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di Chic­co Funaro

La diret­ta cono­scen­za, soprat­tut­to quel­la di pros­si­mi­tà, non è buo­na ami­ca del­la cri­ti­ca. Ogni vol­ta che mi imbat­to in una testi­mo­nian­za, un docu­men­to o uno scrit­to che da vici­no o anche alla lon­ta­na affron­ti il “gran­de” tema del­la Rivo­lu­zio­ne Ita­lia­na (lo so, per ora è pura vel­lei­tà defi­ni­re in que­sto modo gli acca­di­men­ti degli anni ’70) sono costret­to ad affron­ta­re l’inevitabile cri­si del non saper supe­ra­re il con­flit­to onto­lo­gi­co e dun­que epi­ste­mo­lo­gi­co (se pos­so usa­re ter­mi­ni così impor­tan­ti) sul­lo sta­tu­to di veri­tà del­la memo­ria e sul­la sua capa­ci­tà di esse­re fon­da­men­to del­la sto­ria. Que­sta vol­ta toc­ca ai «Pado­va­ni» (les­si­co d’epoca). Il mio ragio­na­re del­la con­fes­sio­ne (rie­vo­co Neru­da) di Gia­co­mo e Pie­ro, sarà dun­que, ben al di qua degli inten­ti “sto­ri­ci­sti” pro­cla­ma­ti all’apertura del volu­me da par­te del cura­to­re, uno dei ripe­tu­ti ten­ta­ti­vi di ritro­va­re il pos­si­bi­le sen­so, mai total­men­te rive­la­to­si, di quel pas­sa­to che abbia­mo in una cer­ta par­te con­di­vi­so. Per trar­re dal­le ine­vi­ta­bi­li con­clu­sio­ni, come trop­po spes­so acca­de, rin­no­va­ti moti­vi di rim­pian­to e di rin­cre­sci­men­to. Altro non pos­so. E del resto, altri più avver­ti­ti e auto­re­vo­li recen­so­ri han­no già par­la­to di que­sto libro libe­ri da impe­di­men­ti come il mio.
A essi, e a quel­li che come loro ver­ran­no, ho lascia­to e lascio il com­pi­to di offri­re un ade­gua­to model­lo di inter­pre­ta­zio­ne ideo­lo­gi­ca e di cono­scen­za storica.

Io sono sta­to tra i pri­mi mili­tan­ti di Ros­so. La pri­ma, la più ori­gi­na­le for­ma­zio­ne dell’autonomia ope­ra­ia mila­ne­se e ita­lia­na. Gia­co­mo e Pie­ro Despa­li sono sta­ti tra i fon­da­to­ri e i mas­si­mi diri­gen­ti dei Col­let­ti­vi poli­ti­ci vene­ti per il pote­re ope­ra­io. La più lar­ga, radi­ca­ta, com­bat­ti­va e dura­tu­ra orga­niz­za­zio­ne poli­ti­ca dell’Autonomia nel nostro pae­se. Que­sto è ciò che abbia­mo avu­to in comu­ne, ed è anche ciò che ha desta­to negli anni, in paral­le­lo con i rap­por­ti poli­ti­ci e di area che ci han­no avvi­ci­na­to, sti­ma per­so­na­le e rispet­to per entram­bi da par­te mia.

Sti­ma e rispet­to che mi auto­riz­za­no ad apri­re que­sta rifles­sio­ne sul loro docu­men­to con la sola nota di for­te disac­cor­do che mi sen­to di sot­to­scri­ve­re.
Dico subi­to che non mi è pia­ciu­to ciò che Gia­co­mo, sia pure con un cer­to equi­li­brio, sostie­ne a pro­po­si­to del­la “dis­so­cia­zio­ne”. Par­lia­mo­ne una vol­ta per tut­te, alme­no tra noi. Leg­go tra le pagi­ne che ci pre­ce­do­no, intan­to, che Toni ha sot­to­li­nea­to come cer­te vostre deci­sio­ni sul­le for­me di lot­ta, come quel­la di esclu­de­re l’omicidio poli­ti­co, aves­se­ro sta­bi­li­to già nell’allora cer­te distan­ze e dif­fe­ren­ze, e pos­sa­no esse­re oggi con­si­de­ra­te comun­que in paral­le­lo con lo spi­ri­to dei docu­men­ti di Rebib­bia e del­le Aree omo­ge­nee.
Per­so­nal­men­te pen­so che ci sia­no anche mol­te altre que­stio­ni su cui ragio­na­re. Il ten­ta­ti­vo furio­so da par­te dei dete­nu­ti del­le Bri­ga­te ros­se di impor­re la pro­pria ege­mo­nia sul car­ce­re e sul­la vita car­ce­ra­ria, in pri­mo luo­go. Ten­ta­ti­vo moti­va­to soprat­tut­to dall’isolamento nel qua­le era­no sta­ti lascia­ti dal­le loro orga­niz­za­zio­ni ester­ne, peral­tro sem­pre più divi­se tra loro, già al momen­to del­la disa­stro­sa rivol­ta di Tra­ni; e di con­se­guen­za dal­la volon­tà da par­te degli “inter­ni” di riven­di­ca­re comun­que uno “sta­tu­to” di “com­bat­ten­ti” a par­ti­re da ciò che era pos­si­bi­le met­te­re in sce­na nel mon­do del car­ce­re, com­pre­sa la scel­ta estre­ma di com­pie­re fero­ci atti di sup­po­sta “giu­sti­zia pro­le­ta­ria”. Il tut­to, mi sia per­mes­so dir­lo, in per­fet­to sti­le car­ce­ra­rio: in pie­na con­so­nan­za con le peg­gio­ri deri­va­te del­la reclu­sio­ne e con le più rove­sce for­me di vita crea­te dal­la man­can­za di liber­tà. Non fu imme­dia­ta­men­te sem­pli­ce sta­bi­li­re, per mol­ti com­pa­gni, che quel pro­get­to non pote­va esse­re impo­sto e subì­to come l’unico pos­si­bi­le e pra­ti­ca­bi­le. Fu chia­ro però da un cer­to momen­to in poi che stes­se diven­tan­do sem­pre più neces­sa­rio far­lo. Ele­men­to non da poco, anzi in qual­che modo deter­mi­nan­te, fu in ogni caso il fat­to­re dimen­sio­ni del­la repres­sio­ne allo­ra in atto: che sta­va met­ten­do in sce­na la tra­ge­dia per­si­no sur­rea­le di un nume­ro incre­di­bi­le, deci­ne di miglia­ia, di inqui­si­ti; e di una altret­tan­to impen­sa­bi­le cifra di alme­no sei­mi­la, se non più, dete­nu­ti per ragio­ni poli­ti­che. Riten­go di poter con­fer­ma­re in buo­na fede che al riguar­do ci fu dav­ve­ro una rifles­sio­ne comu­ne sul desti­no incon­tro al qua­le un’intera gene­ra­zio­ne o qua­si rischia­va di anda­re incon­tro… C’è poi la vicen­da 7 apri­le e le fat­tez­ze abnor­mi, sul pia­no dei media e dell’immagine, che essa ave­va sta­bil­men­te pre­so, gra­zie soprat­tut­to all’assurdità del­le accu­se e a qual­che ridon­dan­za, lo ammet­to, nel­le stra­te­gie difen­si­ve; e che sem­bra­va sem­pre più dif­fi­ci­le ripor­ta­re, a meno di un allen­ta­men­to gene­ra­le del cli­ma di emer­gen­za impe­ran­te, alla “nor­ma­li­tà” di pro­ce­di­men­ti accu­sa­to­ri meno con­ci­ta­ti e di even­tua­li pro­ces­si meno sovra­di­men­sio­na­ti e dagli esi­ti già pre­fi­gu­ra­ti. Nor­ma­li­tà che comun­que sareb­be anda­ta a van­tag­gio di tut­ti. È dal­la com­bi­na­zio­ne spes­so mute­vo­le ma sem­pre e comun­que dia­let­ti­ca di que­sti ele­men­ti che ebbe ori­gi­ne la neces­si­tà del­la ricer­ca, sem­pre più ragio­na­ta e col­let­ti­va, di una solu­zio­ne che accet­tas­se di pren­de­re atto dal nostro lato del­la scon­fit­ta subi­ta da tut­to il movi­men­to, e non solo dal­le sue com­po­nen­ti più orga­niz­za­te; e dall’altro, quel­lo dei vin­ci­to­ri, degli ecces­si legi­sla­ti­vi e dun­que giu­di­zia­ri, sem­pre più ves­sa­to­ri e ille­git­ti­mi, con cui veni­va­no per­se­gui­ti tut­ti i com­por­ta­men­ti defi­ni­bi­li come “lot­ta arma­ta”: dal­le leg­gi sui pen­ti­ti alle aggra­van­ti per ter­ro­ri­smo, alla dila­ta­zio­ne sino a 12 anni dei tem­pi del­la “pre­ven­ti­va” e alla crea­zio­ne del cir­cui­to degli Speciali.

Ma sen­za con­ti­nua­re trop­po: basti guar­da­re alle con­se­guen­ze anche solo di bre­ve perio­do del­la “trat­ta­ti­va”. Che fu con­dot­ta in pri­mo luo­go con gli appa­ra­ti che ci ave­va­no scon­fit­to, e che cer­to impli­cò, ma non neces­sa­ria­men­te, revi­sio­ni e rav­ve­di­men­ti di varia natu­ra. Ma che in con­clu­sio­ne per­mi­se a miglia­ia di dete­nu­ti, non solo spar­si o “secon­da­ri”, di poter anda­re incon­tro a pene più equi­li­bra­te e acce­de­re a misu­re alter­na­ti­ve di assai più lar­ga dif­fu­sio­ne. La prin­ci­pa­le del­le qua­li, la cosid­det­ta “Goz­zi­ni” del lavo­ro ester­no, del­la semi­li­ber­tà e infi­ne del­la libe­ra­zio­ne con­di­zio­na­le, è anco­ra di uso pres­so­ché uni­ver­sa­le tra i con­dan­na­ti alle più lun­ghe pene deten­ti­ve. Cer­to non con­si­de­ro chiu­sa la discus­sio­ne: quel­lo che mi chie­do è se una più aggior­na­ta rispo­sta in tema, qua­lun­que essa pos­sa esse­re, deb­ba anco­ra esse­re oggi for­mu­la­ta in ter­mi­ni pura­men­te ideo­lo­gi­ci o pos­sa con­te­ne­re anche riscon­tri “sto­ri­ci” sul­la por­ta­ta gene­ra­le del feno­me­no. Ma vabbè…

Det­to que­sto, arri­vo final­men­te e volen­tie­ri al pun­to da cui sarei più cor­ret­ta­men­te dovu­to par­ti­re: l’insieme del­la nar­ra­zio­ne. Dav­ve­ro sor­pren­den­te, per me, e subi­to coin­vol­gen­te, è sta­to sco­pri­re sin dal­le pri­me pagi­ne una diver­sa dimen­sio­ne del­la rie­vo­ca­zio­ne poli­ti­ca, abba­stan­za inu­sua­le anche nel supe­ra­men­to di mol­ti for­ma­li­smi dot­tri­na­ri che da qual­che tem­po ci è con­ces­so. Dico che rara­men­te ho potu­to leg­ge­re, tra l’altro attra­ver­so la tec­ni­ca sug­ge­sti­va del dia­lo­go a con­trap­pun­to, di un per­cor­so, di vite mili­tan­ti così inten­se e par­te­ci­pa­te.
Il trat­to che riten­go di aver col­to subi­to e che subi­to mi ha coin­vol­to è rap­pre­sen­ta­to dal quan­to cer­te espe­rien­ze indi­vi­dua­li si sia­no potu­te lega­re così spon­ta­nea­men­te e coe­ren­te­men­te a una dimen­sio­ne così ampia­men­te comu­ne e col­let­ti­va. Come se cer­te voca­zio­ni, pri­ma anco­ra che sen­ti­men­ta­li, razio­na­li o intel­let­tua­li, fos­se­ro sta­te, non so dire meglio, natu­ra­li, ambien­ta­li, qua­si bio­lo­gi­che. Ciò anche se ovvia­men­te, sia Pie­ro sia Gia­co­mo riven­di­ca­no il loro impe­gno e la loro mis­sio­ne come scel­ta luci­da e coe­ren­te sca­tu­ri­ta da un per­cor­so di for­ma­zio­ne per­fet­ta­men­te in linea con l’attrezzatura men­ta­le e con i “dove­ri” cono­sci­ti­vi dell’epoca, subi­to tra­sfor­ma­to in opzio­ne poli­ti­ca. Dun­que capa­ce di assi­cu­ra­re loro quel­la “matu­ri­tà” che li avreb­be pro­mos­si al ruo­lo di fon­da­to­ri e diri­gen­ti di un’organizzazione rivo­lu­zio­na­ria. Men­tre il pun­to, secon­do me, è che con­sa­pe­vol­men­te o no, non ha impor­tan­za, entram­bi sep­pe­ro inter­pre­ta­re in ter­mi­ni per­so­na­li, e dun­que poli­ti­ci, il desti­no non faci­le di espe­ri­re qua­si sino in fon­do, ver­so pre­ci­si obiet­ti­vi, le pro­prie pos­si­bi­li­tà, di met­te­re in atto la pro­pria “poten­za”.

Pri­ma di esse­re un enco­mio solen­ne, che non avrei tito­lo di con­fe­ri­re, que­sta per­so­na­le con­si­de­ra­zio­ne mi ha per­mes­so pas­sag­gio per pas­sag­gio, capi­to­lo per capi­to­lo, di asso­cia­re alle loro pre­ci­se figu­re i momen­ti più inte­res­san­ti del­la sto­ria in que­sto libro rac­con­ta­ta, facen­do­me­li con ciò più niti­da­men­te rive­de­re e rico­no­sce­re. E sono feli­ce­men­te sor­pre­so dal fat­to che mol­ti di que­sti momen­ti abbia­no con­ser­va­to non solo il sapo­re dell’epoca, per mol­ti di noi sem­pre fon­te di pia­ce­re, ma anche una cer­ta capa­ci­tà di esse­re inte­res­san­ti e signi­fi­ca­ti­vi pur al pre­sen­te. Il pri­mo esem­pio: la non taciu­ta e sin­ce­ra pro­fes­sio­ne di fede nell’operaismo di scuo­la pado­va­na, che ani­ma la nasci­ta del pro­get­to poli­ti­co del­le pri­me for­ma­zio­ni auto­no­me e dei Col­let­ti­vi al di là del­la fine di Pote­re ope­ra­io, e che indi­ca in ogni caso, sia pure per indu­zio­ne, una scel­ta di valo­ri, di oriz­zon­ti d’attesa, di pro­get­to, di stra­te­gie, di tat­ti­che capa­ci di esse­re tra­dot­te in for­me di vita ancor oggi apprez­za­bi­li e signi­fi­ca­ti­ve. E poi anco­ra: quel ren­di­con­to ana­li­ti­co (impli­ci­to ma non solo) sul­la natu­ra “ori­gi­na­le” dei movi­men­ti e dei col­let­ti­vi vene­to-pado­va­ni e sul­la loro com­po­si­zio­ne sog­get­ti­va: che rie­sce a dare defi­ni­ti­vo (o qua­si) rico­no­sci­men­to all’intuizione teo­ri­ca dell’“operaio socia­le”, fon­da­men­to e para­dig­ma dell’Autonomia in ogni sua for­ma. La capa­ci­tà di far coin­ci­de­re in for­ma sta­bi­le l’iniziativa e lo scon­tro con i luo­ghi e i momen­ti rea­li dei cicli di pro­du­zio­ne e di quel­li di ripro­du­zio­ne, tra­sfor­man­do un ambi­to geo­gra­fi­co in un ter­ri­to­rio poli­ti­co-socia­le ad alta inten­si­tà. L’accortezza non solo tat­ti­ca di crea­re e di uti­liz­za­re al meglio, soprat­tut­to in for­me non neces­sa­ria­men­te dog­ma­ti­che o sem­pli­ce­men­te pro­pa­gan­di­sti­che, stru­men­ti di comu­ni­ca­zio­ne di mas­sa, come la miti­ca Radio Sher­wood, o pun­ti di aggre­ga­zio­ne cul­tu­ra­le come la libre­ria Calu­sca, col­le­ga­ta alla cele­bre inse­gna mila­ne­se. L’agire d’avanguardia nel quo­ti­dia­no con tut­te quel­le for­me di lot­ta, dal­le auto­ri­du­zio­ni alle appro­pria­zio­ni, capa­ci di allu­de­re quan­to meno a un attuar­si del pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio se non anco­ra a una vera e pro­pria “tran­si­zio­ne”.

Una nota impor­tan­te: suo­na da par­te dei due chia­ra e pre­ci­sa a ogni pas­so in cui sia neces­sa­rio far­lo, la riven­di­ca­zio­ne di un alto gra­do di capa­ci­tà di inter­ven­to ille­ga­le sul ter­ri­to­rio, di lot­ta e di scon­tro arma­to. La for­za che i Col­let­ti­vi sep­pe­ro e vol­le­ro a un cer­to pun­to dimo­stra­re, fu in cer­ti momen­ti da valu­ta­re come la sola alter­na­ti­va da con­trap­por­re, in ter­mi­ni poli­ti­ci soprat­tut­to, alle stra­te­gie d’attacco del­le Bri­ga­te ros­se e poi anche di Pri­ma linea. Non cre­do fran­ca­men­te che qual­cu­no voglia ria­pri­re una qual­che for­ma di discus­sio­ne “attua­le” al riguar­do. Pen­so che come dato sto­ri­co, comun­que, le oltre cin­que­cen­to azio­ni che furo­no effet­tua­te nel cor­so del­le varie cam­pa­gne riven­di­ca­te, costi­tui­sca­no uno dei tan­ti “docu­men­ti” atti a far valu­ta­re con più con­cre­tez­za la dimen­sio­ne rea­le e la por­ta­ta di ciò che accad­de, lo dico un po’ a tirar via, negli anni ’70.

Sono però estre­ma­men­te signi­fi­ca­ti­vi e non solo d’obbligo in que­sto con­te­sto i pas­sag­gi dedi­ca­ti alla tra­ge­dia di Thie­ne, che cau­sò la mor­te per un inci­den­te ope­ra­ti­vo, e per un con­se­guen­te sui­ci­dio, di quat­tro mili­tan­ti dei collettivi.

Non voglio anda­re trop­po oltre. Mi per­do­ni­no per­ciò auto­ri e coau­to­re del libro, che intan­to rin­gra­zio con for­za, se lascio a mag­gio­ri capa­ci­tà cri­ti­che l’analisi del dibat­ti­to d’epoca “sul par­ti­to” tra i vari inter­lo­cu­to­ri auto­re­vo­li dell’allora, da Toni (più che da Ros­so), ai Vol­sci ai Col­let­ti­vi stes­si. Ricor­do bene comun­que che le varie pro­po­ste allo­ra sca­tu­ri­te desta­ro­no tra i mili­tan­ti più scet­ti­ci un cer­to gra­do di per­ples­si­tà, intan­to poli­ti­che. Ricor­do anche, ma è un puro aned­do­to, cer­ti sar­ca­smi “alla Tom­mei” per l’uso di sigle incon­sa­pe­vol­men­te sprov­ve­du­te come MAO o CAO o qual­co­sa del gene­re.
Mi sem­bra che Gia­co­mo e Pie­ro abbia­no usa­to nel­le pre­sen­ta­zio­ni del libro, per defi­ni­re la natu­ra dei Cpv, l’espressione “par­ti­to sen­za par­ti­to”. Non ricor­do se e quan­to essa sia sta­ta d’epoca: mi sem­bra però meno dida­sca­li­ca di altre. Aggiun­go non so quan­to pro­pria­men­te in tema, e soprat­tut­to in via fina­le, una sola nota. Ricor­do volen­tie­ri che tra i miglio­ri carat­te­ri ori­gi­na­li di mol­ta par­te dell’Autonomia e di Ros­so, ci fu una sor­ta di sostan­zia­le “disci­pli­na di pro­get­to” che pri­ma anco­ra di ogni for­ma­li­smo o rego­la da Par­ti­to sep­pe lega­re nel bene e nel male tut­ti i com­pa­gni che tale pro­get­to con­di­vi­se­ro. Sia chia­ro che mi sto per­met­ten­do un giu­di­zio di merito.