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Alber­to Beni­ni, Mau­ri­zio Tor­real­ta, Simu­la­zio­ne e fal­si­fi­ca­zio­ne. Il segno come valo­re: semio­ti­ca e lot­ta di clas­se, Ber­ta­ni edi­to­re, Vero­na 1981
Apri­re la ser­ra­tu­ra di una mac­chi­na con una sot­ti­le stri­scia di metal­lo, occu­pa­re una cit­tà per pochi gior­ni, bat­te­re mone­ta auto­no­ma­men­te, rapi­na­re le ban­che tra­mi­te il cal­co­la­to­re, sono tut­te ope­ra­zio­ni che han­no a che fare con l’or­di­ne semio­ti­co e le sue neces­sa­rie pos­si­bi­li­tà simu­la­to­rie. Strut­tu­ra­re in teo­ria que­ste ope­ra­zio­ni par­zia­li, che han­no comun­que fat­to par­te del sape­re auto­no­mo di stra­ti socia­li di clas­se, è una esi­gen­za incal­zan­te per chi cre­de che nel­le cit­tà la guer­ra è sem­pre esi­sti­ta, pro­prio nel­la pace del­le leg­gi.
Le radi­ci e gli svi­lup­pi di que­sto approc­cio allo stu­dio del­la simu­la­zio­ne e del­la fal­si­fi­ca­zio­ne, riman­da­no e con­du­co­no, da una par­te, alla più squi­si­ta espe­rien­za para­dos­sa­le del­la scuo­la sofi­sta, e dal­l’al­tra alle teo­rie più sofi­sti­ca­te del­le stra­te­gie anti­guer­ri­glia.
Anche le recen­ti azio­ni ter­ro­ri­sti­che ripro­pon­go­no con for­za l’e­si­gen­za di appro­fon­di­re il rap­por­to tra spet­ta­co­lo e guer­ra, e più in gene­ra­le tra ordi­ne semio­ti­co e simu­la­zio­ne.
Que­sto libro ripor­ta, tra l’al­tro, mate­ria­le ine­di­to sui cri­mi­ni effet­tua­ti tra­mi­te il cal­co­la­to­re negli Sta­ti Uni­ti, e sul­le for­me di orga­niz­za­zio­ne tec­no­lo­gi­ca che là il movi­men­to si è dato da più di die­ci anni. Esso è frut­to di una ricer­ca svol­ta col­let­ti­va­men­te nel­l’am­bi­to del cor­so di comu­ni­ca­zio­ni di mas­sa pres­so il cor­so del DAMS a Bolo­gna.

Alber­to Beni­ni è nato nel ’50 in cam­pa­gna: fra­tel­lo del­l’o­ra­mai famo­sis­si­mo comi­co, seguì a Paris, nel Ken­tuc­ky, i cor­si alla scuo­la fon­da­ta da Piper, il più gran­de fal­sa­rio di tut­ti i tem­pi. Diven­ne un’im­por­tan­te spia indu­stria­le con lo pseu­do­ni­mo di San­lu­ca.

Mau­ri­zio Tor­real­ta è nato nel ’49 a Dubli­no da madre ita­lia­na e padre cosac­co, ha sog­gior­na­to a lun­go a Bahia, che ha lascia­to per Napo­li, cit­tà-car­di­ne nel­la sua for­ma­zio­ne cul­tu­ra­le e pro­fes­sio­na­le. Assol­to con for­mu­la pie­na dai tre pro­ces­si inten­ta­ti­gli per fal­so, incon­trò il Beni­ni men­tre que­sti sta­va scon­tan­do 4 anni al DAMS. Attual­men­te vive un po’ qua un po’ là: non ha mai cre­du­to mol­to nel nome proprio.