­ne, vec­chi e mar­gi­na­li, che ero­ga­no lavo­ro sen­za alcu­na garan­zia con­trat­tua­le, e i gio­va­ni, spes­so già inse­ri­ti nel mer­ca­to del lavo­ro o nel­la scuo­la, che ven­go­no indot­ti al lavo­ro sal­tua­rio dal­la neces­si­tà di sod­di­sfa­re biso­gni non pri­ma­ri.
In que­sto set­to­re del ciclo pro­dut­ti­vo spa­ri­sce qual­sia­si con­trat­ta­zio­ne espli­ci­ta sul ter­re­no sala­ria­le (e con ciò la coscien­za di par­te­ci­pa­re al pro­ces­so di valo­riz­za­zio­ne del capi­ta­le).
- sezio­ni pro­dut­ti­ve di tipo “mobi­le”, esem­pli­fi­ca­ti dal­le “caro­va­ne” come for­ma pre­ca­ria d’or­ga­niz­za­zio­ne del lavo­ro di man­te­ni­men­to del­le istal­la­zio­ni pro­dut­ti­ve, orga­niz­za­to a par­ti­re da un’im­pre­sa con un nucleo di ope­rai spe­cia­liz­za­ti con l’u­ti­liz­zo fles­si­bi­le e mobi­le di for­za-lavo­ro decon­trat­tua­liz­za­ta.
- sezio­ni pro­dut­ti­ve dì tipo “coo­pe­ra­ti­vo”, che, al di là del­le for­me più tra­di­zio­na­li di coo­pe­ra­zio­ne, han­no avu­to un nuo­vo svi­lup­po soprat­tut­to tra i gio­va­ni nel qua­dro del­l’e­span­sio­ne del lavo­ro auto­no­mo e del rifiu­to del lavo­ro sala­ria­to.
In que­sti set­to­ri sia l’or­ga­niz­za­zio­ne del lavo­ro che i rap­por­ti con i com­mit­ten­ti sono auto­ge­sti­ti. A par­ti­re da que­sta descri­zio­ne mol­to sche­ma­ti­ca del­le tipo­lo­gie del­la strut­tu­ra pro­dut­ti­va, ciò che ci pre­me qui sot­to­li­nea­re sono deter­mi­na­ti effet­ti gene­ra­li di que­sta orga­niz­za­zio­ne del lavo­ro sul­la for­ma del pro­ces­so di accu­mu­la­zio­ne, sul­la rior­ga­niz­za­zio­ne tec­no­lo­gi­ca, sul mer­ca­to del lavo­ro ed infi­ne sul ruo­lo del ter­ri­to­rio nel pro­ces­so di pro­du­zio­ne.
I set­to­ri “ester­ni” alla fab­bri­ca tra­di­zio­na­le nel­la qua­le si ha il lavo­ro isti­tu­zio­na­liz­za­to, han­no assun­to un’im­por­tan­za cre­scen­te (qua­li­ta­ti­va e quan­ti­ta­ti­va) nel pro­ces­so di valo­riz­za­zio­ne capi­ta­li­sti­ca, in modo tale che le quo­te tra­di­zio­nal­men­te debo­li del mer­ca­to del lavo­ro, in par­ti­co­la­re le don­ne, non risul­ta­no più mar­gi­na­li; in que­sti set­to­ri un enor­me pro­ces­so di appro­pria­zio­ne capi­ta­li­sti­ca del­la coo­pe­ra­zio­ne socia­le si rea­liz­za attra­ver­so il pro­lun­ga­men­to del­la gior­na­ta lavo­ra­ti­va socia­le e l’in­te­gra­zio­ne del­le for­me più diver­se di uti­liz­zo del lavo­ro e dei rap­por­ti di pro­du­zio­ne (decen­tra­men­to e dif­fu­sio­ne del ciclo e cen­tra­liz­za­zio­ne del coman­do sono due fac­ce del mede­si­mo pro­ces­so di ristrut­tu­ra­zio­ne); non c’è dun­que alcun moti­vo di par­la­re di due siste­mi pro­dut­ti­vi (uno “cen­tra­le”, l’al­tro “mar­gi­na­le”) dal momen­to che si trat­ta del­la stes­sa impre­sa del set­to­re cen­tra­le del ciclo pro­dut­ti­vo che si orga­niz­za assor­ben­do, svi­lup­pan­do e inte­gran­do il siste­ma mar­gi­na­le di pro­du­zio­ne in un uni­co pro­ces­so di valo­riz­za­zio­ne.
La fab­bri­ca dif­fu­sa non si pre­sen­ta come fab­bri­ca “da quat­tro sol­di” a fian­co di un siste­ma cen­tra­le ad alta pro­dut­ti­vi­tà (non vi sono due modi di pro­du­zio­ne), ma è essa stes­sa il pro­dot­to del­la rior­ga­niz­za­zio­ne tec­no­lo­gi­ca e del­la gestio­ne d’im­pre­sa di un siste­ma in cui, nel­le aree metro­po­li­ta­ne, la gran­de fab­bri­ca tay­lo­ri­sti­ca non è più il cen­tro del­la valo­riz­za­zio­ne.
Nel­la fab­bri­ca dif­fu­sa si rea­liz­za un note­vo­le sal­to tec­no­lo­gi­co; que­sto non è più leg­gi­bi­le sola­men­te all’in­ter­no dei soli labo­ra­to­ri di pro­du­zio­ne, ma soprat­tut­to nel­la rior­ga­niz­za­zio­ne del­le for­me di gestio­ne, dei pro­ces­si di cir­co­la­zio­ne del­l’in­for­ma­zio­ne, del­le mer­ci, del coman­do, nel con­te­sto del­l’in­te­gra­zio­ne socia­le del­le diver­se for­me di rap­por­to di lavo­ro, del­le dif­fe­ren­ti tipo­lo­gie dei set­to­ri pro­dut­ti­vi a secon­da del­le diver­se com­po­si­zio­ni tec­ni­che di capi­ta­le a cui ci sia­mo rife­ri­ti in pre­ce­den­za.
Tale rior­ga­niz­za­zio­ne tec­no­lo­gi­ca si rea­liz­za dun­que essen­zial­men­te attra­ver­so i dif­fe­ren­ti modi di cir­co­la­zio­ne del­le mer­ci e del­l’in­for­ma­zio­ne (siste­mi ciber­ne­ti­ci di con­trol­lo e di gestio­ne del ciclo pro­dut­ti­vo, infor­ma­ti­ca fina­liz­za­ta alla rior­ga­niz­za­zio­ne di infor­ma­zio­ne e di gestio­ne dei pro­ces­si, ecc.) che deter­mi­na un “coman­do stri­scian­te” sul­la strut­tu­ra del­la pro­du­zio­ne decen­tra­ta.
Nel siste­ma pro­dut­ti­vo post-tay­lo­ri­sti­co spa­ri­sce la ”con­ti­nui­tà” fisi­ca del ciclo di pro­du­zio­ne e del siste­ma del­le mac­chi­ne; la strut­tu­ra del coman­do non è più costi­tui­ta, come nel siste­ma di mac­chi­na­ri pre­ce­den­te, da una strut­tu­ra gerar­chi­ca rico­no­sciu­ta e visi­bi­le ma è costi­tui­ta da un insie­me com­ples­so di stru­men­ti di rego­la­men­to, di for­me auto­ge­sti­te e decen­tra­te del­la strut­tu­ra pro­dut­ti­va.
Il mer­ca­to del lavo­ro “cen­tra­le” nel­le aree metro­po­li­ta­ne non è più costi­tui­to dal­la for­za-lavo­ro emi­gra­ta e non sco­la­riz­za­ta che carat­te­riz­za­va nel ciclo pre­ce­den­te l’o­pe­ra­io mas­sa del­le gran­di con­cen­tra­zio­ni pro­dut­ti­ve, ma dal­l’e­nor­me mas­sa del pro­le­ta­ria­to urba­no sco­la­riz­za­to (o comun­que di for­ma­zio­ne urba­na) pre­sen­te nel­la metro­po­li come resi­duo del rifiu­to del lavo­ro astrat­to nel­la gran­de fab­bri­ca tay­lo­ri­sti­ca.
Nel­le aree metro­po­li­ta­ne, que­sta sezio­ne del mer­ca­to del lavo­ro ten­de a con­fi­gu­rar­si come figu­ra cen­tra­le nel­la ride­fi­ni­zio­ne del­la com­po­si­zio­ne di clas­se: sia dal pun­to di vista capi­ta­li­sti­co, dal momen­to che i suoi com­por­ta­men­ti socia­li sono deter­mi­nan­ti per la ricom­po­si­zio­ne del ciclo pro­dut­ti­vo tra­mi­te la riap­pro­pria­zio­ne del­le nuo­ve qua­li­tà coo­pe­ra­ti­ve e d’in­tel­li­gen­za tec­ni­ca in rap­por­to con le nuo­ve fun­zio­ni “pro­dut­ti­ve” (mobi­li­tà, poli­va­len­za, alter­nan­za tra lavo­ro manua­le e intel­let­tua­le, auto­re­go­la­men­ta­zio­ne del­la gior­na­ta lavo­ra­ti­va); sia per la lot­ta di clas­se, dal momen­to che que­sto set­to­re pro­le­ta­rio ha diret­to in que­sti ulti­mi anni i movi­men­ti anta­go­ni­sti alla rior­ga­niz­za­zio­ne del siste­ma di pro­du­zio­ne e di ripro­du­zio­ne socia­le del capi­ta­le.
La for­ma urba­na del­la metro­po­li post-tay­lo­ri­sta pre­sen­ta le seguen­ti carat­te­ri­sti­che gene­ra­li: – ridu­zio­ne dei pro­ces­si migra­to­ri “uffi­cia­li” dal­la peri­fe­ria ver­so il cen­tro, e riu­ti­liz­zo del mer­ca­to urba­no “inter­no” alle aree metro­po­li­ta­ne uni­to a feno­me­ni di immi­gra­zio­ne stra­nie­ra “clan­de­sti­na”. – bloc­co e ridu­zio­ne del­la pro­du­zio­ne nel­le zone cen­tra­li del­le regio­ni metro­po­li­ta­ne e riu­ti­liz­zo del­le aree peri­fe­ri­che secon­do i model­li di decen­tra­men­to pro­dut­ti­vo descrit­ti più sopra; riu­ti­liz­zo dei cen­tri urba­ni pre­e­si­sten­ti e del tes­su­to rura­le; la metro­po­liz­za­zio­ne non con­si­ste nel­la sem­pli­ce ripro­du­zio­ne decen­tra­ta dei fat­to­ri ter­ri­to­ria­li ine­ren­ti al siste­ma del­la gran­de fab­bri­ca (decen­tra­men­to ma nel riu­ti­liz­zo, sot­to il coman­do del­la gran­de impre­sa, del tes­su­to pro­dut­ti­vo dif­fu­so con la con­se­guen­te ridu­zio­ne del­la mobi­li­tà infra­re­gio­na­le ver­so il polo cen­tra­le metro­po­li­ta­no e l’au­men­to del­la mobi­li­tà all’in­ter­no di que­ste zone).
Il ter­ri­to­rio del­la regio­ne metro­po­li­ta­na divie­ne sem­pre più la sede nel­la qua­le “si occul­ta” la gran­de pro­du­zio­ne, il luo­go dif­fu­so nel qua­le si orga­niz­za la gior­na­ta lavo­ra­ti­va socia­le.
Cado­no allo­ra i rigi­di cri­te­ri di “zoning” che era­no rap­pre­sen­ta­ti­vi del­la divi­sio­ne fun­zio­na­le e spa­zia­le tra pro­du­zio­ne e ripro­du­zio­ne, in un con­te­sto nel qua­le cam­bia­no i ruo­li dei fat­to­ri di pro­du­zio­ne nel pro­ces­so di valo­riz­za­zio­ne del capi­ta­le, aumen­ta la mobi­li­tà e la pre­ca­rie­tà del­la for­za lavo­ro ed inter­vie­ne una più alta inte­gra­zio­ne fra atti­vi­tà pro­dut­ti­ve e ripro­dut­ti­ve.
Il ter­ri­to­rio metro­po­li­ta­no divie­ne così un mez­zo di pro­du­zio­ne su sca­la socia­le e s’i­den­ti­fi­ca, nel­la sua com­ples­si­tà di fun­zio­ne inte­gra­ta, con la fab­bri­ca post-tay­lo­ri­sti­ca. S’ac­cen­tua­no i pro­ces­si di ter­zia­riz­za­zio­ne e d’e­span­sio­ne del­le aree cen­tra­li metro­po­li­ta­ne in rap­por­to con le fun­zio­ni cen­tra­liz­za­te del coman­do, del­la gestio­ne, del­l’in­for­ma­zio­ne, del­la cir­co­la­zio­ne.
La rior­ga­niz­za­zio­ne su base “indu­stria­le” di que­ste fun­zio­ni segue i cri­te­ri del­la ristrut­tu­ra­zio­ne del­la pro­du­zio­ne (ridu­zio­ne del lavo­ro con­trat­tua­liz­za­to, espan­sio­ne del­la mobi­li­tà e del lavo­ro pre­ca­rio, decen­tra­men­to-dif­fu­sio­ne dei cicli di pro­du­zio­ne ecc.).
In que­sto pro­get­to non ci sono fron­tie­re rigi­de tra lavo­ro ter­zia­rio e indu­stria­le: difat­ti la stes­sa figu­ra di ope­ra­io socia­le, anche se essa è arti­co­la­ta su diver­si livel­li di for­ma­zio­ne tec­ni­ca, pre­sen­ta un’al­ta mobi­li­tà fra ope­ra­io indu­stria­le e ope­ra­io ter­zia­rio, fra lavo­ro manua­le e lavo­ro intel­let­tua­le; spes­so que­sta mobi­li­tà si rea­liz­za nel­la stes­sa per­so­na attra­ver­so il dop­pio lavo­ro.
In tal modo non si ha una deter­mi­na­zio­ne rigi­da e ghet­tiz­za­ta del mer­ca­to del lavo­ro del­l’a­rea cen­tra­le a fron­te di quel­lo del­la peri­fe­ria, ma – al con­tra­rio – una note­vo­le per­mea­bi­li­tà reci­pro­ca nel qua­dro di una figu­ra socia­le del­la for­za lavo­ro ten­den­zial­men­te uni­fi­ca­to.
Se il ter­ri­to­rio metro­po­li­ta­no è l’e­le­men­to costi­tu­ti­vo del­la fab­bri­ca post-tay­lo­ri­sti­ca, ne deri­va con­se­guen­te­men­te la modi­fi­ca­zio­ne del ruo­lo del gover­no del ter­ri­to­rio, non più limi­ta­to alla gestio­ne di qual­che aspet­to dei pro­ces­si di ripro­du­zio­ne e degli effet­ti indot­ti sul­l’or­ga­niz­za­zio­ne ter­ri­to­ria­le del­le scel­te pro­dut­ti­ve ben­sì rela­zio­na­to alla gestio­ne del­le con­di­zio­ni gene­ra­li di fun­zio­na­men­to del­la fab­bri­ca dif­fu­sa, – tan­to per quel­lo che riguar­da le con­di­zio­ni socia­li di uti­liz­zo del­la for­za lavo­ro (con­trol­lo del­la mobi­li­tà, for­ma­zio­ne pro­fes­sio­na­le, con­trol­lo e gestio­ne del mer­ca­to del lavo­ro), quan­to come inter­ven­to diret­to e indi­ret­to del gover­no del ter­ri­to­rio (dal­la regio­ne e dal comu­ne agli orga­ni­smi inter­me­di e alla rete dif­fu­sa di orga­ni­smi di pia­ni­fi­ca­zio­ne, decen­tra­men­to e par­te­ci­pa­zio­ne) s’è svi­lup­pa­ta nel­le aree metro­po­li­ta­ne ita­lia­ne in rap­por­to con la cri­si del siste­ma di impre­sa e con la neces­si­tà di ren­de­re pro­fit­te­vo­le una gestio­ne socia­le del­la for­za lavo­ro.
A fron­te di que­sti pro­ble­mi, il gover­no loca­le ten­de sem­pre più a pre­sen­tar­si come stru­men­to di rego­la­zio­ne dei fat­to­ri ter­ri­to­ria­li ine­ren­ti alla gestio­ne del mer­ca­to del lavo­ro e come stru­men­to di media­zio­ne poli­ti­ca e socia­le din­nan­zi alle scel­te pro­dut­ti­ve e ripro­dut­ti­ve del capi­ta­le, modi­fi­can­do radi­cal­men­te il ruo­lo “sepa­ra­to” ed ester­no che esso ave­va nel pre­ce­den­te model­lo di accu­mu­la­zio­ne, e ciò vale sia a fron­te del­la dina­mi­ca dei rap­por­ti di offer­ta e doman­da di for­za lavo­ro, sia a fron­te del gover­no dell’economia.

GRANDE FABBRICA E OPERAIO SOCIALE: LA COOPERAZIONE SOVVERSIVA

Di Col­let­ti­vi Poli­ti­ci Ope­rai (Mila­no)

1. CONTRATTI 1979: SVOLTA CAPITALISTICA E RIVOLTA DELL’OPERAIO SOCIALE
Que­sta cam­pa­gna con­trat­tua­le segna il pri­mo momen­to del­la rivol­ta del­l’o­pe­ra­io socia­le all’in­ter­no del­la gran­de fab­bri­ca. Si affer­ma que­sto non per­ché si riten­ga­no i con­trat­ti momen­ti deci­si­vi del­la lot­ta di clas­se ope­ra­ia ma per­ché spes­so essi rive­la­no ele­men­ti emble­ma­ti­ci di que­sta lot­ta e del­la fase attra­ver­sa­ta.
In par­ti­co­la­re:
a) dal pun­to di vista del capi­ta­le.
Il 1978 rap­pre­sen­ta il momen­to di una fon­da­men­ta­le inver­sio­ne di ten­den­za, con­ce­pi­ta come pas­sag­gio poli­ti­co.
Le con­di­zio­ni sono poste sia sul livel­lo del­la ristrut­tu­ra­zio­ne (gene­ri­ca­men­te: avvio del­la cam­pa­gna di ristrut­tu­ra­zio­ne sui set­to­ri por­tan­ti ed ade­gua­ta­men­te alla nuo­va divi­sio­ne inter­na­zio­na­le del lavo­ro – ener­gia, auto­ma­zio­ne, decen­tra­men­to come sche­ma mul­ti­na­zio­na­le del­la ristrut­tu­ra­zio­ne e del­la nuo­va gerar­chia, spe­ci­fi­ca­men­te:
rior­ga­niz­za­zio­ne del tes­su­to pro­dut­ti­vo ita­lia­no secon­do quel­le gran­di linee e fis­sa­zio­ne, nel­le gran­di fab­bri­che, di ele­men­ti di ristrut­tu­ra­zio­ne ade­gua­ti – il cen­tro ener­ge­ti­co, la strut­tu­ra mul­ti­na­zio­na­le del­la dequa­li­fi­ca­zio­ne attra­ver­so robo­tiz­za­zio­ne;
la strut­tu­ra com­bi­na­ta del­l’in­for­ma­zio­ne e del decen­tra­men­to pro­dut­ti­vo, l’at­tac­co alla fab­bri­ca assi­sti­ta e la ripre­sa del­l’i­ni­zia­ti­va di pia­ni­fi­ca­zio­ne gene­ra­le);
sia sul livel­lo poli­ti­co (con­so­li­da­men­to del­la nuo­va strut­tu­ra ammi­ni­stra­ti­va, com­ple­ta­men­te subor­di­na­ta alla rego­la del­la pro­dut­ti­vi­tà; ade­gua­men­to e garan­zia del livel­lo di pro­dut­ti­vi­tà alla rego­la del­le mul­ti­na­zio­na­li, fat­ta vale­re dal­lo SME;
raf­for­za­men­to del­la strut­tu­ra cor­po­ra­ti­va del­la con­trat­ta­zio­ne, sia sul livel­lo del­la gran­de e media indu­stria, sia sul livel­lo del­la gestio­ne del­la spe­sa pub­bli­ca).
Come vedre­mo, i con­trat­ti deb­bo­no signi­fi­ca­re, per i padro­ni, un pri­mo risal­to isti­tu­zio­na­le di que­sto nuo­vo livel­lo di equi­li­brio del pro­fit­to;

b) dal pun­to di vista ope­ra­io.
Anche in que­sta pro­spet­ti­va i con­trat­ti del ’78–79 rap­pre­sen­ta­no un deci­si­vo pas­sag­gio.
Si chie­de agli ope­rai di san­zio­na­re b1 la loro divi­sio­ne nel­la fab­bri­ca, b2 la divi­sio­ne di gran par­te di loro, che pure han­no gli stes­si inte­res­si degli ope­rai nel­la socie­tà (lavo­ro nero, part-time, lavo­ro dif­fu­so, ecc.), dal­l’o­pe­ra­io socia­le.
Ma la situa­zio­ne del­le gran­di fab­bri­che è già dive­nu­ta tale da ren­de­re que­sto pas­sag­gio estre­ma­men­te dif­fi­ci­le.
Nel­le gran­di fab­bri­che è infat­ti cre­sciu­ta in que­sti anni la coscien­za del­l’u­ni­tà del­l’in­te­res­se ope­ra­io.
Il ten­ta­ti­vo con­trat­tua­le non si incon­tra dun­que con la misti­fi­ca­zio­ne ege­mo­ne ben­sì si scon­tra con la nuo­va coscien­za ope­ra­ia, rap­pre­sen­ta­ta dal sem­pre più dif­fu­so rifiu­to del lavo­ro, dal­la sem­pre più poten­te rinun­cia alla dele­ga, dal sem­pre più for­te impul­so all’au­men­to dei valo­ri del lavo­ro neces­sa­rio (e comun­que dal rifiu­to del loro abbas­sa­men­to).
Si scon­tra anche con la con­sa­pe­vo­lez­za che nel­la figu­ra del­l’o­pe­ra­io social­men­te mobi­le si riu­ni­sco­no oggi tut­te le pre­te­se sacro­san­te all’au­to­va­lo­riz­za­zio­ne ope­ra­ia.
Da que­sto pun­to di vista non si trat­ta dun­que di vin­ce­re o per­de­re sui con­trat­ti (anche se su sin­go­li pun­ti di que­sto si trat­ta): si trat­ta piut­to­sto di distrug­ge­re la figu­ra con­trat­tua­le come tale.

2. LE FASI DELLA LOTTA DELL’OPERAIO SOCIALE CONTRO E NELLA FABBRICA
Que­sta fase con­trat­tua­le è pre­ce­du­ta da tre gran­di fasi di lot­ta. La pri­ma è quel­la del­la pri­ma­ve­ra del ’77.
L’e­spul­sio­ne di Lama dal­l’U­ni­ver­si­tà di Roma è un fat­to ope­ra­io.
Con l’e­spul­sio­ne di Lama l’u­ni­tà dei pri­mi fram­men­ti del­l’o­pe­ra­io dif­fu­so sul ter­ri­to­rio si mostra­va per la pri­ma vol­ta come uni­tà poli­ti­ca ed espan­si­va.
Uni­tà poli­ti­ca che dove­va svi­lup­pa­re gli inte­res­si di clas­se e di lot­ta con­tro lo sfrut­ta­men­to, ricom­po­nen­do inten­si­va­men­te la nuo­va com­po­si­zio­ne del­la clas­se ope­ra­ia.
Uni­tà espan­si­va che dove­va per­cor­re­re la via dal­l’e­ster­no sul­l’in­ter­no del­la fab­bri­ca.
I disoc­cu­pa­ti orga­niz­za­ti che chie­de­va­no e otte­ne­va­no lavo­ro in fab­bri­ca, stu­den­ti e ope­rai neri che cir­con­da­va­no la fab­bri­ca, ope­rai dal 1° al 3° livel­lo che sco­pri­va­no che la fab­bri­ca non era un pri­vi­le­gio pro­fes­sio­na­le ma essa stes­sa un ghet­to di emar­gi­na­zio­ne: que­sti sono sta­ti i por­ta­to­ri del­la pri­ma gran­de onda­ta di ricom­po­si­zio­ne socia­le del­la clas­se.
Espel­le­re Lama dal­l’U­ni­ver­si­tà del lavo­ro nero fu per gli ope­rai rien­tra­re nel­la fab­bri­ca con l’in­te­rez­za del­l’in­te­res­se pro­le­ta­rio nel­la coscien­za. La secon­da fase di lot­ta è esten­si­va.
S’è svi­lup­pa­ta fra il 1977 e il 1978 con gran­de for­za.
È la fase del­la lot­ta con­tro il lavo­ro nero, la ter­ri­to­ria­liz­za­zio­ne del­l’in­su­bor­di­na­zio­ne del­l’o­pe­ra­io socia­le. Azio­ne di denun­cia ed azio­ne di con­tro­po­te­re si sono mesco­la­te con gran­de for­za in que­sto perio­do. Ma soprat­tut­to si è svol­ta qui un’a­zio­ne for­mi­da­bi­le di ricon­giun­gi­men­to del­le avan­guar­die.
Lo svi­lup­po ter­ri­to­ria­le del­la lot­ta ha inol­tre offer­to il ter­re­no pro­prio ed inso­sti­tui­bi­le del­la ricom­po­si­zio­ne del­l’o­pe­ra­io socia­le.
La ter­za fase del­la lot­ta è quel­la che mostra il pri­mo pro­ces­so di accer­chia­men­to del­la gran­de fab­bri­ca da par­te del­le avan­guar­die del­l’o­pe­ra­io socia­le.
Che que­sto avven­ga, come a Mila­no, con l’as­sem­blar­si del­le avan­guar­die ter­ri­to­ria­li del lavo­ro nero davan­ti alle por­te del­l’Al­fa, insie­me con­tro padro­ne e sin­da­ca­to cor­po­ra­ti­vo: o che avven­ga, come alla Rival­ta, nel­la fab­bri­ca-cit­tà pie­mon­te­se, attra­ver­so l’a­zio­ne del nuo­vo ope­ra­io di 2–3° livel­lo, del­l’o­pe­ra­io socia­le di fab­bri­ca, uni­co vero por­ta­to­re del­l’in­te­res­se gene­ra­le del pro­le­ta­ria­to, – poco cam­bia.
L’ac­cer­chia­men­to è l’ul­ti­ma indi­ca­zio­ne di un pro­ces­so che comin­cia a diven­ta­re rea­le den­tro la gran­de fab­bri­ca capi­ta­li­sti­ca; è il fuo­ri che diven­ta l’e­le­men­to fon­da­men­ta­le del­la lot­ta con­tro la gran­de fab­bri­ca del capi­ta­le.
La fase con­trat­tua­le che si apre, ma soprat­tut­to le lot­te che le avan­guar­die van­no a costrui­re in que­sto perio­do, rap­pre­sen­ta­no una quar­ta fase se con­si­de­ra­te rispet­to al pas­sa­to: in real­tà, rispet­to al pre­sen­te ed al futu­ro, si trat­ta di una pri­ma gran­de sca­den­za che por­ta tut­to il pro­le­ta­ria­to socia­le, inter­no ed ester­no alla fab­bri­ca, con­tro il dise­gno del­la ristrut­tu­ra­zio­ne mul­ti­na­zio­na­le e con­tro il pro­get­to di nuo­va divi­sio­ne inter­na­zio­na­le del lavoro.

3. COOPERAZIONE SOCIALE SOVVERSIVA CONTRO CORPORATIVISMO SINDACALE
L’o­biet­ti­vo stra­te­gi­co del­le avan­guar­die comu­ni­ste è la ricom­po­si­zio­ne del­la for­za ope­ra­ia al livel­lo del­l’at­tua­le coo­pe­ra­zio­ne pro­dut­ti­va, è il rove­scia­men­to sov­ver­si­vo del­le con­di­zio­ni di sfrut­ta­men­to oggi impo­ste dal capi­ta­le e dal suo pia­no.
Qua­li sono que­ste con­di­zio­ni? Sono quel­le di uno sfrut­ta­men­to socia­le che va a rim­pin­gua­re, gra­tis, le cas­se dei padro­ni del­l’in­du­stria, sono quel­le di un’ac­cu­mu­la­zio­ne socia­le che si svi­lup­pa sui tem­pi del­la pro­dut­ti­vi­tà azien­da­le ed è da que­sta coman­da­ta.
Allo Sta­to l’ac­cu­mu­la­zio­ne, alla socie­tà ope­ra­ia lo sfrut­ta­men­to, al capi­ta­le il coman­do.
Come si vede mai come oggi la con­trad­di­zio­ne fra for­ze pro­dut­ti­ve socia­li e rap­por­ti di pro­du­zio­ne capi­ta­li­sti­ci è diven­ta­ta pro­fon­da ed anta­go­ni­sti­ca. Il padro­ne ruba il lavo­ro fat­to in tut­ta la socie­tà, ruba la pro­dut­ti­vi­tà (poten­zia­le ed attua­le: scuo­la e scien­za) che si svi­lup­pa nel­la socie­tà, impo­ne costi gene­ra­li per il suo pro­prio svi­lup­po (ed è ruba­re di nuo­vo per la ter­za vol­ta).
Non con­ten­to di aver deter­mi­na­to que­sta scis­sio­ne, fra fab­bri­ca e socie­tà, oggi il padro­ne – anche in Ita­lia come già altro­ve – ten­ta di impor­ta­re nel­la fab­bri­ca e di sca­ri­ca­re sul­le gran­di mas­se del lavo­ro subor­di­na­to di fab­bri­ca lo stes­so model­lo di sfrut­ta­men­to socia­le del­la for­za lavo­ro (mobi­li­tà altis­si­ma, den­tro e dentro/​fuori la fab­bri­ca).
La fun­zio­ne del­le isti­tu­zio­ni sta­ta­li, ed in par­ti­co­la­re dal­l’i­sti­tu­zio­ne sin­da­ca­le, non è più – in que­sta situa­zio­ne – quel­la mer­can­ti­le clas­si­ca del­la ven­di­ta del­la for­za lavo­ro, ma quel­la cor­po­ra­ti­va – di stam­po auto­ri­ta­rio e fran­ca­men­te fasci­sta – del­l’or­ga­niz­za­zio­ne del lavo­ro per l’ac­cu­mu­la­zio­ne capi­ta­li­sta. Per que­sta accu­mu­la­zio­ne e non per altre.
La fun­zio­ne del­la divi­sio­ne del­l’as­so­cia­zio­ne coo­pe­ra­ti­va di tut­to il lavo­ro pro­dut­ti­vo è quin­di orga­ni­ca­men­te assun­ta dal­la cor­po­ra­zio­ne sin­da­ca­le.
L’in­te­res­se gene­ra­le del sin­da­ca­to è la divi­sio­ne del­la clas­se ope­ra­ia, secon­do le rego­le del­la pro­fes­sio­na­li­tà: vale a dire secon­do la rego­la del­la rap­pre­sen­tan­za per gli inte­res­si diret­ta­men­te col­le­ga­ti al coman­do sul­la coo­pe­ra­zio­ne socia­le. Di con­tro l’al­lar­ga­men­to del­la coo­pe­ra­zio­ne socia­le pro­dut­ti­va pre­sen­ta gran­di pos­si­bi­li­tà di lot­ta comu­ni­sta.
È obiet­ti­vo pri­ma­rio e fon­da­men­ta­le dei comu­ni­sti quel­lo di oppor­re l’or­ga­niz­za­zio­ne socia­le del­la coo­pe­ra­zio­ne pro­dut­ti­va, qua­le più alta for­za pro­dut­ti­va, al cor­po­ra­ti­vi­smo sin­da­ca­le e al socia­li­smo di Sta­to.
Non di allean­ze, par­la­no dun­que i lavo­ra­to­ri, ma del­la pos­si­bi­li­tà di mostra­re – con­tro gli attua­li rap­por­ti di pro­du­zio­ne – come la coo­pe­ra­zio­ne socia­le del lavo­ro per­met­ta di pro­ce­de­re ver­so alte rea­liz­za­zio­ni del pro­gram­ma comu­ni­sta: l’a­bo­li­zio­ne del lavo­ro sala­ria­to, l’or­ga­niz­za­zio­ne socia­le pro­gres­si­va del­l’a­bo­li­zio­ne del lavo­ro.
Nel­la nuo­va for­ma del­la coo­pe­ra­zio­ne socia­le il lavo­ro assu­me una ric­ca com­ples­si­tà – insie­me for­za intel­let­tua­le e scien­ti­fi­ca, capa­ci­tà di orga­niz­za­zio­ne e di pro­du­zio­ne mate­ria­le, lar­ga com­pe­ne­tra­zio­ne socia­le di fun­zio­ni -, che si trat­ta di orga­niz­za­re subi­to in for­ma sov­ver­si­va, nel­la rot­tu­ra di ogni con­nes­sio­ne pro­dut­ti­va di sfrut­ta­men­to che il capi­ta­le sca­ri­ca con­tro la clas­se ope­ra­ia.
Nel­la fab­bri­ca socia­le, così come nel­la gran­de fab­bri­ca, il con­te­nu­to comu­ni­sta del­la coo­pe­ra­zio­ne socia­le lavo­ra­ti­va deve subi­to mostrar­si nel­le for­me più alte ed aggres­si­ve: con­tro l’or­ga­niz­za­zio­ne pro­dut­ti­va, con­tro gli agen­ti sin­da­ca­li del­la divi­sio­ne di clas­se, con­tro l’or­ga­niz­za­zio­ne capi­ta­li­sti­ca del coman­do.
La posi­ti­vi­tà di con­te­nu­ti del­la lot­ta comu­ni­sta va sem­pre rite­nu­ta al cen­tro di ogni ini­zia­ti­va, sia nel­la for­ma che negli obiet­ti­vi del­la lot­ta. Il pun­to cen­tra­le sul qua­le insi­ste­re è la nuo­va for­ma del­la coo­pe­ra­zio­ne socia­le: la lot­ta deve mostrar­lo in tut­ta la sua potenza.

4. IL NUOVO MODELLO DI SFRUTTAMENTO NELLE PIATTAFORME CONTRATTUALI
Le piat­ta­for­me con­trat­tua­li pre­sen­ta­te dal sin­da­ca­to per la tor­na­ta ’78–79 sono pie­na­men­te coe­ren­ti con la linea EUR.
Que­sta linea è quel­la del­l’as­sor­bi­men­to cor­po­ra­ti­vo del sin­da­ca­to nel­lo svi­lup­po capi­ta­li­sti­co a que­sto livel­lo.
Due sono fon­da­men­tal­men­te gli obiet­ti­vi con­trat­tua­li del padro­ne di fab­bri­ca, uni­ti ad un obiet­ti­vo poli­ti­co.
Il pri­mo obiet­ti­vo con­trat­tua­le è quel­lo di garan­ti­re la pro­fes­sio­na­li­tà. Che cosa signi­fi­ca pro­fes­sio­na­li­tà in que­sto con­te­sto?
Signi­fi­ca divi­sio­ne del­la clas­se, signi­fi­ca assor­bi­men­to di uno sta­to ope­ra­io sul livel­lo del coman­do pro­dut­ti­vo, in una situa­zio­ne di pro­du­zio­ne ristrut­tu­ra­ta che vede da un lato l’og­get­ti­vi­tà del­la divi­sio­ne entra­ta e con­so­li­da­ta nel­la fab­bri­ca (linee robo­tiz­za­te ed in gene­ra­le stru­men­ti del coman­do auto­ma­ti­co), dal­l’al­tro la divi­sio­ne esten­der­si dal coman­do di fab­bri­ca, attra­ver­so la pro­fes­sio­na­li­tà, alla gran­de mas­sa del lavo­ro in fab­bri­ca, fuo­ri del­la fab­bri­ca, sul ter­re­no metro­po­li­ta­no e mul­ti­na­zio­na­le, – l’in­te­ra pia­ni­fi­ca­zio­ne capi­ta­li­sti­ca del mer­ca­to del lavo­ro fun­zio­na per la deter­mi­na­zio­ne del coman­do secon­do lo sche­ma del­la divi­sio­ne pro­fes­sio­na­le.
Ripa­ra­me­tra­zio­ne e bloc­co del sala­rio (come base per super­mi­ni­mi e pra­ti­che padro­na­li del sala­rio: secon­do la linea Eur il sala­rio è una varia­bi­le indi­pen­den­te del coman­do capi­ta­li­sti­co) fun­zio­na­no in que­sto sen­so.
Il secon­do obiet­ti­vo con­trat­tua­le del padro­ne è quel­lo del­la mobi­li­tà più supe­ra­ta.
Sot­to il IV livel­lo c’è for­za lavo­ro socia­le.
Que­sto rico­no­sci­men­to va uti­liz­za­to.
La coo­pe­ra­zio­ne socia­le allar­ga­ta va orga­niz­za­ta come mobi­li­tà, dal coman­do, per il coman­do.
Mobi­li­tà azien­da­le, infra­zien­da­le, set­to­ria­le, infra­set­to­ria­le, regio­na­le, metro­po­li­ta­na, nazio­na­le, mul­ti­na­zio­na­le: non di un eser­ci­to di riser­va (che deve comun­que paga­re) ma di un eser­ci­to mobi­le, adat­to per i suoi bli­tz ha biso­gno oggi il capi­ta­le.
A fian­co del­la for­za lavo­ro pro­fes­sio­na­liz­za­ta e cor­po­ra­ti­viz­za­ta (assun­ta per­ciò nel­la gerar­chia imme­dia­ta del coman­do pro­dut­ti­vo) il capi­ta­le vuo­le una gran­de mas­sa, un’e­nor­me mas­sa di for­za-lavo­ro mobi­le, dispo­ni­bi­le, coman­da­bi­le.
Mobi­li­tà con­trat­tua­le come pos­si­bi­li­tà di mobi­li­ta­zio­ne con­ti­nua per la guer­ra del pro­fit­to.
Que­sta mobi­li­ta­zio­ne è insie­me spa­zia­le e tem­po­ra­le. Il padro­ne ed il suo Sta­to e i suoi sin­da­ca­ti pre­ve­do­no una orga­niz­za­zio­ne mobi­le lun­go tut­ta la gior­na­ta lavo­ra­ti­va e sul­l’in­te­ra dimen­sio­ne spa­zia­le del­l’ac­cu­mu­la­zio­ne.
Lavo­ro straor­di­na­rio accan­to a lavo­ro decen­tra­to, ter­zo tur­no accan­to a lavo­ro nero.
Il sog­get­to pro­le­ta­rio nuo­vo deve esse­re orga­niz­za­to nel­l’e­sclu­si­vo coman­do di capi­ta­le.
La ten­sio­ne del rifiu­to del lavo­ro e del­l’au­to­va­lo­riz­za­zio­ne pro­le­ta­ria deve esse­re con­trol­la­ta, sus­sun­ta, rac­col­ta nel coman­do. Que­sti sono i ter­mi­ni del con­trat­to: una nuo­va orga­niz­za­zio­ne del­la for­za lavo­ro (del mer­ca­to del lavo­ro) den­tro la nuo­va divi­sio­ne inter­na­zio­na­le del lavo­ro, per l’e­sal­ta­zio­ne del­la mobi­li­tà spa­zia­le e tem­po­ra­le del­la for­za-lavo­ro, sot­to il coman­do degli stra­ti pro­fes­sio­na­liz­za­ti e cor­po­ra­ti­viz­za­ti secon­do linee ogget­ti­ve di ristrut­tu­ra­zio­ne tec­no­lo­gi­ca.
A que­sti due obiet­ti­vi con­trat­tua­li se ne aggiun­ge uno, fon­da­men­ta­le, poli­ti­co: que­sti con­trat­ti deb­bo­no affer­ma­re isti­tu­zio­nal­men­te il “pat­to socia­le”, l’ac­cor­do di pia­no e poli­ti­co su tut­te le dimen­sio­ni del­la pro­du­zio­ne e del­la ripro­du­zio­ne socia­li.
Con­trat­ti e pia­no Pan­dol­fi, con­trat­ti e pia­no trien­na­le, con­trat­ti e ristrut­tu­ra­zio­ne del­l’am­mi­ni­stra­zio­ne, con­trat­ti e defi­ni­ti­vo rico­no­sci­men­to del­le fun­zio­ni isti­tu­zio­na­li del sin­da­ca­to cor­po­ra­ti­vo e pro­fes­sio­na­le, sono la stes­sa cosa.
Il sin­da­ca­to ha accettato.

5. LA FUNZIONE DEI CONTRATTI PER LA RIORGANIZZAZIONE AUTORITARIA DELLO STATO
Il nes­so coe­ren­te che strin­ge il con­trat­to con la pro­po­sta di rior­ga­niz­za­zio­ne ammi­ni­stra­ti­va del­lo Sta­to mostra anco­ra una vol­ta qua­le sia il ter­re­no sul qua­le i padro­ni por­ta­no oggi il pro­ble­ma del­la pro­dut­ti­vi­tà: il ter­re­no del­l’ac­cu­mu­la­zio­ne socia­le; il ter­re­no poli­ti­co, il ter­re­no del coman­do.
L’in­te­ra socie­tà deve esse­re orga­niz­za­ta secon­do model­li di coman­do di fab­bri­ca: che vuol dire, da un lato la gran­de mas­sa degli ese­cu­to­ri sfrut­ta­ti – ma nel­lo stes­so tem­po uni­ci pro­dut­to­ri socia­li – dal­l’al­tro le orga­niz­za­zio­ni cor­po­ra­te del­la rac­col­ta del­le infor­ma­zio­ni e del­la tra­smis­sio­ne del coman­do, assie­me ai cor­pi spe­cia­li di repres­sio­ne e di rap­pre­sen­tan­za.
Il pro­ble­ma dei padro­ni è quel­lo di ren­de­re omo­ge­neo il regi­me di fab­bri­ca e quel­lo del­l’or­ga­niz­za­zio­ne socia­le e que­sti con­trat­ti 1979 sono uno dei momen­ti sui qua­li si pun­ta per costi­tui­re que­sta omo­ge­nei­tà.
Non è que­sto il luo­go per appro­fon­di­re que­sta tema­ti­ca: val solo la pena di sot­to­li­nea­re due con­se­guen­ze che l’or­ga­niz­za­zio­ne ope­ra­ia sa trar­re, e cioè:
a) il fat­to che sem­pre di più l’o­pe­ra­io mas­si­fi­ca­to del­l’in­du­stria si tro­va a lato come allea­to orga­ni­co non solo il lavo­ra­to­re socia­le dif­fu­so ma anche tut­ta la mas­sa degli ope­rai dei ser­vi­zi, del­la ripro­du­zio­ne, ecc.;

b) il fat­to che sem­pre di più il ter­re­no di ricom­po­si­zio­ne del lavo­ro ope­ra­io in gene­ra­le è quel­lo socia­le, è quel­lo ter­ri­to­ria­le, dove la som­ma degli stra­ti di clas­se com­pie un sal­to qua­li­ta­ti­vo ver­so un’u­ni­tà poli­ti­ca estre­ma­men­te alta e forte.

6. STRUMENTI DI ORGANIZZAZIONE PER IL CONTROPOTERE
La cosid­det­ta “oppo­si­zio­ne ope­ra­ia” non ha capi­to un caz­zo di tut­to que­sto. In real­tà si attri­bui­sce il nome di oppo­si­zio­ne ope­ra­ia ma è sem­pli­ce­men­te “oppo­si­zio­ne sin­da­ca­le”.
Essa s’è sem­pre mos­sa sul­la sem­pli­ce estre­miz­za­zio­ne del­le riven­di­ca­zio­ni: per crea­re appun­to una sini­stra dove c’è una destra, una linea Eur 2 davan­ti ad una linea Eur 1.
L’op­po­si­zio­ne sin­da­ca­le è un fat­to buro­cra­ti­co, del tut­to inter­no alla dia­let­ti­ca che nor­mal­men­te fa vive­re l’i­sti­tu­zio­ne.
Ma se un tem­po, quan­do la capa­ci­tà capi­ta­li­sti­ca di con­trol­lo non s’e­ra mobi­li­ta­ta al pun­to in cui lo è oggi, l’e­stre­mi­smo riven­di­ca­zio­ni­sta pote­va ave­re anco­ra un sen­so di rot­tu­ra, oggi non è più il caso.
L’ir­ri­gi­di­men­to del­la strut­tu­ra cen­tra­le del pote­re non lascia alcu­no spa­zio alle alter­na­ti­ve isti­tu­zio­na­li: comun­que l’al­ter­na­ti­va isti­tu­zio­na­le non cor­ri­spon­de in alcun sen­so alla spin­ta ricom­po­si­ti­va di clas­se, alle urgen­ze del­l’o­pe­ra­io socia­le.
Quan­do è one­sta e con­se­guen­te l’op­po­si­zio­ne sin­da­ca­le rin­via all’op­po­si­zio­ne par­la­men­ta­re: die­ci anni per crear­la, – se va bene.
Così come è sta­ta ruf­fia­na l’or­ga­niz­za­zio­ne attua­le del con­trol­lo (ideo­lo­giz­za­zio­ne, feti­ci­smo dei dele­ga­ti) nel­la fab­bri­ca, così la sini­stra sin­da­ca­le,
L’op­po­si­zio­ne sin­da­ca­le è ora com­pli­ce di un ulte­rio­re pas­sag­gio truf­fal­di­no nel­l’or­ga­niz­za­zio­ne del con­sen­so; pro­va a spin­ge­re gli ope­rai dal livel­lo del­la lot­ta di fab­bri­ca, dal­la dife­sa degli inte­res­si imme­dia­ti e veri, dal ten­ta­ti­vo di ricom­po­si­zio­ne con la for­za socia­le del lavo­ro pro­dut­ti­vo, a nuo­ve espe­rien­ze di media­zio­ne par­la­men­ta­re, di dele­ga, di solu­zio­ne demo­cra­ti­ci­sti­ca dei loro con­flit­ti.
Il gran rumo­re che è sta­to fat­to attor­no alle ulti­me ele­zio­ni dei con­si­gli è carat­te­ri­sti­co: ria­bi­tua­re i qua­dri del­l’a­van­guar­dia di fab­bri­ca, del pote­re ope­ra­io, a vota­re, per but­tar­li nel­le brac­cia di Pan­nel­la e Boa­to. È un dise­gno luri­do, – degno di Scal­fa­ri e Cra­xi.
Basta con que­sta spor­ci­zia, basta con que­ste truf­fe da quat­tro sol­di! La vera oppo­si­zio­ne ope­ra­ia è quel­la auto­no­ma, fon­da­ta sul­l’op­po­si­zio­ne ad ogni gene­re di dele­ga – tan­to più se è quel­la par­la­men­ta­re per indi­vi­dui e poli­ti­can­ti del­la “nuo­va sini­stra”.
Occor­re pun­ta­re l’in­chie­sta, l’a­gi­ta­zio­ne, l’i­ni­zia­ti­va mili­tan­te con­tro ogni ten­ta­ti­vo di rior­ga­niz­za­zio­ne ope­ra­ia posto in ter­mi­ni di con­tro­piat­ta­for­ma.
L’u­ni­co nostro pro­ble­ma è crea­re con­tro­po­te­re, è espri­me­re biso­gni e lot­te ope­ra­ie, riar­ti­co­lar­le sul­l’in­te­ra base del lavo­ro pro­dut­ti­vo, orga­niz­za­re momen­ti uni­ta­ri (attor­no alla fab­bri­ca così come sul ter­ri­to­rio) di espres­sio­ne ricom­po­sta del­l’o­pe­ra­io socia­le.
I comi­ta­ti di repar­to nel­la fab­bri­ca e i col­let­ti­vi ter­ri­to­ria­li pos­so­no e deb­bo­no mar­cia­re assie­me sul ter­re­no di un’al­ter­na­ti­va dif­fu­sa e con­ti­nua, nel­lo spa­zio e nel tem­po, di con­tro­po­te­re.
Mol­ti pun­ti di rot­tu­ra van­no crea­ti, costrui­ti, svi­lup­pa­ti, nel­la pro­spet­ti­va del­la loro uni­fi­ca­zio­ne stra­te­gi­ca.
Ma que­sta uni­fi­ca­zio­ne non può esse­re una con­tro­piat­ta­for­ma, 38 ore piut­to­sto di 40!
È ridi­co­lo!
Que­sta uni­fi­ca­zio­ne è il pro­gram­ma stra­te­gi­co del­lo svi­lup­po del­la lot­ta rivo­lu­zio­na­ria in Italia.

7. PROGRAMMA DI LOTTA NELLA FABBRICA E NELLA SOCIETÀ
Pos­sia­mo comin­cia­re a rias­su­me­re il pro­gram­ma di lot­ta nel­la fab­bri­ca come indi­ca­zio­ne di lot­ta nel medio perio­do.
Si trat­ta di lavo­ra­re a fon­do per la ricom­po­si­zio­ne del­la for­za del­l’o­pe­ra­io socia­le, per la defi­ni­zio­ne del suo pro­get­to poli­ti­co gene­ra­le.
È neces­sa­rio quin­di:

A) da un pun­to di vista pole­mi­co, di lot­ta e di demi­sti­fi­ca­zio­ne, bat­te­re tut­te le posi­zio­ni che, come l’op­po­si­zio­ne sin­da­ca­le, ten­ta­no di tira­re la lot­ta den­tro piat­ta­for­me o con­tro­piat­ta­for­me, oppu­re, come è avve­nu­to in cer­ti set­to­ri del­la lot­ta auto­no­ma (ospe­da­lie­ri), ten­ta­no di recin­ta­re inte­res­si set­to­ria­li sen­za la capa­ci­tà di tra­sfor­mar­li in leve per la lot­ta gene­ra­le.

B) da un pun­to di vista posi­ti­vo, di lot­ta e di pro­po­sta, è neces­sa­rio pun­ta­re a momen­ti di ricom­po­si­zio­ne orga­niz­za­ti­va del­l’o­pe­ra­io socia­le. Pri­ma di tut­to in fab­bri­ca.
Qui gli obiet­ti­vi abbon­da­no, ma van­no sem­pre con­si­de­ra­ti in ter­mi­ni di for­za: obiet­ti­vi con­tro la gerar­chia, obiet­ti­vi mate­ria­li impian­ta­ti sul­la imme­dia­tez­za dei biso­gni ope­rai; ter­mi­ni di for­za che van­no ripor­ta­ti sem­pre alla con­ti­nui­tà del pro­get­to orga­niz­za­ti­vo e di pote­re.
In pro­po­si­to va for­te­men­te sot­to­li­nea­ta la neces­si­tà di ricon­qui­sta­re spa­zi poli­ti­ci di dibat­ti­to, auto­no­mi, e la neces­si­tà di coor­di­na­re le azio­ni di repar­to in for­ma pub­bli­ca e sem­pre più gene­ra­le.
Obiet­ti­vi e spa­zi costi­tui­sco­no la sin­te­si del con­tro­po­te­re in fab­bri­ca, inte­so oggi insie­me a con­tra­sta­re il defi­ni­ti­vo sta­bi­liz­zar­si di con­trat­to sin­da­ca­le e ristrut­tu­ra­zio­ne padro­na­le, e a met­te­re in movi­men­to strut­tu­re orga­niz­za­ti­ve, ade­gua­te, con­ti­nue, radi­ca­te.
Ma l’i­ni­zia­ti­va non può esse­re chiu­sa nel­la fab­bri­ca.
È la stes­sa lot­ta di fab­bri­ca che por­ta ver­so la lot­ta ester­na.
Il ter­re­no del­l’u­ni­tà ope­ra­ia deve sten­der­si den­tro e fuo­ri la fab­bri­ca.
Il pro­ble­ma del­l’oc­cu­pa­zio­ne (non del­la disoc­cu­pa­zio­ne quan­to del lavo­ro pro­dut­ti­vo socia­le, non garan­ti­to, ecc.), il pro­ble­ma dei prez­zi, sia del­le mer­ci che dei ser­vi­zi, e quin­di le poli­ti­che restrit­ti­ve del­la spe­sa pub­bli­ca, – tut­ti que­sti obiet­ti­vi visti in ter­mi­ni di destrut­tu­ra­zio­ne ed appro­pria­zio­ne deb­bo­no costi­tui­re il tra­mi­te del pas­sag­gio dal­la fab­bri­ca al ter­ri­to­rio, e vice­ver­sa.
Mai come oggi il pro­get­to capi­ta­li­sti­co di domi­nio sul lavo­ro pro­dut­ti­vo socia­le s’è pre­sen­ta­to con tan­ta coe­ren­za: la divi­sio­ne attor­no al III livel­lo in fab­bri­ca è cor­ri­spet­ti­vo del­la mobi­li­tà sel­vag­gia e non garan­ti­ta del­la for­za lavo­ro nel ter­ri­to­rio, lo svuo­ta­men­to del sala­rio è cor­ri­spet­ti­vo del­la poli­ti­ca di restrin­gi­men­to o di stroz­za­men­to del­la spe­sa pub­bli­ca, l’in­fla­zio­ne è il cor­ri­spet­ti­vo del­l’e­mar­gi­na­zio­ne poli­ti­ca di lar­ghi stra­ti pro­le­ta­ri.
Il tut­to è attra­ver­sa­to dal­la strut­tu­ra isti­tu­zio­na­le che vede all’o­pe­ra Sta­to, padro­ni e sin­da­ca­ti in manie­ra del tut­to coe­ren­te.
Strut­tu­ra defi­ni­ti­va ed irre­ver­si­bi­le, ele­men­to pro­prio del­la for­ma del­lo Sta­to.
Rom­pe­re tut­to que­sto attra­ver­so l’u­ni­tà del fron­te ricom­po­sto di clas­se è il nostro sco­po. Uno sco­po stra­te­gi­co, – fon­da­re l’u­ni­tà comu­ni­sta di tut­to il lavo­ro sala­ria­to, di tut­to il lavo­ro pro­dut­ti­vo socia­le per per­met­te­re la libe­ra­zio­ne ed una rior­ga­niz­za­zio­ne socia­le ade­gua­ta alla for­za pro­dut­ti­va del lavo­ro asso­cia­to; uno sco­po stra­te­gi­co che oggi si trat­ta di pro­va­re con gran­de inten­si­tà sul­lo sno­do tat­ti­co che i con­trat­ti e il con­so­li­da­men­to del­la nuo­va for­ma Sta­to pro­du­co­no.
Attor­no a que­sto pas­sag­gio misu­ria­mo la pos­si­bi­li­tà di tene­re aper­ta la via rivo­lu­zio­na­ria in Italia.

8. DIMENSIONE INTERNAZIONALE DELLA LOTTA IN CORSO: CONTRO LO SME
Lo scon­tro che ci pro­po­nia­mo è uno scon­tro di pote­re.
La stra­te­gia del­la ristrut­tu­ra­zio­ne ita­lia­na è gui­da­ta dal­le mul­ti­na­zio­na­li ed ha la sua pri­ma e fon­da­men­ta­le col­lo­ca­zio­ne ope­ra­ti­va nel qua­dro del­lo SME. SME signi­fi­ca livel­li di pro­dut­ti­vi­tà lega­ti alle dimen­sio­ni del­lo sfrut­ta­men­to in Euro­pa, signi­fi­ca quan­ti­tà di ristrut­tu­ra­zio­ne pro­dut­ti­va e di rea­zio­ne poli­ti­ca com­mi­su­ra­ti al gra­do di domi­nio del più retri­vo capi­ta­le inter­na­zio­na­le (quel­lo fran­co-tede­sco).
SME signi­fi­ca coman­do diret­to, ammi­ni­stra­ti­vo, del gran­de capi­ta­le mon­dia­le su tut­te le dimen­sio­ni del rap­por­to di clas­se.
Attac­ca­re sui con­trat­ti (che evi­den­te­men­te costi­tui­sco­no un sem­pli­ce inne­sco) ed in gene­ra­le difen­de­re e pro­muo­ve­re i livel­li di auto­va­lo­riz­za­zio­ne del pro­le­ta­ria­to ita­lia­no signi­fi­ca rom­pe­re con lo SME. Signi­fi­ca rom­pe­re con l’Eu­ro­pa dei padro­ni.
Noi sia­mo comu­ni­sti, quin­di inter­na­zio­na­li­sti per prin­ci­pio, sia­mo anche euro­pei­sti nel­la misu­ra nel­la qua­le come ope­rai ci rico­no­scia­mo fra­tel­li di tut­ti i lavo­ra­to­ri bian­chi e neri del­l’Eu­ro­pa: ma l’Eu­ro­pa dei padro­ni è la più schi­fo­sa real­tà che il capi­ta­le abbia pro­dot­to.
Solo il PCI e Pan­nel­la pote­va­no accet­tar­la.
In un’e­po­ca in cui il mon­do sta cam­bian­do, in cui l’e­roi­ca lot­ta dei popo­li sfrut­ta­ti ha distrut­to Yal­ta e l’as­set­to da que­sta data al mon­do, in que­st’e­po­ca noi rifiu­tia­mo il ricat­to del padro­ne euro­peo.
Rom­pe­re sui con­trat­ti, man­te­ne­re il livel­lo di auto­va­lo­riz­za­zio­ne del pro­le­ta­ria­to ita­lia­no, distrug­ge­re l’il­lu­sio­ne di un nuo­vo livel­lo di equi­li­brio rifor­mi­sti­co e livel­lo euro­peo, è rom­pe­re con lo SME.
È assu­me­re, den­tro la fase dei con­trat­ti – in pri­ma linea – una nuo­va linea inter­na­zio­na­li­sti­ca ed un nuo­vo pro­get­to rivo­lu­zio­na­rio di pote­re.
Il con­trat­tua­li­smo non è fini­to solo nel­le fab­bri­che.
È fini­to in ogni aspet­to del­la vita ope­ra­ia.
Orga­niz­za­zio­ne, con­tro­po­te­re, comu­ni­smo sono le nostre paro­le d’or­di­ne e la nostra tene­ra speranza.

Toni Negri

Da «Magaz­zi­no», n. 1, Gen­na­io 1979

DA MARX A HEGEL E VICEVERSA

Nul­la da dire: Cac­cia­ri ci pren­de. Nell’ ”opu­sco­lo mar­xi­sta” (n. 25, ora pub­bli­ca­to da Fel­tri­nel­li: Dia­let­ti­ca e cri­ti­ca del poli­ti­co.
Sag­gio su Hegel) egli rias­su­me nel modo miglio­re un equi­li­bra­to e cen­tra­to giu­di­zio sul­la filo­so­fia del­lo Sta­to di Hegel.
Un filo­ne sto­rio­gra­fi­co e cri­ti­co, da Rosen­z­weig a Bodei, ave­va det­to le stes­se cose, con mino­re enfa­si ma con altret­tan­to rigo­re: “Il meto­do hege­lia­no nel­l’af­fron­ta­re l’ar­ca­no (del­lo Sta­to) è radi­ca­le.
Non sol­tan­to egli non rispon­de al pro­ble­ma ridu­cen­do imme­dia­ta­men­te la con­trad­di­zio­ne ad uno dei suoi ter­mi­ni, ma affer­ma che entram­bi i momen­ti devo­no esi­ste­re nel pie­no del­la loro for­za, van­no svi­lup­pa­ti radi­cal­men­te”, (p. 16) Lo Sta­to hege­lia­no dun­que non nega ma con­tie­ne il nega­ti­vo, non è il supe­ra­men­to ma è il momen­to di pro­du­zio­ne del supe­ra­men­to.
La vicen­da teo­ri­ca del­lo Sta­to hege­lia­no è una con­ti­nua pre­mes­sa del­la sua deter­mi­na­zio­ne sto­ri­ca: l’ar­ca­no del­lo Sta­to è la sua effet­tua­le tra­sfor­ma­bi­li­tà.
La tra­sfor­ma­bi­li­tà del­lo Sta­to ne rap­pre­sen­ta la legit­ti­ma­zio­ne. Cer­to: la figu­ra del­lo Sta­to hege­lia­no è figu­ra stret­ta­men­te rica­va­ta sul­lo svi­lup­po del­la rivo­lu­zio­ne bor­ghe­se. “In altri ter­mi­ni: il pro­ble­ma riguar­da il rap­por­to tra for­ma spe­ci­fi­ca del­la “rivo­lu­zio­ne” bor­ghe­se del rap­por­to socia­le e la sua (pos­si­bi­le) for­ma-Sta­to, la trans-for­ma­zio­ne del­la “rivo­lu­zio­ne” del rap­por­to socia­le in Sta­to, del pote­re del sog­get­to emer­gen­te da tale “rivo­lu­zio­ne”, nel­la sua ina­lie­na­bi­le e irre­ver­si­bi­le liber­tà, in orga­ni­smo nor­ma­ti­vo, isti­tu­zio­na­le.
Que­sta trans-for­ma­zio­ne deve fon­dar­si sul­la natu­ra spe­ci­fi­ca di quel pote­re – cioè, la for­ma-Sta­to moder­na deve legit­ti­mar­si sul fon­da­men­to del­la natu­ra spe­ci­fi­ca del­la rivo­lu­zio­ne bor­ghe­se: la for­ma di tale rivo­lu­zio­ne inten­de la for­ma-Sta­to, la Auf-hebung del sog­get­to la pro­du­ce” (ivi, pag. 27).
L’a­na­li­si di Cac­cia­ri va bene a fon­do su que­sto tema. La reim­mis­sio­ne del nega­ti­vo nel­la defi­ni­zio­ne del pen­sie­ro filo­so­fi­co hege­lia­no sul­lo Sta­to costi­tui­sce il pun­to feli­ce del­l’a­na­li­si.
Pro­ba­bil­men­te sareb­be sta­to più uti­le a dimo­strar­lo la ripre­sa degli scrit­ti di Hegel sul Reform­bill del 1831, oppu­re di altri scrit­ti più matu­ri, lad­do­ve la figu­ra del nega­ti­vo e del­la sua costi­tu­zio­na­liz­za­zio­ne è asso­lu­ta­men­te chia­ra.
Men­tre inve­ce il richia­mo che fa Cac­cia­ri alla tema­ti­ca del Pòbel (ple­be, popo­lac­cio) sem­bra risen­ti­re da un lato del­la fan­ta­sia inter­pre­ta­ti­va che è tipi­ca del­l’au­to­re, dal­l’al­tro di una for­se incon­sa­pe­vo­le ma chia­ra ascen­den­za cro­cia­na (Pòbel come Leben­di­g­keit, ossia vita­li­tà, ossia espres­sio­ne ele­men­ta­re del­l’e­co­no­mi­co nel­la dia­let­ti­ca dei distin­ti – pag. 47).
Hegel dun­que non è un rea­zio­na­rio.
Le inter­pre­ta­zio­ni del­la destra, così come quel­le del­la sini­stra, sono inter­pre­ta­zio­ni par­zia­li e fon­da­men­tal­men­te erra­te.
Lo Sta­to in Hegel è un ente costi­tu­zio­na­le, è la nega­zio­ne del clas­si­co, del­l’o­mo­ge­neo, del con­ti­guo. Il suo Sta­to è la pos­si­bi­li­tà di con­te­ni­men­to dei rap­por­ti socia­li con­trad­di­to­ri, eppu­re anche la pos­si­bi­li­tà di supe­ra­men­to del­la alie­na­zio­ne. L’ ”Hegel poli­ti­co” è il gran­de espe­ri­men­to di que­sta pos­si­bi­li­tà: lo Sta­to sì pro­du­ce come sepa­ra­to, come Auto­no­mia – ma tale Auto­no­mia è pro­du­zio­ne del sog­get­to come fon­da­men­to, del sog­get­to come sostan­za.
Il sog­get­to, com­pre­so razio­nal­men­te come fon­da­men­to, pro­du­ce la for­ma auto­no­ma del­lo Sta­to. Poli­ti­co è appun­to que­sto ope­ra­re del sog­get­to – ope­ra­re sui gene­ris: poli­ti­co è la dimen­sio­ne del pro­dur­re il sepa­ra­to, l’au­to­no­mo, come pro­dur­re, ex pri­me­re, la pro­pria sog­get­ti­vi­tà in quan­to sostan­zia­li­tà. In tale dimen­sio­ne il movi­men­to del­la alie­na­zio­ne si tra­sfor­ma in movi­men­to di affer­ma­zio­ne del sog­get­to, di libe­ra­zio­ne-rico­no­sci­men­to del fon­da­men­to del sog­get­to” (pag. 73). È inte­res­san­te que­sta let­tu­ra. A par­te la sua cor­ret­tez­za filo­lo­gi­ca sor­ge un pri­mo pro­ble­ma: come nasce que­sto testo nel­l’e­spe­rien­za del­l’au­to­re? Nasce, secon­do me, dal­la cri­si del meto­do di Kri­sis.
Nel­la sua esa­spe­ra­zio­ne ideo­lo­gi­ca quel meto­do non pote­va tene­re: anda­va fon­da­to o sul sog­get­to pro­le­ta­rio o, con rea­li­smo (?), sul­la socie­tà, su quel­la socie­tà che si fa Sta­to. Cac­cia­ri lo rico­no­sce: il pen­sie­ro nega­ti­vo ha con­si­de­ra­to Hegel un “paz­zo per lo Sta­to” ed ha nega­to la pos­si­bi­li­tà di un Poli­ti­co dia­let­ti­co.
Il pen­sie­ro nega­ti­vo ha con­dot­to la dia­let­ti­ca ver­so il rove­scia­men­to, l’an­ta­go­ni­smo e il dislo­ca­men­to. Nei con­fron­ti del­lo Sta­to tut­to ciò non può esse­re det­to. Più equi­li­bra­to di Nie­tzsche, Hegel ha trat­te­nu­to la con­trad­di­zio­ne nel­la tra­sfor­ma­zio­ne.
La ragio­ne­vo­le ideo­lo­gia di Cac­cia­ri sa ora pie­gar­si a que­sto rico­no­sci­men­to. Dopo aver rivol­ta­to il meto­do del­la Kri­sis con­tro il sog­get­to, dopo aver­ne fat­to un mez­zo per la nega­zio­ne del sog­get­to anzi­ché (come dovu­to) per la sua esal­ta­zio­ne pro­le­ta­ria, l’i­deo­lo­gia ragio­ne­vo­le rifon­da siste­ma­ti­ca­men­te il qua­dro del­la tota­li­tà: la dia­let­ti­ca ritor­na ad esse­re cir­co­la­re e teleo­lo­gi­ca.
Esat­ta­men­te come in Prou­d­hon: la tra­sfor­ma­bi­li­tà è la veri­tà del­la dia­let­ti­ca. Il para­dos­so che segue sareb­be rigo­ro­so se non fos­se comi­co: chi par­la di distru­zio­ne del­lo Sta­to cadreb­be nel­la “mise­ria” del mar­xi­smo. Ogni affer­ma­zio­ne di una dia­let­ti­ca che si svol­ge ver­so l’an­ta­go­ni­smo fareb­be par­te di un discor­so orga­ni­ci­sti­co-sta­to­la­tra!
Così la pen­sa Cac­cia­ri il qua­le, appre­stan­do­si a vota­re il pia­no Pan­dol­fi, ritie­ne che Agno­li, Offe, e O’Con­nor sia­no sta­to­la­tri (p. 54).
Cosa inde­cen­te è piut­to­sto star­naz­za­re a coman­do dì Bob­bio e simi­li: fin­ché c’è con­flit­to c’è lo Sta­to, lo Sta­to c’è fin­ché c’è con­flit­to, ren­dia­mo costi­tu­zio­na­li l’u­no e l’al­tro, garan­tia­mo­ne la con­si­sten­za e la per­ma­nen­za. Se poi c’è un “resto di nega­ti­vo dia­let­ti­ca­men­te insu­pe­ra­to” e se il supe­ra­men­to “non può com­pren­de­re que­sto risul­ta­to del siste­ma dei biso­gni”, bene, non biso­gna ideo­lo­giz­za­re: basta la poli­zia (“che Hegel inten­de evi­den­te­men­te come for­ma di gover­no nel­la socie­tà civi­le, non come sem­pli­ce orga­ni­smo di appli­ca­zio­ne repres­si­va del­la leg­ge”, pag. 37). Esat­ta­men­te la stes­sa inter­pre­ta­zio­ne di un gran­de allie­vo di Hegel, Lorenz von Stein, che, pri­ma di tra­sfor­ma­re la Poli­zei­wis­sen­schaft set­te­cen­te­sca e di fon­da­re la moder­na scien­za del­l’am­mi­ni­stra­zio­ne, fece per anni il suo novi­zia­to come infil­tra­to del­la poli­zia prus­sia­na a Pari­gi, nel “nega­ti­vo dia­let­ti­ca­men­te insu­pe­ra­to”, cioè nel grup­po di Marx e dei suoi com­pa­gni. A chi gio­va? Ridi­scen­dia­mo da. que­ste subli­mi altez­ze alla mise­ria del dibat­ti­to cul­tu­ra­le inter­no al PCI e, rime­sco­lan­do i fon­di del caf­fè, fac­cia­mo qual­che con­get­tu­ra. A me, que­sto pro­He­gel, que­sto anti-Nie­tzsche sem­bra sola­men­te un anti-Tron­ti. «Hegel dispie­ga le ragio­ni alle qua­li deve sot­to­sta­re la razio­na­li­tà del­lo Sta­to con­tem­po­ra­neo, del­lo Sta­to del­la socie­tà bor­ghe­se in quan­to epo­cal­men­te distin­ta dal­la civil socie­ty degli ini­zi del­la filo­so­fia bor­ghe­se del­la sto­ria”.
Come “si chiu­de” que­sta dimo­stra­zio­ne? Come può “chiu­der­si”?
Come legit­ti­ma­re la vio­len­za del­lo Sta­to con­tem­po­ra­neo “de-sacra­liz­za­to”? “de-teo­lo­giz­za­to”?
Come assu­mer­ne dia­let­ti­ca­men­te le divi­sio­ni di lavo­ro e di clas­se?
Come supe­rar­ne il nihi­li­smo e pro­por­ne come Valo­re la strut­tu­ra orga­niz­za­ti­va?
Come inten­der­ne la neces­sa­ria auto­no­mia e, insie­me, il suo esse­re pro­du­zio­ne del­la dia­let­ti­ca del­l’au­to­co­scien­za nel­la liber­tà?
È sul­lo sfon­do di que­ste doman­de che ha luo­go il con­fron­to del “pen­sie­ro nega­ti­vo” con Hegel.
E sono que­ste doman­de a veni­re sem­pre dimen­ti­ca­te allor­ché si camuf­fa Hegel da sem­pli­ce Real­po­li­ti­ker, o da mero com­pi­men­to del­la linea Machia­vel­li-Hob­bes in nome di equi­vo­ci pri­ma­ti del Poli­ti­co» (sovra­co­per­ta p. 4). Cac­cia­ri attac­ca dun­que “l’au­to­no­mia del poli­ti­co”, ridi­scen­de da Marx a Hegel per affer­ma­re la dia­let­ti­ca fra socie­tà civi­le e Sta­to, nega il subli­me.
Per­so­nal­men­te non ho avu­to mai nes­sun affet­to per l’ ”auto­no­mia del poli­ti­co” e le sue teo­rie, dovreb­be quin­di far­mi pia­ce­re que­sta démar­che di Cac­cia­ri: e inve­ce no, è solo una regres­sio­ne, qua­si gram­scia­na. L’ ”auto­no­mia del poli­ti­co” di Tron­ti è un sal­to irrea­li­sti­co in avan­ti, è il cini­smo leni­ni­sta ripro­po­sto, è l’il­lu­sio­ne di un uso del­lo Sta­to per la clas­se ope­ra­ia, ma è anche una for­mi­da­bi­le appli­ca­zio­ne, par­zia­le quan­to si vuo­le ma rigo­ro­sa, del­la dia­let­ti­ca del nega­ti­vo, è in buo­na sostan­za il rifiu­to di ogni meto­do­lo­gia hege­lia­na o rifor­mi­sti­ca.
Se tut­to ciò è peri­co­lo­so e irrea­li­sti­co, non è cer­to meno impor­tan­te: effet­ti mise­ra­bi­li discen­de­va­no dal­l’of­fer­ta che la teo­ria face­va di se stes­sa all’u­so del PCI! Ma nes­sun pun­to di vista ope­ra­io e mar­xi­sta può esclu­de­re dal pro­prio oriz­zon­te la radi­ca­le discon­ti­nui­tà di quel pro­get­to, né nel­la for­ma del­l’au­to­no­mia del poli­ti­co, né nel­la for­ma del­la meto­do­lo­gia di Kri­sis.
In ciò con­si­ste­va l’im­por­tan­za del­l’i­po­te­si di Tron­ti: un’i­po­te­si da attac­ca­re poli­ti­ca­men­te ma da assu­me­re teo­ri­ca­men­te nel dibat­ti­to.
L’He­gel fal­so di Tron­ti è per­ciò infi­ni­ta­men­te più inte­res­san­te del­l’­He­gel vero di Cac­cia­ri: qui il cor­to­cir­cui­to è tota­le e la misti­fi­ca­zio­ne asso­lu­ta. * * * Chis­sà per­chè (pro­ba­bil­men­te solo la con­tem­po­ra­nei­tà del­la let­tu­ra), ma si sem­bra inte­res­san­te inse­ri­re qui qual­che nota su Simon Nora/​Alain Minc, L’in­for­ma­ti­sa­tion de la Socie­té (La Docu­men­ta­tion Fran­cai­se, Paris, 1978). Cer­to, scen­dia­mo dal­le bana­li­tà del pen­sie­ro nie­tzschea­no agli abis­si di quel­lo di Woo­dy Alien: comun­que si trat­ta di un rap­por­to pre­sen­ta­to a Giscard d’E­staing da “due illu­stri diret­to­ri gene­ra­li del­le Finan­ze” ed è un libro tal­men­te ric­co di sol­le­ci­ta­zio­ni che dif­fi­cil­men­te puoi tra­scu­ra­re, una vol­ta che ti sia cadu­to fra le mani. Da Marx a Hegel, inclu­sio­ne del­la nega­ti­vi­tà e tra­sfor­ma­bi­li­tà del­lo Sta­to: que­sti signo­ri ci pen­sa­no in con­cre­to. Qua­li sono le con­se­guen­ze che com­por­ta l’in­for­ma­ti­ca nel­la sua gene­ra­le appli­ca­zio­ne alla gestio­ne del­lo Sta­to e del­la socie­tà? Lo spi­ri­to si fa velo­ce­men­te rea­le, mac­chi­na addi­rit­tu­ra, tan­to velo­ce­men­te che sia­mo ormai in gra­do di misu­ra­re la com­pa­ti­bi­li­tà dei pro­get­ti del­le varie par­ti socia­li e di appros­si­mar­ne la con­si­de­ra­zio­ne in tem­po rea­le. La fles­si­bi­li­tà del con­trol­lo siste­ma­ti­co divie­ne la leg­ge riso­lu­ti­va di ogni anta­go­ni­smo poten­zia­le; l’u­ni­tà del­lo svi­lup­po socia­le è garan­zia del­la sua arti­co­la­zio­ne. L’ap­pli­ca­zio­ne del­l’in­for­ma­ti­ca al con­trol­lo socia­le attra­ver­so il suo inne­sto sui cir­cui­ti di tele­co­mu­ni­ca­zio­ne, la for­ma­zio­ne per­ciò di un oriz­zon­te tele­ma­ti­co, può per­met­te­re, secon­do gli auto­ri, di rispon­de­re alla serie di pro­ble­mi e di rischi che risor­go­no attor­no ai tre gran­di com­ples­si (per dir­la con Nora ma già con Offe) del­l’e­qui­li­brio eco­no­mi­co, del con­sen­so socia­le e del­l’in­di­pen­den­za nazio­na­le. Ma basta con l’a­po­lo­gia: d’al­tra par­te è anche quel­lo che fa Nora. Il suo pro­ble­ma non è quel­lo di costrui­re una nuo­va uto­pia del­la auto­ma­zio­ne socia­le ma piut­to­sto quel­lo di ana­liz­za­re i pro­gres­si del­l’au­to­ma­zio­ne socia­le in ter­mi­ni poli­ti­ci. Il suo pro­ble­ma è da un lato quel­lo di for­ni­re indi­ca­zio­ni per­ché lo Sta­to fran­ce­se pos­sa attrez­zar­si di stru­men­ti tele­ma­ti­ci e di satel­li­ti, per poter­ne difen­de­re l’in­di­pen­den­za con­tro le mul­ti­na­zio­na­li (inge­nuo quan­to gene­ro­so pro­get­to da nuo­vo filo­so­fo!), dal­l’al­tro quel­lo di garan­ti­re un qua­dro den­tro il qua­le il siste­ma dei pote­ri di una socie­tà cosid­det­ta demo­cra­ti­ca pos­sa man­te­ner­si. Vale a dire che il siste­ma infor­ma­ti­co deve esse­re con­trol­la­to dal­lo Sta­to ed esse­re mes­so in gra­do di deter­mi­na­re dal suo inter­no orga­niz­za­zio­ne, gerar­chia, dipen­den­ze ed esclu­sio­ni. Il siste­ma infor­ma­ti­co divie­ne la chia­ve del con­trol­lo del­la ripro­du­zio­ne del­la socie­tà. Divie­ne dun­que una del­le for­me fon­da­men­ta­li nel­le qua­li si svi­lup­pa il coman­do del­lo Sta­to, non come mera repres­sio­ne, anzi, come pos­si­bi­li­tà ela­sti­ca di con­te­ne­re il nega­ti­vo, di pro­muo­ve­re gli equi­li­bri in for­ma ade­gua­ta al con­te­ni­men­to del­le rot­tu­re, ecc. Nasco­no in pro­po­si­ti alcu­ni impor­tan­ti pro­ble­mi. Il pri­mo riguar­da la natu­ra pro­dut­ti­va del­l’at­ti­vi­tà infor­ma­ti­ca. Negli Anné­xes del volu­me di Nora (si trat­ta di quat­tro volu­mi cura­ti dal­l’Ad­mi­ni­stra­tion fran­ce­se) il pro­ble­ma del­la valu­ta­zio­ne quan­ti­ta­ti­va degli effet­ti del­l’in­for­ma­ti­ca sugli equi­li­bri macroe­co­no­mi­ci vie­ne lar­ga­men­te docu­men­ta­to, con rife­ri­men­to ad alcu­ni impor­tan­ti con­tri­bu­ti giap­po­ne­si ed ame­ri­ca­ni, ma sostan­zial­men­te lascia­to cade­re. Non così avvie­ne attor­no al secon­do pro­ble­ma: che è quel­lo, fon­da­men­ta­le, del rap­por­to fra modi­fi­ca­zio­ni del siste­ma di gover­no del­l’e­co­no­mia e del­la socie­tà e com­po­si­zio­ne del­la clas­se pro­le­ta­ria. Qui l’i­deo­lo­gia si fa, rie­sce a far­si mac­chi­na sta­ta­le, effet­ti­va capa­ci­tà di pre­fi­gu­ra­zio­ne. Ora com­pren­dia­mo anche per­ché il pri­mo pro­ble­ma sia sta­to fat­to cade­re: per­chè l’ef­fi­ca­cia eco­no­mi­ca è qui com­ple­ta­men­te subor­di­na­ta all’ef­fi­ca­cia poli­ti­ca, – e cioè alla capa­ci­tà che il con­trol­lo infor­ma­ti­co offre di disin­te­gra­re i gran­di poli di clas­se del­le socie­tà con­tem­po­ra­nee, di costrui­re e con­trol­la­re una socie­tà mul­ti­po­la­re, con un’in­fi­ni­tà di con­flit­ti decen­tra­ti, disar­ti­co­la­ti, ecc. L’i­deo­lo­gia si fa dun­que diret­ta­men­te mac­chi­na sta­ta­le, stra­te­gia di divi­sio­ne e di rias­sun­zio­ne con­trol­la­ta e fun­zio­na­le dei con­flit­ti. Nora lamen­ta che la coscien­za sta­ta­le non sia anco­ra pro­ce­du­ta sino a que­sto livel­lo di matu­ri­tà. La dia­let­ti­ca non è anco­ra entra­ta nel­la testo­na di quei buro­cra­ti repub­bli­ca­ni! Pre­sto tut­ta­via ci entre­rà: in Fran­cia come in Ita­lia, anche se da noi la leg­ge 675 (sul­l’in­for­ma­ti­ca) fa un pove­ro effet­to dinan­zi al pia­no Nora. Ma non è che un ini­zio, si può ben spe­ra­re: lascia­te fare a Cac­cia­ri. In ter­zo luo­go, tut­ta­via, va con­si­de­ra­to un pro­ble­ma non del tut­to secon­da­rio: ed è il fat­to che l’in­for­ma­ti­ca fun­zio­na sul­l’in­for­ma­zio­ne, che la gestio­ne pre­fi­gu­ra­ti­va del­l’e­qui­li­brio deve comun­que, a val­le, scon­trar­si con il dise­qui­li­brio. È ben vero che a que­sto pro­po­si­to il modo di pro­du­zio­ne capi­ta­li­sti­co, avvian­do­si ad entra­re nel­la fase infor­ma­ti­ca, ha ten­ta­to di orga­niz­za­re il pro­ces­so lavo­ra­ti­vo in manie­ra ade­gua­ta: inse­ren­do nel­la fab­bri­ca gli agen­ti del­l’in­for­ma­zio­ne a tut­ti i livel­li del­la cate­na di pro­du­zio­ne, uti­liz­zan­do le media­zio­ni poli­ti­che degli ope­rai per far­ne pun­ti di spio­nag­gio (attra­ver­so la col­la­bo­ra­zio­ne del sin­da­ca­to); disar­ti­co­lan­do, d’al­tra par­te, la pro­du­zio­ne e dif­fon­den­do­la fuo­ri dal­la fab­bri­ca in modo da poter­la – esso solo, il capi­ta­le – ricom­por­re e met­ten­do in atto un siste­ma poli­ti­co di infor­ma­zio­ne di ter­ri­to­rio del tut­to irri­gi­di­to nel­la sua fun­zio­na­li­tà poli­ti­ca. Ma que­sto è solo un aspet­to del pro­ble­ma. Nora sa qui, ed è pre­oc­cu­pa­to, quel­lo che tut­ti gli hege­lia­ni, alla Cac­cia­ri, ormai san­no (e non mostra­no di esser­ne suf­fi­cien­te­men­te pre­oc­cu­pa­ti): la poten­za del nega­ti­vo. Nora espli­ci­ta­men­te dichia­ra che l’au­to­ma­zio­ne e la rego­la­zio­ne dei con­flit­ti pos­so­no fun­zio­na­re solo quan­do i sog­get­ti sia­no sta­ti mate­rial­men­te, pra­ti­ca­men­te coin­vol­ti nel pro­get­to. L’au­to­ma­zio­ne infor­ma­ti­ca è la demo­cra­zia par­te­ci­pa­ti­va, la demo­cra­zia socia­li­sta di un pro­ces­so pro­dut­ti­vo com­ple­ta­men­te socia­liz­za­to (alla Haber­mas, com­ple­ta­men­te pub­bli­ciz­za­to). Iro­nia del rico­no­sci­men­to del nega­ti­vo! Ma chi garan­ti­sce che gli indi­ca­to­ri indi­chi­no? chi garan­ti­sce (scu­sa­te le vir­go­let­te) “la rap­pre­sen­tan­za” degli indi­ci? Cer­to, il sogno degli infor­ma­ti­ci è quel­lo di un’in­for­ma­zio­ne glo­ba­le e par­te­ci­pa­ta. Ma l’in­for­ma­zio­ne glo­ba­le subi­sce la vicen­da para­dos­sa­le dei geo­gra­fi di Bor­ges: “… In quel­l’Im­pe­ro, l’Ar­te del­la Car­to­gra­fia giun­se a una tale Per­fe­zio­ne che la Map­pa di una sola Pro­vin­cia occu­pa­va tut­ta una Cit­tà, e la Map­pa del­l’Im­pe­ro tut­ta una Pro­vin­cia. Col tem­po, que­ste Map­pe smi­su­ra­te non basta­ro­no più. I Col­le­gi dei Car­to­gra­fi fece­ro una Map­pa del­l’Im­pe­ro che ave­va l’Im­men­si­tà del­l’Im­pe­ro e coin­ci­de­va per­fet­ta­men­te con esso. Ma le Gene­ra­zio­ni Seguen­ti, meno por­ta­te allo Stu­dio del­la Car­to­gra­fia, pen­sa­ro­no che que­sta Map­pa enor­me era inu­ti­le e non sen­za Empie­tà la abban­do­na­ro­no alle Incle­men­ze del Sole e degli Inver­ni. Nei Deser­ti del­l’O­ve­st soprav­vi­vo­no lace­ra­te Rovi­ne del­la Map­pa, abi­ta­te da Ani­ma­li e Medi­chi; in tut­to il Pae­se non c’è altra Reli­quia del­le Disci­pli­ne Geo­gra­fi­che”. Pro­sa que­sta, inve­ro, degna del­la cri­ti­ca ari­sto­te­li­ca del­l’e­nu­me­ra­zio­ne e del­lo scet­ti­co rea­li­smo del­la asi­mo­via­na fon­da­zio­ne Sel­don! L’in­for­ma­zio­ne glo­ba­le è appun­to un sogno. Tan­to più lo è quan­do i livel­li di com­po­si­zio­ne del­la clas­se, lun­gi dal­l’es­se­re fles­si­bi­li e dispo­ni­bi­li alla media­zio­ne infor­ma­ti­ca, sono rigi­di, pian­ta­ti su momen­ti di auto­va­lo­riz­za­zio­ne, disar­ti­co­la­ti in esten­sio­ne ma resi­sten­ti e ric­chi in inten­si­tà. Capi­ta­liz­za­re, per via infor­ma­ti­ca, que­sta micro­fi­si­ca del pote­re pro­le­ta­rio è for­se pos­si­bi­le, cer­to non è un’o­pe­ra­zio­ne di domi­nio che pas­se­rà facil­men­te a que­sto livel­lo del­la com­po­si­zio­ne di clas­se. Come sem­pre il pro­ble­ma è quel­lo del­la com­po­si­zio­ne di clas­se e del­la sua ana­li­si: que­sto è infat­ti il nega­ti­vo. Che la socie­tà si fac­cia Sta­to, lo si può ben­sì auspi­ca­re sul­la fal­sa­ri­ga di Hegel, oppu­re lo si può ten­ta­re sul­la base del­la stru­men­ta­zio­ne auto­ma­ti­ca. In real­tà ci si tro­va poi davan­ti alla testar­da rispo­sta di clas­se, all’e­mer­sio­ne di sog­get­ti­vi­tà tan­to anta­go­ni­sti­che da ridi­co­liz­za­re sia gli auspi­ci che i ten­ta­ti­vi. Que­sta com­po­si­zio­ne di clas­se, que­sta che ci sta davan­ti. Si può pro­va­re a divi­der­la, a diluir­la sul ter­ri­to­rio, a sepa­rar­la: ma il capi­ta­le può fare que­sto solo orga­niz­zan­do la socie­tà. Ogni ten­ta­ti­vo effet­ti­vo di disor­ga­niz­za­zio­ne del pro­le­ta­ria­to è quin­di comun­que un tra­mi­te, un poten­zia­le nuo­vo livel­lo di ricom­po­si­zio­ne. La rigi­di­tà mate­ria­le del­la com­po­si­zio­ne di clas­se è in ciò deci­si­va: ma non è sem­pli­ce­men­te un livel­lo di resi­sten­za, è anche un livel­lo di auto­va­lo­riz­za­zio­ne, di auto­no­mo svi­lup­po di biso­gni e di com­por­ta­men­ti pro­le­ta­ri. Que­sta com­po­si­zio­ne di clas­se (resi­sten­za ed auto­va­lo­riz­za­zio­ne) è venu­ta for­man­do­si in manie­ra ori­gi­na­le negli anni suc­ces­si­vi alla secon­da gran­de guer­ra impe­ria­li­sta e nel ’68 ha avu­to un pri­mo momen­to di auto­ri­co­no­sci­men­to. Non si capi­sce nul­la del­la lot­ta di clas­se, se non si ten­go­no pre­sen­ti que­ste sue qua­li­tà, que­ste sue deter­mi­na­zio­ni e que­sti suoi pun­ti com­ples­si­vi di svi­lup­po. Sia­mo nel 1978, decen­na­le del ’68. Di libri, ricor­di, valu­ta­zio­ni ecc. ne sono usci­ti un’in­fi­ni­tà. Non voglio cer­to dare un giu­di­zio com­ples­si­vo su que­sta pro­du­zio­ne libra­ria. Mi inte­res­sa­no poche cose di quel­le usci­te, fra le mani ho due libri di due mili­tan­ti, non solo del ’68 ma del­la lot­ta di clas­se. Régis Debray, Mode­ste con­tri­bu­tion aux discours et céré­mo­nies offi­ciel­les du dixiè­me anni­ver­sai­re, Maspe­ro, Pari­gi, 1978; Gui­do Via­le, Il ses­san­tot­to tra rivo­lu­zio­ne e restau­ra­zio­ne, Maz­zot­ta, Mila­no, 1978. Sono due bei libri, i ragaz­zi san­no scri­ve­re. Ma l’u­no e l’al­tro non capi­sco­no nul­la del pro­ble­ma che ci inte­res­sa: quel­lo del­la con­ti­nui­tà e del­la matu­ra­zio­ne del­la lot­ta di clas­se attra­ver­so il ’68, quel­lo del­la novi­tà che, nel­la con­ti­nui­tà del­la lot­ta, il ’68 rap­pre­sen­ta. Per Debray il gio­co è faci­le. Il ’68 rap­pre­sen­ta per lui sem­pli­ce­men­te un momen­to di rot­tu­ra del­la for­za ope­ra­ia, del­la resi­sten­za ope­ra­ia. Il ’68 è un’i­ni­zia­ti­va del capi­ta­le. Tra­du­cia­mo alcu­ne pagi­ne – pagi­ne comun­que degne di discus­sio­ne – rin­vian­do per il resto a quel­la che spe­ria­mo sia pre­sto la tra­du­zio­ne del volume. […]

Da «Magaz­zi­no», n. 2, Mag­gio 1979

AUTONOMIA O GHETTO?

Di nuo­vo, ricor­ren­te, la cri­si.
Com­pa­gni sbal­la­ti, nuo­vo ciclo gene­ra­zio­na­le di ricer­ca del­la feli­ci­tà, che decol­la pro­prio quan­do il pre­ce­den­te ciclo (quel­lo ini­zia­to nel ’68) giun­ge alla sua estre­ma unzio­ne.
Basta­no die­ci anni per tra­scor­re­re, come voglio­no i nuo­vi macon­di­ni, dai vizi dei Lum­pen a quel­li dei ric­chi, vizi, come ricor­da Marx, del tut­to paral­le­li e cor­ri­spon­den­ti.
Così deci­do­no le mode. Di cui sia­mo par­te. Ma sia­mo par­te anche di quel­lo che avvie­ne più a fon­do, di una real­tà in movi­men­to che la moda non basta a ren­de­re incoe­ren­te. La moda segue l’au­spi­cio del nemi­co di clas­se: “ci sono due socie­tà”, suo­na: ergo ci devo­no esse­re “due” socie­tà”.
L’a­na­li­si scien­ti­fi­ca com­bat­te l’au­spi­cio ed il biso­gno del nemi­co: ci sono due socie­tà, quel­la degli sfrut­ta­ti e quel­la degli sfrut­ta­to­ri, ci deve esse­re una sola socie­tà, del­la liber­tà e del comu­ni­smo.
L’ap­pa­ri­re del nuo­vo sog­get­to pro­le­ta­rio, nel­la dia­let­ti­ca che sem­pre con­fi­gu­ra la com­po­si­zio­ne del­la clas­se, nel­l’an­ta­go­ni­smo fra nuo­va for­ma del­la coo­pe­ra­zio­ne socia­le (for­ma ric­chis­si­ma di biso­gni radi­ca­li e di biso­gni poli­ti­ci) e nuo­vo modo di pro­du­zio­ne mul­ti­na­zio­na­le (orga­niz­za­to di con­se­guen­za dal­lo Sta­to per capi­ta­liz­za­re pro­prio que­sta micro­fi­si­ca pro­le­ta­ria, del pote­re), l’ap­pa­ri­re del nuo­vo sog­get­to pro­le­ta­rio è dun­que il nodo del­la con­trad­di­zio­ne.
Auto­no­mia o ghet­to?
Come sem­pre i rap­por­ti di for­za par­te­ci­pa­no del­la defi­ni­zio­ne.
Lad­do­ve, da par­te pro­le­ta­ria, la for­za è debo­le e da par­te padro­na­le è inve­ce robu­sta, ivi la teo­ria del­l’au­to­no­mia si pre­sen­ta come teo­ria del­la scon­fit­ta, come teo­ria del ghet­to.
Diver­sa­men­te, lad­do­ve i rap­por­ti di for­za sono diver­si o rove­scia­ti: 1′“altro” movi­men­to rias­sor­be qui nel­la pro­pria ten­sio­ne auto­no­ma anche il ghet­to e ne fa la base del­la pro­pria ini­zia­ti­va, il san­tua­rio inat­tac­ca­bi­le da cui muo­ve la guer­ri­glia.
In ogni caso, comun­que, l’an­ta­go­ni­smo è dato in manie­ra rea­le, come pre­sup­po­sto: e que­sto costi­tui­sce novi­tà e spe­ci­fi­ci­tà del nostro tem­po. Sono appar­si in Ger­ma­nia due volu­met­ti.
Il pri­mo è Auto­no­mia oder Get­to? Kon­tro­ver­sen uber­die Alter­na­ti­v­bewe­gung (Auto­no­mia o Ghet­to? Con­tro­ver­sie sul movi­men­to alter­na­ti­vo): vi han­no con­tri­bui­to una serie di com­pa­gni che han­no vis­su­to l’e­spe­rien­za del movi­men­to tede­sco in que­sto decen­nio (Peter Brüc­k­ner, Daniel Cohn-Ben­dit, Tho­mas Sch­mid e altri) (Ver­lag Neue Kri­tik, Frank­furt, 1978).
Il secon­do è Zwei Kul­tu­ren? Tunix, Mesco­le­ro und die Fol­gen (Ver­lag Aesthe­tik und Kom­mu­ni­ka­tion, Ber­lin, 1978), in cui alla tra­du­zio­ne dei sag­gi di Asor Rosa e Umber­to Eco sul­le “due socie­tà”, si accom­pa­gna­no inter­ven­ti di mili­tan­ti tede­schi fra i qua­li risul­ta­no quel­li di Johan­nes Agno­li e anco­ra di Tho­mas Sch­mid.
In entram­bi i volu­met­ti il pro­ble­ma è quel­lo posto più sopra, natu­ral­men­te con­fron­ta­to alla vicen­da nel movi­men­to tede­sco. Brüc­k­ner va subi­to al cen­tro del dibat­ti­to iden­ti­fi­can­do imme­dia­ta­men­te il con­cet­to di auto­no­mia all’in­ter­no del­la modi­fi­ca­zio­ne del­la com­po­si­zio­ne di clas­se e alla sua qua­li­fi­ca­zio­ne in ter­mi­ni di spe­ci­fi­ci inte­res­si rivo­lu­zio­na­ri.
Nel­l’o­mo­ge­neiz­za­zio­ne socio-cul­tu­ra­le del pro­le­ta­ria­to (pro­dot­to e ter­mi­ne del­la socia­liz­za­zio­ne capi­ta­li­sti­ca) si radi­ca­no alter­na­ti­ve che han­no in pri­mo luo­go, dal pun­to di vista ideo­lo­gi­co, il comu­ni­smo come con­te­nu­to – men­tre la for­ma del­la espres­sio­ne con­si­ste nel­la cri­ti­ca del­la figu­ra tra­di­zio­na­le del­l’or­ga­niz­za­zio­ne pro­dut­ti­va e del­le sue super­fe­ta­zio­ni poli­ti­che (il par­ti­to in pri­mo luo­go); in secon­do luo­go, sto­ri­ca­men­te, que­sti movi­men­ti alter­na­ti­vi arti­co­la­no la resi­sten­za all’in­te­gra­zio­ne con l’i­den­ti­fi­ca­zio­ne e lo svi­lup­po di for­me di indi­pen­den­za cul­tu­ra­le e di con­tro­po­te­re poli­ti­co.
Nul­la da aggiun­ge­re a que­sta pri­ma defi­ni­zio­ne. Anche Johan­nes Agno­li, su un pia­no descrit­ti­vo e con l’oc­chio rivol­to all’I­ta­lia, la con­fer­ma con esem­pi ed argo­men­ta­zio­ni pole­mi­che (fra que­ste, mol­to diver­ten­te, un richia­mo ad un arti­co­lo di cer­to Pic­ci­ril­lo in La civil­tà cat­to­li­ca, n. 19, 1868, serie VII, voi. 2, pp. 384 sgg., dove, a fron­te del pri­mo gran­de scio­pe­ro di Bolo­gna – 1868 appun­to – l’au­to­re­vo­le orga­no gesui­ta teo­riz­za le “due socie­tà” esat­ta­men­te come fat­to da Asor). (Per altro ver­so, per quan­to riguar­da la bor­ghe­sia fran­ce­se e la teo­ria del­le “due socie­tà” vedi la docu­men­ta­zio­ne e l’in­di­ca­zio­ne del con­ti­nuo riap­pa­ri­re, nel­la sua sto­ria, di que­sto spor­co ritor­nel­lo: Jean Paul de Gau­de­mar, La Mobi­li­sa­tion Gene­ral, Rap­port final de Récher­che, effec­tuée pour la Mis­sion de la Recher­che Urbai­ne, Facul­té de Scien­ces Eco­no­mi­que, CERS, Uni­ver­si­té d’Aix-Mar­seil­le II, giu­gno 1978, dove appun­to la teo­ria del­le due socie­tà è vista come con­tral­ta­re ideo­lo­gi­co del­le diver­se for­me di mobi­li­tà del lavo­ro impo­ste dal­l’ac­cu­mu­la­zio­ne capi­ta­li­sti­ca). È chia­ro tut­ta­via che il pro­ble­ma non è quel­lo del­l’i­den­ti­fi­ca­zio­ne socio­lo­gi­ca e/​o eco­no­mi­ca del­la fun­zio­ne del­la teo­ria del­le “due socie­tà”. Se il Capi­ta­le è un rap­por­to, nien­te di più faci­le che il ceto capi­ta­li­sta lo sen­ta come rap­por­to scis­so; se il capi­ta­le è un rap­por­to pro­por­zio­na­to in con­ti­nua ristrut­tu­ra­zio­ne, il ceto capi­ta­li­sta dove con­ti­nua­men­te for­gia­re la pro­por­zio­ne del rap­por­to attra­ver­so sus­sun­zio­ni e/​o esclu­sio­ni. La cul­tu­ra, come le sal­me­rie, segui­rà. Pro­ble­ma non sono dun­que le due cul­tu­re, la loro even­tua­le esi­sten­za e la loro vicen­da lun­ga o eva­ne­scen­te: il pro­ble­ma che nasce è solo quel­lo del­l’e­ge­mo­nia, meglio – fuo­ri dal­le fumi­ste­rie del con­cet­to “ege­mo­nia” – quel­lo del coman­do.
Chi coman­da chi?
Le cul­tu­re, in gene­ra­le, sono sem­pre sta­te degli uten­si­li del­la clas­se domi­nan­te.
Pos­so­no dive­ni­re una for­za del­la clas­se pro­le­ta­ria?
L’a­na­li­si socio­lo­gi­ca divie­ne solo a que­sto pun­to inte­res­san­te, quan­do cioè sco­pre la poten­zia­li­tà del coman­do svi­lup­par­si, attra­ver­so e con­tro lo svi­lup­po capi­ta­li­sti­co, dal­la par­te del­la clas­se ope­ra­ia e pro­le­ta­ria.
Le varian­ti, in pro­po­si­to, pos­so­no esse­re mol­te.
Negli scrit­ti di Tho­mas Sch­mid, ad esem­pio, com­pre­si in que­sti due volu­met­ti, la situa­zio­ne del­l’au­to­no­mia tede­sca è ripre­sa in esa­me con mol­to rea­li­smo: il para­dos­so qui rive­la­to è quel­lo di una effet­ti­va auto­no­miz­za­zio­ne del­la vita pro­le­ta­ria che è tut­ta­via domi­na­ta da un con­ti­nuo fuo­co di sbar­ra­men­to del capi­ta­le, non tan­to – quin­di ridot­ta ad esse­re fun­zio­ne di que­sto (che la sua con­si­sten­za non lo per­met­te già più) quan­to gio­ca­ta come ele­men­to pura­men­te cul­tu­ra­le, spin­ta ver­so la palu­de, ver­so la gran­de zup­pa dei mass media e del­le mode.
Il più indi­scri­mi­na­to “plu­ra­li­smo” – tra fumo e liber­tà indi­vi­dua­le – domi­na il qua­dro viep­più inte­rio­riz­za­to del movi­men­to.
Omo­lo­ghe sono la pres­sio­ne capi­ta­li­sti­ca e la coscien­za di par­te del movi­men­to. Castra­to.
L’in­ter­ven­to di Dany Cohn-Ben­dit, con tut­ta la sua pre­gnan­za rap­pre­sen­ta­ti­va del movi­men­to e con tut­ta l’am­bi­gui­tà ivi regi­stra­ta, con­fer­ma la pesan­tez­za del­l’at­tac­co di Tho­mas Sch­mid: si direb­be che Dany com­men­ti a sua insa­pu­ta la disin­can­ta­ta con­sta­ta­zio­ne mar­xia­na: ad un cer­to livel­lo del­lo svi­lup­po capi­ta­li­sti­co “la pro­sti­tu­zio­ne gene­ra­le si pre­sen­ta come una fase neces­sa­ria del carat­te­re socia­le del­le dispo­si­zio­ni, capa­ci­tà, abi­li­tà e atti­vi­tà per­so­na­li”, – tan­to più per il pro­le­ta­ria­to! Tra­ia­mo qui di pas­sag­gio due con­clu­sio­ni prov­vi­so­rie.
Pri­mo (socio­lo­gi­ca­men­te): il pro­ble­ma del­le due cul­tu­re è sem­pli­ce­men­te un indi­ce del­lo svol­ger­si dei rap­por­ti del­le due clas­si ver­so una cri­si defi­ni­ti­va. Da que­sto pun­to di vista è pura­men­te acci­den­ta­le il fat­to che si par­li di due cul­tu­re: baste­reb­be solo par­la­re di cri­si del­l’at­tua­le for­ma di civi­liz­za­zio­ne capi­ta­li­sti­ca.
Secon­do (poli­ti­ca­men­te): il pro­ble­ma del­le due cul­tu­re, il suo stes­so insor­ge­re, indi­ca­no una ten­den­za vin­cen­te del movi­men­to pro­le­ta­rio, con­tro il capi­ta­le. Non si sareb­be mai ricor­si alla imma­gi­ne del­le due cul­tu­re, da chi ne pos­sie­de una che è sem­pre sta­ta ege­mo­ne, se la for­za pro­le­ta­ria non fos­se emer­sa con tale indi­pen­den­te viva­ci­tà.
Natu­ral­men­te l’e­si­to del­lo scon­tro è inde­ci­so. Val tut­ta­via la pena di con­si­de­ra­re a que­sto pun­to l’al­ter­na­ti­va “auto­no­mia o ghet­to” come un’al­ter­na­ti­va com­ple­ta­men­te astrat­ta se posta in ter­mi­ni socio­lo­gi­ci o cul­tu­ra­li, vali­da tut­ta­via se la si pone in ter­mi­ni poli­ti­ci. Due ulte­rio­ri que­stio­ni, su lati, per così dire, oppo­sti.
Pri­mo.
Signi­fi­ca, que­sto nostro insi­ste­re sul con­cet­to poli­ti­co di cul­tu­ra pro­le­ta­ria, che si nega auto­no­mia e valo­re alle espres­sio­ni spe­ci­fi­ca­men­te cul­tu­ra­li del movi­men­to pro­le­ta­rio?
Secon­do.
Signi­fi­ca, que­sto nostro sot­to­li­nea­re la con­si­sten­za mate­ria­le del­la con­tro­cul­tu­ra di clas­se, for­se sot­to­va­lu­ta­re i momen­ti di riflus­so, di vera e pro­pria ghet­tiz­za­zio­ne subi­ti talo­ra dal movi­men­to?
Quan­to al pri­mo inter­ro­ga­ti­vo mi sem­bra che biso­gna rispon­de­re con mol­to equi­li­brio. Insi­ste­re sul­la natu­ra e qua­li­tà poli­ti­che del­la cul­tu­ra pro­le­ta­ria non signi­fi­ca negar­ne il valo­re intrin­se­co e spe­ci­fi­co ma solo defi­nir­lo come con­te­nu­to di lot­ta.
Il far­si del­la clas­se ope­ra­ia, il suo auto­no­mo making sono deter­mi­na­ti da un rap­por­to di for­ze sem­pre più inten­so quan­to più lo svi­lup­po capi­ta­li­sti­co pro­ce­de. Talu­ni, che pur si muo­vo­no mol­to bene su que­sto ter­re­no (vedi per esem­pio l’in­ter­ven­to di Vit­to­rio Dini sul­la sto­rio­gra­fia di clas­se nel n. 14 di Cri­ti­ca del Dirit­to) accu­sa­no una tale defi­ni­zio­ne di strut­tu­ra­li­smo.
Il rap­por­to di for­za, intrin­se­co alla defi­ni­zio­ne, neghe­reb­be l’au­ten­ti­ci­tà del­l’e­spres­sio­ne con­tro­cul­tu­ra­le di movi­men­to.
L’u­so di defi­ni­zio­ni poli­ti­che (dia­let­ti­che, strut­tu­ra­li) deter­mi­ne­reb­be effet­ti di rigi­di­tà tali da bloc­ca­re ogni for­ma di genui­na ori­gi­na­le espres­sio­ne cul­tu­ra­le del movi­men­to, da rele­ga­re in posi­zio­ne subor­di­na­ta al capi­ta­le il far­si del movi­men­to.
Non cre­do che di ciò si trat­ti.
Per due ragio­ni.
Innan­zi­tut­to, una di carat­te­re sto­ri­co: la dipen­den­za strut­tu­ra­le del movi­men­to di clas­se dal movi­men­to capi­ta­li­sti­co è ten­den­zial­men­te in via di esau­ri­men­to. Ciò è il cor­ri­spet­ti­vo del­la cri­si del­la leg­ge del valo­re. Ma il fat­to che la valo­riz­za­zio­ne capi­ta­li­sti­ca ven­ga meno come ele­men­to di qua­li­fi­ca­zio­ne del pro­ces­so non distrug­ge di per sé il coman­do di capi­ta­le e le rela­zio­ni da que­sto impo­ste.
Una secon­da ragio­ne, di carat­te­re teo­ri­co, segna­la il momen­to del libe­rar­si indi­pen­den­te del­la cul­tu­ra pro­le­ta­ria come distru­zio­ne del­l’av­ver­sa­rio: e la distru­zio­ne è un fat­to di liber­tà.
Nes­su­na teo­ria e nes­su­na filo­so­fia – se non la bece­ra sag­gez­za rea­zio­na­ria – riu­sci­ran­no mai a dimo­stra­re l’o­mo­lo­ga­bi­li­tà del gesto distrut­to­re e del­l’og­get­to distrut­to. (L’as­sun­zio­ne di que­sta omo­lo­gia rap­pre­sen­ta il con­te­nu­to fasci­sta del­le teo­rie del­la “dis­si­den­za” e del­la “nuo­va filo­so­fia”: è comun­que evi­den­te che né le une né l’al­tra pos­so­no esse­re esclu­si­va­men­te ridot­te a ciò).
Lo strut­tu­ra­li­smo stes­so può real­men­te esse­re distrut­to solo da un atto di distru­zio­ne del­l’av­ver­sa­rio: altri­men­ti la strut­tu­ra resta, non è un vizio teo­ri­co o un’or­mai inu­ti­le machi­ne à pen­ser, è un fat­to. Ma c’e­ra un altro inter­ro­ga­ti­vo.
Ci si chie­de­va se in tal modo non si sot­to­va­lu­ta­va­no gli effet­ti di ghet­tiz­za­zio­ne, in ter­mi­ni per­ver­si e inde­cen­ti.
Ora, non val cer­to la pena di sot­to­va­lu­ta­re gli effet­ti di ghet­tiz­za­zio­ne che la auto­no­ma cul­tu­ra pro­le­ta­ria può subi­re.
Pos­se­dia­mo una for­mi­da­bi­le docu­men­ta­zio­ne del­le sub­cul­tu­re, del­la loro for­za, del­la loro feli­ci­tà, nul­la può negar­lo: ma è anche vero che le sub­cul­tu­re appa­ri­va­no tan­to più for­ti quan­to più le clas­si era­no pro­fon­da­men­te divi­se. (In pro­po­si­to vedi il for­mi­da­bi­le libro M. Bakh­tin “L’oeu­vre de Fra­nçois Rabe­lais et la cul­tu­re popu­lai­re au Moyen Age et sous la Renais­san­ce, Gal­li­mard, 1970).
Dun­que, pur data la loro ric­chez­za e viva­ci­tà, pure sub­cul­tu­re resta­va­no. Sia­mo in una fase ana­lo­ga?
Oppu­re addi­rit­tu­ra in una fase di radi­ca­le immi­se­ri­men­to e di cre­scen­te vol­ga­ri­tà?
Le pre­oc­cu­pa­zio­ni dei com­pa­gni tede­schi, testi­mo­ni di uno svi­lup­po ter­ro­ri­sti­co del­lo Sta­to e di un ripie­ga­men­to inti­mi­sti­co del movi­men­to (ma solo in Ger­ma­nia di ciò si trat­ta?
E la sub­cul­tu­ra di Lot­ta Con­ti­nua for­ma­to Dea­glio-Boa­to dove la met­tia­mo?
E la sifi­li­de da “nuo­va filo­so­fia” ed il disfat­ti­smo di Libe­ra­tion?
E il pro­get­to, sem­pre su que­sto ter­re­no pato­lo­gi­co e con que­sti viziet­ti, del nuo­vo Tageszei­tung tede­sco?) – le testi­mo­nian­ze dun­que di alcu­ni com­pa­gni tede­schi por­ta­no su que­sto. Tunix – il radu­no del­l’au­to­no­mia ber­li­ne­se e tede­sca del­la scor­sa pri­ma­ve­ra è sta­to un ghet­to bor­del­la­to ed infa­me.
Come rom­per­lo? For­se è pos­si­bi­le.
Non dal di fuo­ri del ghet­to, non con pre­di­che e rim­brot­ti.
Al con­tra­rio.
Ricon­qui­stan­do il ghet­to non come rifu­gio di fru­stra­zio­ni (bor­ghe­si?) ma come sede col­let­ti­va di biso­gni e desi­de­ri pro­le­ta­ri alter­na­ti­vi. Come momen­to di lot­ta e di auto­va­lo­riz­za­zio­ne.
I moven­ti pro­fon­di del­la con­tro­cul­tu­ra van­no ripre­si e cri­ti­ca­ti pra­ti­ca­men­te.
I pro­le­ta­ri ame­ri­ca­ni inse­gna­no: è solo la dif­fu­sio­ne mas­si­fi­ca­ta dei nuo­vi biso­gni, il loro ade­ri­re alla vita quo­ti­dia­na, il loro strap­par­si all’i­so­la­men­to del­la sem­pli­ce espres­sio­ne ideo­lo­gi­ca, che resti­tui­sce la poli­ti­ca al movi­men­to.
Non l’i­deo­lo­gia ma la quo­ti­dia­ni­tà e la lot­ta tol­go­no l’au­to­no­mia dal ghet­to e la secon­da cul­tu­ra dal­la subal­ter­ni­tà.
È la mul­ti­la­te­ra­li­tà del­l’e­spe­rien­za pro­le­ta­ria a con­dur­re il pro­le­ta­ria­to all’in­di­pen­den­za poli­ti­ca. È la distru­zio­ne del­l’av­ver­sa­rio, la quo­ti­dia­ni­tà del­l’o­dio di clas­se e del­la lot­ta, a costi­tui­re la cul­tu­ra in for­za di liberazione.