21 Ott, 2021 | Analisi e Riflessioni, Pragma
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Vilma MazzaNon si può rimettere il dentifricio nel tubetto
Pubblichiamo la trascrizione di un intervento svolto in occasione di un incontro organizzato dalle realtà di Labas e Tpo che ha avuto luogo l’11 e 12 settembre 2021 a Bologna. Vilma Mazza è coautrice con Gianmarco De Pieri, Piero Despali e Massimiliano Gallob del libro di recente pubblicazione Gli autonomi. I «padovani». Dagli anni Ottanta al G8 di Genova 2001, a cura di Mimmo Sersante, DeriveApprodi, 2021.Collabora inoltre con lo spazio «Pragma» dell’Archivio Autonomia. «Pragma» è uno spazio a disposizione per interventi, dibattiti e riflessioni sulla memoria delle progettualità teoriche, politiche e organizzative delle realtà dell’Autonomia operaia del secolo scorso (vedi anche l’intervista su Machina del 3 aprile scorso) ma è anche uno spazio che «guarda al futuro», che propone riflessioni, analisi e possibili ipotesi di scenari sulla e della realtà futura, sulle future «contraddizioni di classe». Parafrasando un vecchio compagno si può affermare che nel presente, «grande è la confusione sotto il cielo» ma non per questo si può concludere che «dunque, la situazione è eccellente». C’è quindi bisogno di una lettura non tanto e non solo dell’oggi, con tutte le sue realtà avvolte da «lacci e lacciuoli», ma di uno sguardo sulle «tendenze» dei conflitti di classe dei prossimi anni e decenni.
* * *
È tempo di riconoscere che stiamo vivendo una nuova era. Se siamo però in grado di riconoscere quali sono gli elementi nuovi che giustificano un cambiamento epocale, di fronte alla radicale novità non è mai possibile subito inquadrarne la complessità. Se ne vede un piccolo pezzo, su quello indugiano gli sguardi, lo riconoscono, risulta familiare, lo si interpreta con categorie di cui si è già padroni. Il resto, ancora sconosciuto e restio alle interpretazioni, si cerca spesso di evitarlo. Basta pensare, ad esempio, a quel che è successo all’arrivo della pandemia del Covid. La prima reazione è stata cercare di ancorarsi alle certezze conosciute. Catapultati da un giorno all’altro nella radicale novità è spuntata rapida la paura, un sentimento conservatore che ha portato a proteggerci e a proteggere, o si è restati a bocca aperta, basiti, stupiti, alle volte instupiditi, inermi di fronte a ciò che accadeva.
Quando Marx in giovane età ha cominciato a scrivere di capitalismo riusciva a intravedere quel che il mondo sarebbe diventato. Il capitalismo era ai suoi inizi, ma lui riusciva a cogliere che quella cosa era diversa dal solito sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Marx era un visionario.
Quando ci interfacciamo a un nuovo cambiamento d’epoca, non possiamo pretendere di riuscire a mettere tutti i pezzi assieme immediatamente. È complicato risolvere il problema di come cambiare il mondo mentre lo vediamo cambiare.
Noi stessi sentiamo che tutto sta mutando, ma non riusciamo ancora bene a incastrare tutti i pezzi nel puzzle. Dobbiamo quindi armarci di pazienza e al tempo stesso essere visionari, tentare di non appiattirci su ideologie che pretendono di aver già capito cosa sta succedendo, propongono un pacchetto interpretativo completo e spiegano il nuovo mondo con uno schema vecchio, un pensiero già chiuso, un nuovo «ismo». Finora diverse sono state le definizioni dell’era in cui siamo immersi.
C’è chi la definisce «antropocene», un’era che ha l’uomo al suo centro e sta ancora dibattendo se è iniziata 3000 anni fa con l’homo sapiens o con la centralità nel secolo scorso del sistema produttivo industriale.
C’è chi suggerisce che navighiamo oggi nel «capitalocene», un’era che ha nel capitale il suo principale fenomeno plasmante.
C’è chi inizia a usare la definizione «ibridocene», una fase che pone al centro l’ibridazione fra fisico e virtuale, un’era in cui le cose non sono ancora definite, l’era dei grandi cambiamenti in corso.
C’è chi come Donna Haraway, autrice vent’anni fa dell’anticipatorio testo Manifesto Cyborg, aggiunge a tutte queste definizioni anche «cthulhucene», per sottolineare la necessità di pensare a un’epoca al cui centro non c’è solo l’umano ma le varie specie che assieme al cyborg costruiscono la contemporaneità. Di certo una visionaria capace di stimolarci in maniera intrigante.
Per spingerci oltre non possiamo accontentarci di una sola di queste definizioni, perché tutte centrano un po’ il punto o meglio uno dei punti, dobbiamo anche cercare di andare oltre quei dualismi che siamo stati abituati a considerare fondamentali e che oggi ci sembrano inservibili.
Come poter parlare ancora oggi del dualismo uomo/natura? Siamo ancora convinti che possiamo auspicare un ritorno alla natura selvaggia e all’uomo «buon selvaggio» quando siamo nell’epoca delle clonazioni e della natura che cambia mentre noi cambiamo? Possiamo ancora avere la pretesa di essere gli unici esseri senzienti della galassia? Può quindi il concetto di natura essere ancora relegato solo al nostro pianeta?
E poi, come possiamo ancora interpretare il presente con la dicotomia uomo/macchina, che è stata fondamentale per la nascita del capitalismo della catena di montaggio, ma viene resa oggi inutilizzabile da una produttività basata sul cyborg, sulla connettività, sul lavoro immateriale?
Come possiamo pensare che possa ancora essere servibile la dicotomia uomo/donna, da sempre usata per giustificare e spiegare una realtà di sfruttamento e sottomissione di genere, quando parliamo da anni ormai di superamento dei generi?
Il nostro sforzo deve andare oltre le definizioni, i dualismi, e anche ben oltre i post, che hanno caratterizzato e in parte continuano a caratterizzare la ricerca in questi anni.
Non è più sufficiente, ad esempio, parlare di postfordismo, utile a definire il passaggio della centralità dello sfruttamento dalla fabbrica a tutto il sociale, così come di postmoderno utilizzato per definire la nuova complessità epocale. C’è l’antico vizio di usare i post-qualcosa per ammettere che qualcosa è cambiato, ma nel definirlo ci riferiamo a un passato conosciuto e rassicurante. Un modo, in fondo, per non dover mettere tutto in discussione.
Oltre l’umano
Un tentativo oggi di definire il mondo in cui viviamo con tutti questi strumenti somiglia molto al tentativo di rimettere il dentifricio dentro il suo tubetto.
Dove siamo quindi? In che mondo viviamo? Siamo in un’epoca, un’era che forse possiamo iniziare a descrivere come «oltre l’umano».
Dove abitiamo?
Il nostro habitat, ambiente abitabile, è per lo meno tridimensionale: siamo nel territorio, siamo nel virtuale, siamo nell’universo.
Siamo nel territorio, dove il nostro piede calpesta il suolo.
Siamo nel 2021, siamo 7 miliardi e 800 milioni, dei quali il 66,6% utilizza un cellulare, il 59,5% ha un accesso a Internet e il 53% è utente di social network, trascorrendo mediamente 7 ore al giorno online. Questi dati bastano per renderci conto che la dimensione digitale è reale, siamo anche questo.
Siamo nell’universo, dimensione intrigante su cui vale la pena soffermarsi. La geopolitica spaziale non è fantascienza, dobbiamo cominciare a parlare di satelliti, di estrazione da asteroidi e di terraformazione, perché tutto questo, mentre ne discutiamo, sta già avvenendo.
I satelliti
Oggi ci sono circa 2700 satelliti in orbita, di cui si servono tutte le funzioni digitali che quotidianamente utilizziamo. Di queste macchine orbitanti 1300 sono americane, 300 sono cinesi, 280 di multinazionali, seguono quelle di altri vari Stati. Per immettere un satellite in atmosfera c’è bisogno di una piattaforma di lancio. Chiunque, avendo i capitali, può comprare un satellite ma per metterlo in funzione dovrà pagare qualcuno che può permettersi la tecnologia necessaria per lanciarlo. A oggi chi sono i «lanciatori nello spazio»? Sei paesi, potenze vecchie o emergenti, Usa, Cina, Russia, Francia (… e non l’Europa), Giappone e India. A questi si sono aggiunti tre privati, Space X con Elon Musk e Paypal, Blue Origin con Jeff Bezos e Amazon, Virgin Galactic con Richard Branson e Virgin Group. Perché vanno messi assieme logo e persona? Perché dobbiamo sempre pensare al potere non come una cosa astratta. I nemici, anche in questa nuova era, non ci mancano, hanno volti, luoghi e contesti ben definiti. Questi colossi stanno acquisendo infatti un tale potere tecnologico che gli stessi Stati Uniti per lanciare i satelliti usano più le piattaforme di lancio private che quelle statali. Tutto questo comincia a interessare anche il nostro piccolo, le nostre dimensioni locali. Nelle nostre università, come a Bologna, per esempio, c’è un corso universitario specifico in progettazione di satelliti.
Le nuove frontiere di ricerca nell’utilizzo dei satelliti riguardano anche lo stoccaggio dei dati attraverso la fisica quantistica. Sappiamo tutti che Google accumula big data, i nostri big data, e sappiamo che questi vanno a finire nelle big farm, strutture sempre più grandi, sempre più potenti, sempre meglio controllate e blindate. A breve, tramite la compressione dei dati con la fisica quantistica e il loro conseguente stoccaggio sui satelliti, vedremo aumentare a dismisura la militarizzazione dello spazio per difendere i dati dalla predazione altrui. La guerra nello spazio sta cambiando, è già un meccanismo molto complesso, non è più da tempo quella fra americani e russi come ai tempi di Laika e dell’uomo sulla Luna.
Estrazione sugli asteroidi
Se parliamo di spazio dobbiamo dirci che l’estrazione di materiali sugli asteroidi è già realtà. Materie prime rare, quelle che vengono chiamati «metalli rari», necessarie per il funzionamento dei dispositivi mobili e poco disponibili sulla Terra, sono presenti abbondantemente sugli asteroidi. L’utilizzo di robot e droni al fine di estrarre materiali e riportarli sulla Terra è già a tema. Questo comporta, per cominciare, un grandissimo problema giuridico. Così come gli oceani sono infatti considerati proprietà dell’umanità, cioè di tutti, a usufrutto di tutti, per cui chiunque con la sua barca può tranquillamente andarci a pescare, così l’unica legge internazionale sullo spazio del 1967 dichiara i corpi celesti proprietà dell’umanità. Se una corporation non può quindi giuridicamente prendere possesso di un asteroide, può però estrarne materiali e portarseli a casa, creando un enorme problema di concorrenza. Anche in questo caso le nuove frontiere dell’estrattivismo andranno protette militarmente.
Proviamo a non essere miopi. È impossibile che tutto questo non abbia ripercussioni immediate anche sul nostro pianeta, perché i robot che le corporation stanno progettando per portare avanti l’estrazione di materiali nello spazio saranno immediatamente utilizzabili per i progetti di fracking o estrazione sulla Terra.
Terraformazione
La terza grande frontiera della ricerca spaziale è la terraformazione. Ancora non sappiamo se alla fine l’umanità vivrà mai su Marte, fatto sta che tutta la tecnologia che viene utilizzata per terraformare il pianeta rosso è assolutamente già applicabile sulla terra. Stiamo parlando per esempio di nuove configurazioni antropiche. È noto l’esperimento che ha coinvolto due gemelli astronauti, Scott e Mark Kelly, uno dei quali restando un anno in orbita sulla ISS ha visto cambiare la sua struttura morfologica per rispondere all’adattamento ambientale spaziale, mentre l’altro, nella sua quotidianità terrestre, non ha subito alcuna modifica. Tutto questo apre nuovi scenari alla ricerca medica e non.
Terraformare Marte significa progettare nuove colture che possano resistere in quel suolo ma che saranno anche utilissime sulla terra per mettere a coltivazione ampie zone del nostro pianeta in via di desertificazione così come il cambiamento della nostra struttura antropica potrebbe servire alla nostra specie per continuare a vivere e sfruttare quelle zone del pianeta a noi già inaccessibili.
Tutti questi aspetti delle nuove frontiere spaziali comportano una necessità di controllo diretto per proteggere i propri investimenti, l’utilizzo di nuovi saperi per sperimentazioni militari, un’enorme quantità di capitale e la comparsa inevitabile di nuovi conflitti di potere, perché è sempre più chiaro, oggi come nel secolo scorso, che chi controlla lo spazio controlla anche la Terra.
I mattoni del nostro habitat
L’intelaiatura del nostro habitat tridimensionale (territorio, virtuale e spazio) è sorretta dalle sinergie di quelle che vengono definite tecnologie convergenti.
Parliamo di scienze come le biotecnologie, ovvero qualsiasi applicazione tecnologica che utilizzi sistemi biologici, esseri viventi o loro derivati per realizzare prodotti per un uso specifico. È di questi giorni la notizia dello sviluppo in campo agricolo delle cosiddette NGT, «nuove tecniche genetiche», in parte approvate anche dai Verdi, e che vanno oltre i «cattivi OGM», che abbiamo imparato a combattere, ma che si dice potrebbero essere utilissime per lo sviluppo dell’agricoltura e per contrastare la fame nel mondo.
Parliamo di nanotecnologie, quel ramo della scienza applicato alla tecnologia che comporta il controllo della materia su scala dimensionale di un nanometro, un miliardesimo di un metro, manipolazione della materia a livello atomico. Le sue applicazioni sono già tante, dall’energia alla pulizia dell’acqua, alla medicina.
Parliamo di tecnologie dell’informazione, l’insieme dei metodi e delle tecniche utilizzate nella trasmissione, ricezione e elaborazione dei dati.
Parliamo di scienze cognitive, discipline che hanno per oggetto lo studio dei pensieri cognitivi umani e artificiali come l’Intelligenza Artificiale, le neuroscienze, la psicologia cognitiva, l’antropologia.
Tutti questi rami delle scienze oggi sono forzati dal potere a pensarsi parcellizzati. Non è astrazione o pensiero futuribile, è la nostra realtà, per cui come un tempo era necessario conoscere attentamente il ciclo di produzione di fabbrica per sabotarlo e riappropriarsi del salario uscendo dal ricatto del lavoro, così oggi è necessario capire il funzionamento di scienze/tecnologie per estrarne il potenziale di liberazione. Dei piccoli esempi: forse con le nanotecnologie potremmo essere in grado di curare varie malattie? Forse gli esoscheletri saranno certamente utilizzati per i soldati cyborg, ma potrebbero aiutare a camminare tutti quelli oggi in carrozzina? E allora no agli esoscheletri armi di morte e sì agli esoscheletri per chi potrebbe averne bisogno per vivere meglio e non solo per chi può pagarseli.
Questo è il mondo in cui siamo, dove siamo situati come si usa dire oggi. Tocca a noi sviluppare un intreccio di saperi multidisciplinari liberi, che facciano interagire le scienze accompagnate, perché no, dalla capacità anticipatoria di altri linguaggi come quelli artistici.
Oltre l’umano
L’umano come lo intendono le religioni che mettono al centro l’uomo in quanto creato da un dio e anche l’umano come lo intende il pensiero progressista/laico che mette al centro l’homo sapiens, tappa ultima e immutabile dell’evoluzione e riferimento del Tutto.
Andare oltre l’umano per non restare schiacciati da visioni catastrofiche che non permettono di vedere oltre, come se la fine della storia fosse possibile. Siamo abituati a pensare la specie umana come il Tutto e non invece come una parzialità dentro un insieme più ampio di Tutto, fatto di Terra, cosmo, specie…
Insomma, in poche parole, relativizziamoci, siamo in compagnia del T‑Rex, di ET e di Roy Batty.
Comando finanziario
Con queste premesse proviamo a dare un nome per inquadrare il potere contemporaneo: comando finanziario. Le parole che usiamo plasmano la nostra realtà e continuare a usare parole vecchie per interpretare fenomeni nuovi è un meccanismo regressivo. È tempo di rompere il nostro lessico e forzarlo per costruire un nuovo vocabolario.
Partiamo da alcune definizioni marxiste. In particolare dalle pagine dei Grundrisse quando Marx si sofferma sul fatto che il capitale non è il Soggetto a tutto tondo al quale ricondurre ogni cosa ma un rapporto sociale e di classe, un rapporto di forza, con i suoi alti e bassi, che si sviluppa nelle lotte di classe, in forme contradditorie e in perenne evoluzione. L’inarrestabile conflitto tra il capitale che guarda al profitto e il lavoro che vuole liberarsi.
Lasciamo perdere tutte le teorie che fanno del capitale un Moloch inattaccabile.
Il mondo in cui viviamo l’abbiamo costruito noi. Nella realtà, ancor oggi più pervasivamente, vediamo configurarsi la continua tensione ambivalente fra le possibilità di liberazione e le barbare brame di profitto.
Facciamo anche in questo caso dei piccoli esempi.
Pensiamo ai bitcoin. È il 2008, esplode la lunga fase di crisi economica. Primo gennaio 2009, vengono varati i bitcoin. All’inizio, il gruppo di informatici che ha inventato l’algoritmo dei bitcoin, noti con lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto, ha pensato a un meccanismo di rottura, perché le intenzioni erano quelle di strappare la moneta al monopolio degli Stati e delle banche. Nel corso degli anni, invece, il bitcoin è diventato una valuta usata per esempio da El Salvador come moneta statale, ultima spiaggia per attirare i grandi capitali. I bitcoin, partiti in un certo modo oggi sono diventate una valuta come tutte le altre.
Per continuare, quando per la prima volta nel ’57 fu mandato il primo segnale di dati tramite packet switching telefonico, i tipi che avevano le due cornette del telefono in mano sapevano che quel modo di comunicare era totalmente diverso dai precedenti, certo non potevano immaginare Internet. In realtà era uno dei primi passi di quello che sarebbe poi diventato Internet, qualcosa che aveva le potenzialità di liberare una nuova forma di comunicazione, ma anche in questo settore i rapporti di capitale hanno fatto valere la loro voracità di profitto.
Ovunque guardiamo troviamo sempre potenzialità di liberazione e capacità di sfruttamento al servizio delle logiche di profitto.
Un ultimo esempio: Google è sfruttamento, ma è costruito su delle potenzialità di liberazione comunicative e applicative immense.
Si è provato finora a definire in vari modi il capitalismo.
Capitalismo biopolitico (Foucault), ovvero un rapporto di capitale che non agisce più solo sulla relazione di lavoro ma entro cui gli stessi corpi sono messi a valore.
Capitalismo della sorveglianza (Zuboff), ovvero il controllo e la messa a valore da parte delle big companies di tutti i dati che produciamo accedendo all’infosfera.
Capitalismo finanziario, definizione che coglie il momento storico in cui siamo e dove, se prima secondo il dogma marxiano il denaro produceva merce e poi la merce produceva denaro, oggi viviamo invece in una dimensione in cui è lo stesso denaro a produrre altro denaro tramite la speculazione in borsa, una dimensione talmente pervasiva che è diventato uno dei meccanismi che regola il presente. E ancora, è denaro virtuale che produce denaro virtuale, rendendo ancor più manifesto come questo sia un’astrazione, una convenzione.
La nuova forma del potere capitalista oggi si esprime con il comando finanziario. Un integrato di meccanismi caratterizzati dalla voracità e dalla pervasività delle logiche di profitto, alimentato da nuove regole e codici che agiscono attraverso algoritmi, secondo regole proprie e oltre i meccanismi classici dell’economia.
Nelle precedenti fasi forse tutto sembrava più chiaro. Al tempo del fordismo tutto era più leggibile: il capitalismo si appoggiava agli Stati-nazione per far produrre la fabbrica perché questi avevano il monopolio dell’uso della forza e del controllo della società. Già negli anni del capitalismo biopolitico e della globalizzazione, i meccanismi diventano più fluidi e contradditori. Pensiamo solo alla funzione dello Stato-nazione profondamente modificata dalla spinta del potere verso le grandi istituzioni internazionali multilevel (Fmi, G8, Bce, Commissione europea, G2, G20…) a cui viene delegata, in parte e in maniera contradditoria, la tensione a governare il pianeta.
Il comando finanziario, per usare una metafora, è una «giostra a calci in culo» in cui tutti vogliono salire sui seggiolini per cercare di arrivare al premio, sgomitando e spingendo a più non posso, alleandosi provvisoriamente con chi ti dà una spinta salvo poi scalciarlo per arrivare per primi. Poi la giostra si ferma per ripartire poco dopo ancora con tutti i seggiolini pieni.
Nessuno vuole restare escluso dalla possibilità del premio. Un gioco a cui tutti vogliono partecipare, che siano i grandi capitali, i sottosistemi di potere o l’ultimo migrante sbarcato sulle nostre coste con la speranza di vivere una vita migliore.
Certo non tutti i potenziali giocatori hanno lo stesso peso e la stessa stazza. Soffermiamoci sui giocatori più forti, quelli che chiamiamo sottosistemi.
Premessa: quando parliamo di sottosistemi parliamo anche di una situazione in evoluzione, conflittuale e contradditoria al proprio interno.
Per sottosistemi oggi intendiamo sia le vecchie e nuove potenze statali come Stati Uniti, Cina, Russia, India e Giappone ecc., sia i grandi agglomerati di movimentazione di capitale come l’economia criminale, che muove a oggi il 7% del Pil mondiale.
Intendiamo le big corporation ma anche il sottosistema crescente dell’islam politico, una ideologia violentemente reazionaria che sta prendendo piede parallelamente ai nostri populismi e che è l’idea di un governo della società che metta al primo posto la religione.
Analizzare gli islam politici, tanti e spesso in diretta competizione bellica fra loro, è importante per rendersi conto di come quanto è successo, ad esempio, in Afghanistan non sia imputabile unicamente agli Usa, ma si inserisca dentro la complessità del comando finanziario, aiutandoci ad andare oltre il discorso post-coloniale. Quando parliamo di Afghanistan, certo è ancora fondamentale tenere ben presente il gioco di scacchi fra i vecchi sottosistemi nazionali di Usa, Russia e Cina per il controllo dei territori, ma è però anche necessario ricordare che è lì che l’80% dell’eroina mondiale viene prodotta. Se negli ultimi 20 anni la guerra in Afghanistan è costata agli americani 2300 miliardi di dollari, nello stesso periodo i talebani tramite il traffico d’oppio si stima abbiano guadagnato 120 miliardi di dollari, distribuendo redditi e controllando società e consenso. È così che il nuovo governo talebano entra a pieno nel sistema di comando finanziario. Questo anche grazie alle ipocrisie del proibizionismo imperante.
Come ultimo punto va anche tenuto presente che esiste un popolo afghano, al cui interno vi è una parte, non certo minoritaria, responsabile della situazione di terribile violenza e non solo un’innocente marionetta maneggiata da altri, un’altra parte, anche questa non minoritaria, che accetta la situazione e una minoranza in particolare le donne che resistono. A loro il nostro massimo rispetto.
Piccolo inciso: ricordiamoci che se parliamo di sottosistemi val la pena citare anche la grande azienda Chiesa Cattolica, con il suo manager Papa Francesco, che se anche al momento ha dei grossi problemi di solvibilità e contante continua a essere una struttura di potere non indifferente.
Analizzare i sottosistemi ci serve per non semplificare, per renderci conto che esistono ancora dei poteri fisici che si possono affrontare e colpire, senza continuare ad addossare la totalità delle responsabilità ai soliti noti, come gli Usa o le banche, che fra l’altro si caratterizzano oggi come delle istituzioni fortemente in ritardo sulle tecnologie di comando.
Anche qui un piccolo esempio: mentre i vertici della Bce dichiarano che nei prossimi cinque anni pensano di realizzare l’emissione di una moneta digitale, la Cina una moneta digitale già la possiede ed è una moneta a loro utilissima per commerciare con quei paesi come Iran o Corea del Nord che sono sottoposti a sanzioni, garantendo così il commercio libero dai vincoli degli Swift, i codici di protocollo che ognuno di noi ha sul proprio conto corrente.
Che fare?
Intanto capirci qualcosa.
Tutto quel che è l’assetto globale oggi abbisogna quindi di approfondimento, per conoscere le viscere del comando finanziario, i suoi ingranaggi. Abbiamo necessità di interloquire con esperti di diversi settori, dobbiamo cominciare a interpretare il presente attraverso un multipensiero, che faccia comunicare scienze e saperi differenti.
Abbiamo bisogno di un nuovo vocabolario che allontani vecchi lemmi come quei «beni comuni» definiti quasi come entità fissate e immobili in un mondo in cui invece tutto è in transito e in cui si può pulire e rendere potabile l’acqua con l’uso di nanotecnologie.
Un nuovo vocabolario che non si pieghi alle facili mode, come ad esempio la parola ormai diventata un mantra: resilienza. Che assomiglia più all’atteggiamento di Fantozzi davanti al padrone, ovvero l’adattamento privo di conflitto a ogni situazione in cui si è costretti a vivere.
Perché non provare a inserire nel nostro lessico parole come multidisciplinarietà, relazione, interdipendenza, contaminazione? Perché non provare ad ascoltare un fisico e insieme guardare un film che parla di donne afghane? Perché non sfidare la mescolanza di saperi? Forse riusciremmo così a costruire una conoscenza autonoma, una cooperazione delle conoscenze come atto di autonomia per avere una visione del futuro e praticare un presente di libertà.
Oltre a capirci qualcosa dovremmo anche porci nuove domande, mentre indaghiamo. Con/ricerca, inchiesta andrebbero illuminate da una nuova luce.
Anche nel fare dovremmo porci nuovi interrogativi: come ci organizziamo, come lottiamo, come agiamo il conflitto, come resistiamo, ma anche sabotiamo il potere?
Insomma come riannodiamo teoria e pratica dentro l’orizzonte del nostro tempo in cambiamento.
«Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi: navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser».
Dal film Blade runner
Immagine: Maurizio Cannavacciuolo, Claudio, 1995, olio su tela, 190 x 110 cm
13 Feb, 2022 | Analisi e Riflessioni, Pragma
Di 0‑V3 MZ.
Puntate precedenti
E’ tempo di riconoscere che viviamo in una nuova era ed abbiamo bisogno di un nuovo lessico. Il nostro habitat è tridimensionale (territorio, virtuale e spazio), sorretto dalla sinergia delle tecnologie convergenti. Il capitale è un rapporto sociale, di classe, di forza, terreno dello scontro tra profitto e liberazione. Il comando finanziario, guidato da algoritmi che vanno oltre le regole classiche dell’economia, in cui si muovono sottosistemi vecchi e nuovi di potere, non è un Moloch definitivamente vincente. Che fare:https://municipiozero.it/oltre-lumano-oltre-i-post-oltre-non-si-puo-rimettere-il-dentifricio-nel-tubetto/
Oltre l’umano #2
Il futuro inizia oggi non domani
* In transizione
Stiamo vivendo in tempo reale la transizione dal post all’oltre umano. Il nostro tempo storico, questi decenni di inizio millenio, sono un tempo pieno di non più e non ancora. Un tempo di transizione, in cui però possiamo vedere cose che ci possono essere molto utili per uscire dal passato e muoverci con maggiore libertà.
Non più solo il tempo dei post (post-fordismo, post-moderno …), caratterizzato dal rendere evidente la fine del ciclo precedente. Il tempo dei post è stato importante per dare valore e attraversare le differenze, non più riconducibili a uno (donna-uomo, uomo-macchina, uomo- natura.. ). E’ stato come aggiungere lettere al nostro alfabeto, per provare a scrivere un nuovo linguaggio della liberazione. Le differenze, divenute dicotomie inconciliabili, non si potevano certo ridurre a uno, forzandole ad unità con il vecchio alfabeto novecentesco, infilandole in teorie preconfezionate di lotta. Sarebbe stato come remare contro la realtà.
Non ancora appieno il tempo dell’oltre, ma un tempo in cui iniziano a darsi nuove possibili forme di ricomposizione intesa come possibile liberazione. Un tempo in cui agiscono forme di soggettivazione, come si dice oggi, ovvero soggetti con caratteristiche nuove a cui guardare e che possono alludere a nuove forme di ricomposizione.
Per affrontare questa visione ci serve il concetto di ibrido. La parola ibrido ha una etimologia incerta, per la maggiore va l’ipotesi che derivi dal latino hybrĭda «bastardo» o dalla parola greca
ὕβρις, quella di Promoteo per capirci. Bastardo, nella vulgata significa di origini dubbie, un qualcosa di nuovo, altro dalle sue origini. Non solo una sommatoria limpida di cose ma invece un mix innovativo. Insomma una qualità molto utile non solo per definire i nuovi soggetti del tempo della transizione dal post all’oltre ma anche le forme della realtà, del sistema in cui viviamo, perfino del potere.
* Tra sacro e profano.
Prima di avviarci lungo i cammini ibridi del nostro tempo storico in transizione tra i post e l’oltre, dobbiamo scegliere, una volta per tutte la bussola con cui intendiamo orientarci. Eh sì, perché senza bussola non definiamo il nostro nord e brancoliamo come ubriachi.
Come avanziamo nella transizione tra post e oltre, in questo tempo di cambiamenti, di spaesamento, di contraddizioni, di mancanza di riferimenti dati? Un tempo che è un gran casino?
Possiamo affrontare la realtà da un punto di vista spirituale ed assoluto oppure materialista e relativo. Si tratta di fare una scelta chiara, “tertium non datur”. O scegli un nord, o un altro, per orientare il tuo cammino, pena il fatto di perdere la strada per provare a cambiare radicalmente lo “stato di cose presenti”. Insomma la vecchia scelta tra sacro e profano.
La complessità del nostro tempo si può affrontare attraverso lo spirituale ed assoluto, come fanno tutte le religioni, i new age, le dinamiche ambientaliste portate all’estremo, che hanno certezze dogmatiche e di conseguenza un punto di vista conservativo del sempre uguale, come valore che va salvaguardato da ogni mutamento di tipo epocale.
Oppure si può affrontare il presente attraverso il materialismo e il relativo, sporcandosi, affondando nella realtà, pronti a confrontarsi con ciò che muta non avendo nessun assoluto da difendere ma anzi il cambiamento radicale da costruire. Una strada questa appartenuta alla vecchia storia del movimento operaio, alla storia comunista, oltre che a chi non ha mai avuto paura di scontrarsi con il sacro assoluto ed imperante in voga al momento.
C’è un piccolo problema però, oggi, un paradosso: sembra che il sacro vesta gli abiti della resistenza di fronte ai pesanti mutamenti epocali. Per capirci, le religioni e tutti gli assoluti analoghi sono osannati come baluardo contro quello che sembra l’unico profano possibile, quello dei mercati, del sistema capitalista, che di certo non è metafisico ma materiale. Papa Francesco, per citare una chiesa che conosciamo da vicino, è diventato il punto di riferimento contro le barbarie del sistema, con tutti gli annessi e connessi della sacralità della vita, dell’importanza della carità, dell’aiuto ai poveri, dell’importanza del proprio personale impegno e via dicendo.
E’ importante cercare di capire cosa è successo, storicizzare quanto è avvenuto per non essere banali.
Parliamo della chiesa cattolica perché noi qui viviamo, questo il territorio in cui siamo situati. Non che le altre religioni ed assoluti siano da meno (l’Islam ce lo dimostra …). Tra l’altro anche chi si dice ateo respira nel territorio che abita l’oppio dei popoli che affumica l’aria che respira, perché la grande capacità delle religioni è di avvolgere l’intero sistema sociale, plasmandone le relazioni tra individui, volenti o nolenti.
Restiamo perciò a casa nostra per capirci.
Nei decenni passati il sacro ha combattuto duramente il profano, in particolare la teoria e pratica del comunismo, visti come il Diavolo in terra. Certo, anche all’ora, nel campo profano c’era pure il capitalismo, che di certo non è spirituale ma una dinamica di rapporti di forza quanto mai materiali, ma il vero nemico da combattere senza esclusioni di colpi era qualsiasi alternativa credibile di liberazione materiale di altra natura. Con il capitalismo la chiesa poteva venire a patti ed andare a braccetto, con il comunismo, inteso come movimento che abolisce l’ordine di cose presenti, di certo no. Era lotta dura.
In questi ultimi vent’anni, il tempo tra il post e l’oltre, nel campo del profano, mancando la forza di un pensiero e di una pratica di liberazione e rottura rivoluzionaria, si è affermata l’egemonia capitalista. E’ come se il campo del profano fosse rimasto in totale appannaggio del capitalismo.
Per cui lo scontro sembra oggi tra il sacro, la chiesa che resiste e lotta contro il profano, il capitalismo. E’ un effetto distorto, forse sarebbe il caso di usare la parola distopico: pensare la chiesa come un’alternativa di sistema non solo è un abbaglio ma è qualcosa di cui liberarsi al più presto.
La chiesa affonda la sua genesi nell’assoluto e si prefigge un fine spirituale immutabile per questo è un baluardo del conservatorismo, garantito da Dio per quanto riguarda le grandi questioni di fondo. E’ nella sua natura combattere il senso profondo del profano, ovvero la scelta umana di prendere in mano le proprie sorti, superando spiritualismo ed assoluto, emancipandosi da Dio, costruendo la propria liberazione qui ed ora.
Per questo si tratta di scegliere il profano, il materialismo, la ricerca, la capacità di praticare il relativo di fronte all’assoluto, la curiosità delle scienze, dei saperi e delle tecnologie, di dire … che veniamo da un buco nero e lì torneremo. Senza per questo avere paura del futuro.
E’ come se in partenza per una corsa, il corridore A voglia arrivare nel caldo dei tropici e il corridore B voglia andare nel freddo dell’Antartide. Ognuno dei due ha cose diverse nel suo bagaglio perché ha un diverso obiettivo. Uno vuole arrivarci con le sue gambe, insieme ai suoi compagni, l’altro crede che qualcuno, un’entità superiore, lo aiuterà ad arrivare a destinazione. Per farla più breve, uno è convinto che la possibile felicità sta nella sua corsa, l’altro che la felicità stia in qualcosa di garantito che verrà solo dopo la corsa. Voi capite che sono due cose ben diverse.
Per cui iniziamo ad attraversare il tempo di transizione tra il post e l’oltre con la bussola, possibilmente tecnologica, orientata in modalità profano e l’ibrido come qualità da indagare.
* Nuovo potere capitalista: l’algoritmo del mercato/comando finanziario e i sottosistemi
Intendiamoci, quando parliamo di capitalismo non stiamo parlando di un Moloch indefinito e sempre presente (… abbiamo appena abbandonato la categoria di assoluto, non possiamo riprenderla …) ma la capacità capitalista di costruire egemonia economica-culturale-politica. Cosa che altre ideologie, narrazioni non sono, finora, riuscite a determinare. Il capitalismo, lo ripetiamo per non essere fraintesi, va inteso come un concetto fatto di relazioni, di contraddizioni, di capacità di attraversarle costruendo una propria egemonia di discorso sui diversi piani.
Quello che si tratta di indagare è la qualità del potere che si presenta oggi come un ibrido.
Un ibrido, governato dagli algoritmi della finanza, che fa interagire mercato (domanda a cui risponde una offerta) e comando (imposizione con la forza), attraversando sottosistemi vecchi e nuovi.
Una nuova forma di potere che appare come un groviglio difficile da comprendere, perché in movimento e pieno di tensioni, in cui la caratteristica ibrida è una costante.
Basta guardare ai sottosistemi vecchi e nuovi. Certo alcuni sono statali ma altri di sicuro no.
Ne è un esempio lo scontro sulle questioni dello spazio tra la Cina (entità statale) con Musk (imprenditore privato, oggi in testa tra i più ricchi al mondo) perché nei mesi scorsi i satelliti lanciati da Space X, la società spaziale del fondatore di Tesla e cofondatore di PayPal, per due volte sono quasi entrati in collisione con la stazione spaziale Tiangong. Vuol dire che in assoluto ogni riccone vale come uno stato? No, ma vuol dire che ci sono privati che incarnano imprese che oggi contano tanto quanto entità statali complesse. Ma al tempo stesso le entità statali interagiscono con questi nuovi sottosistemi, a volte considerandoli delle risorse a volte dei competitor. Vince il privato, vince lo stato? Nessuno dei due. Sono ambedue parte dell’ibrido delle nuove forme del potere. Ambedue si muovono, si alleano o si combattono dentro lo spazio degli algoritmi del mercato/comando finanziario, loro riferimento comune.
Passiamo ad un altro apparente rompicapo, i bitcoin e le monete digitali. Nuove relazioni di moneta che vanno oltre la definizione dell’economia politica e che sono garantite non più da sovranità statali ma dall’algoritmo del mercato/comando finanziario. Insomma un bel cambiamento da quello che ci racconta la serie “Casa di carta” quando la stabilità di uno stato, la Spagna, si reggeva sulla riserva di lingotti d’oro. Ma in fondo anche nella serie, alla fine il tutto, è solo una convenzione (AAA da qui in poi spoiler….) perché il patto siglato tra il Professore e Tamayo è che la riserva aurea sia stata ritrovata e i rapinatori hanno fatto una brutta fine, ma nella realtà, di comune accordo tra tutti, al posto dei lingotti d’oro ci sono quelli di bronzo e i nostri eroi se ne vanno liberi e ricchi, in cambio del silenzio, mentre la Spagna è salva dalla bancarotta. Del resto “l’oro di un Paese è una illusione”, aveva detto il Professore a Palermo in un flashback. Certo un’illusione che però deve avere delle solide garanzie. Ora a garanzia dei Bitcoin c’è una formula, un algoritmo e questo pare bastare. Ormai le criptovalute sono uno degli asset funzionali al mondo finanziario.
Perfino le guerre oggi sono ibride. Non solo perché a combatterle sono un nuovo mix di tecnologie tra spazio e terra, di contractor armati di moderni sistemi militari, di milizie tribali, ma perché i sottosistemi si scontrano per contare in una sorta di caos da sovraffollamento, che non impedisce all’algoritmo del mercato/comando finanziario di prosperare.
Pensiamo alla cronaca di questi giorni.
Le tensioni in Kazakistan hanno tenuto banco per qualche settimana. Ma da dove nasce il problema in questo paese che è 9 volte l’Italia con una popolazione di 19 milioni di persone, raggruppate in clan che si sono trasformati in aggregazioni di interessi economici? Certo dal malcontento per l’aumento del prezzo dei carburanti, certo dall’insofferenza verso il nuovo governo, figliastro del vecchio regime. Ma quanto c’entra nella crisi energetica il fatto che negli ultimi mesi il paese fosse diventata l’Eldorado dei miners che, per estrarre i Bitcoin, assorbono quantità pazzesche di energia? Tanto. Quanto c’entra il fatto che il paese, da cui si estrae il 43% mondiale dell’uranio, tornato in auge con la bufala che l’energia nucleare di fusione sia green, faccia gola a molti? Tanto. Quanto c’entra la situazione geopolitica che vede la Russia, che non ha esitato a mandare i suoi soldati, sempre più preoccupata di quello che si sta muovendo nella cintura dei paesi cuscinetto verso la Nato ed anche ben intenzionata a non perdere il controllo sul Cosmodromo di Bajkonur, spazio porto fondamentale nei giochi militari nello spazio? Tanto. Quanto c’entra l’attenzione che la Cina rivolge al paese confinante con il Sinjan, regione di forti tensioni? Tanto. Quanto c’entra lo zampino americano nel mettere zizzania tra Cina e Russia, oggi vicine per comune nemico più che per affinità? Tanto. Insomma nessuna di queste motivazioni è l’unica causa di quello che è successo, ma tutte si mischiano, creando un mix esplosivo. Poi dopo qualche giorno di attenzione il Kazakistan è sparito dai radar della comunicazione, ma non è che le molteplici cause alla radice di quanto successo siano state risolte, covano tutte sotto le ceneri.
Negli ultimi giorni è ritornata in voga invece un’altra guerra, quella annunciata per l’Ucraina. Anche qui un mix di tensioni e pulsioni. Ma davvero c’è il pericolo di una guerra? La risposta è un ibrido, perché dietro a quello che sta succedendo ci sono le pulsioni che attraversano la Russia di Putin, alfiere della globalizzazione ma anche pronto a soffiare sui nazionalismi più arcaici, così come gli interessi americani, volti a mantenere un ruolo egemone da ridefinire negli scacchieri internazionali. Senza dimenticare le tensioni intra-europee, tra est e ovest, paesi forti come la Germania e più deboli, ma non disposti a farsi da parte, come quelli dell’est. Sì, perché un paradosso che attraversa i sottosistemi statali è che nessuno è disposto ad allontanarsi dalle filiere economiche globali, uniche in grado di garantire i profitti ma al tempo stesso, mai come in questi tempi, si sono alimentati nazionalismi e pruriti addirittura etnici. Per cui la guerra in Ucraina ci sarà? Di certo non sarà la temuta guerra nucleare che ha mantenuto la pace nel tempo della guerra fredda, con la paura della distruzione totale del pianeta. Se guerra ci sarà, avverrà sui piani ibridi tra militare ed economico, nella rete e nello spazio e comunque anche in questo caso le cause di tensioni resteranno ancora sotto la cenere.
Una guerra che invece è sparita dalla comunicazione mainstream se non per brevi laconici messaggi sul fatto che i bambini muoiono di fame e le donne sono eufemisticamente meno libere è quella in Afghanistan. Dopo essersi stracciati le vesti nei mesi scorsi in tutti i consessi internazionali deputati a difendere i diritti umani, i talebani sono felicemente al potere ed Amen o Inshallah.
D’altronde anche della guerra in Siria e dell’insopportabile questione che Assad sia ancora al potere, in un paese distrutto per essere diventato il campo della guerra per procura tra i diversi attori regionali (Turchia, Iran, Arabia Saudita) ed internazionali (Russia, Cina, Usa), non se ne parla più se non per le immagini, da dare in pasto al grande pubblico, del piccolo Mustafa senza braccia e gambe arrivato in Italia, come grande atto di generosità e carità.
Per non parlare dell’altro grande teatro di guerra, che da noi non viene neanche sussurrato, quello che si muove dal Mar Cinese verso il Pacifico, anche qui sotto l’occhio dei satelliti dallo spazio, nella contesa tra Cina e America.
Sottosistemi pronti a distruggersi a vicenda? Difficile, ma l’incidente, qualcosa di non previsto, può sempre succedere ed in ogni caso l’algoritmo del mercato/comando finanziario per il momento dorme sogni tranquilli viaggiando tra i vari fusi orari. Sembra più che i vari sottosistemi vecchi e nuovi, statali e no, legali ed illegali siano alle prese con la necessità di “avere un posto al sole”, di continuare ad esistere e resistere. Cosa resa ancora più difficile non solo per la generale aggressività esterna ma anche dalla necessità di far fronte al fattore umano, a quell’insieme di pulsioni che costituiscono le relazioni sociali, l’aggregarsi del bipede che siamo, portandosi dietro il proprio bagaglio di radici etniche, culturali e antropologiche, ancora come codice di aggregazione.
Il tutto pare un ibrido tra Risiko e Monopoli con una spruzzatina di videogame, dove però chi si contende il campo non ha l’ambizione di vincere tutto, di governare il mondo. A quello ci pensa l’algoritmo del mercato/comando finanziario. Al massimo i giocatori possono mirare a resistere, esistere e non sparire, guardandosi sempre le spalle e sapendo che le vecchie strategie basate su carrarmatini e carte sono anacronistiche, tanto più che nella globalizzazione, che tutto attraversa e connette, anche la Kamchatka può diventare importante e il gioco non avviene più nel piatto mappamondo ma nell’intero spazio, non solo nell’accumulo di beni fisici ma nel vortice del denaro che produce denaro.
* La composizione del lavoro
Dopo aver cercato di porre degli elementi iniziali per definire il capitale come nuovo potere capitalista, l’algoritmo del mercato/comando finanziario e i sottosistemi, tuffiamoci ad iniziare ad indagare la composizione del lavoro.
Prima però dobbiamo fermarci un attimo.
Ci siamo ben piantati nel campo del profano. L’abbiamo scelto. Profano fa rima con la scienza e la conoscenza, ovvero la tensione ad andare oltre l’assoluto indagando la materia. Ma quali scienze, quali conoscenze?
Non possiamo più accontentarci di dire che la scienza non è neutra ma al servizio del capitale, di continuare ad oscillare rispetto alle tecnologie tra la critica quasi luddista e l’accettazione supina di ogni cosa come nuovo spazio di libertà, di balbettare alla ricerca delle definizione sempre più aggettivate dei saperi (di parte, operaio, femminili, altrui, differenti etc etc …). Abbiamo bisogno, anche in questo caso dell’ibrido. Il concetto di ibrido, avendo scelto il campo del profano, ci aiuta a spingerci nella ricerca di un nuovo lessico ed allora forse potremo iniziare a parlare di STS ovvero Scienza/e Tecnologia/e Sapere/i, come il nuovo mix oggi centrale sia dal punto di vista capitalista, perché ne innerva la struttura, sia dal punto di vista delle potenzialità di liberazione.
Pensiamo un attimo a cosa è cambiato. Ogni settore anche quello più dannatamente materiale si valorizza dentro filiere tecnologiche e sempre più specializzate. In ogni campo i saperi, volutamente forzati ad essere separati, vengono fatti agire in sinergia per produrre quel quid in più che viene elaborato dagli algoritmi del mercato/comando finanziario. In ogni aspetto della nostra vita individuale e collettiva la scienza ha apportato cambiamenti veloci ed inimmaginabili. Internet delle cose, start-up innovative basate sulla robotica, intelligenza artificiale, nanomaterie, metaversi vari, questi sono il futuro. Ma tutto questo non è frutto di una bacchetta magica di cui è dotato il capitale. Dietro ad ogni invenzione, elaborazione, novità tecnologica, scientifica ci stanno corpi e cervelli che agiscono, che vengono forzati alla separazione e alla parcellizzazione sempre più specialistica di ogni branchia del STS.
Riflettere su questo ibrido ci aiuta a parlare di composizione del lavoro.
Anche qui torniamo un attimo al post prima di andare nell’oltre. Il tempo del post (post fordismo etc …) ci è stato utile per riconoscere e operare sulle nuove forme, differenze che si erano prodotte nel superamento del lavoro classico, che già avevamo iniziato a focalizzare con il passaggio dall’operaio massa all’operaio sociale. Abbiamo cominciato a prendere dimestichezza con la differenza tra lavoro materiale e immateriale, manuale e intellettuale. Anzi ne abbiamo fatto fior fiore di teorie (a volte fin troppo …) per cercare con il lumicino il settore trainante, centrale. E magari, quando pensavamo di averlo trovato la strada, per organizzarlo ci portava sui sentieri del conosciuto, ovvero la sindacalizzazione (ovviamente necessariamente aggettivata per dire che stavamo cercando qualcosa di nuovo).
Oggi se guardiamo alle forme del lavoro troviamo di fronte a noi un ibrido in cui vecchie e nuove caratteristiche delle forme del lavoro si mischiano, sovrappongono, plasmano.
Il facchino della logistica agisce in un contesto di informatizzazione dell’intera filiera, il super-esperto di energia quantica svolge un lavoro parcellizzato come in una vecchia fabbrica fordista. L’ibrido innerva la relazione tra capitale e lavoro. E’ la tendenza. Chiaro che ci sono lavori che incarnano maggiormente la qualità di ibrido ed altri meno. Ma l’acqua dove nuota il pesce è la stessa. Al tempo stesso appaiono nuove gerarchie che portano al fatto che i lavori con maggior qualità di ibrido innervano i settori che sono maggiormente ed immediatamente funzionali all’algoritmo del mercato/comando finanziario: sono i lavori che si sviluppano nell’insieme delle STS. Basti pensare a quei settori che, nonostante la pandemia, hanno visto i loro ricavi aumentare a dismisura come quelli collegati alla rete, alle tecnologie, alle scienze, ai saperi. Non stiamo dicendo che non ci sono milioni di esseri umani che lavorano in una situazione che assomiglia più alla schiavitù che al lavoro moderno, ma anche questi lavori si interfacciano con l’ibrido. Guardiamo un magazzino Amazon: il lavoratore A scarica e carica, guidato dai dati raccolti dal lavoratore B, elaborati dal lavoratore C, prodotti creati dal lavoratore D, su invenzione creativa del lavoratore E, dopo la campagna comunicativa del lavoratore F, che la ha creata a partire dai dati raccolti sul mercato del lavoratore G … e via così … il lavoratore A (magari pakistano) porta a casa i pasti delivery, scatta al segnale del dato raccolto dal lavoratore B (magari del call center in Albania), il pasto è elaborato sulla falsariga della ricetta del lavoratore C (magari uno chef stellato calabrese), accompagnato dal vino selezionato dal lavoratore D (magari un sommelier francese), il tutto accompagnato dal marchio creato dal lavoratore E (magari un creativo americano).
Insomma è chiaro che ci sono lavori e lavori, ma è altrettanto evidente che i lavori che si caratterizzano per una maggiore quota di ibrido, che agiscono nell’ibrido del STS sono potenzialmente quelli in cui la forma della ricomposizione tra vecchie e nuove forme del lavoro è più alta ed al tempo stesso hanno in potenza una capacità di ricomposizione innovativa più alta. Sì, perché quello che dobbiamo ricercare non è il punto di più alto del sistema capitalista ma i soggetti che possono incominciare a prefigurare nuove forme di ricomposizione, un ibrido nuovo capace di superare parcellizzazioni, frammentazioni, interessi solo di parte, insomma le caratteristiche che il potere vorrebbe come uniche nell’ibrido.
Non è una ricerca facile, proprio perché oggi più un lavoro è ibrido più è segnato dalla parcellizzazione, dalla separazione, dall’egoismo. Non è una ricerca che si può fare solo con le lenti del sindacalismo.
E’ una ricerca in cui entra in campo il bios. E’ una ricerca che guarda alla cooperazione. E’ una ricerca da agire, senza schemi preconcetti. Ma non provarci significa accettare nel lavoro politico di camminare come i gamberi, all’indietro, per paura di affrontare territori nuovi e contraddittori.
A volte bisogna avere il coraggio di muoversi a balzi, forzando l’orizzonte. Non possiamo basarci solo sulla estenuante ricerca di previsioni certe, fondate su dati inequivocabili. Rischiamo di restare fermi e vedere passare non solo il presente ma anche il futuro. Ci vuole una dose di anticipazione, visione e scommessa.
Detto questo, niente è facile. Ma perché non provarci?
Facciamo un esempio, che può sembrare un po’ stonato, ma che si cala nei tempi in cui viviamo. A fine estate scorsa non sarebbe stato forse il caso di creare piazze “Si vax e vaccini per tutti”, dove per tutti si intendeva tutti, in tutti i posti del mondo? Forse sarebbe stato il modo per attaccare il potere delle Big Farm direttamente invece di perderci tra mille sì ma .. però forse …, lasciando campo libero all’onda di melma che ci ha quasi sommersi tra “No vax – No green pass – No questo – No quello – No a questo ma non quel no ma l’altro … di ogni tipo”, dai terrapiattisti ai filosofi rincitrulliti (… per usare un eufemismo), ai nazi, agli ignoranti di ogni risma, insomma alla vandea insopportabile? Forse piazze “Si vax e vaccini per tutti” avrebbero messo in moto qualcosa di diverso, nuovi soggetti, nuove forme di ricomposizione e cooperazione, capaci di rivoluzionare il sistema dei vaccini stesso, basando la ricerca su valori diversi da quelli imposti dal mercato? Forse … Certo con il senno del poi non si costruisce mai niente. Però anche … chi non risica non rosica.
Prossime puntate
In via di discussione. Anzi se avete suggerimenti, critiche, fatevi vivi
PS solo per gli amanti della fantascienza.
Se abbiamo detto che i sottosistemi non sono più solo potenze statali, se un privato come Musk anima un sottosistema potente … allora perché non immaginare che si possano costruire sottosistemi altrettanto potenti, anzi più potenti ma radicalmente altri da sto ca … volo di algoritmo del mercato/comando finanziario. Un po’ come nella saga di The Expanse la Rocinante, che con il suo equipaggio ibrido di terrestri, marziani, cinturiani, è autonoma, potente e gioca un ruolo centrale fuori dagli schemi. Certo bisogna capire come finirà con la Protomolecola etc … etc … ma intanto la Rocinante è altro da tutti.