Da ”Senza tregua’’
Compagne, compagni, nelle lotte della Carlo Erba e Carlo Erba Strumentazione di questi mesi c’è il segno profondo della svolta decisiva che sta prendendo lo scontro tra le classi in Italia.
Il bisogno di comunismo del proletario e la pratica del potere operaio si scontrano con la volontà feroce di parte capitalistica di schiacciare la classe operaia e proletaria, rubarle i frutti di anni di lotte, ributtarla – con l’attacco alle avanguardie rivoluzionarie, all’organizzazione autonoma, con la ristrutturazione, con i licenziamenti dirette e indiretti (giovani, donne ecc.) e con l’attacco al salario – nello sfruttamento degli anni più neri. Tutto questo è condizione per i padroni e per lo Stato per imporre un nuovo comando sulla classe operaia, sul proletariato; sono le condizioni per distruggere la nostra forza. Vi è poi un altro aspetto importante che è l’ideologia con cui si cerca continuamente di farci capire che sono giusti gli aumenti dei prezzi, la disoccupazione e che, se non sono giusti, sono giustificati, e che comunque bisogna stare buoni perché c’è la crisi e «dobbiamo salvare l’economia, la democrazia, le istituzioni democratiche». La democrazia ha voluto e vuol dire che i capitalisti comandano e si arricchiscono mentre per gli operai e i proletari significa obbedire, lavorare per loro ed essere sempre più sfruttati.
«Salvare l’economia» per noi vuol dire continuare a vendere le nostre teste, le nostre braccia, la salute, la vita per tirarci fuori da vivere, mentre la ricchezza da noi prodotta ci viene estorta. Le «istituzioni democratiche» servono a garantire il regime sociale dello sfruttamento. La polizia, i corpi separati dello Stato servono a difendere le «istituzioni democratiche» mantenendo l’ordine pubblico e cioè, l’ordine dello sfruttamento, dei privilegi, delle ingiustizie. È a partire da questo dibattito, dalla verifica concreta nei reparti e più in generale, che si sviluppa la lotta, che prosegue durante e dopo il contratto. È a partire dalle esigenze concrete che la lotta pone giorno per giorno, che nasce e si sviluppa l’organizzazione autonoma degli operai che vedono nella pratica del potere l’unica possibilità di difendere le loro condizioni, la loro forza, unica garanzia per la prospettiva, in contrapposizione al potere padronale e alla linea delle organizzazioni sindacali e dei Consigli di fabbrica che svendono continuamente interessi, lotta, forza della classe operaia e proletaria tentando di far credere alla possibilità di uno sbocco positivo, per noi, all’interno di questo sistema. È questa nuova coscienza che porta i compagni e settori sempre più consistenti di operai a far diventare il reparto il luogo privilegialo del dibattito, delle decisioni politiche, dell’iniziativa, della lotta. Così partono i primi cortei serali contro lo straordinario di capi e dirigenti; si apre lo scontro con la direzione aziendale e con i lavoratori interessati contro il lavoro a domicilio, contro il decentramento produttivo (un altro modo per distruggere la forza), contro la scelta individuale di uscire dalla crisi, contro il ricatto alla lotta.
Il dibattito prosegue su inflazione-salario e si comincia a lottare contro le categorie, non più viste in termini di chi è più bravo a lavorare, ma per chi non accetta di farsi sfruttare ed è contro i privilegi e le divisioni. Non si parla più di professionalità, di anni di anzianità, ma si chiede la riduzione drastica delle categorie per aumentare i salari soprattutto per chi prende meno ed è sempre stato discriminato dagli altri. Insieme a questo, il rifiuto ai trasferimenti interni che non siano stati decisi collettivamente dagli operai. Su questo punto è importante sottolineare l’iniziativa diretta delle compagne di alcuni uffici che in modo organizzato sono state le prime a opporsi agli spostamenti, e che oggi – in testa alle lotte – stanno discutendo e organizzandosi su tutta la loro condizione, di donne e di salariate. Su queste iniziative, la direzione, con in testa alcuni capi (Guarneri, Di Pietro e altri), comincia a farsi viva in difesa dello sfruttamento e del comando politico in fabbrica. La lotta per il contratto, vuota fin dall’inizio con gli operai estranei alla lotta (permessi, ferie, durante gli scioperi si gioca a carte), comincia a prendere senso e trova i compagni pronti, insieme a 250 operai circa, a rispondere al decretone del governo Dc con un blocco stradale. All’ufficio tecnico, reparto dello stabilimento, viene espulso il capo officina Daidone che evitava sempre gli scioperi e derideva gli operai incazzati per l’aumento del prezzo della benzina.
Altre fermate autonome contro i capi vengono fatte anche in altri reparti. Viene spazzato via il tentativo da parte di alcuni capi (Salvi ed altri) di organizzare il crumiraggio. La lotta è politica, di questo è cosciente la parte più attiva della fabbrica. Non si tratta di «contratto» ma di potere. Al potere capitalista si contrappone il potere operaio; al comando capitalista si contrappone il comando, l’egemonia dell’organizzazione autonoma. Le manovre della direzione diventano sempre più chiare.
Attaccare direttamente i compagni diventa l’obiettivo centrale. Cercare di far apparire «illegali» al resto della fabbrica i comportamenti autonomi degli operai fa parte di questo piano (criminalizzare l’autonomia).
In questo senso il padrone utilizza i capi, delegati, «lavoratori» che si prestano a questo gioco. Poletti Piero denuncia più volte alla direzione lavoratori, compagni e compagne, per attività politica in fabbrica.
Viene processato in assemblea e revocato da delegato da tutta l’assemblea. Difendere l’organizzazione e la forza è per noi importante. Anche più in generale lo scontro tra le classi si alza di livello.
L’inflazione aumenta in modo vertiginoso, si chiariscono sempre di più i termini della crisi, la mancanza di prospettiva degli operai all’interno del sistema capitalista, le provocazioni padronali portano gli operai a decidere forme di lotta più dure. Il blocco delle merci: la partecipazione degli operai è attiva insieme alla volontà di scontro. Per la linea sindacale il blocco delle merci è la spallata per la firma del contratto.
Per i compagni è un momento di organizzazione del potere decisionale degli operai, della loro forza, della loro capacità di imporsi sul comando gerarchico della fabbrica, sulle forze produttive per andare avanti. Questo non piace alla Ces che lascia spazio alle provocazioni e gli dà una copertura politica. È di nuovo Poletti che, insieme a Casetta Roberto (tecnico assunto da due mesi), decide premeditatamente di investire i compagni sul cancello della fabbrica con una Volvo targata MI E74423. La risposta è immediata. Cinquecento operai circa, capita la gravità della provocazione, decretano l’espulsione dalla fabbrica dei due provocatori (Poletti viene allontanato immediatamente da un corteo) e con essa cresce la coscienza della propria forza che si manifesta alcuni giorni dopo quando è Casetta a ripresentarsi in fabbrica chiamato dalla direzione. Lo sciopero è di nuovo autonomo e immediato. Impossessandosi dell’interfono viene esteso a tutta la fabbrica, e Casetta viene ricacciato fuori. Alcuni giorni prima era stata di nuovo la direzione a chiamare i carabinieri – zelanti e armati per difendere i padroni – per far portar fuori un pacchetto dalla fabbrica. La cellula del Pci esce con un cartello che sui fatti accaduti dice testualmente: «[…] ma se dura è la condanna contro questi due provocatori, ancor più dura deve essere la condanna contro chi all’interno della Ces opera una politica di divisione».
In sostanza, se questi due devono essere allontanati, i compagni devono essere licenziati, perché essere in testa alle lotte per la cellula del Pci vuol dire dividere il movimento. Questi comportamenti del Pci e del Psi non sono nuovi e sono il frutto di una linea di cedimento e di organica collaborazione con la riorganizzazione padronale espressa nelle lotte di questi anni. L’iniziativa del sindacato provinciale e di zona – insieme al Pci e Psi di fabbrica – di far cambiare idea agli operai circa l’espulsione di questi due viene battuta di nuovo (il sindacato è costretto ad allinearsi), ed è di nuovo l’organizzazione autonoma a muoversi direttamente dal reparto per smascherare questo piano. Viene così riconfermata la decisione presa. Non c’è posto per provocatori e fascisti in fabbrica e nel territorio proletario. Lo scontro fra le due linee anche alcuni giorni prima – quando i compagni del magazzino generale e del Ces avevano portato in fabbrica e in mensa a mangiare (prezzo politico) i lavoratori della «Simind» che erano stati licenziati con manovre losche e che stavano presidiando il cantiere interno alla fabbrica – e poi ancora durante l’assemblea per l’approvazione del contratto. L’assemblea dicendo no all’accordo del contratto ha ribadito che in questa fase non vi sono possibilità di accordo con i padroni. Non esiste una soluzione di compromesso, ma solo potere contro potere, forza contro forza. Per noi quindi si tratta di smascherare e colpire dentro le fabbriche, nel territorio, nel paese, le forze del capitale e chi è contro la prospettiva di potere della classe operaia e proletaria, contro la sua emancipazione, contro il suo bisogno di comunismo. Su questa strada, lunga e difficile, andiamo avanti oggi con la consapevolezza che la forza che abbiamo, quella che costruiremo sono l’elemento centrale da difendere per garantirci la prospettiva di liberazione dalla schiavitù del lavoro salariato. Sulla questione del «decreto operaio» di espulsione di Poletti e Casetta, l’azienda ha giocato una pesante manovra intimidatoria, annunciando licenziamenti di avanguardie riconosciute, in gran parte del Comitato operaio comunista. Nonostante il pronunciamento contrario dei compagni interessati, il voto contrario di una cinquantina di operai e la volontà – riaffermata dalla stragrande maggioranza dell’assemblea – di non rimangiarsi il decreto (anche se parecchi operai hanno assunto una posizione elastica dichiarando esplicitamente che la ragione di questo è la volontà di tutelare a ogni costo e prima di tutto i sei compagni) – il sindacato ha raggiunto un accordo col padrone garantendo la «normalizzazione» delle tensione in fabbrica e il conseguente rientro (dopo il 15 luglio) dei due figuri antioperai. Vedremo come la prova di forza si svilupperà: il problema non è la giornata del 15, il «decreto o premio» resta valido e gli operai sapranno comunque imporre il rispetto.