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A Lame­zia Ter­me la situa­zio­ne non è del­le più tran­quil­le. Da qual­che not­te le mani dei soli­ti noti imbrat­ta­no i muri con scrit­te fasci­ste. I pro­vo­ca­to­ri non si fir­ma­no ma il pae­se è pic­co­lo e tut­ti lo san­no che a inneg­gia­re al Duce sono le stes­se per­so­ne che insul­ta­no i mili­tan­ti del­la sini­stra e che, in qual­che caso, arri­va­no a pic­chia­re chi li affron­ta a viso aper­to e li contraddice.

Adel­chi Arga­da ha le mani gran­di come le palan­che del can­tie­re di Mode­na dove deve anda­re a lavo­ra­re. E le spal­le lar­ghe di chi sol­le­va bloc­chet­ti e sac­chi di cemen­to. Può ave­re pau­ra del­le con­di­zio­ni di sfrut­ta­men­to a cui sono costret­ti lui e quel­li come lui, non cer­to di qual­che fasci­stel­lo incon­tra­to per stra­da, la siga­ret­ta all’angolo del­la boc­ca, la pet­ti­na­tu­ra fre­sca di bar­bie­re e quell’aria mol­le e gon­fia di chi si tra­sci­na nel pigro far nien­te dei figli di papà. 

Tipi così, Adel­chi li incon­tra a pas­seg­gio per Lame­zia il pome­rig­gio del 20 otto­bre, dal­le par­ti del­la chie­sa di San Dome­ni­co. Con lui c’è suo fra­tel­lo Otel­lo e poi i fra­tel­li Morel­lo, vec­chi ami­ci di Adel­chi. Svol­ta­to l’angolo, ecco Miche­le De Fazio e Oscar Por­chia. Il pri­mo stu­dia Leg­ge a Firen­ze, ragaz­zo di buo­na fami­glia cono­sciu­to sia dai fasci­sti del posto che da quel­li dell’università tosca­na. Il secon­do, anche lui stu­den­te, è un mili­tan­te del Movi­men­to socia­le e per un paio d’anni è sta­to anche il segre­ta­rio del Fron­te del­la gio­ven­tù di Lame­zia. Adel­chi mili­ta nel Fron­te popo­la­re Comu­ni­sta Rivo­lu­zio­na­rio (FPCR), un’organizzazione di osser­van­za leni­ni­sta a sini­stra del PCI che, tra le altre cose, si era distin­ta nel­le azio­ni di soli­da­rie­tà per Pie­tro Val­pre­da, ingiu­sta­men­te pro­ces­sa­to a Catan­za­ro per l’attentato di Piaz­za Fontana. 

Il per­cor­so poli­ti­co intra­pre­so dal­la sezio­ne di Lame­zia fre­quen­ta­ta da Adel­chi nel cor­so del 1973, ha mes­so il FPCR sul­la rot­ta trac­cia­ta da Avan­guar­dia Ope­ra­ia, movi­men­to radi­ca­to nei CUB del­le prin­ci­pa­li fab­bri­che del Nord e orgo­glio­sa­men­te com­po­sto per la qua­si tota­li­tà da soli qua­dri ope­rai. L’opinione di Adel­chi su gen­te come Por­chia e De Fazio può esse­re data per scon­ta­ta. I gio­va­ni comu­ni­sti cala­bre­si cono­sco­no bene la matri­ce fasci­sta degli atten­ta­ti che, negli anni Set­tan­ta, insan­gui­na­no la regio­ne. Eppu­re, quel­la mat­ti­na, Adel­chi non ha nul­la da dire a Por­chia e De Fazio. A rivol­ger­si ai fasci­sti ci pen­sa il suo ami­co, Gio­van­ni Morel­lo, disgu­sta­to dal­la vigliac­che­ria dimo­stra­ta dai due solo ven­ti­quat­tro ore pri­ma, quan­do ave­va­no pic­chia­to il fra­tel­lo più pic­co­lo, quat­tor­di­ci anni appe­na. Con il ragaz­zi­no Por­chia e De Fazio han­no mostra­to i musco­li. Ora sono sen­za paro­le e, imme­dia­ta­men­te, met­to­no mano alle pisto­le. Il pri­mo col­po feri­sce Gio­van­ni Morel­lo alla coscia: una fra­zio­ne di secon­do in cui Adel­chi Arga­da non ha altro pen­sie­ro che quel­lo di get­tar­si ver­so il com­pa­gno col­pi­to per aiu­tar­lo e met­ter­lo in salvo. 

E a Gio­van­ni, Adel­chi la vita gliel’ha sal­va­ta dav­ve­ro, incas­san­do una dopo l’altra quat­tro del­le quat­tor­di­ci pal­lot­to­le spa­ra­te addos­so ai mili­tan­ti. La secon­da pal­lot­to­la, quel­la fata­le per Adel­chi, ha tra­pas­sa­to il col­po del gio­va­ne per­fo­ran­do­gli il cuo­re. Men­tre Adel­chi muo­re, chi ha spa­ra­to scap­pa, inse­gui­to dal gri­do “bastar­di” che cor­re più velo­ce di loro, oltre­pas­sa i comu­ni del­la pia­na lame­ti­na, supe­ra i bina­ri del­le loco­mo­ti­ve diret­te a Nord e por­ta la noti­zia di uno stri­scio­ne appe­so nel luo­go in cui il gio­va­ne ope­ra­io è sta­to ucciso. 

Uno stri­scio­ne che dice: “QUI E’ STATO ASSASSINATO IL COMPAGNO ARGADA”. Il gior­no dei fune­ra­li, sono tren­ta­mi­la le per­so­ne che pre­ten­do­no di salu­ta­re Adel­chi Arga­da. La cat­te­dra­le non basta a con­te­ner­li tut­ti e, per le ora­zio­ni, vie­ne uti­liz­za­to il pal­co del­la festa de “l’Avanti”, anco­ra mon­ta­to nel­la piaz­za del Muni­ci­pio per il con­cer­to del­la sera precedente. 

Jovi­ne, uno stu­den­te di sini­stra, par­la a nome dei ragaz­zi di Lame­zia: “Cono­sce­va­mo Adel­chi Arga­da come uno dei nostri miglio­ri mili­tan­ti, sem­pre schie­ra­to dal­la par­te degli oppres­si. Biso­gna capi­re per­ché è mor­to; era un ope­ra­io, uno dei tan­ti gio­va­ni costret­to a una cer­ta età a lavo­ra­re per­ché per i pro­le­ta­ri, per i figli dei lavo­ra­to­ri, non esi­sto­no pri­vi­le­gi che sono di altri. Arga­da ha fat­to una scel­ta, si è mes­so dal­la par­te di chi vuo­le una socie­tà diver­sa non a paro­le, in cui lo sfrut­ta­men­to sia abo­li­to e il fasci­smo non pos­sa tro­va­re spazio”. 

Arre­sta­ti, gli assas­si­ni di Adel­chi Arga­da han­no dal­la loro par­te sol­tan­to una pre­te­stuo­sa tesi di legit­ti­ma dife­sa. Una posi­zio­ne che più di qual­che gior­na­le con­ser­va­to­re fa pro­pria e dif­fon­de con for­za. Nel caso di Oscar Por­chia e Miche­le De Fazio soste­ne­re di ave­re spa­ra­to per difen­der­si non fun­zio­na: impu­ta­ti di omi­ci­dio, dopo aver otte­nu­to di spo­sta­re la tesi pro­ces­sua­le a Napo­li, nel 1977 ven­go­no con­dan­na­ti rispet­ti­va­men­te a quin­di­ci anni e quat­tro mesi e a otto anni e tre mesi di reclusione.


Dal libro “Cuo­ri Ros­si” di Cri­stia­no Arma­ti, New­ton Comp­ton Edi­to­ri, 2008.