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Frammenti… di lotta armata e utopia rivoluzionaria

AA.VV., Fram­men­ti… di lot­ta arma­ta e uto­pia rivo­lu­zio­na­ria, Con­tro­in­for­ma­zio­ne, Mila­no 1984


Negli anni del­la «legi­sla­zio­ne di emer­gen­za» l’in­for­ma­zio­ne e le ana­li­si poli­ti­che sui movi­men­ti anta­go­ni­sti degli anni ’70 e in par­ti­co­la­re sul­le Orga­niz­za­zio­ni Arma­te, sono sta­ti vizia­ti da una costan­te fal­si­fi­ca­zio­ne, da un uso esa­spe­ra­to e inte­res­sa­to del­le rico­stru­zio­ni sto­riel­le dei «pen­ti­ti», dal­l’e­sten­sio­ne del­l’ot­ti­ca giu­di­zia­ria fino nel­le reda­zio­ni dei gior­na­li e del­le case edi­tri­ci. Tan­to una­ni­mi­smo e tan­ta per­vi­ca­ce costan­za nel per­se­gui­re l’o­biet­ti­vo di una siste­ma­ti­ca demo­niz­za­zio­ne di un inte­ro perio­do di sto­ria, non pos­so­no non nascon­de­re che un orga­ni­co pro­get­to di rimo­zio­ne di even­ti e di respon­sa­bi­li­tà col­let­ti­ve.
La stes­sa dele­ga alla magi­stra­tu­ra come brac­cio seco­la­re del siste­ma dei par­ti­ti è sta­ta sostan­zial­men­te coper­ta e soste­nu­ta dal­la gran par­te del­l’in­tel­li­ghen­tia demo­cra­ti­ca deter­mi­nan­do gua­sti pro­fon­di non solo nel mon­do del­l’in­for­ma­zio­ne ma nel­lo stes­so cam­po del­l’or­ga­niz­za­zio­ne e pro­du­zio­ne del­la cul­tu­ra.

L’on­da lun­ga del­la logi­ca dell’«emergenza» è tut­to­ra ope­ran­te nel­la socie­tà ita­lia­na degli anni ’80 e ten­de a masche­rar­si all’in­ter­no di un vischio­so dibat­ti­to sul­le ipo­te­si di un sup­po­sto biso­gno di ritor­no ai fon­da­men­ti del dirit­to. Ciò men­tre è ope­ran­te un siste­ma giu­di­zia­rio ai limi­ti del­la costi­tu­zio­na­li­tà e un cir­cui­to car­ce­ra­rio trai peg­gio­ri in Euro­pa.
Que­sto libro con­tie­ne testi­mo­nian­ze rese al pro­ces­so da alcu­ni mili­tan­ti del­la Bri­ga­ta Wal­ter Ala­sia del­le Bri­ga­te ros­se, è com­ple­ta­to da inter­ven­ti, arti­co­li, rifles­sio­ni dì intel­let­tua­li e mili­tan­ti che han­no con­di­vi­so la sto­ria dei movi­men­ti col­let­ti­vi degli anni ’70, vuo­le esse­re uno stru­men­to di ana­li­si, un testo di docu­men­ta­zio­ne che nel­la sua par­zia­li­tà e fram­men­ta­rie­tà con­tri­bui­sca a for­ma­re nel let­to­re un giu­di­zio più obiet­ti­vo e equi­li­bra­to e che soprat­tut­to sot­trag­ga il dibat­ti­to alla deso­lan­te mani­po­la­zio­ne a cui è attual­men­te sottoposto.

PRIMO MAGGIO n° 23/​24

  • 3 Il caso Magne­ti Marel­li. Sto­ria, ana­li­si, inter­vi­ste di Pier­re del­la Vigna/​Giorgio Pauletta/​Domenico Potenzoni/​Riccarda Rebecchi
  • 20 Il con­trol­lo del lavo­ro attra­ver­so i pic­co­li grup­pi in Giap­po­ne di Eichi Itoh
  • 26 Rea­ga­no­mics: i sogni avve­ra­ti del capi­ta­le di Phi­lip Mattera
  • 33 Osser­va­zio­ni sul­la pola­riz­za­zio­ne socia­le negli USA di Bru­no Cartosio
  • 37 Il con­trol­lo socia­le nel­l’A­me­ri­ca “sre­go­la­ta” di Rea­gan di Pao­lo Ber­tel­la Farnetti
  • 41 Inghil­ter­ra: fuo­ri dal­le minie­re di Cor­ra­do Borsa/​Susanna Conti/​Massimo Corrias
  • 47 Nuo­ve pover­tà in Ger­ma­nia di Ser­gio Bologna
  • 54 Cen­sis: sog­get­ti­vi­tà e sedu­zio­ni di un discor­so eco­no­mi­co di Pier­re Dal­la Vigna
  • 59 Il cri­mi­ne pre­sun­te e il delin­quen­te lavo­ra­to­re di Erman­no Gallo/​Vincenzo Ruggiero
  • 69 La fab­bri­ca del­l’a­no­ma­lia di Dete­nu­ti 1° rag­gio – San Vittore
  • 72 La ses­sua­liz­za­zio­ne dei rap­por­ti socia­li di Ali­sa Del Re
  • 75 Con­tro la memo­ria di Gioac­chi­no Lavanco

PRIMO MAGGIO n° 26

  • 4 Tri­no, Caor­so, Mon­tal­to di Castro: gli anti­nu­clea­ri­sti rac­con­ta­no. Dicem­bre 1986
  • 12 Il peso del­l’e­mer­gen­za di Bru­no Cartosio
  • 16 Un anno di movi­men­to ad Ales­san­dria di Cesa­re Manganelli/​Daniele Borioli
  • 21 Come nac­que Radio Popo­la­re di Pie­ro Scaramucci
  • 25 L’uo­mo e la distru­zio­ne del­le risor­se natu­ra­li di Jus­si Raumolin
  • 37 Car­ce­re e sto­rie di vita di Ric­car­do Borgogno 
  • 45 Semi­na­rio: Man­to­va 5–6 dicem­bre 1986
  • 52 A pro­po­si­to di “nuo­vo para­dig­ma teo­ri­co” di Dario Paccino
  • 62 Memo­ria ope­ra­ia e nuo­va com­po­si­zio­ne di clas­se di Ser­gio Bologna

Gli invisibili

Nan­ni Bale­stri­ni, Gli invi­si­bi­li, Bom­pia­ni, Mila­no 1987

Ora:
Nan­ni Bale­stri­ni, Gli invi­si­bi­li, Deri­veAp­pro­di, Roma 2004

L’in­vi­si­bi­li­tà è la con­di­zio­ne toc­ca­ta ai gio­va­ni pro­ta­go­ni­sti del­la gran­de fiam­ma­ta di rivol­ta socia­le che die­ci anni fa inva­de­va­no le cit­tà con i loro cor­tei inter­mi­na­bi­li, che irri­de­va­no la cul­tu­ra uffi­cia­le con le loro pra­ti­che alter­na­ti­ve, che face­va­no vive­re nel­le scuo­le, nel­le fab­bri­che, nei quar­tie­ri il loro scan­zo­na­to rifiu­to.
Tra­vol­ti poi dal­la rea­zio­ne al ter­ro­ri­smo, spaz­za­ti via dal­la sce­na pub­bli­ca e poli­ti­ca, rimos­si dal­la memo­ria col­let­ti­va del­la socie­tà, fran­tu­ma­ti e dis­sol­ti in vicen­de indi­vi­dua­li spes­so tra­gi­che.
Que­sto libro rico­strui­sce attra­ver­so un per­cor­so esem­pla­re la gene­si del­la loro sog­get­ti­vi­tà, il pro­ble­ma del­la con­ti­nui­tà e del­la rot­tu­ra col ’68, i pas­sag­gi dal­la fami­glia, alla scuo­la, al lavo­ro, via via bru­cia­ti dal­lo svi­lup­po del­l’a­zio­ne poli­ti­ca, la vita di grup­po che con­cen­tra il tem­po e i desi­de­ri di tut­ti, gli anni del­le gran­di lot­te socia­li e quel­li del crol­lo e del­la scon­fit­ta, lo spe­gner­si del­le cer­tez­ze e del­le spe­ran­ze.
L’an­nul­la­men­to nel­la vio­len­za del­le car­ce­ri spe­cia­li, o per altri nel­la dispe­ra­zio­ne del­la dro­ga, nel­la fuga, nel sui­ci­dio.
Rac­con­ta­ta tut­ta d’un fia­to, la spi­ra­le ver­ti­gi­no­sa in cui si con­su­ma e si distrug­ge l’e­spe­rien­za di una gene­ra­zio­ne, attra­ver­so un lin­guag­gio imme­dia­to e incal­zan­te, arti­co­la­to su una strut­tu­ra rit­mi­ca e un mon­tag­gio visi­vo agi­lis­si­mi, riper­cor­re e inter­ro­ga una zona del nostro pas­sa­to anco­ra recen­te e bru­cian­te, ren­de visi­bi­le una leal­tà sto­ri­ca, poli­ti­ca e uma­na som­mer­sa ma non cancellata.

Miccia corta. Una storia di Prima linea

Ser­gio Segio, Mic­cia cor­ta. Una sto­ria di Pri­ma linea, Deri­veAp­pro­di, Roma 2005
Ser­gio Segio, il «coman­dan­te Sirio», è sta­to tra i fon­da­to­ri di Pri­ma linea, l’or­ga­niz­za­zio­ne arma­ta che ha con­ta­to mil­le mili­tan­ti e miglia­ia di sim­pa­tiz­zan­ti. In que­sto libro descri­ve una del­le azio­ni più cla­mo­ro­se e auda­ci del­la lot­ta arma­ta in Ita­lia: l’as­sal­to al car­ce­re di Rovi­go con cui libe­rò la sua com­pa­gna e altre tre dete­nu­te poli­ti­che. Il rac­con­to si sno­da in una sola gior­na­ta, il 3 gen­na­io 1982, con un rit­mo incal­zan­te tipi­co del­le miglio­ri sce­neg­gia­tu­re di film d’a­zio­ne. Sul­lo sfon­do si inter­se­ca­no alcu­ni foto­gram­mi del­le lot­te e dei movi­men­ti degli anni Set­tan­ta.

«Ricor­do la stra­ge di piaz­za Fon­ta­na del 1969 che ha radi­ca­to in mol­ti indi­gna­zio­ne e ribel­lio­ne, l’i­dea che biso­gnas­se rea­gi­re alla repres­sio­ne del­la poli­zia, alle bom­be fasci­ste, ai ten­ta­ti­vi gol­pi­sti. Ma anche allo sfrut­ta­men­to capi­ta­li­sti­co. Ricor­do i com­pa­gni ucci­si in piaz­za, gli scon­tri con la cele­re, i pestag­gi degli arre­sta­ti. E poi l’or­ga­niz­za­zio­ne dei ser­vi­zi d’or­di­ne, l’an­ti­fa­sci­smo mili­tan­te, la con­tro­in­for­ma­zio­ne, le sedi incen­dia­te, le mac­chi­ne bru­cia­te. Infi­ne, il pas­sag­gio alla lot­ta arma­ta.
Ci sia­mo allo­ra indu­ri­ti, sen­za riu­sci­re a man­te­ne­re la capa­ci­tà di tene­rez­za. In un’a­ne­ste­sia mora­le pro­gres­si­va, che ha avu­to ragio­ne del­le nostre ragio­ni. La logi­ca del­le armi ci ha pre­so non solo la mano ma anche il cuo­re e la testa.
In quel­la man­cia­ta di anni i movi­men­ti sono sta­ti bru­tal­men­te schiac­cia­ti. Han­no dera­glia­to stret­ti tra il par­ti­to arma­to, la repres­sio­ne, l’e­roi­na dila­gan­te e il pri­va­to risor­gen­te. Deci­ne di miglia­ia di com­pa­gni han­no orga­niz­za­to lot­te auto­no­me e scio­pe­ri spon­ta­nei, mani­fe­sta­zio­ni di mas­sa e azio­ni d’a­van­guar­dia. Si sono arma­ti, han­no com­bat­tu­to.
Ora miglia­ia sono in car­ce­re, deci­ne sono mor­ti. Per que­sto sia­mo qui a olia­re e cari­ca­re le armi che dovre­mo usa­re tra poco. Oggi apri­re­mo alme­no una brec­cia nel vico­lo cie­co in cui ci stia­mo dibat­ten­do. La scon­fit­ta poli­ti­ca è ormai cer­ta, il sogno si è sgre­to­la­to, impa­sta­to nel san­gue nostro e in quel­lo del­le nostre vit­ti­me, nel­la fero­cia del­le pri­gio­ni di Sta­to e nel­l’or­ro­re di quel­le del popo­lo. Ma assal­tan­do que­sto car­ce­re, comin­cia­mo a ripren­der­ci la liber­tà del­le nostre com­pa­gne».

Ser­gio Segio è impe­gna­to da mol­ti anni nel volon­ta­ria­to, par­ti­co­lar­men­te sui pro­ble­mi del car­ce­re, l’e­sclu­sio­ne e le tos­si­co­di­pen­den­ze. Lavo­ra con il Grup­po Abe­le. Dal 1997 al 2001 ha cura­to le edi­zio­ni del­l’An­nua­rio Socia­le. È idea­to­re del Rap­por­to sui dirit­ti glo­ba­li che cura per Cgil, Coor­di­na­men­to nazio­na­le del­le comu­ni­tà di acco­glien­za, Arci, Legam­bien­te e Anti­go­ne. Nel 2003 gli è sta­to con­fe­ri­to il Pre­mio inter­na­zio­na­le all’im­pe­gno socia­le «Rosa­rio Liva­ti­no». Ha pro­mos­so e diret­to le rivi­ste «Nar­co­ma­fie» e «Fuo­ri­luo­go». Col­la­bo­ra con varie testa­te, tra cui il set­ti­ma­na­le «Vita» e il quo­ti­dia­no «la Repub­bli­ca». Con Riz­zo­li ha pub­bli­ca­to nel 2006 La mia vita in Pri­ma linea.

Insurrezione

Pao­lo Poz­zi, Insur­re­zio­ne, Deri­veAp­pro­di, Roma 2007


Que­sta è una sto­ria degli anni Set­tan­ta.
Allo­ra c’e­ra un movi­men­to fat­to di don­ne e uomi­ni che pen­sa­va­no di cam­bia­re il mon­do. In modo radi­ca­le. Con una rivo­lu­zio­ne.
Quel­le don­ne e que­gli uomi­ni pen­sa­va­no che cam­biar­lo potes­se anche esse­re diver­ten­te. Anzi o era diver­ten­te o non vale­va la pena. Tut­to e subi­to. Non si pote­va riman­da­re nul­la a dopo.
La par­te più radi­ca­le di quel movi­men­to era­no gli auto­no­mi.
Poi quel movi­men­to è sta­to pre­so in una mor­sa ed è rima­sto stri­to­la­to. Mol­ti si sono fer­ma­ti o sono sta­ti fer­ma­ti. Mol­ti dal movi­men­to sono pas­sa­ti alle for­ma­zio­ni arma­te. Mol­ti han­no pen­sa­to che l’u­ni­ca giu­sti­zia era quel­la pro­le­ta­ria. Alcu­ni, non pochi, si sono pen­ti­ti, cioè sono diven­ta­ti dela­to­ri.
È quin­di anche una sto­ria ter­ri­bi­le. È una sto­ria fat­ta di vivi, mor­ti e mor­ti ammaz­za­ti. È una sto­ria dolo­ro­sa per il dolo­re arre­ca­to e sof­fer­to.
È una sto­ria che nar­ra di gio­va­ni. Io ora sono un uomo che va ver­so i ses­san­ta. Ma mi rive­do gio­va­ne e pen­so: ce l’han­no fat­ta paga­re ma ci sia­mo diver­ti­ti un casi­no.

Que­sta sto­ria comin­cio a scri­ver­la nel car­ce­re spe­cia­le di Fos­som­bro­ne nel 1982. Qua­der­no e mati­ta.
Poi il qua­der­no me lo por­to a Rebib­bia, dove ven­go tra­sfe­ri­to.
Fran­co­ne mi pre­sta la sua Oli­vet­ti Let­te­ra 22 e io rico­min­cio da capo. Il pat­to è chia­ro: tut­ti i gior­ni lui vuol leg­ge­re e dare il suo giu­di­zio: Heming­way, pas­sa­bi­le, fa caga­re. I fa caga­re ven­go­no subi­to strap­pa­ti in fac­cia all’au­to­re.
Il lavo­ro si ral­len­ta di mol­to duran­te le udien­ze del pro­ces­so. La scrit­tu­ra lan­gue. Nel­l’e­sta­te dell’84 ci dò la bot­ta fina­le. Ma mi libe­ra­no e il lega­me con il mio spie­ta­to cri­ti­co ces­sa.
Il dat­ti­lo­scrit­to me lo por­to a Mila­no nei sac­chi neri del­la spaz­za­tu­ra che rac­col­go­no i miei effet­ti per­so­na­li. Pub­bli­car­lo? E da chi?
Poi Fran­co­ne esce anche lui. Una sera di quin­di­ci anni fa mi por­ta a casa Ser­gio, det­to Ser­gi­no per­ché ai tem­pi del­l’Au­to­no­mia era qua­si un bam­bi­no. Ser­gio dice: «mi pia­ce un casi­no, sia­mo pro­prio noi».
Pia­no pia­no comin­cia a pub­bli­ca­re sin­go­li capi­to­li del­la sto­ria su rivi­ste, libri ecc.
Poi l’an­no scor­so si fa vivo. E mi dice: pub­bli­chia­mo tut­to.
Io dico di sì.
Ecco­la qua.

Pao­lo Poz­zi (1949) si lau­rea in Socio­lo­gia a Tren­to nel 1972. Tra­sfe­ri­to­si a Mila­no mili­ta nel­la com­po­nen­te del­l’au­to­no­mia ope­ra­ia che si rac­co­glie attor­no la rivi­sta «Ros­so», di cui è redat­to­re. Nel 1979 vie­ne arre­sta­to nel­l’am­bi­to del­l’in­chie­sta 7 apri­le e scon­ta diver­si anni di car­ce­re. Oggi è diri­gen­te di una socie­tà che si occu­pa di beni culturali.

Bellissimo Luciano

Chi era Lucia­no Fer­ra­ri Bra­vo*

Nato a Vene­zia nel 1940 e cre­sciu­to tra Castel­lo e il Lido, lau­rea­to in giu­ri­spru­den­za all’Università degli stu­di di Pado­va, è sta­to a par­ti­re dai pri­mi anni Ses­san­ta uno dei pro­ta­go­ni­sti di quel pen­sie­ro poli­ti­co ere­ti­co che ha pre­so il nome di «mar­xi­smo ope­rai­sta». Atti­vo fin da stu­den­te nell’organizzazione del­le lot­te di fab­bri­ca a Por­to Mar­ghe­ra, poi espo­nen­te di Pote­re ope­ra­io fino al suo scio­gli­men­to, fu negli anni Set­tan­ta tra i docen­ti e ricer­ca­to­ri del Col­let­ti­vo di Scien­ze Poli­ti­che e tra i fon­da­to­ri di Radio Sher­wood. Arre­sta­to nel qua­dro dell’operazione poli­ti­co-giu­di­zia­ria del 7 apri­le 1979, dopo cin­que anni e mez­zo di car­ce­re spe­cia­le e due tra con­fi­no e sor­ve­glian­za, è sta­to assol­to da tut­te le accu­se e rein­te­gra­to nel suo posto di lavo­ro uni­ver­si­ta­rio. Docen­te di Isti­tu­zio­ni poli­ti­che com­pa­ra­te alla Facol­tà di Scien­ze Poli­ti­che, nel­la secon­da metà degli anni Novan­ta ave­va rico­min­cia­to a con­tri­bui­re, con la con­sue­ta com­pe­ten­za, pas­sio­ne e gene­ro­si­tà, al dibat­ti­to nei movi­men­ti. Lucia­no è man­ca­to il 26 apri­le del 2000.

*Da: Archi­vio Lucia­no Fer­ra­ri Bravo

Nel­la tar­da pri­ma­ve­ra del 2000, a poche set­ti­ma­ne dal­la scom­par­sa di Lucia­no Fer­ra­ri Bra­vo la rivi­sta «Deri­veAp­pro­di» gli dedi­cò un dos­sier dal tito­lo Bel­lis­si­mo Lucia­no.

Di quel dos­sier ripor­tia­mo qui il mio testo dal tito­lo pan­te­ra rosa.

Ho cono­sciu­to Lucia­no negli affol­la­ti cor­ti­li del car­ce­re spe­cia­le di Tra­ni, una ven­ti­na di anni fa. Di lui mi ha col­pi­to la magliet­ta blu impia­stric­cia­ta di mac­chie inde­fi­ni­bi­li, i capel­li lun­ghi un poco argen­ta­ti, i fol­ti baf­fi, il toc­co deli­ca­to del pal­lo­ne, l’astuzia nel mer­can­teg­gia­re le razio­ni di vino, gli occhi riden­ti, iro­ni­ci, discre­ti ma acu­ti. La sua figu­ra, e in par­ti­co­la­re il viso, ricor­da­va­no un mani­fe­sto in cir­co­la­zio­ne all’epoca che raf­fi­gu­ra­va l’arresto di un anar­chi­co dal­la postu­ra spa­val­da tenu­to sal­da­men­te per le brac­cia da due gen­dar­mi. La scrit­ta reci­ta­va: «Una risa­ta vi seppellirà!».

Era dun­que quel­lo sva­ga­to frea­ket­to­ne uno dei padri nobi­li dell’«operaismo» ita­lia­no e insie­me, a det­ta di alcu­ni «magi­stra­ti demo­cra­ti­ci», uno di quei ter­ri­bi­li «cat­ti­vi mae­stri» accu­sa­ti di aver diret­to per un decen­nio tut­te le orga­niz­za­zio­ni arma­te e la sov­ver­sio­ne socia­le del movi­men­to autonomo.

Del­le quin­ta­la­te di rea­ti da plu­rier­ga­sto­lo di cui era accu­sa­to, il mostro sghi­gnaz­za­va scher­nen­do­si die­tro bat­tu­te e impre­ca­zio­ni in dia­let­to vene­to. Nel­le con­ver­sa­zio­ni usa­va espri­mer­si in modo essen­zia­le, paca­to, sem­pli­ce ma pro­fon­da­men­te rifles­si­vo. E in lui si coglie­va bene che agli astrat­ti discor­si poli­ti­ci pre­fe­ri­va di gran lun­ga la con­cre­tez­za di quel­li per­so­na­li e affet­ti­vi, ver­so i qua­li dimo­stra­va un’attenta e diver­ti­ta curiosità.

Insom­ma, Lucia­no, come il Pip­po del gran­de Andrea Pazien­za, sem­bra­va uno sbal­la­to per­ché era, per dav­ve­ro, uno sbal­la­to. Non a caso si era inna­mo­ra­to del movi­men­to del ’77, che di sbal­la­ti stra­bor­da­va, al pun­to di rimet­ter­si, dopo anni di pau­sa, a far qual­co­sa di poli­ti­co nel­la sua Pado­va con il gior­na­le «Auto­no­mia» e «Radio Sher­wood», vin­cen­do così alme­no in par­te una pigri­zia che gli era soa­ve­men­te connaturata.

Maci­nan­do «vasche» su «vasche», chi­lo­me­tri avan­ti e indie­tro in que­gli angu­sti cor­ti­li di cemen­to arma­to, sco­prii di quell’uomo un mite can­do­re coniu­ga­to però a una tena­cia fer­rea. Sco­prii, cioè, che Pip­po si pote­va coniu­ga­re a Lenin. Il frea­ket­to­ne si pote­va mischia­re con scon­cer­tan­te disin­vol­tu­ra al seris­si­mo, clas­si­co, mili­tan­te comu­ni­sta. La sua era una filo­so­fia di resi­sten­za all’annientamento fon­da­ta su uno sti­le sem­pli­ce ma rigo­ro­so: una fer­ma e orgo­glio­sa coe­ren­za cul­tu­ra­le. Insom­ma Lucia­no, in modo non dis­si­mi­le da tut­ti i gran­di pen­sa­to­ri del­la sov­ver­sio­ne cre­sciu­ti a con­fron­to e den­tro le lot­te ope­ra­ie degli anni Ses­san­ta in Ita­lia, ave­va il dono di espri­me­re un sape­re scien­ti­fi­co sen­za sfog­gia­re mai i toni sac­cen­ti e muf­fi dell’accademia. Ed era pro­prio que­sto dono a esse­re meschi­na­men­te invi­dia­to allo­ra da que­gli intel­let­tua­li «orga­ni­ci di par­ti­to» che conia­ro­no la vol­ga­ris­si­ma tesi dei «cat­ti­vi mae­stri» cor­rut­to­ri di gio­va­ni men­ti incolte.

Diven­tam­mo pian pia­no pri­ma ami­ci, poi fra­tel­li, per sem­pre. Lui fece richie­sta di tra­sfe­rir­si dal «locu­lo» (la cel­la sin­go­la) nel mio «came­ron­ci­no» (la cel­la “col­let­ti­va” che divi­de­vo con altri tre compagni).

Al risve­glio la mat­ti­na indu­gia­va gat­to­ne­sca­men­te a let­to. Caf­fè con siga­ret­ta e attac­ca­va a leg­giuc­chia­re alter­na­ti­va­men­te due libri: Mil­les Pla­teaux di Gil­les Deleu­ze e Félix Guat­ta­ri e L’uomo sen­za qua­li­tà di Robert Musil. Poi i gior­na­li, i cui arti­co­li scor­re­va in pochi secon­di miran­do subi­to a quel che gli interessava.

Duran­te l’«ora d’aria» par­te­ci­pa­va alle par­ti­tel­le a pal­lo­ne dove si destreg­gia­va con l’eleganza risa­pu­ta. La mede­si­ma che usa­va per evi­ta­re ogni tipo di riu­nio­ne sull’andazzo rivo­lu­zio­na­rio che annu­sa­va come ines­sen­zia­le. Man­gia­va di tut­to sen­za lamen­tar­si, moti­van­do la cosa col fat­to che non gli veni­va da cuci­na­re nep­pu­re un uovo sodo. La sera in cel­la, in grup­po, si gio­ca­va a car­te e si scri­ve­va agli ami­ci, libe­ri e pri­gio­nie­ri, ma soprat­tut­to alle ragaz­ze. Più rara­men­te si guar­da­va qual­che vec­chio film dal­la tele­vi­sion­ci­na scas­sa­ta che pas­sa­va la «casan­za».

Un ricor­do che non mi ha mai abban­do­na­to è di una pio­vo­sa dome­ni­ca pome­rig­gio, quan­do rinun­cian­do all’ora d’aria io e Lucia­no era­va­mo rima­sti insie­me in cel­la a dar fon­do ai bic­chie­ri e alle chiac­chie­re ascol­tan­do una musi­ca strug­gen­te di Keith Jar­ret e imma­gi­nan­do un viag­gio in mon­ta­gna che poi, tan­ti anni dopo, ormai libe­ri, riu­scim­mo effet­ti­va­men­te a fare. A un trat­to, sic­co­me mi era par­so di coglie­re nei suoi linea­men­ti un velo di tri­stez­za che non gli era usua­le gli allun­gai una leg­ge­ra pac­ca sul­la spal­la a mo’ di inco­rag­gia­men­to. Lui mi guar­dò subi­to iro­ni­co: «Va là che ne devi man­gia­re anco­ra così di pani­ni!». Fu l’unico rim­brot­to bona­rio che mi indi­riz­zò in tut­to il tem­po divi­so insie­me per un gesto che inten­de­va esor­ciz­za­re la tri­stez­za. Vole­va dir­mi che non ce n’era biso­gno, o che sem­mai quel ruo­lo spet­ta­va a lui, fra­tel­lo maggiore.

In quel car­ce­re, in quel perio­do, si con­den­sò uno stram­bo assem­bra­men­to di indi­vi­dui chias­so­si che mal sop­por­ta­va­no l’appartenenza ai vin­co­li e ai ritua­li del­le orga­niz­za­zio­ni com­bat­ten­ti, da cui peral­tro qua­si tut­ti pro­ve­ni­va­no. Una com­po­nen­te infor­ma­le che ave­va la sua for­za nel­le inten­se rela­zio­ni affet­ti­ve più che nel­le con­di­vi­sio­ni ideo­lo­gi­che. Lucia­no, il «Vec­chio», «Mine­stri­na» o la «Pan­te­ra rosa» come lo chia­ma­va­mo, si mischia­va con natu­ra­lez­za a quel grup­po di scia­man­na­ti irri­ve­ren­ti del­la «scuo­la di Tra­ni». Una defi­ni­zio­ne da pre­sa in giro conia­ta da male­lin­gue ami­che, ma un po’ invi­dio­se, che allu­de­va­no mali­zio­sa­men­te a una scuo­la di com­por­ta­men­ti tra­sgres­si­vi e alquan­to ambi­gui nel­le incli­na­zio­ni sessuali.

Mi sono sem­pre chie­sto per­ché Lucia­no, a dif­fe­ren­za dei suoi coe­ta­nei, spon­ta­nea­men­te e con disin­vol­tu­ra, divi­des­se la sua quo­ti­dia­ni­tà, e quin­di i sen­ti­men­ti, «le cose penul­ti­me, quel­le quo­ti­dia­ne e deci­si­ve», con ragaz­zi come noi che ave­va­no la metà dei suoi anni e che sicu­ra­men­te per for­ma­zio­ne cul­tu­ra­le non pote­va­no soste­ne­re con lui un con­fron­to mol­to pro­fi­cuo sul pia­no intel­let­tua­le. Sono con­vin­to che la rispo­sta sta­va nel­la sua acu­ta sen­si­bi­li­tà nel coglie­re una fra­gi­li­tà con­na­tu­ra­ta alla nostra gene­ra­zio­ne. Lucia­no era con­sa­pe­vo­le di una debo­lez­za insi­ta nel­la nostra «gio­ven­tù bru­cia­ta» da even­ti gran­di e dram­ma­ti­ci e sot­to­po­sta a una repres­sio­ne impla­ca­bi­le. Il suo star­ci vici­no, con­di­vi­den­do appie­no il nostro tem­po e le nostre pas­sio­ni, anche le più minu­te, era un modo per ten­ta­re di capi­re le ragio­ni di quel­la nostra fra­gi­li­tà e for­se tro­va­re solu­zio­ni alme­no per tam­po­na­re il peg­gio. Un peg­gio che avan­za­va gior­no per gior­no. Un cedi­men­to gene­ra­liz­za­to che assu­me­va le sem­bian­ze ingiu­sti­fi­ca­bi­li e odio­se del­la dela­zio­ne e del tra­di­men­to. Men­tre fuo­ri dal­le mura del­le for­tez­ze spe­cia­li in cui era­va­mo rin­chiu­si, eroi­na e lot­ta arma­ta esi­sten­zia­li­sta era­no le due varian­ti con cui la nostra gene­ra­zio­ne misu­ra­va la pro­pria ver­ti­gi­no­sa auto­di­stru­zio­ne. Davan­ti al nostro sgo­men­to, alla nostra rab­bia cie­ca gene­ra­ta dall’impotenza, e quel che più con­ta alla ver­go­gna di esse­re par­te­ci­pi di una gene­ra­zio­ne infe­sta­ta di impro­ba­bi­li «pen­ti­ti», Lucia­no non smet­te­va, con la sua soli­ta pazien­za e discre­zio­ne, di avan­za­re ipo­te­si di inter­pre­ta­zio­ne razio­na­le di quel disa­stro uma­no, pri­ma che politico.

Poi, alla fine dell’anno ci fu la rivol­ta. Il seque­stro di una ven­ti­na di guar­die. Il bli­tz del­le «teste di cuo­io». La not­te del­la mat­tan­za. Mol­to sangue.

Lucia­no fu tra­sfe­ri­to a Rebib­bia, a Roma, e da quel momen­to nac­que il nostro scam­bio di cor­ri­spon­den­za che pro­se­guì inin­ter­rot­ta­men­te per tut­to il tem­po che gli toc­cò di scon­ta­re e che alla fine risul­tò esse­re di cin­que anni, cin­que mesi e cin­que gior­ni. Pri­ma di esse­re scar­ce­ra­to e alla fine, dopo altri anni di stra­sci­chi pro­ces­sua­li, assol­to da tut­te le accuse.

Il pli­co con le let­te­re di Lucia­no [non tut­te quel­le rice­vu­te, pur­trop­po] (…) mi ha segui­to in que­sti decen­ni con­tras­se­gna­ti anche da fughe, esi­li, eso­di, tra­slo­chi. È soprav­vis­su­to anche a per­qui­si­zio­ni e a seque­stri, a dis­se­que­stri e rise­que­stri ope­ra­ti dagli epi­go­ni del­la gran­de inqui­si­zio­ne. Non l’ho mai mol­la­to e non le mol­le­rò mai per­ché rap­pre­sen­ta, a mio pare­re, una testi­mo­nian­za ecce­zio­na­le non solo di un sal­do e dol­ce rap­por­to di ami­ci­zia, ma anche di un momen­to sto­ri­co dif­fi­ci­le e dolo­ro­so che ha coin­vol­to due gene­ra­zio­ni di mili­tan­ti. […] Non ho dub­bi riguar­do la dif­fi­col­tà da par­te del let­to­re di com­pren­de­re uni­ta­ria­men­te que­sti bra­ni, soprat­tut­to nel caso di un let­to­re gio­va­ne e non a cono­scen­za dei det­ta­gli di quel fran­gen­te sto­ri­co. Ho quin­di rite­nu­to oppor­tu­no inse­ri­re del­le note uti­li a faci­li­ta­re la com­pren­sio­ne dei con­te­nu­ti del dibat­ti­to poli­ti­co di allo­ra e di una ger­ga­li­tà nota solo a colo­ro che sono pas­sa­ti per il cir­cui­to carcerario.

Socrate a Porto Marghera

Inchiesta, anticipazioni e metodo militante di Guido Bianchini

Gui­do Bian­chi­ni (1926–1998) è sta­to una figu­ra chia­ve dell’operaismo poli­ti­co ita­lia­no, pun­to di rife­ri­men­to del­le lot­te al Petrol­chi­mi­co di Por­to Mar­ghe­ra negli anni Set­tan­ta, instan­ca­bi­le for­ma­to­re del­le suc­ces­si­ve gene­ra­zio­ni mili­tan­ti. Le sue espe­rien­ze di inchie­sta e le rifles­sio­ni sull’uso ope­ra­io del sin­da­ca­to, su tec­no­lo­gia e orga­niz­za­zio­ne pro­dut­ti­va, su rifiu­to del lavo­ro e com­po­si­zio­ne di clas­se, fan­no di Bian­chi­ni un per­so­nag­gio di gran­de impor­tan­za, non solo per la sto­ria del­le lot­te ma anche per la straor­di­na­ria attua­li­tà del­le sue anti­ci­pa­zio­ni teo­ri­che e pratiche.