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1) POTERE OPERAIO : spunti di riflessione sul ”gruppo’’ politico e i suoi giornali tra operaismo e autonomia organizzata

Il docu­men­to di pre­sen­ta­zio­ne di que­sta aper­tu­ra riguar­da «mate­ria­li per la for­ma­zio­ne dei qua­dri» ed è trat­to da «Pote­re ope­ra­io», dicem­bre 1971.


Par­te Pri­ma. Che cos’è Pote­re operaio


Den­tro qual­sia­si livel­lo orga­niz­za­ti­vo di Pote­re ope­ra­io deve esse­re inte­ra­men­te pre­sen­te la pro­po­sta
poli­ti­ca che noi rap­pre­sen­tia­mo, il pro­gram­ma poli­ti­co che noi por­tia­mo avan­ti. Dovrem­mo dire che
sia­mo, o meglio che rap­pre­sen­tia­mo, lo svi­lup­po e la cri­si dell’autonomia ope­ra­ia, del­le lot­te di
fab­bri­ca, del­le lot­te socia­li come le abbia­mo cono­sciu­te in que­sti anni in Ita­lia. Alla III Con­fe­ren­za
di orga­niz­za­zio­ne (Roma, set­tem­bre ’71) ci sia­mo defi­ni­ti «Pote­re ope­ra­io per il par­ti­to per
l’insurrezione per il comu­ni­smo». Che cosa vuol dire, oggi, non pro­por­re que­ste cose in modo
for­ma­le e «litur­gi­co» ma affer­ma­re l’attualità di que­ste paro­le d’ordine? Cioè: che cosa vuol dire
oggi in que­sta situa­zio­ne in Ita­lia, dichia­ra­re che il par­ti­to è all’ordine del gior­no, l’insurrezione è
all’ordine del gior­no, il comu­ni­smo è all’ordine del gior­no? Pote­re ope­ra­io come orga­niz­za­zio­ne
nazio­na­le data dal ’69, dal­le lot­te Fiat del ’69, dal­la pre­pa­ra­zio­ne dell’intervento dei grup­pi
rivo­lu­zio­na­ri nei con­trat­ti e con­tri i con­trat­ti; però come ipo­te­si poli­ti­ca pas­sa­ta attra­ver­so
espe­rien­ze suc­ces­si­ve («Qua­der­ni ros­si», «Clas­se ope­ra­ia»), in real­tà risa­le agli ini­zi degli anni
Ses­san­ta. È uti­le sof­fer­mar­si sul­le ipo­te­si di par­ten­za, per vede­re che cosa è cam­bia­to nel­la
situa­zio­ne di clas­se e nei com­pi­ti che ne derivano.


«Rico­stru­zio­ne» e scon­fit­ta di classe


Agli ini­zi del nostro espe­ri­men­to poli­ti­co, l’Italia era alle soglie del cen­tro sini­stra, che era un
ten­ta­ti­vo di lan­cia­re una fase rifor­mi­sta, un nuo­vo cor­so del­lo svi­lup­po capi­ta­li­sti­co nel pae­se. In
que­gli anni, il rilan­cio del­la lot­ta di clas­se in Ita­lia si pre­sen­ta­va indub­bia­men­te pesan­te. A par­ti­re
dal dopo­guer­ra, dagli anni del­la rico­stru­zio­ne, gli ope­rai ave­va­no subì­to per tut­ti gli anni Cin­quan­ta
una scon­fit­ta di clas­se siste­ma­ti­ca, con­ti­nua, pro­gres­si­va all’insegna del­la col­la­bo­ra­zio­ne
all’interesse nazio­na­le, di una par­te­ci­pa­zio­ne alla rico­stru­zio­ne, in una paro­la all’insegna del­la
poli­ti­ca di col­la­bo­ra­zio­ne di clas­se por­ta­ta avan­ti dal Par­ti­to comu­ni­sta e dal­le orga­niz­za­zio­ni
sin­da­ca­li. Gli ope­rai, dagli ini­zi del dopo­guer­ra fino all’inizio degli anni Ses­san­ta, han­no paga­to il
costo di tut­to. La Repub­bli­ca fon­da­ta sul lavo­ro si è costrui­ta alle spal­le degli ope­rai, sul­la pel­le di
milio­ni di disoc­cu­pa­ti, sul­lo sfor­zo pro­dut­ti­vo inten­so e mas­sa­cran­te del­la clas­se ope­ra­ia. All’inizio
degli anni Ses­san­ta , il capi­ta­le ita­lia­no arri­va alle soglie del mira­co­lo, pro­prio per­ché gli ope­rai
han­no lavo­ra­to come bestie e per quin­di­ci anni e han­no lavo­ra­to a sala­ri bas­sis­si­mi. In real­tà per i
padro­ni il «mira­co­lo» c’è sem­pre sta­to; la dif­fe­ren­za è che ora han­no biso­gno – per l’espansione
eco­no­mi­ca – di «rilan­cia­re la doman­da inter­na» (cioè che gli ope­rai abbia­no più sol­di da spen­de­re).
Si sono avu­te negli anni Cin­quan­ta lot­te duris­si­me, ma tut­te con que­sta comu­ne carat­te­ri­sti­ca
dispe­ra­ta e difen­si­va. Lot­te con­tro i licen­zia­men­ti, lot­te per l’occupazione del­le ter­re al Sud (con la
pro­spet­ti­va poi di esse­re stroz­za­ti dal­lo svi­lup­po capi­ta­li­sti­co dell’agricoltura ), lot­te con­tro la
ristrut­tu­ra­zio­ne: lot­te, cioè, tut­te di dife­sa, e dun­que di scon­fit­ta, per­ché se la lot­ta è difen­si­va, vuol
dire che il padro­ne ha in mano l’iniziativa. E per que­ste lot­te l’unica rispo­sta è sta­to il piom­bo e i
man­ga­nel­li di Scel­ba e di Sara­gat. Da par­te ope­ra­ia, l’impotenza poli­ti­ca, l’impotenza orga­niz­za­ti­va
a com­bat­te­re que­ste cose è for­te, dato che negli anni che van­no dal­la repub­bli­ca al ’52–53 il Par­ti­to
comu­ni­sta ha prov­ve­du­to a sman­tel­la­re siste­ma­ti­ca­men­te l’organizzazione comu­ni­sta arma­ta nel­le
fab­bri­che. Il sin­da­ca­to al tem­po stes­so si è guar­da­to bene dall’organizzare gli ope­rai – la lot­ta,
l’insubordinazione ope­ra­ia – nei pun­ti chia­ve del­lo svi­lup­po, per esem­pio alla Fiat. Il sin­da­ca­to si è
guar­da­to bene in que­sti anni di orga­niz­za­re gli ope­rai sui loro inte­res­si mate­ria­li, sui loro inte­res­si
par­ti­co­la­ri di clas­se, osti­li all’interesse gene­ra­le del­la socie­tà ita­lia­na – che è poi l’interesse dei
padro­ni. Inte­res­si osti­li, anta­go­ni­sti­ci a quel­li che sono i cosid­det­ti com­pi­ti del­la rico­stru­zio­ne, che
poi è rico­stru­zio­ne del pote­re capi­ta­li­sti­co, del­lo sfrut­ta­men­to. Cioè, in tut­ti gli anni Cin­quan­ta il
sin­da­ca­to si è guar­da­to bene dal­lo sca­te­na­re del­le lot­te per innal­za­re in Ita­lia il costo del lavo­ro e
met­te­re così in cri­si i pia­ni di sfruttamento.


Pro­get­to rifor­mi­sta, Sta­to pianificato


Ecco, su que­sta scon­fit­ta ope­ra­ia con­so­li­da­ta si chiu­do­no gli anni Cin­quan­ta. All’inizio degli anni
Ses­san­ta però, c’è il segno di una ripre­sa dell’insubordinazione, di una ripre­sa dura, for­te e vio­len­ta
del­la capa­ci­tà di lot­ta degli ope­rai. È pro­prio in que­sti anni che i padro­ni, lo Sta­to, i set­to­ri più
avan­za­ti del capi­ta­le ita­lia­no lan­cia­no un pro­ces­so rifor­mi­sti­co. È quel­lo che si chia­me­rà – nel cie­lo
del­la poli­ti­ca for­ma­le – gover­no di cen­tro-sini­stra, è quel­lo che si chia­me­rà nei dise­gni capi­ta­li­sti­ci
«poli­ti­ca dei red­di­ti». Vuol dire uno Sta­to nel qua­le andrà in dis­sol­ven­za, pas­se­rà in secon­do pia­no
la fac­cia di Scel­ba e ver­rà in pri­mo pia­no la fac­cia di La Mal­fa, Gio­lit­ti e Lom­bar­di. Que­sta scel­ta
poli­ti­ca di avvia­re un pro­ces­so rifor­mi­sti­co, vuo­le dire, addi­rit­tu­ra sti­mo­la­re una ripre­sa di lot­te, il
rilan­cio di una dina­mi­ca sala­ria­le, pur­ché que­sta sia con­trol­la­ta, con­te­nu­ta, equi­li­bra­ta, pur­ché
que­sta dina­mi­ca di lot­te, que­sta spin­ta mas­sic­cia, que­sta richie­sta di aumen­to dei sala­ri, di
tra­sfor­ma­zio­ne del­le con­di­zio­ni di lavo­ro fun­zio­ni da fat­to­re pro­pul­si­vo del­lo svi­lup­po, di
espan­sio­ne dell’economia capi­ta­li­sti­ca. Sono gli anni in cui i capi­ta­li­sti in Ita­lia si ren­do­no con­to
che è neces­sa­rio ope­ra­re un rela­ti­vo miglio­ra­men­to del­la con­di­zio­ne ope­ra­ia: per­ché ope­rai con più
sol­di signi­fi­ca espan­sio­ne dei con­su­mi e sti­mo­lo alla pro­du­zio­ne. I padro­ni in Ita­lia sco­pro­no la
vec­chia poli­ti­ca di Ford, la poli­ti­ca «nuo­va» di Key­nes; la Fiat lan­cia la vet­tu­ret­ta demo­cra­ti­ca e lo
Sta­to le pre­pa­ra le auto­stra­de, le infra­strut­tu­re, per ope­ra­re que­sto sal­to in avan­ti nel­lo svi­lup­po
capi­ta­li­sti­co in Ita­lia. Ora, a che cosa è dovu­to que­sto tipo di pas­sag­gio poli­ti­co, il cen­tro­si­ni­stra e
l’avvio di una espe­rien­za rifor­mi­sta? È dovu­to pro­prio al cam­pa­nel­lo di allar­me di que­sta ripre­sa
mas­sic­cia del­la volon­tà di lot­ta degli ope­rai, che i capi­ta­li­sti regi­stra­no in Ita­lia. L’insurrezione
pro­le­ta­ria del luglio ’60, i pri­mi «gat­ti sel­vag­gi» alla Fiat sono la cam­pa­na d’allarme per i capi­ta­li­sti
in Ita­lia. E quin­di il ceto poli­ti­co, il ceto capi­ta­li­sti­co ita­lia­no più avan­za­to ten­ta di cam­bia­re le car­te
in tavo­la, di ripor­ta­re nel pae­se cer­ti model­li avan­za­ti di svi­lup­po che sono già sta­ti spe­ri­men­ta­ti
negli Sta­ti Uni­ti, a livel­lo di pae­si capi­ta­li­sti­ci avan­za­ti all’interno del mer­ca­to mon­dia­le. È un
ten­ta­ti­vo di anti­ci­pa­re l’iniziativa ope­ra­ia, di pre­di­spor­re gli stru­men­ti poli­ti­co-isti­tu­zio­na­li per­ché il
capi­ta­le abbia una capa­ci­tà di let­tu­ra e di inter­pre­ta­zio­ne dei movi­men­ti di clas­se e dun­que è una
sor­ta di «pre­li­mi­na­re» al rifor­mi­smo, di «leg­ge qua­dro» del rifor­mi­smo. Ecco quin­di che il
padro­na­to più moder­no e più for­te – pub­bli­co e pri­va­to – e il per­so­na­le poli­ti­co più avve­du­to di
par­te capi­ta­li­sti­ca si ren­do­no con­to di come sia neces­sa­rio, pro­prio per man­te­ne­re il con­trol­lo sul­la
for­za lavo­ro, por­ta­re avan­ti una gestio­ne demo­cra­ti­ca del rap­por­to di lavo­ro; far par­te­ci­pa­re gli
ope­rai al pro­get­to di svi­lup­po, inca­na­la­re l’insubordinazione ope­ra­ia ren­den­do­la un ele­men­to
dina­mi­co del siste­ma, supe­ra­re gli squi­li­bri e le con­trad­di­zio­ni attra­ver­so la pro­gram­ma­zio­ne, gli
uffi­ci stu­di, il pia­no, supe­rar­li attra­ver­so la deter­mi­na­zio­ne di una fun­zio­ne del­lo Sta­to come
cer­vel­lo capi­ta­li­sti­co, non solo come poli­ziot­to; supe­rar­li attra­ver­so que­sta deter­mi­na­zio­ne di una
fun­zio­ne del­lo Sta­to come rego­la­to­re dei con­flit­ti tra capi­ta­li­sta e capi­ta­li­sta, e soprat­tut­to tra ope­rai
e capi­ta­le. Il ceto capi­ta­li­sti­co in Ita­lia ten­de attra­ver­so que­sta ristrut­tu­ra­zio­ne gene­ra­le del­lo Sta­to a
supe­ra­re il rischio sem­pre in aggua­to di cri­si cata­stro­fi­che dell’economia capi­ta­li­sti­ca, di reces­sio­ni
spa­ven­to­se come quel­la che era sta­ta cono­sciu­ta a livel­lo inter­na­zio­na­le nel ’29. Per que­sto dise­gno
occor­re appun­to una nuo­va strut­tu­ra del­lo Sta­to, ed è quel­la che si chia­ma Sta­to demo­cra­ti­co pia­ni­fi­ca­to,
in cui ven­go­no in pri­mo pia­no non gli stru­men­ti di repres­sio­ne ma gli stru­men­ti di
con­trol­lo, di media­zio­ne, di rego­la­men­ta­zio­ne, vie­ne fuo­ri il sin­da­ca­to, come strut­tu­ra di con­trol­lo
sugli ope­rai, il sin­da­ca­to che al tavo­lo del­le trat­ta­ti­ve dovreb­be sta­bi­li­re con il gover­no e i
pia­ni­fi­ca­to­ri quel­lo che è il tet­to, quel­li che sono i livel­li di richie­ste ope­ra­ie com­pa­ti­bi­li con lo
svi­lup­po capi­ta­li­sti­co; cioè, da par­te capi­ta­li­sti­ca si ten­ta all’inizio degli anni Ses­san­ta di liqui­da­re
que­sto ele­men­to irra­zio­na­le per i capi­ta­li­sti e per la logi­ca del­lo sfrut­ta­men­to, que­sto ele­men­to per i
padro­ni anar­chi­co, insop­por­ta­bi­le che è lo svi­lup­po auto­no­mo del­la lot­ta di clas­se. Per far que­sto,
non occor­re solo una nuo­va strut­tu­ra del­lo Sta­to, ma anche una clas­se ope­ra­ia diver­sa, strut­tu­ra­ta sul
model­lo degli ope­rai dell’auto ame­ri­ca­ni, sugli ope­rai di Detroit, cioè su una for­za lavo­ro mobi­le,
sra­di­ca­ta dal posto di lavo­ro, indi­stin­ta, sen­za attac­ca­men­to ai valo­ri pro­fes­sio­na­li, sen­za alcu­na
vel­lei­tà di gesti­re la pro­du­zio­ne. Si trat­ta, per i padro­ni, di distrug­ge­re quel tipo di orga­niz­za­zio­ne
comu­ni­sta che nel­le fab­bri­che era sta­ta model­la­ta pro­prio sul­la pro­fes­sio­na­li­tà del lavo­ro,
sull’attaccamento ai valo­ri pro­fes­sio­na­li – cioè di distrug­ge­re un tipo di strut­tu­ra del­la clas­se ope­ra­ia
che pun­ta­va alla gestio­ne, che ave­va come obiet­ti­vo la gestio­ne del­la fab­bri­ca e del­la pro­du­zio­ne. In
un pri­mo tem­po, di fron­te a que­sto pro­ces­so enor­me di ristrut­tu­ra­zio­ne capi­ta­li­sti­ca (enor­me a
livel­lo inter­na­zio­na­le e poi media­ti nel­la situa­zio­ne spe­ci­fi­ca con tut­te le mise­rie del caso, ma pur
sem­pre con que­sto segno lun­gi­mi­ran­te) di fron­te a que­sto tipo di dise­gno in que­gli anni l’iniziativa
rivo­lu­zio­na­ria sem­bra­va para­liz­za­ta. Cioè, di fron­te a que­sto tipo di con­trat­tac­co gene­ra­le, di
rilan­cio capi­ta­li­sti­co, lo sche­ma del­la III Inter­na­zio­na­le – lo sche­ma clas­si­co basa­to su un’ipotesi di
crol­lo, di cri­si dell’economia capi­ta­li­sti­ca su cui inter­ve­ni­re por­tan­do den­tro un pro­gram­ma di
pote­re capa­ce di ege­mo­niz­za­re l’intera stra­ti­fi­ca­zio­ne pro­le­ta­ria – potrem­mo dire «tut­to il popo­lo»
intor­no alla clas­se ope­ra­ia va in cri­si. Que­sto tipo di ipo­te­si – cioè dell’organizzazione comu­ni­sta
che imper­so­na le ragio­ni del­lo svi­lup­po con­tro la cri­si capi­ta­li­sti­ca e che su que­sto rie­sce a
ege­mo­niz­za­re real­men­te la mag­gio­ran­za del pro­le­ta­ria­to – que­sta ipo­te­si veni­va a cade­re. I mili­tan­ti
comu­ni­sti, i mili­tan­ti rivo­lu­zio­na­ri in que­gli anni non vede­va­no più la pos­si­bi­li­tà di gio­ca­re su una
cri­si «spon­ta­nea» e cata­stro­fi­ca del capi­ta­li­smo come quel­la che si era data in Rus­sia, come quel­la
che si era data in Cina; cri­si di pro­por­zio­ni spa­ven­to­se che arri­va­va­no al pun­to-limi­te del­la guer­ra
impe­ria­li­sti­ca. Sem­bra­va di tro­var­si di fron­te a un capi­ta­le poten­tis­si­mo, imbat­ti­bi­le, che appe­na
sco­pri­va una sua con­trad­di­zio­ne era subi­to capa­ce di sutu­rar­la, di sanar­la; cioè che appe­na una
con­trad­di­zio­ne si rive­la­va – e con­trad­di­zio­ni ce n’erano di for­mi­da­bi­li – era capa­ce di spo­star­la su
un livel­lo più alto, e comun­que di riu­sci­re a tam­po­na­re le cose in modo che non si des­se mai uno
scop­pio di vio­len­za tale da com­pro­met­te­re l’equilibrio del pote­re. E d’altra par­te, la vec­chia,
tra­di­zio­na­le tema­ti­ca del­la III Inter­na­zio­na­le – tema­ti­ca leni­ni­sta peral­tro – dell’organizzazione
comu­ni­sta che impu­gna la ban­die­ra del­la lot­ta poli­ti­ca come lot­ta per lo svi­lup­po estre­mo del­la
demo­cra­zia; anche que­sto sem­bra­va ormai uno stru­men­to inser­vi­bi­le per­ché lo Sta­to si pre­sen­ta­va
come Sta­to pia­ni­fi­ca­to e demo­cra­ti­co, addi­rit­tu­ra con carat­te­ri­sti­che «socia­li­ste». La stes­sa lot­ta
con­tro la pro­prie­tà pri­va­ta, che era sta­ta una ban­die­ra for­mi­da­bi­le di lot­ta, per esem­pio, per il
pro­le­ta­ria­to rus­so pri­ma del ’17, sem­bra­va sfug­gi­re di mano come paro­la d’ordine pos­si­bi­le, per­ché
la ristrut­tu­ra­zio­ne capi­ta­li­sti­ca dava sem­pre più peso alla «mano pub­bli­ca», al capi­ta­le pub­bli­co,
pro­prio per­ché si anda­va nei pae­si gui­da del capi­ta­li­smo occi­den­ta­le a un pro­ces­so di
«socia­liz­za­zio­ne» del capi­ta­le, e per­ché – al tem­po stes­so – gli ope­rai comin­cia­va­no a vede­re
nell’Unione Sovie­ti­ca non più una spe­ran­za di comu­ni­smo, ma il model­lo di quel­lo che pote­va
esse­re un capi­ta­li­smo sen­za padro­ni (in cui, sì, la pro­prie­tà pri­va­ta era sta­ta abo­li­ta ma i rap­por­ti
capi­ta­li­sti­ci come rap­por­ti di sfrut­ta­men­to resta­va­no – cioè in cui il domi­nio e la schia­vi­tù del
lavo­ro resta­va­no). Anche la lot­ta con­tro la pro­prie­tà pri­va­ta sem­bra­va quin­di una paro­la d’ordine
che sfug­gi­va, che si sgre­to­la­va tra le mani. Che fare di fron­te a que­sto qua­dro di appa­ren­te for­za del
capi­ta­le, a que­sto appa­ren­te trion­fo del riformismo?


La que­stio­ne del­la rivo­lu­zio­ne nel capi­ta­li­smo avanzato


Attor­no a que­sti anni – e qui pos­sia­mo deter­mi­na­re l’origine di quel­lo che è l’intero svi­lup­po del
discor­so poli­ti­co di Pote­re ope­ra­io – attor­no a que­sti anni in Ita­lia un grup­po di com­pa­gni si appli­ca
a que­sto tipo di pro­ble­ma: che cosa vuol dire ria­pri­re la pos­si­bi­li­tà di una stra­te­gia rivo­lu­zio­na­ria, di
un pro­gram­ma comu­ni­sta in un pae­se di capi­ta­li­smo avan­za­to? E pro­prio gli stru­men­ti del
mar­xi­smo veni­va­no rin­trac­cia­ti, tro­va­ti, sco­per­ti, gli stru­men­ti che pote­va­no ria­pri­re que­sta
pos­si­bi­li­tà. In que­gli anni, all’inizio degli anni Ses­san­ta, il pano­ra­ma – da un lato del pen­sie­ro
teo­ri­co, dall’altro dell’iniziativa poli­ti­ca mar­xi­sta in occi­den­te – era deso­lan­te. Da un lato c’erano i
rifor­mi­sti ridot­ti a un ruo­lo per­ma­nen­te­men­te subal­ter­no di fron­te alle ideo­lo­gie più avan­za­te del
capi­ta­le. L’economia key­ne­sia­na, il pro­get­to di que­sto gran­de stra­te­ga del capi­ta­li­smo, diven­ta­va un
oriz­zon­te avan­za­to per que­sti teo­ri­ci del rifor­mi­smo del movi­men­to ope­ra­io. Dall’altra par­te c’erano
mol­ti vel­lei­ta­ri all’interno del­lo schie­ra­men­to mar­xi­sta, ma – come dire – si pre­sen­ta­va­no un po’
come una val­le di lacri­me, sta­va­no lì a pian­ge­re sul fat­to che la clas­se ope­ra­ia era a loro pare­re
«inte­gra­ta» per­ché lot­ta­va per i sol­di, per­ché mani­fe­sta­va un fon­da­men­ta­le egoi­smo e attac­ca­men­to
ai temi pra­ti­ci, mate­ria­li di lotta.


Par­te Secon­da. Il comu­ni­smo è all’ordine del giorno


Ecco, l’ipotesi sul­la qua­le si è par­ti­ti, e l’ipotesi sul­la qua­le abbia­mo poi svi­lup­pa­to tut­ta l’iniziativa
di mas­sa degli anni Ses­san­ta, è pro­prio sta­ta que­sta: vede­re come far fun­zio­na­re que­sto egoi­smo di
mas­sa, que­sta capa­ci­tà di lot­ta­re sui pro­pri inte­res­si mate­ria­li, come inte­res­si con­trap­po­sti agli
inte­res­si gene­ra­li del­la socie­tà; vede­re come far leva su que­sto, su que­sti com­por­ta­men­ti di lot­ta per
rimet­te­re in moto il pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio. Il pro­get­to, l’ipotesi poli­ti­ca era que­sta: esal­ta­re
l’antagonismo tra ope­ra­io e padro­ne che c’è nel rap­por­to di pro­du­zio­ne, cioè den­tro la fab­bri­ca, nel
fat­to che l’operaio con­ti­nua­men­te, in ogni tipo di com­por­ta­men­to ten­de a rifiu­ta­re il lavo­ro; esal­ta­re
que­sto tipo di con­trap­po­si­zio­ne, esal­ta­re l’insubordinazione degli ope­rai den­tro la fab­bri­ca, il rifiu­to
del coman­do capi­ta­li­sti­co: orga­niz­za­re la guer­ra e l’ostilità fra i biso­gni mate­ria­li, con­cre­ti degli
ope­rai e del­le ragio­ni, la logi­ca del pia­no, del­lo svi­lup­po capi­ta­li­sti­co, pro­pa­gan­da­ta come «inte­res­si
gene­ra­li». Si trat­ta­va così di lavo­ra­re attor­no a que­sta ipo­te­si: con­tro que­sto nuo­vo pro­get­to di Sta­to
capi­ta­li­sti­co pia­ni­fi­ca­to, con­tro i nuo­vi livel­li di coor­di­na­zio­ne capi­ta­li­sti­ca a livel­lo inter­na­zio­na­le,
con­tro que­sta mac­chi­na che sem­bra­va luci­da e per­fet­ta, sen­za un pun­to debo­le, si trat­ta­va di tro­va­re
il pun­to debo­le. E que­sto pun­to debo­le era la neces­si­tà che il rifor­mi­smo, che il pia­no rifor­mi­sti­co
ave­va – come ogni pia­no rifor­mi­sti­co ha sem­pre – di fon­dar­si sul con­sen­so del­la clas­se ope­ra­ia.
Que­sto era il pun­to debo­le, e qui si trat­ta­va di bat­te­re, cioè si trat­ta­va di nega­re il con­sen­so e
l’adesione degli ope­rai al rifor­mi­smo. Que­sta è sta­ta, com­pa­gni, la sco­per­ta dell’autonomia.
Auto­no­mia ope­ra­ia ha signi­fi­ca­to que­sto, cioè la coscien­za e l’individuazione di que­sto fat­to: che
l’intera sto­ria del capi­ta­le, l’intera sto­ria del­la socie­tà capi­ta­li­sti­ca è in real­tà sto­ria ope­ra­ia. Sto­ria
del­la clas­se ope­ra­ia, del­le lot­te del­la clas­se ope­ra­ia, e que­sto lo si può veri­fi­ca­re – gli ope­rai di
fab­bri­ca lo toc­ca­no con mano: la sto­ria del­la tec­ni­ca è in real­tà sto­ria dell’astuzia capi­ta­li­sti­ca a
strap­pa­re infor­ma­zio­ni agli ope­rai, cioè la sto­ria del­la tec­ni­ca è sto­ria di que­sto sfor­zo con­ti­nuo dei
capi­ta­li­sti per spre­me­re più lavo­ro agli ope­rai: la sto­ria del­lo Sta­to capi­ta­li­sti­co è sto­ria del ten­ta­ti­vo
dei padro­ni di eser­ci­ta­re un con­trol­lo con­ti­nuo, un con­trol­lo tota­le sul­la for­za lavo­ro. La sto­ria del­la
socie­tà capi­ta­li­sti­ca è sto­ria di una gab­bia di domi­nio costrui­ta attor­no al lavo­ro vivo, attor­no alla
for­za lavo­ro, attor­no agli ope­rai per spre­mer­gli lavoro.


La lot­ta sul salario


Allo­ra l’ipotesi era pro­prio que­sta: con­tro lo Sta­to del rifor­mi­smo e del­lo svi­lup­po biso­gna­va nega­re
il con­sen­so, rifiu­ta­re le rego­le del pia­no, rifiu­ta­re la media­zio­ne del sin­da­ca­to, spez­za­re la
pro­gram­ma­zio­ne di un rap­por­to ragio­ne­vo­le fra dina­mi­ca dei sala­ri e dina­mi­ca del­la pro­dut­ti­vi­tà,
cioè spin­ge­re in avan­ti que­sta varia­bi­le sala­ria­le, ren­der­la irra­zio­na­le, impaz­zi­ta rispet­to alla
razio­na­li­tà del­lo sfrut­ta­men­to capi­ta­li­sti­co, cioè spin­ge­re in avan­ti il costo del lavo­ro fino a met­te­re
in cri­si la pro­gram­ma­zio­ne. Que­sta è sta­ta la sco­per­ta dell’autonomia, del­le lot­te sul sala­rio, del­la
pos­si­bi­li­tà di una lot­ta eco­no­mi­ca offen­si­va degli ope­rai, una lot­ta eco­no­mi­ca offen­si­va che
scar­di­nas­se que­sto nuo­vo Sta­to del rifor­mi­smo, del pia­no e del­lo svi­lup­po. La paro­la d’ordine che
abbia­mo tan­te vol­te agi­ta­to negli anni Ses­san­ta: più sol­di e meno lavo­ro, era pro­prio que­sto:
pro­vo­ca­re la cri­si capi­ta­li­sti­ca con una volon­tà pre­ci­sa e sog­get­ti­va, cioè sca­glian­do con­tro la
sta­bi­li­tà del capi­ta­le l’irriducibilità dei biso­gni mate­ria­li del­la clas­se ope­ra­ia. L’esperimento che
abbia­mo con­dot­to è sta­to que­sto: di fron­te a un capi­ta­le che ave­va ridot­to al mini­mo le sue
con­trad­di­zio­ni inter­ne, gio­ca­re fino in fon­do quel­la con­trad­di­zio­ne prin­ci­pa­le, irri­du­ci­bi­le che
resta­va in pie­di – la con­trad­di­zio­ne tra gli ope­rai e il capi­ta­le, orga­niz­za­re que­sto tipo di
con­trad­di­zio­ne a par­ti­re dal rap­por­to di pro­du­zio­ne. Ecco, noi abbia­mo cre­du­to neces­sa­rio veri­fi­ca­re
que­sto tipo di ipo­te­si: cioè quel­la di sca­te­na­re un’ondata di lot­te d’attacco su obiet­ti­vi eco­no­mi­ci e
di deter­mi­na­re così le con­di­zio­ni del­la cri­si capi­ta­li­sti­ca, cioè di ripri­sti­na­re in que­sto modo le
con­di­zio­ni clas­si­che per un’iniziativa rivo­lu­zio­na­ria pro­pria­men­te det­ta – cioè per un’iniziativa
vol­ta alla pre­sa del pote­re, alla distru­zio­ne del­lo Sta­to dei capi­ta­li­sti, all’instaurazione del pote­re
ope­ra­io. C’è di più: auto­no­mia ha signi­fi­ca­to innan­zi­tut­to costrui­re nel­la lot­ta e den­tro la lot­ta,
l’unità poli­ti­ca degli ope­rai. Que­sto è sta­to il gran­de signi­fi­ca­to del­la paro­la d’ordine «aumen­ti
ugua­li per tut­ti», degli obiet­ti­vi egua­li­ta­ri: far cre­sce­re nel rico­no­sci­men­to dell’antagonismo tra gli
inte­res­si di clas­se degli ope­rai e l’interesse dei padro­ni, la coscien­za aper­ta espli­ci­ta sog­get­ti­va del­la
neces­si­tà di orga­niz­zar­si in modo per­ma­nen­te non con­tro un sin­go­lo padro­ne ma con­tro tut­ti i
padro­ni, con­tro lo Sta­to come rap­pre­sen­tan­te gene­ra­le degli inte­res­si dei padroni.


L’autonomia ope­ra­ia


Auto­no­mia è sta­ta quin­di, sul­la base di que­sto tipo di dise­gno poli­ti­co, inchio­da­re il capi­ta­le alla
cri­si, cioè costrin­ger­lo all’arresto del­lo svi­lup­po, cioè costrin­ger­lo a dichia­rar­si inca­pa­ce di
un’iniziativa rifor­mi­sta, a dichia­ra­re il bloc­co dell’iniziativa poli­ti­ca, a rifiu­ta­re di asse­con­da­re le
richie­ste ope­ra­ie; e quin­di ha signi­fi­ca­to costrin­ge­re i padro­ni e lo Sta­to a mostrar­si come domi­nio,
come vio­len­za aper­ta con­tro gli ope­rai. In que­sto sen­so, la lot­ta auto­no­ma ha deter­mi­na­to lo
sta­bi­lir­si di una situa­zio­ne poli­ti­ca in cui sal­ta­no le misti­fi­ca­zio­ni del rifor­mi­smo in cui pro­prio a
fron­te del­la cri­si per come è – un’operazione di vio­len­za aper­ta, di impo­ve­ri­men­to, di attac­co alle
con­di­zio­ni mate­ria­li del­la clas­se ope­ra­ia e di tut­to il pro­le­ta­ria­to – di fron­te a que­sto, di fron­te alla
fac­cia aper­ta, bru­ta­le del­la cri­si si crea­no le con­di­zio­ni per una cre­sci­ta di coscien­za di clas­se, a
livel­lo di mas­sa – cioè per una cre­sci­ta del­la coscien­za del­la neces­si­tà di distrug­ge­re il pote­re
capi­ta­li­sti­co, di pren­de­re tut­to il pote­re; cioè di distrug­ge­re la schia­vi­tù del lavo­ro sala­ria­to, il
siste­ma capi­ta­li­sti­co come siste­ma del lavo­ro e del­le mer­ci. Ecco, que­sto è sta­to il nostro per­cor­so
den­tro il movi­men­to negli anni Ses­san­ta, dal­le lot­te Fiat del ’62 alla gran­de ripre­sa di lot­te ope­ra­ie,
di lot­te socia­li, stu­den­te­sche , pro­le­ta­rie comin­cia­ta nel ’68 con Val­da­gno, con le lot­te dei pro­le­ta­ri
del sud con Bat­ti­pa­glia, poi la lot­ta Fiat del ’69, poi l’autunno cal­do. È inu­ti­le sof­fer­mar­si ora su
que­ste sca­den­ze; quel­lo che inte­res­sa qui rile­va­re è che attra­ver­so que­ste tap­pe del movi­men­to, il
filo ros­so del nostro discor­so poli­ti­co è sta­to que­sto. E in que­sto sen­so noi cre­dia­mo, com­pa­gni, che
que­sto tipo di ipo­te­si poli­ti­ca sia sta­ta già, in embrio­ne – con tut­ti i limi­ti che ave­va – un pro­gram­ma
comu­ni­sta. Cioè se – come dice que­sta fra­se di Marx che ci pia­ce mol­to, che è sta­to uno slo­gan
del­la nostra III Con­fe­ren­za d’organizzazione: «il comu­ni­smo è il movi­men­to rea­le che distrug­ge lo
sta­to del­le cose pre­sen­ti» – ecco, noi cre­dia­mo che il nostro (il nostro come grup­po che ha
inter­pre­ta­to que­ste cose, ma soprat­tut­to come mani­fe­sto poli­ti­co di mas­sa del­le lot­te degli ope­rai),
sia sta­to effet­ti­va­men­te un pro­gram­ma comu­ni­sta. Cioè noi cre­dia­mo che den­tro i con­te­nu­ti espli­ci­ti
del­le lot­te ope­ra­ie degli anni Ses­san­ta, den­tro a que­sta espe­rien­za dell’autonomia, sia cor­sa una
ipo­te­si, un pro­gram­ma, sia cor­so un pro­get­to, un mani­fe­sto poli­ti­co comu­ni­sta. Se è vero che il
comu­ni­smo lo inten­dia­mo – come lo inten­de Marx – come distru­zio­ne del lavo­ro sala­ria­to, come
distru­zio­ne del­la neces­si­tà di lavo­ra­re per vive­re, ecco, dire attua­li­tà del comu­ni­smo signi­fi­ca
sco­pri­re que­sta richie­sta di comu­ni­smo den­tro i com­por­ta­men­ti degli ope­rai e dei pro­le­ta­ri, den­tro la
lot­ta con­tro il lavo­ro che ha carat­te­riz­za­to le lot­te di fab­bri­ca le lot­te socia­li degli anni Ses­san­ta in
Ita­lia. Ecco che cosa signi­fi­ca, com­pa­gni, attua­li­tà del comu­ni­smo. Noi cre­dia­mo che al livel­lo
attua­le di svi­lup­po del­le for­ze pro­dut­ti­ve il siste­ma capi­ta­li­sti­co sia innan­zi­tut­to una mac­chi­na
infer­na­le per «fare lavo­ro», cioè si lavo­ra per crea­re neces­si­tà di lavo­ro, per­ché – nel­la sua fase
estre­ma – il capi­ta­li­smo diven­ta vera­men­te costri­zio­ne al lavo­ro, puro domi­nio, puro coman­do sul
lavo­ro, puro con­trol­lo sul­la for­za lavo­ro. E allo­ra per que­sto, com­pa­gni, la lot­ta con­tro il lavo­ro, il
rifiu­to del lavo­ro si è carat­te­riz­za­to come un pro­gram­ma comu­ni­sta che poi si è arti­co­la­to in una
serie di pro­gram­mi deter­mi­na­ti, con­cre­ti, nel­le lot­te ope­ra­ie degli anni Ses­san­ta. Lot­ta con­tro la
par­te­ci­pa­zio­ne, con­tro il ten­ta­ti­vo di cor­re­spon­sa­bi­liz­za­re gli ope­rai allo sfrut­ta­men­to, la lot­ta con­tro
il tem­po di lavo­ro, con­tro la misti­fi­ca­zio­ne capi­ta­li­sti­ca di diver­si valo­ri del lavo­ro (che in real­tà
ser­ve per divi­de­re poli­ti­ca­men­te gli ope­rai), la lot­ta con­tro l’aggancio fra sala­rio e pro­dut­ti­vi­tà:
ecco, tut­ti que­sti sono sta­ti for­mi­da­bi­li con­te­nu­ti rivo­lu­zio­na­ri del­le lot­te con un bilan­cio lar­ga­men­te
posi­ti­vo, cioè pote­va­mo dire, alla chiu­su­ra dell’autunno cal­do del ’69, che que­sta ipo­te­si che
ave­va­mo lan­cia­to era sta­ta in lar­ga par­te verificata.


Par­te Ter­za. Il par­ti­to è all’ordine del giorno


Per­ché vera­men­te gli ope­rai usci­va­no dal­le lot­te con una for­mi­da­bi­le uni­tà di clas­se, per­ché
vera­men­te si usci­va dal­le lot­te con­trat­tua­li con una serie di avan­guar­die poli­ti­che nate nel­le
fab­bri­che, con una serie di nuclei di orga­niz­za­zio­ne, con ele­men­ti signi­fi­ca­ti­vi di orga­niz­za­zio­ne
rivo­lu­zio­na­ria. Cioè, pos­sia­mo dire che gli ope­rai sono usci­ti da que­sta fase, da que­sta onda­ta, da
que­sto gran­de ciclo di lot­te con una con­sa­pe­vo­lez­za gene­ra­le, pos­sia­mo dire che si è impo­sto il
biso­gno ope­ra­io del par­ti­to e del­la rivo­lu­zio­ne, e che al tem­po stes­so la cri­si capi­ta­li­sti­ca è sta­ta
deter­mi­na­ta, pro­vo­ca­ta dall’attacco ope­ra­io. Ma è pro­prio per que­sto che a par­ti­re da que­sto tipo di
veri­fi­ca, fin dal­la fine dell’autunno cal­do, pos­sia­mo dire, e sem­pre in modo più pre­ci­so, più
arti­co­la­to in tut­to il ’70, e poi in que­sti mesi, in que­sti anni, abbia­mo volu­to impor­re una svol­ta
radi­ca­le al nostro lavo­ro, allo stes­so sti­le del nostro lavo­ro, alla nostra pro­po­sta poli­ti­ca. Svol­ta
radi­ca­le che secon­do noi era neces­sa­ria, ed è più tan­to neces­sa­ria oggi, per­ché l’andamento del­la
situa­zio­ne di clas­se in Ita­lia con­fer­ma que­sta neces­si­tà, e noi cre­dia­mo che eser­ci­ta­re un ruo­lo di
avan­guar­dia signi­fi­chi pro­prio riu­sci­re a inter­pre­ta­re que­ste neces­si­tà di discon­ti­nui­tà, di sal­to, di
for­za­tu­ra, di riqua­li­fi­ca­zio­ne, di rin­no­va­men­to del discor­so. Que­sto signi­fi­ca anche attra­ver­sa­re le
fasi di iso­la­men­to, di bat­ta­glia poli­ti­ca nel movi­men­to; il pro­ble­ma è che quel­lo che accet­tia­mo è un
iso­la­men­to posi­ti­vo, non l’isolamento dei ritar­da­ta­ri, ma sem­mai di quel­li che anti­ci­pa­no le scel­te
alle qua­li poi va costret­to l’intero movi­men­to. Ecco, se la cri­si capi­ta­li­sti­ca è dun­que data, di fron­te
all’accelerarsi di que­sta cri­si (l’inflazione, l’attacco al sala­rio rea­le, l’attacco all’occupazione, la
vio­len­za aper­ta con­tro le avan­guar­die del­le lot­te, con­tro i nuclei di orga­niz­za­zio­ne rivo­lu­zio­na­ria,
l’iniziativa di repres­sio­ne giu­di­zia­ria – tut­to il qua­dro poli­ti­co che si è anda­to svi­lup­pan­do in Ita­lia a
par­ti­re dall’estate del ’70, dal «decre­to­ne» in poi – ) Pote­re ope­ra­io rap­pre­sen­ta un tipo di pro­po­sta
poli­ti­ca: è la pro­po­sta del­la neces­si­tà del pas­sag­gio dall’autonomia all’organizzazione, dal­la lot­ta
sul ter­re­no eco­no­mi­co-riven­di­ca­ti­vo, a una lot­ta aper­ta­men­te poli­ti­ca sul ter­re­no del pote­re. E
que­sto noi cre­dia­mo che sia impo­sto dal­la natu­ra, dal­le carat­te­ri­sti­che, dal­la mate­ria­li­tà del­la cri­si.
Voglio dire: dal­la volon­tà di man­te­ne­re – nel­la cri­si – il pun­to di vista ope­ra­io dell’offensiva. È
neces­sa­rio a que­sto pun­to dire che cosa inten­dia­mo per cri­si capi­ta­li­sti­ca. Mol­ti com­pa­gni, anche
all’interno del movi­men­to, anche all’interno del­la «sini­stra di clas­se», nega­no che la situa­zio­ne
attua­le si con­fi­gu­ri come cri­si capi­ta­li­sti­ca; ma lo nega­no per­ché in real­tà han­no una visio­ne
con­ta­bi­le del­la cri­si, e per­ché con­ti­nua­men­te la para­go­na­no con vec­chi sche­mi, che han­no in testa ‚
cioè nega­no que­sta qua­li­tà nuo­va del­la cri­si come cri­si pro­vo­ca­ta dal­le lot­te ope­ra­ie, e con­ti­nua­no a
imma­gi­nar­se­la come una ripe­ti­zio­ne del ’29, come una cri­si cata­stro­fi­ca, e allo­ra stan­no lì a spia­re
le tabel­le di «Mon­do eco­no­mi­co» e del «Sole 24 ore» per vede­re nell’oggettività del tes­su­to
pro­dut­ti­vo ita­lia­no qua­li sono i set­to­ri in cri­si, se sono i tes­si­li, se sono i gom­mai. Stan­no lì a
sta­bi­li­re se la cri­si è sovra­strut­tu­ra­le o strut­tu­ra­le; tut­te cose inte­res­san­ti, uti­lis­si­me, ma di
«con­tor­no» rispet­to al noc­cio­lo del discor­so poli­ti­co che va fat­to. Que­sti com­pa­gni – che sono for­se
la mag­gio­ran­za del­le orga­niz­za­zio­ni del­la sini­stra di clas­se –, vedo­no dav­ve­ro la cri­si come dis­se­sto,
come ban­ca­rot­ta, noi affer­mia­mo inve­ce il con­cet­to di cri­si come bloc­co dell’iniziativa capi­ta­li­sti­ca.
Cri­si è la neces­si­tà a cui è inchio­da­to il capi­ta­le, e al tem­po stes­so la volon­tà poli­ti­ca di par­te
capi­ta­li­sti­ca di bloc­ca­re, di arre­sta­re lo svi­lup­po, di paga­re que­sto scot­to pur di ripren­de­re il
con­trol­lo e il domi­nio sul­la clas­se ope­ra­ia e sull’intera socie­tà, pur di por­ta­re avan­ti un pro­ces­so di
«nor­ma­liz­za­zio­ne» socia­le; quin­di cri­si è neces­si­tà e volon­tà poli­ti­ca di bloc­ca­re lo svi­lup­po, di
bloc­ca­re il rifor­mi­smo come capa­ci­tà di asse­con­da­re le richie­ste ope­ra­ie. Allo­ra in que­sto sen­so noi
dicia­mo aper­ta­men­te com­pa­gni, pro­prio noi che den­tro le lot­te di clas­se e den­tro le lot­te di fab­bri­ca
sia­mo cre­sciu­ti e che anche per que­sto ci chia­mia­mo Pote­re ope­ra­io, che la cri­si è ine­vi­ta­bil­men­te
cri­si del­la lot­ta di fab­bri­ca, cri­si dell’autonomia ope­ra­ia, cri­si del­la spon­ta­nei­tà del­la lot­ta ope­ra­ia;
pro­prio per­ché la cri­si è il col­po spe­ci­fi­co piaz­za­to dal nemi­co di clas­se, pro­prio per­ché è la rispo­sta
spe­ci­fi­ca al pro­get­to rivo­lu­zio­na­rio che noi por­tia­mo avan­ti, pro­prio per­ché è la capa­ci­tà di ren­de­re
vana, di svuo­ta­re di con­te­nu­to, di spun­ta­re quest’arma for­mi­da­bi­le che abbia­mo cono­sciu­to negli
anni del­lo svi­lup­po, quest’arma for­mi­da­bi­le con­tro lo svi­lup­po, che era la lot­ta offen­si­va che ha
pro­cu­ra­to tan­ti guai e tan­ti dan­ni al padrone.


Cri­si e com­pi­ti rivo­lu­zio­na­ri dei comunisti


Ecco, la cri­si è fon­da­men­tal­men­te que­sto: il dise­gno poli­ti­co di par­te padro­na­le che pas­sa per tut­te
le arti­co­la­zio­ni del­lo Sta­to, il dise­gno poli­ti­co di costrin­ge­re la lot­ta ope­ra­ia sul­la difen­si­va, di
addo­me­sti­ca­re la spon­ta­nei­tà ope­ra­ia. Quan­do l’attacco padro­na­le, il ricat­to sul posto di lavo­ro
ridu­ce la spon­ta­nei­tà ope­ra­ia a pre­ghie­ra, a richie­sta di lavo­ro, quan­do ridu­ce la lot­ta ope­ra­ia a
richie­sta di esse­re sfrut­ta­ti, di ave­re un posto da sfrut­ta­ti; quan­do il padro­ne por­ta l’attacco a que­sto
livel­lo, o il ter­re­no di lot­ta si spo­sta inte­ra­men­te, oppu­re pas­sa la scon­fit­ta di clas­se. Quan­do il
padro­ne è dispo­sto a rinun­cia­re all’espansione, allo svi­lup­po, cioè non tie­ne più al pri­mo posto le
ragio­ni del­la pro­dut­ti­vi­tà e lo svi­lup­po del­la pro­du­zio­ne, ma pri­ma di tut­to mira a ripren­de­re il
con­trol­lo, cioè a ricon­qui­sta­re e ripri­sti­na­re le con­di­zio­ni gene­ra­li di domi­nio, pro­prio quan­do
assu­me sog­get­ti­va­men­te la cri­si che gli ope­rai gli han­no impo­sto e la usa come arma poli­ti­ca;
quan­do il padro­ne è lui che bloc­ca la pro­du­zio­ne, è lui che fer­ma le cate­ne di mon­tag­gio che met­te
gli ope­rai in cas­sa inte­gra­zio­ne, che licen­zia, che chiu­de la fab­bri­ca – di fron­te a que­sto tipo di
con­trat­tac­co, il ricat­to e l’arma del sala­rio sul­la qua­le noi ci sia­mo misu­ra­ti diven­ta un’arma
spun­ta­ta; gli obiet­ti­vi dell’autonomia non fun­zio­na­no più (infat­ti, pro­va­te ad anda­re ai can­cel­li del­le
fab­bri­che a ripro­por­re quel­lo che è sta­to il gran­de movi­men­to dell’autonomia del ’68–69 sen­za far­vi
por­ta­to­ri di una pro­po­sta di sboc­co poli­ti­co e di nuo­vi stru­men­ti di lot­ta: la vostra pro­po­sta non
rie­sce a «mor­de­re», a orien­ta­re la volon­tà di lot­ta degli ope­rai). E non si trat­ta, come cre­de
qual­cu­no, di esco­gi­ta­re degli obiet­ti­vi più bel­li: noi cre­dia­mo che gli obiet­ti­vi del­la lot­ta auto­no­ma
degli anni ’68–69 sia­no sta­ti degli obiet­ti­vi for­mi­da­bi­li di uni­fi­ca­zio­ne di clas­se e di attac­co con­tro il
padro­ne. Il pro­ble­ma non è que­sto; il pro­ble­ma è che è il rap­por­to di for­za tra padro­ne e ope­rai che
vie­ne a man­ca­re. Il pro­ble­ma è che oggi la lot­ta di fab­bri­ca non ha più il col­tel­lo dal­la par­te del
mani­co, e qui va inne­sta­ta la riqua­li­fi­ca­zio­ne dell’iniziativa organizzativa.


Appro­pria­zio­ne e sala­rio politico


Per­ciò il che fare è pro­prio que­sto, come man­te­ne­re l’offensiva e impe­di­re al padro­ne di ripren­de­re
l’iniziativa: que­sto è il pun­to intor­no al qua­le si muo­ve inte­ra­men­te la pro­po­sta di Pote­re ope­ra­io.
Su que­sto sia­mo anche aper­ta­men­te pole­mi­ci nei con­fron­ti dei teo­ri­ci del­la con­ti­nui­tà, cioè di tut­ti
quei com­pa­gni che pen­sa­no che il pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio sia una spe­cie di auto­stra­da ret­ti­li­nea. Su
que­sti temi noi oggi voglia­mo carat­te­riz­za­re la nostra pro­po­sta poli­ti­ca, que­sto cre­dia­mo sia un
com­pi­to nei con­fron­ti dell’intero movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio di clas­se. Nel nume­ro scor­so del
gior­na­le, abbia­mo spie­ga­to per­ché rite­nia­mo che fare que­sto discor­so sul­la con­ti­nui­tà sia un erro­re
mol­to gros­so; ci sem­bra che i com­pa­gni che lo por­ta­no avan­ti, come negli anni Ses­san­ta non
ave­va­no capi­to il rap­por­to auto­no­mia-svi­lup­po, come han­no tar­da­to trop­po tem­po a capi­re – e lo
han­no capi­to solo ades­so, così in ritar­do – che nel­lo svi­lup­po la spon­ta­nei­tà ope­ra­ia, la lot­ta
eco­no­mi­ca degli ope­rai sui pro­pri inte­res­si mate­ria­li era un fat­to for­mi­da­bil­men­te sov­ver­si­vo e
rivo­lu­zio­na­rio – così oggi non capi­sco­no i com­pi­ti nuo­vi pro­po­sti dal­la cri­si: un nuo­vo livel­lo
stra­te­gi­co del­la lot­ta. Non capi­sco­no che, nel­la cri­si, biso­gna assu­me­re que­sto fat­to: la lot­ta di
fab­bri­ca come tale, il ter­re­no riven­di­ca­ti­vo non sca­va più la fos­sa al padro­ne. Allo­ra, noi cre­dia­mo
che dire le cose che dicia­mo oggi signi­fi­chi fare del­le cose signi­fi­ca­ti­ve, met­te­re in pie­di espe­rien­ze
di lot­ta di nuo­vo tipo, rischia­re la pra­ti­ca­bi­li­tà di que­sto discor­so poli­ti­co; cioè noi cre­dia­mo che –
se il com­pi­to dei rivo­lu­zio­na­ri nel­la fase del­lo svi­lup­po capi­ta­li­sti­co era pro­muo­ve­re l’autonomia,
orga­niz­za­re lot­te e scio­pe­ri, fer­ma­te di repar­to, comi­ta­ti di base– oggi, cer­to, tut­to que­sto va
per­se­gui­to, va fat­to ovun­que sia pos­si­bi­le; però oggi nel­la cri­si, si trat­ta anche di impo­sta­re e di
rea­liz­za­re con i tem­pi che la cri­si impo­ne un sal­to di livel­lo del­la lot­ta poli­ti­ca, del­la lot­ta
rivo­lu­zio­na­ria.


Par­te Quar­ta. L’insurrezione è all’ordine del giorno


Cioè, se con­tro lo Sta­to del pia­no, del rifor­mi­smo, del­lo svi­lup­po, l’arma che pro­po­ne­va­mo era la
lot­ta dura e l’obiettivo del sala­rio – oggi, con­tro lo Sta­to del­la cri­si, del­la distru­zio­ne del­le
avan­guar­die rivo­lu­zio­na­rie, con­tro lo Sta­to che è vera­men­te la liber­tà del­la vio­len­za capi­ta­li­sti­ca,
l’arma ade­gua­ta diven­ta l’organizzazione di par­ti­to, l’organizzazione del pro­ces­so insur­re­zio­na­le e
quin­di l’attualità del­la paro­la d’ordine del «Par­ti­to dell’insurrezione», che noi por­tia­mo avan­ti.
Cioè, se con­tro il padro­ne pro­po­ne­va­mo la lot­ta dura, se con­tro lo svi­lup­po pro­po­ne­va­mo
l’autonomia, oggi pro­po­nia­mo con­tro lo Sta­to il par­ti­to, e con­tro la cri­si il pro­ces­so insur­re­zio­na­le.
Ora, noi cre­dia­mo che si pre­sen­ti inte­ro alle for­ze rivo­lu­zio­na­rie il dilem­ma clas­si­co, tra­di­zio­na­le:
scon­fit­ta di clas­se o rivo­lu­zio­ne. Cre­dia­mo cioè che non sia pos­si­bi­le pre­ve­de­re una situa­zio­ne di
sta­gna­zio­ne a tem­po inde­ter­mi­na­to dell’iniziativa capi­ta­li­sti­ca e dell’iniziativa ope­ra­ia. Non andrà
così. O pas­sa­no la ristrut­tu­ra­zio­ne, le rifor­me – cioè pas­sa la scon­fit­ta ope­ra­ia o si avvia quel
pro­ces­so di lun­go perio­do che è la lot­ta arma­ta, o ci si comin­cia a muo­ve­re sul­la diret­tri­ce di mar­cia
dell’insurrezione. Ora, noi cre­dia­mo che que­sto tipo di discor­so signi­fi­chi innan­zi­tut­to una nuo­va
pra­ti­ca di mas­sa da pro­por­re al movi­men­to, del­le lot­te da costrui­re: per que­sto par­lia­mo di sca­den­ze.
Cioè, noi cre­dia­mo per esem­pio che oggi dob­bia­mo anda­re oltre quell’obiettivo che ave­va­mo
nel ’68–69, di costrui­re nel­le lot­te l’unità degli ope­rai su un pac­chet­to di obiet­ti­vi, e pro­por­ci inve­ce
l’unificazione di tut­ti i pro­le­ta­ri, cioè degli ope­rai di fab­bri­ca come dei disoc­cu­pa­ti, come dei
pro­le­ta­ri del sud, cioè l’unificazione di que­sta figu­ra pro­le­ta­ria com­ples­si­va che chia­mia­mo ope­ra­io-mas­sa.
Noi cre­dia­mo che pos­sa oggi dar­si un pro­gram­ma di uni­fi­ca­zio­ne di tut­ti i pro­le­ta­ri su un
livel­lo di scon­tro di potere.


L’insurrezione


Que­sto ter­re­no noi lo chia­mia­mo sala­rio poli­ti­co (ter­mi­ne for­se non imme­dia­ta­men­te com­pren­si­bi­le,
ma non è que­sto che con­ta: quan­do dicia­mo sala­rio poli­ti­co dicia­mo fon­da­men­tal­men­te capa­ci­tà dei
pro­le­ta­ri di libe­rar­si dal ricat­to del lavo­ro, cioè pote­re di non esse­re costret­ti a lot­ta­re per il lavo­ro).
Sala­rio poli­ti­co per noi signi­fi­ca tut­to un ven­ta­glio di ini­zia­ti­ve che si può por­ta­re avan­ti, signi­fi­ca
orga­niz­za­re la rivol­ta e la vio­len­za dei pro­le­ta­ri del sud per il sala­rio garan­ti­to, signi­fi­ca orga­niz­za­re
la lot­ta e la vio­len­za dei disoc­cu­pa­ti del­la metro­po­li sul­lo stes­so obiet­ti­vo del sala­rio garan­ti­to,
signi­fi­ca orga­niz­za­re la pra­ti­ca dell’appropriazione del­la ric­chez­za socia­le come capa­ci­tà di sfug­gi­re
al ricat­to del lavo­ro per ave­re il pote­re e la liber­tà di non dover­si mas­sa­cra­re di straor­di­na­ri per­ché
non si han­no i sol­di per tira­re avan­ti. Que­sto tipo di indi­ca­zio­ne che chia­mia­mo sala­rio poli­ti­co, che
si può arti­co­la­re appun­to nell’organizzazione di que­sti momen­ti di vio­len­za nel Sud sul sala­rio
garan­ti­to, sull’organizzazione di que­sta pra­ti­ca dell’appropriazione nel­le metro­po­li del nord e nel­le
gran­di fab­bri­che, ha que­sto signi­fi­ca­to: di espri­me­re il rifiu­to del­la lot­ta difen­si­va. Una lot­ta non per
il lavo­ro ma per il red­di­to, per il red­di­to sgan­cia­to dal lavo­ro, signi­fi­ca rifiu­to da par­te dei pro­le­ta­ri
del­la par­te­ci­pa­zio­ne. Signi­fi­ca que­sta vol­ta, rifiu­to ope­ra­io di par­te­ci­pa­re alla cri­si dei padro­ni.
Come duran­te le lot­te del ’68–70 gli ope­rai han­no rifiu­ta­to la par­te­ci­pa­zio­ne allo svi­lup­po dei
padro­ni; come allo­ra veni­va rifiu­ta­to que­sto aggan­cio fra sala­rio e pro­dut­ti­vi­tà, veni­va rifiu­ta­ta
que­sta rego­la capi­ta­li­sti­ca che dice: «cer­to più sol­di, ma più lavo­ro», que­sta rego­la capi­ta­li­sti­ca
secon­do cui la pro­dut­ti­vi­tà e il «mon­te sala­ri» sono lega­ti e cre­sco­no con un para­me­tro uni­for­me.
Ecco, la lot­ta con­tro il lavo­ro e l’autonomia den­tro la fab­bri­ca ha signi­fi­ca­to rom­pe­re que­sto tipo di
rap­por­to, ha signi­fi­ca­to chie­de­re più sala­rio sul­la base dei pro­pri biso­gni e non del­le esi­gen­ze
pro­dut­ti­ve del capi­ta­le. Oggi il pro­ble­ma è dun­que, di fron­te alla cri­si, di fron­te all’attacco
all’occupazione, riu­sci­re a sgan­cia­re il lega­me fra lavo­ro e red­di­to; impo­sta­re una lot­ta gene­ra­le sul
red­di­to; comin­cia­re a pra­ti­ca­re un livel­lo di appro­pria­zio­ne, di riap­pro­pria­zio­ne del­la ric­chez­za
socia­le che gli ope­rai – quel­li che lavo­ra­no e anche quel­li che il capi­ta­le ha con­dan­na­to al non
lavo­ro – han­no pro­dot­to. Pro­gram­ma di appro­pria­zio­ne è ripren­der­si que­sta ric­chez­za che è sta­ta
estor­ta; e ci sono tut­ta una serie di ter­re­ni di lot­ta – sui tra­spor­ti, sul­le case, sul­le men­se (sui
super­mar­ket ce ne sono meno per ora) – che i pro­le­ta­ri già comin­cia­no a pra­ti­ca­re per ave­re il pote­re
di lavo­ra­re di meno, di non accet­ta­re que­sto ricat­to capi­ta­li­sti­co che vie­ne por­ta­to in ter­mi­ni di cri­si.
E al tem­po stes­so, appro­priar­si in fab­bri­ca dei pro­pri obiet­ti­vi, sen­za con­trat­ta­zio­ne e subi­to. Ecco,
com­pa­gni, que­sto vuol dire nuo­va pra­ti­ca di mas­sa con­tro la cri­si. Si trat­ta di esem­pli­fi­ca­re que­sto
discor­so, di fare del­le espe­rien­ze, di rac­co­glie­re non in una con­ti­nui­tà inde­fi­ni­ta di epi­so­di di lot­ta
che si sfi­lac­cia­no ogni gior­no, ma di rac­co­glie­re intor­no a cer­te sca­den­ze orga­niz­za­te, deci­se
cen­tral­men­te, in cui veri­fi­ca­re una capa­ci­tà di orga­niz­za­zio­ne, una capa­ci­tà per esem­pio, di
muo­ver­si a livel­lo nazio­na­le. Que­sto signi­fi­ca anche nuo­va pra­ti­ca dell’azione orga­niz­za­ta, nuo­vo
sti­le di orga­niz­za­zio­ne; per­ché a que­sto livel­lo il pro­ble­ma non è più sti­mo­la­re in pun­ti signi­fi­ca­ti­vi
il com­por­ta­men­to spon­ta­neo degli ope­rai, il pro­ble­ma è quel­lo di ave­re una capa­ci­tà in pro­prio –
come orga­niz­za­zio­ne – di gui­da­re e di for­za­re le lot­te di mas­sa ver­so lo sboc­co insur­re­zio­na­le.
Que­sto è quel­lo che noi chia­mia­mo agi­re da par­ti­to, com­por­tar­si da par­ti­to; sce­glie­re un ter­re­no di
lot­ta pro­prio del par­ti­to rivo­lu­zio­na­rio pur non rite­nen­do­ci oggi, al livel­lo attua­le di orga­niz­za­zio­ne,
il par­ti­to rivo­lu­zio­na­rio, per­ché ci ren­dia­mo con­to che una soglia orga­niz­za­ti­va di par­ti­to può
deter­mi­nar­si solo sul­la base di una fase di lot­te signi­fi­ca­ti­ve sul ter­re­no del­la cri­si, che si rive­li
capa­ce di riu­ni­fi­ca­re su que­sto nuo­vo ter­re­no più avan­za­to, l’enorme patri­mo­nio di qua­dri poli­ti­ci,
di mili­tan­ti che si sono for­ma­ti nel­le lot­te di que­sti anni. Agi­re da par­ti­to è sce­glie­re di pra­ti­ca­re
que­sto tipo di ter­re­no di ini­zia­ti­va. Non ci rite­nia­mo né ci auto­de­fi­nia­mo ora par­ti­to per­ché
rite­nia­mo che la qua­li­tà spe­ci­fi­ca del par­ti­to sia quel­la di esse­re in gra­do nel pre­sen­te non solo di
avvia­re il pro­ces­so insur­re­zio­na­le, di muo­ver­si sul­la diret­tri­ce di mar­cia dell’insurrezione, ma di
ria­pri­re diret­ta­men­te in ter­mi­ni riso­lu­ti­vi una ver­ten­za di pote­re con lo Sta­to. Però, que­sto non
signi­fi­ca che non sce­glia­mo que­sto tipo di ter­re­no come ter­re­no qua­li­ta­ti­vo sul qua­le ci muo­via­mo.
Que­sta è dun­que la tema­ti­ca che noi cre­dia­mo deb­ba pas­sa­re nel movi­men­to: se sala­rio e lot­ta dura
era il bino­mio e la paro­la d’ordine nel­la fase dell’autonomia, sala­rio poli­ti­co e lot­ta per il pote­re (e
quin­di pro­ces­so insur­re­zio­na­le, lot­ta arma­ta – che è un pro­ces­so a lun­go perio­do ma che va avvia­to,
reso pos­si­bi­le, e ver­so il qua­le il movi­men­to va for­za­to) deve esse­re oggi la paro­la d’ordine da dare
al movi­men­to. Una paro­la d’ordine, che non sia enun­cia­zio­ne di linea, ma che sia soste­nu­ta da una
capa­ci­tà di orga­niz­za­re siste­ma­ti­ca­men­te del­le sca­den­ze, dei momen­ti di scon­tro, di rot­tu­ra, che
fac­cia­no fare dei pas­si in avan­ti al movi­men­to. Gli esem­pi sono tan­ti, e ne sce­glia­mo uno. Pen­sa­te,
com­pa­gni, che cosa signi­fi­ca pas­sa­re da un’occupazione gene­ra­liz­za­ta di mas­sa del­le case alla
capa­ci­tà di dife­sa com­ples­si­va del quar­tie­re pro­le­ta­rio, di dife­sa mili­ta­re con­tro l’attacco del­la
poli­zia. Pen­sa­te che cosa signi­fi­ca pas­sa­re da esplo­sio­ni spon­ta­nee di rivol­ta pro­le­ta­ria come quel­le
che cono­scia­mo ogni gior­no nei pae­si del sud, a una capa­ci­tà di coor­di­na­men­to, e quin­di anche a
una vio­len­za non spon­ta­nea di mas­sa, ma a una vio­len­za pre­or­di­na­ta, pre­co­sti­tui­ta, gui­da­ta, diret­ta.
Capi­te che cosa signi­fi­ca que­sto in ter­mi­ni orga­niz­za­ti­vi. Noi pen­sia­mo che ver­so que­sto tipo di
pro­ces­so, ver­so que­sto tipo di sca­den­za vada diret­to l’intero movi­men­to e pen­sia­mo però che
rispet­to a que­sto e ai ritar­di enor­mi che gli altri grup­pi mani­fe­sta­no noi dob­bia­mo rap­pre­sen­ta­re
pro­prio que­sta urgen­za impo­sta dal­la situa­zio­ne, e quin­di anche una gros­sa capa­ci­tà di
esem­pli­fi­ca­zio­ne. Altri­men­ti, com­pa­gni, il discor­so sul par­ti­to è un discor­so vuo­to, di costru­zio­ne
dell’organizzazione mat­to­ne su mat­to­ne. È la lot­ta con­tro lo Sta­to la spe­ci­fi­ci­tà del par­ti­to, la
fun­zio­ne dell’organizzazione rivo­lu­zio­na­ria. La dif­fe­ren­za tra l’organizzazione rivo­lu­zio­na­ria di
par­ti­to degli ope­rai e dei pro­le­ta­ri e un’organizzazione gene­ri­ca, di movi­men­to den­tro le lot­te non è
ovvia­men­te quel­la di ave­re qual­che ban­die­ri­na in più nel­la «car­ta geo­gra­fi­ca» dell’organizzazione,
ma è fon­da­men­tal­men­te la capa­ci­tà di muo­ver­si al livel­lo dei com­pi­ti rea­li che il movi­men­to ha di
fron­te. Noi, su que­sto discor­so voglia­mo misu­rar­ci, voglia­mo esse­re por­ta­to­ri di que­sta paro­la
d’ordine dell’offensiva. È nor­ma­le, che all’interno di un movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio, nel­le fasi di
cri­si e di con­trat­tac­co padro­na­le, com­pa­io­no anche del­le posi­zio­ni che non esi­tia­mo a defi­ni­re di
atten­di­smo e di oppor­tu­ni­smo. Mol­ti com­pa­gni cre­do­no che quan­do il padro­ne, quan­do lo Sta­to
attac­ca, biso­gna riti­rar­si e pro­teg­ge­re i livel­li orga­niz­za­ti­vi che si deten­go­no. Ora, noi cre­dia­mo che
non sia così, cre­dia­mo che nes­su­na orga­niz­za­zio­ne che si dica rivo­lu­zio­na­ria potreb­be soprav­vi­ve­re
come tale, con un mini­mo di cre­di­bi­li­tà poli­ti­ca, come orga­niz­za­zio­ne rivo­lu­zio­na­ria dopo aver
man­ca­to a que­sto appun­ta­men­to, a que­sta veri­fi­ca del­la capa­ci­tà di spe­ri­men­ta­re for­me signi­fi­ca­ti­ve
di lot­ta sul ter­re­no del pote­re, sul ter­re­no del­lo scon­tro con lo Sta­to del­la cri­si. Tut­to que­sto è anco­ra
un pro­get­to, però cre­dia­mo che que­sto tipo di spe­ri­men­ta­zio­ne vada fat­ta, che rispet­to a que­sti tem­pi
il pro­ble­ma non sia tirar­si indie­tro, e che sia neces­sa­rio inve­ce gio­ca­re fino in fon­do le pro­prie
capa­ci­tà di orga­niz­za­zio­ne attor­no a que­sto tipo di indi­ca­zio­ne poli­ti­ca, a que­sti com­pi­ti di
avan­guar­dia, e intor­no alla costru­zio­ne di alcu­ne sca­den­ze signi­fi­ca­ti­ve di scon­tro che poi pos­sa­no
vale­re non come piat­ta esem­pla­ri­tà ma come rife­ri­men­to d’avanguardia per l’intero movimento.

2)POTERE OPERAIO : spunti di riflessione

sul ”grup­po’’ poli­ti­co e i suoi gior­na­li tra ope­rai­smo e auto­no­mia organizzata

Il docu­men­to di pre­sen­ta­zio­ne, «La gra­fi­ca di pote­re ope­ra­io», è di Gio­van­ni
Ance­schi.
La gra­fi­ca di Pote­re ope­ra­io
Gio­van­ni Ance­schi
All’inizio del 1967 Anne Pre­iss, una ragaz­za franco-​algerina che era sta­ta mia com­pa­gna di cor­so
alla Hoch­schu­le für Gestal­tung di Ulm e con la qua­le (e con altri) ave­vo fon­da­to il loca­le grup­po Sds
(per inten­der­ci, quel­lo di Rudi Dutsch­ke), una vol­ta rien­tra­ta in Alge­ria mi ave­va invi­ta­to a
con­di­vi­de­re con lei, pres­so la Socie­té natio­na­le du pétro­le algé­rien (Sona­trach), la dire­zio­ne del
Sér­vi­ce fabri­ca­tion. Così si chia­ma­va l’ufficio che pre­sie­de­va alla rea­liz­za­zio­ne di tut­ti gli arte­fat­ti
comu­ni­ca­ti­vi neces­sa­ri al fun­zio­na­men­to dell’industria petro­li­fe­ra (12.000 addet­ti). Subi­to un
pro­get­to enor­me, e nel Ter­zo Mon­do!
E così pre­sie­dia­mo alla rea­liz­za­zio­ne di un com­ple­to pro­gram­ma di imma­gi­ne coor­di­na­ta
dell’azienda (tut­to il mate­ria­le tipo­gra­fi­co, colo­ra­zio­ne dei vei­co­li, divi­se del per­so­na­le del­le
sta­zio­ni di ser­vi­zio, exhi­bi­tion desi­gn, stam­pa e adver­ti­sing inter­na­zio­na­le), ma venia­mo pre­sta­ti
anche ad altre isti­tu­zio­ni: pro­get­tia­mo i fran­co­bol­li per il Mini­ste­ro dell’industria e dell’energia,
pro­get­tia­mo una «mostra-​packaging» seri­gra­fi­ca inau­gu­ra­ta con­tem­po­ra­nea­men­te in set­te cit­tà
alge­ri­ne per la Socié­té natio­na­le des pâtes ali­men­tai­res, col­la­bo­ria­mo all’immagine dell’Université
d’Alger ecc. ecc.
Ad Alge­ri si vive lo straor­di­na­rio cli­ma dell’affermazione dell’indipendenza in una capi­ta­le di ran­go
inter­na­zio­na­le, dove il pri­mo saba­to sera si par­te­ci­pa alla festa com­me­mo­ra­ti­va del­la rivo­lu­zio­ne
pres­so l’Ambasciata sovie­ti­ca, la set­ti­ma­na dopo si va alla pro­ie­zio­ne del film Il distac­ca­men­to
fem­mi­ni­le all’Ambasciata cine­se, e la set­ti­ma­na dopo all’Ambasciata cuba­na si va a vede­re la
mostra del­la gra­fi­ca di pub­bli­ca uti­li­tà (con Félix Bel­trán). Ma quel­la dopo anco­ra ci si va for­se a
ubria­ca­re al par­ty dell’Ambasciata Usa. Un’atmosfera un po’da Casa­blan­ca, dove ti capi­ta di
sco­pri­re che il sim­pa­ti­co ami­co gior­na­li­sta ingle­se che ti gira per casa vie­ne espul­so per­ché è del
Sis.
Con Anne Pre­iss e Jean-​Marie Boe­glin, con la «pied rou­ge» Joël­le Labruyè­re e Jean-​Jacques Deluz,
con Susie, con Ber­nard ecc. seguia­mo con l’orecchio incol­la­to al tran­si­stor la radio­cro­na­ca da Pari­gi
degli évé­ne­men­ts del ’68.
Alge­ri era una sor­ta di zona fran­ca, un ter­ri­to­rio ami­che­vo­le per i mili­tan­ti dei movi­men­ti di
libe­ra­zio­ne afri­ca­ni che ci veni­va­no a pas­sa­re qual­che perio­do di «vacan­za» lon­ta­no dal­le linee. Si
face­va­no incon­tri straor­di­na­ri: ho cono­sciu­to, fa gli altri, Amil­car Cabral del Pai­gc (Gui­nea Bis­sau e
Capo Ver­de). È diven­ta­to un mio caro ami­co John­ny Maka­ti­ni dell’Anc, Suda­fri­ca: il mini­stro degli
Este­ri di Nel­son Man­de­la. Del resto, per la rivi­sta dell’Anc inti­to­la­ta «Secha­ba» (Zaga­glia) Anne
Pre­iss ave­va dise­gna­to l’emblema del­la testa­ta. Ricor­do anche un omo­ne gigan­te­sco, un cer­to
Robert (che for­se di cogno­me face­va Muga­be) del­lo Zapu, cioè del movi­men­to di libe­ra­zio­ne del­lo
Zim­ba­b­we (che allo­ra si chia­ma­va Rho­de­sia). Ma il ricor­do più vivi­do è una lun­ga con­ver­sa­zio­ne
sul­le pro­spet­ti­ve del­le lot­te di libe­ra­zio­ne con Ago­sti­n­ho Neto, del Fre­li­mo (Mozam­bi­co). Sono
rima­sto abba­glia­to dal­la sua straor­di­na­ria nobil­tà d’animo, dal­la sua impre­giu­di­ca­ta chia­rez­za
ideo­lo­gi­ca e dal­la sua pro­fon­di­tà intel­let­tua­le. Tan­to che ne era nato il pro­get­to di spo­star­mi in
Mozam­bi­co, ma poi non se ne fece nien­te.
Que­sto lun­go pro­lo­go per dire che, in qual­che modo, ero pre­pa­ra­to per i pas­si suc­ces­si­vi che si
svol­go­no alla fine del 1969, quan­do l’esperienza alge­ri­na si va con­clu­den­do e allo­ra, invi­ta­to da
Giu­lio Car­lo Argan e Fili­ber­to Men­na, lascio l’Algeria e mi tra­sfe­ri­sco a Roma a inse­gna­re «basic
desi­gn» e «desi­gn del­la comu­ni­ca­zio­ne» al Cor­so supe­rio­re di dise­gno indu­stria­le e comu­ni­ca­zio­ni
visi­ve che diven­te­rà poi l’Isia.
E l’esperienza poli­ti­ca pro­se­gue per­ché a Roma ritro­vo Nan­ni Bale­stri­ni (com­pa­gno di scor­re­rie
avan­guar­di­sti­che e anti­ci­pa­tri­ci, lui nel­la poe­sia elet­tro­ni­ca e io nel­la gra­fi­ca pro­gram­ma­ta
sull’Almanacco Bom­pia­ni). Nan­ni mi intro­du­ce in Pote­re ope­ra­io e mi fa cono­sce­re Toni Negri,
Fran­co Piper­no e Ore­ste Scal­zo­ne. Potop sta affron­tan­do una gran­de svol­ta di orga­niz­za­zio­ne in
quan­to sta diven­tan­do un feno­me­no nazio­na­le, per cui biso­gna gene­ra­re uno stru­men­to di
inter­con­nes­sio­ne e pro­pa­gan­da. Infat­ti stan­no deci­den­do di far usci­re «il gior­na­le» e mi
pro­pon­go­no di pro­get­tar­lo.
Con il «com­pa­gno anar­chi­co» Fabio Bon­zi, il qua­le sco­va in una vec­chia tipo­gra­fia un gros­so
carat­te­re bold con­den­sed (per non dire elon­ga­ted), mol­to pesan­te e aggres­si­vo ma anche mol­to
indu­stria­le, cioè ope­ra­io, inven­tia­mo la testa­ta. E inve­ce io, l’ulmiano, il desi­gner, dise­gno il siste­ma
gra­fi­co (cioè la gab­bia e la for­mu­la degli ingre­dien­ti) sul tec­ni­gra­fo del­lo stu­dio Mid duran­te una
mia pun­ta­ta a Mila­no.
I com­pa­gni di Po par­la­va­no di «gior­na­le» per­ché pun­ta­va­no a uno stru­men­to quo­ti­dia­no di
infor­ma­zio­ne sul­le lot­te. E infat­ti Pote­re ope­ra­io andò nel­le edi­co­le, ma rima­se sem­pre sol­tan­to
set­ti­ma­na­le fino alla con­clu­sio­ne dell’esperienza. Per que­sta «voglia di quo­ti­dia­no» la rivi­sta
pren­de­rà la for­ma di un fasci­co­lo di sei pagi­ne di gran­dis­si­mo for­ma­to, come era­no i gior­na­li
d’allora.
E la for­mu­la è piut­to­sto inno­va­ti­va, di ispi­ra­zio­ne mol­to siste­mi­ca e fun­zio­na­li­sta (o for­se oggi si
direb­be user orien­ted): sot­to la testa­ta, sei colon­ne di testo in carat­te­re gra­zia­to (rea­da­ble) tut­te
del­lo stes­so cor­po, attra­ver­sa­te da tito­li in carat­te­re sen­za gra­zie (del­la fami­glia dei Gro­te­sk e
quin­di legi­ble) tut­ti nel mede­si­mo gran­de cor­po. Nes­su­na gerar­chiz­za­zio­ne e varie­tà sedut­ti­va dei
carat­te­ri: l’idea (anzi l’ideologia, vivad­dio) era che non fos­se eti­co mani­po­la­re e pilo­ta­re
l’attenzione del let­to­re. La com­po­si­zio­ne nasce­va da sola, attri­buen­do un valo­re omo­ge­neo a tut­te
le noti­zie. Spet­ta­va alla men­te del let­to­re costruir­si le pro­prie gerar­chie valo­ria­li. È in un cer­to
sen­so inne­ga­bi­le che que­sta con­ce­zio­ne pro­get­tua­le influen­ze­rà la for­mu­la gra­fi­ca dei gior­na­li del
movi­men­to da allo­ra in poi, in par­ti­co­la­re la straor­di­na­ria­men­te matu­ra pri­ma ver­sio­ne de «il
mani­fe­sto» dise­gna­ta da Giu­sep­pe Tre­vi­sa­ni.
Ma vi sono anco­ra due con­no­ta­ti tecnico-​formali che saran­no deter­mi­nan­ti per la gene­ra­zio­ne
dell’immagine incon­fon­di­bi­le di Pote­re ope­ra­io. In pri­mo luo­go quel­lo che pos­sia­mo chia­ma­re il
tra­sfor­mar­si di un erro­re in carat­te­re sti­li­sti­co: biso­gna sape­re che in quel­la fase tec­no­lo­gi­ca i
gior­na­li comin­cia­no a esse­re stam­pa­ti in off­set e non più in rota­ti­va. E, soprat­tut­to, che appa­io­no le
pri­me tito­la­tri­ci. Basan­do­si sul prin­ci­pio foto­gra­fi­co che supe­ra la cor­po­si­tà vin­co­lan­te del piom­bo,
que­ste con­sen­to­no di com­por­re stri­scia­te di testo dove l’ampiezza del­la spa­zia­tu­ra fra le let­te­re e
fra le paro­le è total­men­te libe­ra, non solo nel sen­so che si pos­so­no fare spa­zia­tu­re enor­mi, ma
soprat­tut­to che si pos­so­no fare spa­zia­tu­re ridot­tis­si­me fra i carat­te­ri. E dun­que, allo sco­po di
evi­ta­re una sgra­na­tu­ra del testo noci­va per la leg­gi­bi­li­tà, io scris­si sul dise­gno pro­get­tua­le la
spe­ci­fi­ca «com­pres­so» per indi­ca­re come dove­va­no esse­re com­po­sti i foto­ti­to­li. Al che i tec­ni­ci
del­la tipo­gra­fia pre­se­ro la paro­la tipi­ca del­la ter­mi­no­lo­gia tede­sca, ma non usua­le in ita­lia­no,
trop­po sul serio e acco­sta­ro­no le aste e le cur­ve dei carat­te­ri in modo estre­mo, fino tal­vol­ta alla
sovrap­po­si­zio­ne. La for­mu­la è sta­ta poi da altri imi­ta­ta ed esa­ge­ra­ta, il che pro­du­ce­va un effet­to
for­ma­le di rude e di improv­vi­sa­to: ecco nato uno sti­le di gra­fi­ca mili­tan­te!
Il secon­do con­no­ta­to riguar­da il trat­ta­men­to del testo: vi sono due moda­li­tà prin­ci­pa­li di dispor­re
le righe del testo: a bloc­chet­to (o a pac­chet­to), e a ban­die­ra. Io deci­si di uti­liz­za­re la sot­to­ver­sio­ne
chia­ma­ta «a ban­die­ri­na», per desi­gna­re una ban­die­ra a destra che però non inter­rom­pe la riga alla
fine del­le paro­le, come avvie­ne nel­la poe­sia, ma la inter­rom­pe tenen­do con­to del­la sil­la­ba­zio­ne,
inse­ren­do un trat­ti­no di con­giun­zio­ne. Que­sta ver­sio­ne ha di nuo­vo una fon­da­men­ta­le supe­rio­ri­tà
fun­zio­na­le rispet­to all’altra per­ché com­por­ta che gli spa­zi che sepa­ra­no le paro­le sia­no costan­ti, il
che favo­ri­sce poten­te­men­te la let­tu­ra. Ma pro­du­ce anche sul­la destra del­la colon­na un gra­de­vo­le
effet­to di sfran­gia­tu­ra, di irre­go­la­ri­tà.
La com­po­si­zio­ne a bloc­chet­to o giu­sti­fi­ca­ta – come si dice – ridi­stri­bui­sce negli spa­zi fra le paro­le lo
spa­zio che avan­ze­reb­be sino alla fine del­la lar­ghez­za del­la colon­na: una lar­ghez­za che si chia­ma
giu­stez­za. Il che rischia mol­to spes­so di pro­dur­re spa­zia­tu­re spro­po­si­ta­te che buca­no e
fram­men­ta­no la tex­tu­re. Ine­ste­ti­che e noci­ve. Va det­to che in Ger­ma­nia quel­la che noi chia­mia­mo
ban­die­ri­na e che loro chia­ma­no offe­ner Satz (com­po­si­zio­ne aper­ta) era ed è del tut­to usua­le, a
par­ti­re dal­la Bib­bia di Guten­berg, In Ita­lia, da Bodo­ni in poi, è sem­pre pre­val­sa inve­ce
l’impaginazione sim­me­tri­ca e giu­sti­fi­ca­ta anche a destra.
Ma un’altra cosa che biso­gna sape­re è che i testi lun­ghi (non i tito­li) veni­va­no in quel­la fase di
tran­si­zio­ne anco­ra com­po­sti a cal­do con la lino­ty­pe. E la lino­ty­pe è por­ta­tri­ce di un’ideologia
asso­lu­ta­men­te e rigi­da­men­te bodo­nia­na, vei­co­la cioè un’estetica sim­me­tri­ca e giu­sti­fi­ca­tri­ce. Nel­la
tastie­ra del­la lino­ty­pe esi­ste un tasto­ne che vie­ne bat­tu­to dal com­po­si­to­re alla fine del­la riga; il
gesto sca­te­na con­tem­po­ra­nea­men­te l’andata a capo e la giu­sti­fi­ca­zio­ne auto­ma­ti­ca. Cioè, il
piom­bo fuso si distri­bui­sce equa­men­te in tut­ti gli spa­zi fra paro­le. E gli ope­ra­to­ri sono total­men­te e
asso­lu­ta­men­te abi­tua­ti a com­pie­re quel gesto. Per cui, volen­do otte­ne­re l’effetto ban­die­ri­na, pri­ma
di tut­to biso­gna esclu­de­re l’accoppiamento degli auto­ma­ti­smi, ma poi biso­gna costrin­ge­re il
com­po­si­to­re a pre­sta­re una par­ti­co­la­re atten­zio­ne alla sil­la­ba­zio­ne.
E allo­ra… E allo­ra, poi­ché – come dice­vo – io ero impe­gna­to in uno sco­mo­do noma­di­smo pen­do­la­re
fra Roma e Mila­no e non pote­vo sta­re tut­to il tem­po in tipo­gra­fia, un Nan­ni Bale­stri­ni – fede­le alla
linea? No, ma cer­ta­men­te fede­le alle con­se­gne pro­get­tua­li – si appol­la­ia­va pro­prio alle spal­le del
com­pa­gno com­po­si­to­re e al momen­to giu­sto gli sof­fia­va nell’orecchio: «A capo… a capo… a capo…
a capo…».

3) POTERE OPERAIO : spunti di riflessione

sul ”grup­po’’ poli­ti­co e i suoi gior­na­li tra ope­rai­smo e auto­no­mia organizzata

Il docu­men­to di pre­sen­ta­zio­ne, «L’o­pe­rai­smo mes­so in pra­ti­ca. Sto­ria di Pote­re
ope­ra­io», è di Die­go Giachetti.


L’operaismo mes­so in pra­ti­ca Sto­ria di Pote­re ope­ra­io Die­go Giachetti


A strap­pa­re l’organizzazione poli­ti­ca Pote­re ope­ra­io dell’oblio in cui sem­bra­va esse­re pre­ci­pi­ta­ta
nel­la secon­da metà degli anni Set­tan­ta, con­tri­buì l’azione pena­le intra­pre­sa il 7 apri­le 1979 con­tro i
suoi prin­ci­pa­li diri­gen­ti, accu­sa­ti di esse­re il «comi­ta­to» diret­ti­vo di tut­ti i grup­pi, Bri­ga­te ros­se in
pri­mis, che pra­ti­ca­va­no la lot­ta arma­ta. Accu­sa inve­ro­si­mi­le, come poi si dimo­strò, ma intan­to gli
arre­sta­ti si fece­ro qual­che annet­to di car­ce­re. Quell’evento ha impo­sto la suc­ces­si­va sto­ry­tel­ling del
grup­po in due modi: ha dato spa­zio e risal­to, dopo le vicen­de giu­di­zia­rie, alla memo­ria­li­sti­ca dei
pro­ta­go­ni­sti e alle rico­stru­zio­ni da pub­bli­co mini­ste­ro; ha impri­gio­na­to la rico­stru­zio­ne dei fat­ti in
un para­dig­ma già fis­sa­to e solo da ricon­fer­ma­re sce­glien­do, tra la docu­men­ta­zio­ne pos­si­bi­le, solo
quel­la favo­re­vo­le alla nar­ra­zio­ne pre­co­sti­tui­ta. Non è que­sta la via scel­ta da Mar­co Sca­vi­no nel
libro Pote­re ope­ra­io. La sto­ria. La teo­ria, (vol. I, Roma, Deri­ve Appro­di, 2018) che, inve­ce di
«lega­re» la sto­ria di que­sta orga­niz­za­zio­ne al «let­to di Pro­cu­ste», le ridà pie­na liber­tà, strap­pan­do­la
dal sen­so comu­ne dell’odierno pre­sen­ti­smo dove ciò che è noto non cor­ri­spon­de al cono­sciu­to.
Quan­do si vuo­le rico­strui­re «da un pun­to di vista sto­ri­co le vicen­de di una for­ma­zio­ne poli­ti­ca, non
ci si può che atte­ne­re a quan­to essa all’epoca dichia­rò, scris­se e fece», pre­ci­sa l’autore in una nota.
La sto­ria del grup­po si arti­co­la lun­go tre indi­riz­zi di ricer­ca: il rap­por­to col costrut­to teo­ri­co e
poli­ti­co dell’operaismo, così come si con­fi­gu­ra negli anni Ses­san­ta; il ten­ta­ti­vo di scio­glie­re il nodo
del­la rivo­lu­zio­ne nel­le socie­tà a capi­ta­li­smo avan­za­to nel secon­do dopo­guer­ra; il ruo­lo di Pote­re
ope­ra­io nel­la gene­si del­la lot­ta arma­ta. Che in Pote­re ope­ra­io, come in mol­ti altri grup­pi del­la
sini­stra extra­par­la­men­ta­re, nei pri­mi anni Set­tan­ta si sia discus­so di uso del­la for­za, di insur­re­zio­ne,
di rivo­lu­zio­ne, è inne­ga­bi­le, soprat­tut­to nel cli­ma e nel­le cir­co­stan­ze date dai pri­mi anni Set­tan­ta.
Tut­ta­via, Pote­re ope­ra­io non fece mai la scel­ta orga­niz­za­ti­va di pas­sa­re alla lot­ta arma­ta, come
fece­ro altre for­ma­zio­ni qua­li le Bri­ga­te ros­se e i Grup­pi di azio­ne par­ti­gia­na. A trat­te­ner­lo dal
com­pie­re quel­la scel­ta, vi era l’impostazione di fon­do secon­do la qua­le l’eventuale svi­lup­po del­la
lot­ta arma­ta dove­va avve­ni­re in un rap­por­to diret­to con la cre­sci­ta di lot­te di mas­sa, col matu­ra­re
del­la con­sa­pe­vo­lez­za del­la neces­si­tà del­la rot­tu­ra rivo­lu­zio­na­ria tra lar­ghi stra­ti del­le clas­si
subor­di­na­te.


Alle ori­gi­ni per anda­re oltre


In que­sto pri­mo volu­me si trat­ta la sto­ria di Pote­re ope­ra­io a comin­cia­re dal­le sue radi­ci, cioè
l’esperienza mili­tan­te e di ricer­ca teo­ri­ca con­dot­ta da due rivi­ste: «Qua­der­ni ros­si» e «Clas­se
ope­ra­ia». Espe­rien­ze ver­so le qua­li Pote­re ope­ra­io si pone in con­ti­nui­tà nell’approccio teo­ri­co e
pra­ti­co alle lot­te ope­ra­ie, valo­riz­za il tema dell’autonomia del­la clas­se, lo sti­le e le moda­li­tà
d’intervento poli­ti­co di mas­sa; ma è una con­ti­nui­tà da cui par­te per anda­re oltre, pas­sa­re dal­la
teo­ria all’azione poli­ti­ca con­tin­gen­te, rie­la­bo­ran­do il baga­glio del pre­ce­den­te ope­rai­smo alla luce
dei cam­bia­men­ti che avven­go­no nel ’68 e nel ’69: inat­te­sa la rivol­ta stu­den­te­sca, atte­sa inve­ce
quel­la ope­ra­ia, di cui gli ope­rai­sti ave­va­no col­to i segna­li nel quin­quen­nio fina­le del decen­nio. In
que­sto sen­so, se la meta­fo­ra è con­sen­ti­ta, Pote­re ope­ra­io rap­pre­sen­ta lo spi­ri­to dell’operaismo che
si fa «car­ne», cioè orga­niz­za­zio­ne poli­ti­ca. Un’incarnazione che ha come rife­ri­men­to l’esperienza
già in cor­so del­le lot­te ope­ra­ie di Por­to Mar­ghe­ra e non solo. Già duran­te l’estate del ’68 il grup­po
di per­so­ne che fa rife­ri­men­to all’operaismo ini­zia a ricon­si­de­ra­re il pro­get­to poli­ti­co com­ples­si­vo,
intro­du­ce alcu­ni ele­men­ti poli­ti­ci e orga­niz­za­ti­vi desti­na­ti ad ave­re un peso nel­la futu­ra pros­si­ma
sto­ria di Pote­re ope­ra­io. L’organizzazione poli­ti­ca deve esse­re espres­sio­ne dell’autonomia di clas­se,
alle sue lot­te e ai con­te­nu­ti riven­di­ca­ti­vi: ridu­zio­ne del­le ore di lavo­ro a pari­tà di paga, aumen­ti
sala­ria­li ugua­li per tut­ti. L’imprevisto del movi­men­to stu­den­te­sco vie­ne let­to come ribel­lio­ne degli
stu­den­ti in quan­to forza-​lavoro in for­ma­zio­ne, in modo da col­le­ga­re scuo­la e svi­lup­po capi­ta­li­sti­co
e con­tro­bat­te­re alle tesi che lo con­si­de­ra­no l’espressione di set­to­ri del­la pic­co­la e media bor­ghe­sia.
Paral­le­la­men­te si rie­la­bo­ra il con­cet­to di com­po­si­zio­ne di clas­se e si intro­du­ce quel­lo di ope­ra­io
mas­sa, per indi­ca­re i set­to­ri di mano­do­pe­ra dequa­li­fi­ca­ta, mobi­li e inter­cam­bia­bi­li del­la for­za
lavo­ro.


L’anno del pote­re operaio


Pro­ba­bil­men­te deci­si­va per l’incubazione del grup­po è la lot­ta ope­ra­ia che si apre Tori­no, alla Fiat,
nel­la pri­ma­ve­ra del 1969, rac­con­ta­ta dal gior­na­le «La clas­se» e orga­niz­za­ta anche dall’Assemblea
ope­rai e stu­den­ti. È una bre­ve espe­rien­za. Con la ripre­sa autun­na­le del­le lot­te l’Assemblea si
divi­de. Sul fini­re del set­tem­bre di quell’anno com­pa­re il pri­mo nume­ro di «Pote­re ope­ra­io» che si
pone in con­ti­nui­tà col gior­na­le «La clas­se» che ave­va ces­sa­to le pub­bli­ca­zio­ni; poi, nel mese di
novem­bre, l’uscita del pri­mo nume­ro di «Lot­ta con­ti­nua», pro­vo­ca l’uscita di chi si rico­no­sce in
Pote­re ope­ra­io e di altre com­po­nen­ti mino­ri dall’Assemblea ope­rai e stu­den­ti. Secon­do i pro­mo­to­ri
del gior­na­le, quel ciclo di lot­te pone un pro­ble­ma enor­me: tro­va­re uno sboc­co rivo­lu­zio­na­rio, di
pre­sa del pote­re. Su que­sto nodo il grup­po con­su­ma la sua para­bo­la poli­ti­ca, sostie­ne l’autore,
sen­za venir­ne a capo. Si pone quin­di il tema dell’organizzazione del­le lot­te, del ruo­lo che devo­no
assu­me­re i comi­ta­ti auto­no­mi sor­ti in varie fab­bri­che. Matu­ra la con­sa­pe­vo­lez­za del­la neces­si­tà di
dotar­si di un’organizzazione per­ma­nen­te e coor­di­na­ta a livel­lo nazio­na­le, per supe­ra­re la
con­di­zio­ne mino­ri­ta­ria e iso­la­ta del­la sin­go­la fab­bri­ca, sot­trar­re ai sin­da­ca­ti la dire­zio­ne poli­ti­ca del
movi­men­to e gene­ra­liz­za­re lo scon­tro socia­le. Se si pone all’ordine del gior­no la que­stio­ne del
pote­re, allo­ra è neces­sa­rio dotar­si di stru­men­ti orga­niz­za­ti­vi ade­gua­ti; in que­sto sen­so va
recu­pe­ra­ta la lezio­ne del leni­ni­smo che non vuo­le dire ripro­por­re il model­lo bol­sce­vi­co di par­ti­to. I
pri­mi pas­si orga­niz­za­ti­vi con­si­sto­no nel­la for­ma­liz­za­zio­ne del­le real­tà loca­li, nel repe­ri­men­to del­le
sedi e nel­la defi­ni­zio­ne più pre­ci­sa del qua­dro mili­tan­te, tut­to al fine di favo­ri­re la cen­tra­liz­za­zio­ne
del­le for­ze ope­ra­ie esi­sten­ti nei vari comi­ta­ti poli­ti­ci coi qua­li Pote­re ope­ra­io spe­ra di costrui­re
movi­men­ti di clas­se e dare una base di «mas­sa» al par­ti­to. Alcu­ni incon­tri tra avan­guar­die mili­tan­ti
che si svol­go­no dopo la fir­ma dei con­trat­ti del 1969 indi­ca­no, tra lun­ghe e arti­co­la­te discus­sio­ni,
aper­te e pub­bli­che, il per­cor­so da segui­re. È un pro­get­to ambi­zio­so che dovrà tener con­to anche
dell’esiguità e ete­ro­ge­nei­tà del­le for­ze dispo­ni­bi­li, spro­por­zio­na­te rispet­to ai com­pi­ti pre­fis­sa­ti. Il
con­ve­gno nazio­na­le, che si tie­ne a Bolo­gna il 5-​6 set­tem­bre 1970, a cui par­te­ci­pa­no cir­ca
cin­que­cen­to per­so­ne in rap­pre­sen­tan­za di vari orga­ni­smi auto­no­mi e grup­pi loca­li, deci­de la
costi­tu­zio­ne di un par­ti­to basa­to su una rete di orga­ni­smi di clas­se, nel­la spe­ran­za di tro­va­re la via
rivo­lu­zio­na­ria alla pre­sa del pote­re che le lot­te ope­ra­ie pon­ga­no come sca­den­za a bre­ve ter­mi­ne.
Nell’immediato riten­go­no si deb­ba ricer­ca­re una ricom­po­si­zio­ne del­le for­ze poli­ti­che dei grup­pi
che non sia la sem­pli­ce som­ma­to­ria dei mili­tan­ti rivo­lu­zio­na­ri pro­fes­sio­na­li. In que­sta pro­spet­ti­va si
pre­ci­sa la pro­po­sta di con­fron­to poli­ti­co, per l’eventuale aggre­ga­zio­ne, col grup­po del Mani­fe­sto,
appe­na espul­so dal Pci. Si sta­bi­li­sco­no con­tat­ti e si deci­de di orga­niz­za­re assie­me un con­ve­gno
ope­ra­io a Mila­no il 30-​31 gen­na­io 1971. Vi par­te­ci­pa­no 1500 per­so­ne in rap­pre­sen­tan­za di 76
situa­zio­ni ope­ra­ie orga­niz­za­te dal Mani­fe­sto e 68 situa­zio­ni orga­niz­za­te da Pote­re ope­ra­io. Qua­si
subi­to emer­ge la sostan­zia­le distan­za fra le due orga­niz­za­zio­ni nel modo di inten­de­re la poli­ti­ca
rivo­lu­zio­na­ria, di accen­tua­re o meno il tema del­la lot­ta con­tro lo Sta­to, di pro­spet­ta­re o meno in
tem­pi bre­vi una pre­ci­pi­ta­zio­ne del­lo scon­tro socia­le e su come orga­niz­zar­si in fab­bri­ca: ade­ri­re e
soste­ne­re il movi­men­to dei dele­ga­ti e dei con­si­gli, oppu­re costrui­re i comi­ta­ti e le assem­blee
auto­no­me? La sepa­ra­zio­ne è con­sen­sua­le. Pote­re ope­ra­io con­ti­nua il suo per­cor­so poli­ti­co che ci
ver­rà nar­ra­to nel secon­do volu­me previsto.

4) POTERE OPERAIO : spunti di riflessione

sul ”grup­po’’ poli­ti­co e i suoi gior­na­li fra ope­rai­smo e auto­no­mia organizzata

Il docu­men­to di pre­sen­ta­zio­ne, «1969: dal movi­men­to ai grup­pi (Pote­re
ope­ra­io)», è di Andrea Colombo.


1969: dal movi­men­to ai grup­pi (Pote­re ope­ra­io)
Andrea Colom­bo


Alla fine del luglio ’69 si tie­ne a Tori­no il con­ve­gno dei comi­ta­ti e del­le avan­guar­die
ope­ra­ie. L’obiettivo, dopo il gran­de ciclo di lot­te auto­no­me alla Fiat nel­la pri­ma­ve­ra, è di
costrui­re un’organizzazione rivo­lu­zio­na­ria nazio­na­le. Il con­ve­gno è orga­niz­za­to dal
set­ti­ma­na­le «La Clas­se», in cir­co­la­zio­ne da mag­gio, che ha svol­to un ruo­lo deter­mi­nan­te
nel coor­di­na­re a livel­lo cit­ta­di­no le lot­te dei vari repar­ti Fiat.
Il pro­get­to uni­ta­rio però fal­li­sce e le due prin­ci­pa­li cor­ren­ti che ave­va­no dato vita
all’assemblea ope­rai-stu­den­ti di Tori­no, cen­tro orga­niz­za­ti­vo del­le lot­te auto­no­me nei mesi
pre­ce­den­ti, esco­no dal con­ve­gno divi­se. Da un lato il grup­po di «La Clas­se», dall’altro i
mili­tan­ti del grup­po tosca­no Il pote­re ope­ra­io e il Movi­men­to stu­den­te­sco tori­ne­se. I
moti­vi del­la divi­sio­ne non sono esen­ti da per­so­na­li­smi, ma riguar­da­no anche que­stio­ni più
sostan­zia­li. «La Clas­se» pun­ta sul carat­te­re poli­ti­co degli obiet­ti­vi sala­ria­li, sul­la dire­zio­ne
ope­ra­ia del­lo scon­tro socia­le, sul­la lot­ta con­tro il lavo­ro.
Duran­te l’estate il grup­po di «La Clas­se» dà vita a Pote­re ope­ra­io, con cen­tri for­ti a Roma e
nel Vene­to, dove con­flui­sco­no nel grup­po i qua­dri che già da anni inter­ven­go­no negli
sta­bi­li­men­ti di Por­to Mar­ghe­ra. Il pri­mo nume­ro del gior­na­le esce in set­tem­bre, l’editoriale
è inti­to­la­to Da La Clas­se a Pote­re ope­ra­io e illu­stra le posi­zio­ni del grup­po: «[…] va det­to
chia­ra­men­te che esi­ste un sal­to dal discor­so por­ta­to avan­ti con “La Clas­se” a quel­lo che si
inten­de impo­sta­re con Pote­re ope­ra­io. Non è un sal­to deter­mi­na­to in astrat­to, ma
pro­vo­ca­to dal livel­lo del­le lot­te e in pri­mo luo­go dal­le urgen­ze d’organizzazione […].
«Dicia­mo­lo chia­ra­men­te: Agnel­li ha sco­per­to i limi­ti del­la “lot­ta con­ti­nua”, del bloc­co del­la
pro­du­zio­ne, ben­ché que­sta pro­spet­ti­va lo ter­ro­riz­zi al pun­to di far­gli per­de­re la testa […] è
neces­sa­rio quin­di anda­re oltre la gestio­ne ope­ra­ia del­la lot­ta di fab­bri­ca, oltre
l’organizzazione dell’autonomia, per impo­sta­re una dire­zio­ne ope­ra­ia sull’imminente, sul
pre­sen­te e sul futu­ro ciclo di lot­te socia­li. Il sem­pli­ce coor­di­na­men­to non basta più,
l’unificazione degli obiet­ti­vi non è più suf­fi­cien­te […]. «Che signi­fi­ca dire­zio­ne ope­ra­ia su
que­sto ciclo di lot­te? Signi­fi­ca innan­zi­tut­to assi­cu­ra­re nei fat­ti l’egemonia del­la lot­ta
ope­ra­ia sul­la lot­ta stu­den­te­sca e pro­le­ta­ria.
«La fine dell’autonomia del movi­men­to stu­den­te­sco, come orga­niz­za­zio­ne spe­ci­fi­ca
arti­co­la­ta in varie ten­den­ze (ope­rai­sta, m‑l, anar­chi­ca) è sta­ta decre­ta­ta pro­prio
dall’esperienza tori­ne­se dell’assemblea per­ma­nen­te ope­rai-stu­den­ti […].
«È per­fi­no super­fluo dire che Pote­re ope­ra­io rifiu­ta di pre­sen­tar­si come orga­no del­le
pre­sen­ti o ancor più futu­re assem­blee ope­rai-stu­den­ti, sia per l’assurdità che per la
scor­ret­tez­za di un pro­get­to di que­sto tipo. La bat­ta­glia di linea per la crea­zio­ne di una
dire­zio­ne ope­ra­ia del ciclo di lot­te è un’altra cosa. Innan­zi­tut­to richie­de una sede e un
rag­gio d’intervento dei qua­dri ope­rai che non sia limi­ta­to all’organizzazione del­la lot­ta in
fab­bri­ca: ma non è cer­to una teo­ria dei qua­dri che può garan­ti­re una dire­zio­ne poli­ti­ca. È il
pro­ble­ma del rap­por­to tra auto­no­mia e orga­niz­za­zio­ne, e il ruo­lo del­le avan­guar­die di
clas­se, è il com­ples­so rap­por­to che lega lot­te ope­ra­ie e lot­te di popo­lo in gene­ra­le, che va
affron­ta­to […].
«Orga­niz­za­zio­ne del rifiu­to del lavo­ro, orga­niz­za­zio­ne poli­ti­ca ope­ra­ia […] ieri il pro­ble­ma
era quel­lo del­la lot­ta con­ti­nua, oggi il pro­ble­ma è quel­lo del­la lot­ta con­ti­nua e del­la lot­ta
orga­niz­za­ta […].
«Per­ché allo­ra Pote­re ope­ra­io? Non cer­to per rac­co­glie­re una paro­la d’ordine o una
deno­mi­na­zio­ne dei grup­pi mino­ri­ta­ri degli anni Ses­san­ta. Al con­tra­rio. Pote­re ope­ra­io per
coglie­re la dina­mi­ca del­la lot­ta di mas­sa di clas­se ope­ra­ia degli anni Ses­san­ta, per
con­qui­sta­re que­sta for­mi­da­bi­le spin­ta all’organizzazione ope­ra­ia com­ples­si­va, da cen­tro la
lot­ta di mas­sa, per l’organizzazione sog­get­ti­va, per pia­ni­fi­ca­re, gui­da­re, diri­ge­re le lot­te
ope­ra­ie di mas­sa […].
«L’urgenza ope­ra­ia del­la dire­zio­ne del­lo scon­tro rivo­lu­zio­na­rio con­tro l’organizzazione
capi­ta­li­sti­ca del lavo­ro è quin­di la chia­ve di vol­ta per inter­pre­ta­re la nostra assun­zio­ne del
gri­do Pote­re ope­ra­io: come costru­zio­ne effet­ti­va den­tro la lot­ta di clas­se, attra­ver­so la lot­ta
di mas­sa, del­la dire­zio­ne poli­ti­ca, dell’organizzazione ope­ra­ia del­la rivo­lu­zio­ne».
«Pote­re ope­ra­io» con­ti­nue­rà a usci­re fino allo scio­gli­men­to del grup­po, alla fine del ’73,
con sca­den­za pri­ma quin­di­ci­na­le poi men­si­le. Nel set­tem­bre del ’71, dopo il fal­li­men­to di
un pro­get­to di uni­fi­ca­zio­ne con il Mani­fe­sto, al men­si­le, ormai esclu­si­va­men­te di carat­te­re
teo­ri­co, vie­ne affian­ca­to un set­ti­ma­na­le, «Pote­re ope­ra­io del lune­dì», che entre­rà
effet­ti­va­men­te in cir­co­la­zio­ne a par­ti­re dal feb­bra­io ’72.
Da: Andrea Colom­bo, Sup­ple­men­to a «il mani­fe­sto», Dal movi­men­to ai grup­pi, Roma, 1986;

5) POTERE OPERAIO : spunti di riflessione

sul ”grup­po’’ poli­ti­co e i suoi gior­na­li fra ope­rai­smo e auto­no­mia organizzata

Il testo che qui pro­po­nia­mo è estrat­to da La nefa­sta uto­pia di Pote­re ope­ra­io.
Lavo­ro tec­ni­ca movi­men­to nel labo­ra­to­rio poli­ti­co del Ses­san­tot­to ita­lia­no, di
Fran­co Berar­di Bifo, pub­bli­ca­to da Castel­vec­chi nel 1998 nel­la col­la­na
«Deri­veAp­pro­di», dal­la qua­le pochi mesi dopo pren­de­rà vita la omo­ni­ma casa
edi­tri­ce.


La nefa­sta uto­pia di pote­re ope­ra­io
Fran­co Berar­di Bifo


La nefa­sta uto­pia di Pote­re ope­ra­io, tito­la­va un com­men­to com­par­so sul quo­ti­dia­no «la
Repub­bli­ca» fir­ma­to da Gior­gio Boc­ca all’inizio del 1979. L’editoriale face­va rife­ri­men­to a quan­to
era avve­nu­to nel cor­so degli anni Set­tan­ta, più che nel­la poli­ti­ca ita­lia­na, nel­la men­ta­li­tà di lar­ghi
set­to­ri socia­li che ave­va­no mes­so in discus­sio­ne, con i loro com­por­ta­men­ti spon­ta­nei, il lavo­ro
sala­ria­to e la razio­na­li­tà pro­dut­ti­vi­sti­ca, fino a con­trap­por­vi­si espli­ci­ta­men­te in nome di una
«uto­pia» nata nel cor­so dei movi­men­ti di lot­ta con­tro il lavo­ro, per il pote­re ope­ra­io.
Dato che Boc­ca è sem­pre sta­to, one­sta­men­te e dichia­ra­ta­men­te, un soste­ni­to­re qua­si fana­ti­co dei
valo­ri dell’industrialismo e del lavo­ro, a lui appa­ri­va incon­ce­pi­bi­le la tesi del rifiu­to del lavo­ro, la
tesi del carat­te­re pro­gres­si­vo del sabo­tag­gio e dell’assenteismo. Per­ciò, in nome di un rea­li­smo
iden­ti­fi­ca­to tout court con l’industrialismo, defi­nì uto­pi­co il mes­sag­gio di Pote­re ope­ra­io. E per
giun­ta quell’utopia gli appa­ri­va nefa­sta, per­ché la sua influen­za ave­va mes­so in moto pro­ces­si di
rivol­ta e di disaf­fe­zio­ne al lavo­ro che ave­va­no con­tri­bui­to a una destrut­tu­ra­zio­ne dell’ordine
indu­stria­le. E que­sto ordi­ne a Gior­gio Boc­ca appa­ri­va natu­ra­le e indi­scu­ti­bi­le come il suc­ce­der­si
del­le sta­gio­ni.
In real­tà, per quan­to ne so io, direi che mai espe­rien­za fu meno uto­pi­ca di quel­la che ebbe la sua
mani­fe­sta­zio­ne nel­la teo­ria e nel­la pra­ti­ca di Pote­re ope­ra­io. Quel grup­po di intel­let­tua­li e di
mili­tan­ti ebbe sem­pre a cuo­re non l’utopia di una socie­tà nuo­va, ma la ten­den­za pro­fon­da iscrit­ta
nei mute­vo­li even­ti del­la vita socia­le dell’ideologia e dell’immaginario col­let­ti­vo. E la pro­va sta nel
fat­to che la ten­den­za fon­da­men­ta­le descrit­ta e pre­fi­gu­ra­ta da Pote­re ope­ra­io (la ten­den­za ver­so
l’estinzione del lavo­ro sala­ria­to come for­ma con­net­ti­va del­la socie­tà inte­ra) non ha cer­to smes­so di
svi­lup­par­si, con­trad­dit­to­ria­men­te e con effet­ti spes­so cata­stro­fi­ci, dopo la scom­par­sa di quel
grup­po che l’aveva espli­ci­ta­ta sul pia­no politico-​intellettuale. Uto­pi­ca sem­mai si potreb­be
con­si­de­ra­re l’ideologia del pro­gres­so ordi­na­to, di gover­no razio­na­le del­la socie­tà, ovve­ro di uno
svi­lup­po socia­le sen­za con­flit­to. Quest’utopia nascon­de la pre­te­sa di una ridu­zio­ne del­la
mol­te­pli­ci­tà dei mon­di di vita a un uni­co prin­ci­pio e la ridu­zio­ne degli innu­me­re­vo­li tem­pi
pul­sio­na­li del­la sin­go­la­ri­tà a una tem­po­ra­li­tà uni­ta­ria e con­ven­zio­na­le: la tem­po­ra­li­tà del valo­re di
scam­bio. Ma su que­sto pun­to tenia­mo il discor­so aper­to. Il pas­sag­gio al seco­lo nuo­vo vede infat­ti
esten­der­si il domi­nio del digi­ta­le, nel­la cui sfe­ra, in effet­ti, la vita sem­bra assor­bi­ta dal­la
gene­ra­zio­ne con­ven­zio­na­le del codi­ce bina­rio. Poche set­ti­ma­ne dopo l’apparizione dell’articolo
inti­to­la­to La nefa­sta uto­pia di Pote­re ofte­ra­io, sen­za che tra i due fat­ti vi fos­se alcun lega­me di
cau­sa­li­tà, la magi­stra­tu­ra die­de ordi­ne di arre­sta­re un grup­po di intel­let­tua­li, pro­fes­so­ri, stu­den­ti e
ope­rai che negli anni tra il 1968 e il 1973 ave­va­no mili­ta­to nel­le file dell’organizzazione deno­mi­na­ta
Pote­re ope­ra­io. Qua­si con­tem­po­ra­nea­men­te, negli stes­si mesi del­la tar­da pri­ma­ve­ra del 1979, dal­la
Fiat di Tori­no e dall’Alfa Romeo di Are­se, giun­ge­va­no noti­zie di licen­zia­men­ti di deci­ne di ope­rai.
Ope­rai accu­sa­ti di insu­bor­di­na­zio­ne e di assen­tei­smo; gio­va­ni che ave­va­no fat­to del rifiu­to del
lavo­ro un codi­ce eti­co ed esi­sten­zia­le, ancor più che poli­ti­co. Il sin­da­ca­to non si oppo­se,
con­si­de­ran­do il com­por­ta­men­to di que­gli ope­rai una col­pa per­se­gui­bi­le con il licen­zia­men­to. Non
accet­ta­va­no la rego­la del sala­rio, dun­que non pote­va­no rima­ne­re all’interno del­la fab­bri­ca, in cui lo
scam­bio tra tem­po di vita e sala­rio fun­zio­na come codi­ce di acces­so, rego­la indi­scu­ti­bi­le. In real­tà i
licen­zia­men­ti del­la pri­ma­ve­ra ’79 (61, alla Fiat Mira­fio­ri) era­no per il padro­ne la pro­va gene­ra­le
dell’offensiva gene­ra­liz­za­ta con­tro la clas­se ope­ra­ia, l’inizio di un attac­co pro­fon­do, che ave­va come
obiet­ti­vo la distru­zio­ne del­la com­po­si­zio­ne socia­le, del­la cul­tu­ra di mas­sa pro­dot­ta nel cor­so di un
decen­nio di lot­te auto­no­me. Esat­ta­men­te un anno dopo, la dire­zio­ne Fiat comu­ni­cò il
licen­zia­men­to di 25.000 ope­rai, che non era­no più neces­sa­ri per la pro­du­zio­ne. Il sin­da­ca­to e il
Par­ti­to comu­ni­sta, che non ave­va­no mos­so un dito per difen­de­re gli ope­rai assen­tei­sti, rea­gi­ro­no
con una durez­za che mal­ce­la­va l’impotenza. La scon­fit­ta era ormai matu­ra, ed era sta­ta pre­pa­ra­ta
dal movi­men­to ope­ra­io, dal sin­da­ca­to e dal Pei, non meno che da Agnel­li e dal­la Con­fin­du­stria.
Infat­ti la par­ti­ta che si era gio­ca­ta in que­gli anni ave­va visto, da un lato, una clas­se ope­ra­ia ad
altis­si­ma com­po­si­zio­ne auto­no­ma, indi­spo­ni­bi­le a subi­re il domi­nio gerar­chi­co sul­la vita socia­le
quo­ti­dia­na e sul pro­prio mon­do di vita, che ave­va tra­dot­to in ter­mi­ni di auto­no­mia e di pro­gram­ma
socia­le (ridu­zio­ne gene­ra­le del tem­po di lavo­ro socia­le) l’accresciuta poten­za del siste­ma
pro­dut­ti­vo. Dall’altro, un fron­te uni­to a dife­sa dell’ordine costi­tui­to nel qua­le i gover­ni
demo­cri­stia­ni, il padro­na­to, i ver­ti­ci sin­da­ca­li e il Par­ti­to comu­ni­sta si era­no sor­ret­ti a vicen­da per
reg­ge­re all’urto dei movi­men­ti auto­no­mi. Il movi­men­to ope­ra­io, inve­ce di acco­glie­re la pres­sio­ne
auto­no­ma ver­so una ridu­zio­ne del tem­po di lavo­ro, inve­ce di con­so­li­da­re la cul­tu­ra anti­la­vo­ri­sta
(vero fat­to­re di svi­lup­po tec­no­lo­gi­co e pro­dut­ti­vo, vero fat­to­re di arric­chi­men­to del­la socie­tà
inte­ra), l’aveva demo­niz­za­to, e ave­va con­trap­po­sto una stra­te­gia obso­le­ta e rea­zio­na­ria, cen­tra­ta
sul­la dife­sa del posto di lavo­ro. Que­sta stra­te­gia si rive­lò per quel­lo che era – con­se­guen­za di una
arre­tra­ta eti­ca del lavoro-nell’autunno del 1980. Clau­dio Sabat­ti­ni, diri­gen­te del sin­da­ca­to
metal­mec­ca­ni­co tori­ne­se, ed Enri­co Ber­lin­guer, segre­ta­rio del Par­ti­to comu­ni­sta ita­lia­no,
chia­ma­ro­no gli ope­rai alla lot­ta a oltran­za per difen­de­re il posto di lavo­ro. Gli ope­rai rispo­se­ro con
tena­cia dispe­ra­ta. Il ceto tecnico-​impiegatizio ven­ne allo­ra chia­ma­to a mani­fe­sta­re con­tro gli
ope­rai, per la ristrut­tu­ra­zio­ne e per il pie­no domi­nio padro­na­le. Quel ceto che, dal ’68 in poi ave­va
comin­cia­to a schie­rar­si dal­la par­te degli ope­rai, sfi­lò per le stra­de di Tori­no con­tro l’autonomia
ope­ra­ia. Gli ope­rai, a cui il Par­ti­to comu­ni­sta e il sin­da­ca­to ave­va­no sot­trat­to l’arma dell’autonomia
e del­la ridu­zio­ne del tem­po di lavo­ro, que­gli ope­rai che era­no sta­ti costret­ti a iden­ti­fi­car­si nel­la
for­ma socia­le di forza-​lavoro, ed era­no sta­ti cri­mi­na­liz­za­ti nel­la for­ma di socia­li­tà auto­no­ma
crea­ti­va, ora veni­va­no deci­ma­ti dall’offensiva padro­na­le. Negli anni suc­ces­si­vi, per tut­ti i male­det­ti
anni Ottan­ta, la clas­se ope­ra­ia ita­lia­na (ma il discor­so non è sostan­zial­men­te dis­si­mi­le per gli altri
Pae­si euro­pei, anche se solo in Ita­lia que­sta vicen­da assu­me con­tor­ni così net­ti sul pia­no del­la
rap­pre­sen­ta­zio­ne poli­ti­ca), ven­ne siste­ma­ti­ca­men­te de-​composta. Il pro­ces­so di sosti­tu­zio­ne del
lavo­ro uma­no con auto­ma­ti­smi si acce­le­rò fre­ne­ti­ca­men­te. Ma que­sto pro­ces­so, che era in fon­do il
risul­ta­to obiet­ti­vo del­la pres­sio­ne anti­la­vo­ri­sta ope­ra­ia, del rifiu­to del lavo­ro e del­la crea­ti­vi­tà
tecnico-​scientifica, veni­va tra­sfor­ma­to in un pro­ces­so di vio­len­za con­tro la socia­li­tà e la cul­tu­ra
pro­dot­ta dai movi­men­ti. Estir­pa­ta così la nefa­sta uto­pia di Pote­re ope­ra­io, ini­zia­va ad avan­za­re la
benin­ten­zio­na­ta uto­pia del­la com­pe­ti­zio­ne for­sen­na­ta: ridu­zio­ne del­la mas­sa socia­le ope­ra­ia,
aumen­to del plu­sva­lo­re rela­ti­vo estor­to per addet­to, esten­sio­ne dell’area socia­le resi­dua­liz­za­ta,
del­la disoc­cu­pa­zio­ne pro­dot­ta dal­la tec­no­lo­gia. Ciò che l’intelligenza socia­le ave­va pro­dot­to come
fat­to­re di arric­chi­men­to comin­cia­va a esse­re tra­sfor­ma­to in stru­men­to di impo­ve­ri­men­to e di
deso­la­zio­ne.

6) POTERE OPERAIO : ‑il numero 50- spunti di riflessione

sul ”grup­po’’ poli­ti­co e i suoi gior­na­li fra ope­rai­smo e auto­no­mia organizzata

[Pro­lo­go al n. 50 di «Pote­re ope­ra­io», set­tem­bre 1973]


I mate­ria­li che pro­po­nia­mo alla let­tu­ra in que­sto nume­ro di «Pote­re ope­ra­io» (l’ultimo), sono gli
atti del semi­na­rio tenu­to a Pado­va dal 28 luglio al 4 ago­sto.
La neces­si­tà di orga­niz­za­re una set­ti­ma­na di discus­sio­ne e di stu­di intor­no ai pro­ble­mi più urgen­ti
dell’organizzazione rivo­lu­zio­na­ria in Ita­lia, deri­va­va diret­ta­men­te dai risul­ta­ti insuf­fi­cien­ti del
con­ve­gno nazio­na­le di mag­gio di Pote­re ope­ra­io. Lo stes­so con­ve­gno non si era pre­sta­to come sede
per un dibat­ti­to chia­ro, il che, del resto, era pre­ve­di­bi­le. Da lun­go tem­po l’organizzazione era
para­liz­za­ta da una for­te diver­si­fi­ca­zio­ne, esi­sten­te all’interno, tra posi­zio­ni non più dia­let­ti­che. Il
semi­na­rio ebbe luo­go quin­di nel­la misu­ra in cui per­met­te­va il rilan­cio di un dibat­ti­to poli­ti­co fuo­ri
dal patriot­ti­smo di grup­po e dal­le con­ven­zio­ni buro­cra­ti­che di tali orga­niz­za­zio­ni. È inol­tre un
discor­so «inter­no» ai com­pa­gni che in segui­to non si sono più rico­no­sciu­ti in Pote­re ope­ra­io,
pro­ba­bil­men­te per que­sto limi­ta­to. Tut­ta­via esso ha susci­ta­to l’interesse dei com­pa­gni del­le
assem­blee e dei comi­ta­ti auto­no­mi che han­no par­te­ci­pa­to atti­va­men­te alla discus­sio­ne. Dopo il
semi­na­rio dal­la discus­sio­ne si è pas­sa­ti a scel­te più con­cre­te, da un lato l’uscita in mas­sa da Pote­re
ope­ra­io del­le situa­zio­ni ope­ra­ie più signi­fi­ca­ti­ve (Por­to Mar­ghe­ra, Fat­me di Roma, Por­de­no­ne ecc.)
dall’altro il poten­zia­men­to dei livel­li orga­niz­za­ti dell’autonomia con la pie­na ade­sio­ne e l’impegno
quo­ti­dia­no nel lavo­ro poli­ti­co del­le assem­blee e dei comi­ta­ti.
For­se per que­sto alcu­ne cose det­te in que­ste pagi­ne pos­so­no sem­bra­re supe­ra­te e pro­ba­bil­men­te lo
sono. Una cosa comun­que resta uti­le ed impor­tan­te, ed è il fat­to che que­sta discus­sio­ne pur nei
suoi limi­ti non è la testi­mo­nian­za di una ris­sa tra grup­pet­ti o per­so­nag­gi, ma la coscien­te
auto­cri­ti­ca di un grup­po che ha avu­to una fun­zio­ne deter­mi­nan­te nel­lo svi­lup­po del­la lot­ta
rivo­lu­zio­na­ria di que­sti anni. In que­sto sen­so pen­sia­mo che pos­sa rap­pre­sen­ta­re un esem­pio
salu­ta­re per gran par­te del movimento.


[Edi­to­ria­le di «Pote­re ope­ra­io», n. 50, set­tem­bre 1973]


Rico­min­cia­re da capo non signi­fi­ca tor­na­re indie­tro
Per­ché uscia­mo dal grup­po
Per­ché sce­glia­mo l’Autonomia organizzata


Non tor­nia­mo indie­tro andia­mo avan­ti
Per­ché rico­min­cia­mo dac­ca­po dopo die­ci anni da quel­la piaz­za Sta­tu­to, mai abba­stan­za
male­det­ta da padro­ni e rifor­mi­sti, che è sta­ta il nostro con­gres­so di fon­da­zio­ne? Per­ché
cre­dia­mo oggi fon­da­men­ta­le una radi­ca­le cam­pa­gna di ret­ti­fi­ca di linea e di dis­so­lu­zio­ne
del­la «strut­tu­ra di grup­po», una vera e pro­pria rivo­lu­zio­ne cul­tu­ra­le nell’ambito del­la
orga­niz­za­zio­ne del­la sini­stra rivo­lu­zio­na­ria? Per­ché e come ripro­po­nia­mo il tema
dell’organizzazione di clas­se, dopo que­sti die­ci anni di cre­sci­ta del movi­men­to e alcu­ni
momen­ti di ege­mo­nia sul movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio com­ples­si­vo? Qua­li sono le pri­me
sca­den­ze, i pri­mi ele­men­ti di pro­gram­ma e le for­me di orga­niz­za­zio­ne che una fase di
chia­ri­men­to, di dibat­ti­to e di lot­ta poli­ti­ca ha enu­clea­to e sul­la qua­le dob­bia­mo pro­var­ci?
Auto­no­mia ope­ra­ia e rifiu­to del lavo­ro sono la for­ma e il con­te­nu­to del for­mi­da­bi­le sal­to in
avan­ti che, da piaz­za Sta­tu­to a cor­so Tra­ia­no, da via Tibal­di al 11 mar­zo ’72, dal­le pri­me
azio­ni di lot­ta arma­ta al mar­zo ’73 di Mira­fio­ri, la clas­se ope­ra­ia, e l’intero movi­men­to
rivo­lu­zio­na­rio del pro­le­ta­ria­to sot­to la sua dire­zio­ne, han­no com­piu­to. Ma auto­no­mia
ope­ra­ia e rifiu­to del lavo­ro non sono mai riu­sci­ti a tro­va­re una media­zio­ne orga­niz­za­ti­va
che non fos­se momen­ta­nea e spon­ta­nea. Ogni ten­ta­ti­vo orga­niz­za­ti­vo ha al con­tra­rio scis­so
e sepa­ra­to que­sti ter­mi­ni com­ple­men­ta­ri: que­sta scis­sio­ne è sta­ta il fon­da­men­to
dell’opportunismo di destra e di sini­stra. L’opportunismo di destra ha esal­ta­to l’autonomia,
rin­ne­gan­do i con­te­nu­ti mate­ria­li di cui que­sta si nutri­va: al rifiu­to del lavo­ro, agli obiet­ti­vi
comu­ni­sti di appro­pria­zio­ne ha di nuo­vo sosti­tui­to l’orizzonte socia­li­sta del­la
con­trat­ta­zio­ne isti­tu­zio­na­le, la cosid­det­ta auto­no­mia del poli­ti­co e un con­se­guen­te
pro­gram­ma di più equa ripar­ti­zio­ne dei red­di­ti. L’opportunismo di sini­stra ha
iste­ri­ca­men­te esal­ta­to la volon­tà di rot­tu­ra e di scon­tro del­le avan­guar­die del rifiu­to del
lavo­ro, disper­den­do tut­ta­via nel deli­rio gau­chi­sta ogni capa­ci­tà di inter­pre­ta­re il
movi­men­to di mas­sa, ceden­do alla ten­ta­zio­ne di un ter­ro­ri­smo sen­za prin­ci­pi, pre­da per­ciò
di nuo­vo dell’iniziativa pro­vo­ca­to­ria dei livel­li isti­tu­zio­na­li del capi­ta­le. Sul pia­no poli­ti­co,
sia l’opportunismo di destra che quel­lo di sini­stra sono quin­di neces­sa­ria­men­te sci­vo­la­ti in
una pra­ti­ca buro­cra­ti­ca, dele­ga­ta, tar­do­co­mu­ni­sta: i grup­pi sono oggi extra­par­la­men­ta­ri
solo di nome, in real­tà tut­te le loro sca­den­ze han­no fini­to con l’essere par­la­men­ta­ri e
isti­tu­zio­na­li e ogni loro strut­tu­ra ha fini­to per ripe­te­re i model­li obso­le­ti del­la
rap­pre­sen­tan­za poli­ti­ca, del­la dele­ga, del­la tra­di­zio­ne ter­zin­ter­na­zio­na­li­sta. Miglia­ia di
com­pa­gni sono sta­ti costret­ti a una pic­co­la e meschi­na pra­ti­ca mino­ri­ta­ria lad­do­ve poche
deci­ne di ope­rai, negli anni Ses­san­ta, lega­ti alle mas­se, ogni gior­no rin­no­van­do la sco­per­ta
del rifiu­to del lavo­ro, era­no riu­sci­ti a for­ma­re l’avanguardia mag­gio­ri­ta­ria del pro­le­ta­ria­to,
a impor­re un sal­to in avan­ti qua­li­ta­ti­vo, fon­da­men­ta­le e irre­ver­si­bi­le, ai com­por­ta­men­ti
ope­rai e alle lot­te. Solo una dire­zio­ne ope­ra­ia, diret­ta e imme­dia­ta, può oggi ricon­giun­ge­re
auto­no­mia e rifiu­to del lavo­ro. La dire­zio­ne ope­ra­ia si eser­ci­ta pri­ma di tut­to nel
man­te­ni­men­to dei livel­li di pote­re rag­giun­ti nel rap­por­to tra ope­rai e capi­ta­le. Livel­li di
pote­re che si chia­ma­no assen­tei­smo, sabo­tag­gio, rifiu­to di tut­te le for­me incen­ti­van­ti e
noci­ve del lavo­ro, sol­di; che si chia­ma­no capa­ci­tà di lot­ta con­tro la cri­si e con­tro lo
svi­lup­po, con­tro ogni for­ma del coman­do capi­ta­li­sti­co; che si chia­ma­no rifiu­to di ogni
for­ma di con­trat­ta­zio­ne e di par­te­ci­pa­zio­ne, di ogni ten­ta­ti­vo isti­tu­zio­na­le, sin­da­ca­le o
par­ti­ti­co, di con­trol­lo dell’autonomia. Ma tut­to ciò non basta. La dire­zio­ne ope­ra­ia non si
svol­ge oggi sola­men­te sul ter­re­no dei rap­por­ti di for­za fra ope­rai e capi­ta­le. Essa affron­ta
anche i pro­ble­mi del­la secon­da fase: i pro­ble­mi cioè del rap­por­to clas­se-par­ti­to. I livel­li di
pote­re che l’autonomia ope­ra­ia sa tene­re in fab­bri­ca e nel­la socie­tà ten­do­no
neces­sa­ria­men­te a tra­sfor­mar­si in livel­li di attac­co. La coscien­za di mas­sa del pote­re
ope­ra­io si tra­du­ce in for­za sog­get­ti­va e in ini­zia­ti­va di avan­guar­dia. Il rifiu­to del­la
con­trat­ta­zio­ne si tra­sfor­ma in com­por­ta­men­to di appro­pria­zio­ne. La lot­ta con­tro gli infi­ni­ti
ten­ta­ti­vi padro­na­li di repres­sio­ne si svi­lup­pa in capa­ci­tà di soste­ne­re e diri­ge­re pri­mi
momen­ti di lot­ta arma­ta anti­ca­pi­ta­li­sti­ca. Il tem­po è matu­ro per­ché que­sta secon­da fase sia
per­cor­sa inte­ra­men­te dal­le for­ze di mas­sa auto­no­me del­la clas­se ope­ra­ia. Ope­rai e capi­ta­le,
clas­se e par­ti­to; auto­no­mia e rifiu­to del lavo­ro, appro­pria­zio­ne e mili­ta­riz­za­zio­ne; que­sti
sono i temi su cui si pro­va la matu­ri­tà del­la dire­zio­ne di clas­se ope­ra­ia. Il loro lega­me è
dia­let­ti­co, e cioè uni­ta­rio e arti­co­la­to: solo una dire­zio­ne ope­ra­ia cen­tra­liz­za­ta può
domi­na­re que­sta arti­co­la­zio­ne e impor­re que­sta uni­tà. Ciò signi­fi­ca che la paro­la d’ordine
del­la cen­tra­liz­za­zio­ne, matu­ra­ta attra­ver­so l’esperienza dei grup­pi, non è da noi
abban­do­na­ta. Ma si trat­ta di dare car­ne e san­gue a quel­la che è sta­ta una paro­la d’ordine
pura­men­te ideo­lo­gi­ca. È per que­sto che, di fron­te al fal­li­men­to neces­sa­rio dei grup­pi, la
fusio­ne mate­ria­le del poten­zia­le di dire­zio­ne può dar­si solo alla base, solo den­tro
l’autonomia ope­ra­ia. La cen­tra­liz­za­zio­ne, il par­ti­to, non sono dei miti, non sono la
solu­zio­ne dele­ga­ta del pro­ble­ma del­la dire­zio­ne col­let­ti­va del pro­le­ta­ria­to: sono inve­ce un
pro­ces­so di lot­te e di orga­niz­za­zio­ne, vis­su­to ogni gior­no, nel dif­fi­ci­le cam­mi­no del­la
for­ma­zio­ne orga­niz­za­ti­va del pro­gram­ma. Il nostro pro­ble­ma non è altro che quel­lo di
con­giun­ge­re in modo cor­ret­to, e quin­di effi­ca­ce, la com­pat­ta auto­no­mia del­la clas­se
ope­ra­ia e i movi­men­ti del­la sua avan­guar­dia. La clas­se ope­ra­ia si fa par­ti­to attra­ver­so la
cen­tra­liz­za­zio­ne dei pro­pri movi­men­ti. Que­sto pro­ces­so di par­ti­to può esse­re anti­ci­pa­to
solo attra­ver­so la cen­tra­liz­za­zio­ne di base, pra­ti­ca e non ideo­lo­gi­ca, attua­ta nel­la
con­cen­tra­zio­ne di una for­za di mas­sa e di un’iniziativa di attac­co. È per que­sto che la
cen­tra­liz­za­zio­ne che pro­po­nia­mo e comin­cia­mo a met­te­re in atto per noi stes­si si pre­sen­ta
come for­za espan­si­va, come strut­tu­ra espan­si­va, che rac­co­glie per esal­ta­re (e non per
illan­gui­di­re, come avvie­ne nei grup­pi) ogni ini­zia­ti­va pro­le­ta­ria con­tro il lavo­ro. Ciò
non­di­me­no que­sta cen­tra­liz­za­zio­ne è un fat­to rea­le: è fusio­ne di volon­tà sog­get­ti­va, è
capa­ce di bat­te­re la cicli­ci­tà del­le lot­te domi­na­te dal sin­da­ca­to e dal padro­ne, per impor­re
sem­pre l’iniziativa di attac­co. Ma quel­lo che deve esse­re chia­ro è di nuo­vo que­sto: che la
media­zio­ne teo­ri­ca, l’articolazione pra­ti­ca, la cen­tra­liz­za­zio­ne deci­sio­na­le di attac­co con­tro
la cicli­ci­tà del movi­men­to, noi non le rico­no­scia­mo a nes­sun mec­ca­ni­smo dele­ga­to, non le
ponia­mo den­tro a nes­su­na divi­sio­ne del lavo­ro, non le fis­sia­mo in nes­su­na strut­tu­ra
ver­ti­ca­le. Se un par­ti­to ope­ra­io ade­gua­to all’attuale com­po­si­zio­ne poli­ti­ca del­la clas­se
ope­ra­ia, e cioè impian­ta­to sull’esperienza che le lot­te e il rifiu­to del lavo­ro han­no
deter­mi­na­to nel­la clas­se ope­ra­ia, deve nasce­re, esso nasce­rà solo dal­la diret­ta capa­ci­tà
ope­ra­ia di appro­priar­si pri­ma di tut­to del­la pro­pria orga­niz­za­zio­ne.
L’Autonomia orga­niz­za­ta
Pri­me espe­rien­ze dell’autonomia orga­niz­za­ta, nel­le gran­di fab­bri­che e sul ter­re­no socia­le,
sono date. Un pri­mo pro­ces­so di orga­niz­za­zio­ne nazio­na­le di que­ste emer­gen­ze
dell’autonomia è comin­cia­to. Noi rico­no­scia­mo in que­sto pri­mo pro­ces­so un’indicazione
orga­niz­za­ti­va vali­da e quin­di una sede di lavo­ro poli­ti­co. Noi rite­nia­mo che l’inserimento di
qua­dri ester­ni nel lavo­ro poli­ti­co del­le assem­blee e dei comi­ta­ti auto­no­mi deb­ba por­ta­re a
una fusio­ne com­ple­ta, e che que­sto sia impor­tan­tis­si­mo per la costru­zio­ne di una capa­ci­tà
gene­ra­le di dire­zio­ne e di ege­mo­nia poli­ti­ca sul movi­men­to da par­te degli ope­rai
d’avanguardia. Il pro­ces­so dell’autonomia orga­niz­za­ta va ulte­rior­men­te spin­to in avan­ti,
acce­le­ra­to den­tro le sca­den­ze di lot­ta e di orga­niz­za­zio­ne che l’autonomia si dà. La
cam­pa­gna di mas­sa per l’affermazione del­la dire­zio­ne ope­ra­ia sul movi­men­to, per la
dis­so­lu­zio­ne di ogni ester­ni­tà o dele­ga orga­niz­za­ti­va va imme­dia­ta­men­te svi­lup­pa­ta. Nel­la
for­mi­da­bi­le con­ti­nui­tà del movi­men­to ita­lia­no abbia­mo la pos­si­bi­li­tà di usa­re la cri­si dei
grup­pi come momen­to posi­ti­vo per l’allargamento del­la con­ce­zio­ne e dell’organizzazione
del­la gestio­ne auto­no­ma del pote­re ope­ra­io: que­sta pos­si­bi­li­tà non dob­bia­mo per­der­la! Se
orga­niz­za­zio­ne ope­ra­ia è orga­niz­za­zio­ne dell’organizzazione, se lot­te e orga­niz­za­zio­ne
ope­ra­ia in ter­mi­ni di gestio­ne, di pote­re, sono la stes­sa cosa, il pro­ces­so di par­ti­to è
inte­ra­men­te un pro­ces­so di lot­te. Oggi a noi spet­ta di vede­re assie­me la solu­zio­ne ini­zia­le
del pro­ble­ma dell’organizzazione, così come sia­mo venu­ti affron­tan­do­lo, e il pro­get­to di
ria­pri­re la lot­ta per l’organizzazione. La sca­den­za è vici­na. Il rifor­mi­smo ten­ta
dispe­ra­ta­men­te di sta­bi­liz­zar­si: ma tut­to ci dimo­stra come il ten­ta­ti­vo sia vano. Il pro­ble­ma
non è di sape­re se il rifor­mi­smo riu­sci­rà a pas­sa­re oppu­re no: que­sto pro­ble­ma lo abbia­mo
risol­to con le lot­te degli anni Ses­san­ta, dimo­stran­do la defi­ni­ti­va scon­fit­ta sto­ri­ca di ogni
pro­po­sta di accom­pa­gna­re lo svi­lup­po del­lo sfrut­ta­men­to al con­sen­so del­la clas­se ope­ra­ia.
Il pro­ble­ma è di sape­re se la scon­fit­ta del rifor­mi­smo tro­ve­rà la clas­se ope­ra­ia pron­ta a
gesti­re il pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio del­la pre­sa del pote­re e dell’instaurazione del comu­ni­smo.
È que­sta l’ultima sca­den­za che ci inte­res­sa. Il nostro sfor­zo orga­niz­za­ti­vo è quin­di vol­to alla
pre­pa­ra­zio­ne di que­sto momen­to, attra­ver­so un eser­ci­zio con­ti­nuo del pote­re ope­ra­io nel­le
fab­bri­che e nel­la socie­tà, insie­me cau­sa del­la cri­si capi­ta­li­sti­ca e pro­ces­so di orga­niz­za­zio­ne
ope­ra­ia per il comu­ni­smo. Le lot­te che stan­no apren­do­si, sul sala­rio con­tro gli effet­ti
repres­si­vi dell’inflazione, con­tro il lavo­ro sull’orario e la gior­na­ta lavo­ra­ti­va, que­ste lot­te ci
impe­gna­no a svi­lup­par­le in que­sto sen­so radi­ca­le, come pre­fi­gu­ra­zio­ne del­lo sboc­co
rivo­lu­zio­na­rio. Lot­te e orga­niz­za­zio­ne sono tutt’uno per­ché vin­ce­re e svi­lup­pa­re
l’organizzazione comu­ni­sta del­la socie­tà è tutt’uno. Que­sto è l’ultimo nume­ro di «Pote­re
ope­ra­io». La cre­sci­ta del­la dire­zio­ne ope­ra­ia del­le lot­te e dell’organizzazione ha dis­sol­to le
istan­ze orga­niz­za­ti­ve dei grup­pi. Par­te dei com­pa­gni che oggi sot­to­scri­vo­no quest’ultimo
nume­ro di «Pote­re ope­ra­io» ne han­no vis­su­to l’intera espe­rien­za. E non la rin­ne­ga­no. I
grup­pi, inter­pre­tan­do in manie­ra sba­glia­ta un pro­ble­ma vero, quel­lo cioè
dell’omogeneizzazione nazio­na­le dell’intervento, han­no per­mes­so a noi tut­ti di cre­sce­re
nel­la coscien­za di clas­se e nel­la disci­pli­na dell’organizzazione. Ma ora i com­pa­gni deb­bo­no
di nuo­vo, come sem­pre han­no fat­to, con­fron­ta­re gli esi­ti del­la loro espe­rien­za alle esi­gen­ze
dell’organizzazione ope­ra­ia e al pro­ces­so del­la sua cre­sci­ta: con deter­mi­na­zio­ne, sen­za
timi­dez­za, sen­za rimor­si, ognu­no deve deci­de­re da che par­te sta­re. Noi abbia­mo scel­to
l’autonomia orga­niz­za­ta e la dire­zio­ne ope­ra­ia. Se gli altri com­pa­gni inten­do­no con­ti­nua­re
a gri­da­re lo slo­gan «pote­re ope­ra­io» si ral­le­gri­no, anche noi con­ti­nue­re­mo a far­lo: qui non
ci sono mag­gio­ran­ze o mino­ran­ze, la nostra espe­rien­za rico­no­sce que­sti rap­por­ti di
coman­do e di disci­pli­na solo alla e nei con­fron­ti del­la dire­zio­ne ope­ra­ia. Pote­re ope­ra­io,
dun­que, ma – e in que­sto sia­mo set­ta­ri – solo nel­la for­ma e nei tem­pi rico­no­sciu­ti e gui­da­ti
dall’autonomia ope­ra­ia orga­niz­za­ta.
Abbia­mo rifiu­ta­to il grup­po e la sua logi­ca per esse­re nel movi­men­to rea­le per esse­re
nell’Autonomia orga­niz­za­ta.

7) POTERE OPERAIO : spunti di riflessione

sul ”grup­po’’ poli­ti­co e i suoi gior­na­li fra ope­rai­smo e auto­no­mia organizzata

COMUNISMO E ORGANIZZAZIONE: PAROLA D’ ORDINE CHE DOMINERÀ GLI ANNI ’70

Comu­ni­smo e organizzazione

  1. 1 COMUNISMO COME PROGRAMMA Com­pa­gni, il Comu­ni­smo è il nostro pro­gram­ma.
    Le for­ze pro­dut­ti­ve si ribel­la­no alle con­di­zio­ni del­la pro­du­zio­ne: il lavo­ro è sem­pre di più
    una con­dan­na. Ogni sua neces­si­tà ogget­ti­va vie­ne meno, l’ur­gen­za di libe­ra­re le enor­mi
    pos­si­bi­li­tà del­le for­ze pro­dut­ti­ve, che sog­giac­cio­no allo sfrut­ta­men­to capi­ta­li­sti­co, si è
    impo­sta come com­pi­to imme­dia­to. Il Comu­ni­smo è il pro­get­to di distrug­ge­re il lavo­ro
    come espro­pria­zio­ne quo­ti­dia­na di ogni ener­gia uma­na, come for­ma di orga­niz­za­zio­ne
    del­la socie­tà, come fon­da­men­to di legit­ti­mi­tà del­l’au­to­ri­tà. Una enor­me base mate­ria­le è
    sta­ta accu­mu­la­ta dal lavo­ro uma­no duran­te seco­li di sfrut­ta­men­to; con­tro il lavo­ro vivo
    que­sta mas­sa mate­ria­le è usa­ta dal­la mano arma­ta del capi­ta­le e del suo Sta­to. Rom­pia­mo
    que­sta neces­si­tà del capi­ta­le, riap­pro­pria­mo­ci di quan­to ci è sta­to tol­to, usia­mo inte­ra la
    nostra for­za di ope­rai e di sfrut­ta­ti nel­l’or­ga­niz­za­re la nostra volon­tà di rivo­lu­zio­ne!
    1.2 RIFIUTO DEL LAVORO CONTRO APPARENZA DEL VALORE Pre­mu­ti da que­sto nuo­vo,
    sem­pre più incal­zan­te espri­mer­si del­la coscien­za ope­ra­ia del­lo sfrut­ta­men­to e del­la
    neces­si­tà del comu­ni­smo, i padro­ni resi­sto­no – come sem­pre – alter­nan­do cri­si e svi­lup­po,
    repres­sio­ne e rifor­me. Rifor­me e repres­sio­ne oggi si pre­sen­ta­no in una pro­po­sta di
    ristrut­tu­ra­zio­ne che vuo­le l’u­so del­la schia­vi­tù sala­ria­le per lo svi­lup­po pro­dut­ti­vo den­tro
    un ordi­na­men­to rical­ca­to sul «valo­re del lavo­ro», come leg­ge esclu­si­va dell’organizzazione
    pro­dut­ti­va e socia­le. L’e­sclu­si­vi­tà con cui i padro­ni inten­do­no muo­ver­si su que­sto ter­re­no
    com­por­ta una for­te ten­sio­ne rifor­mi­sta con­tro tut­te quel­le spe­cie di sfrut­ta­men­to che non
    pos­so­no rag­grup­par­si sot­to la leg­ge del valo­re: con­tro la ren­di­ta paras­si­ta­ria, con­tro tut­te
    le disfun­zio­ni impro­dut­ti­ve che impe­di­sco­no di rego­la­re in modo pia­ni­fi­ca­to il rap­por­to di
    sfrut­ta­men­to a livel­lo socia­le. Col­l’im­por­re la leg­ge del valo­re come leg­ge del­la socie­tà
    inte­ra, il capi­ta­le cer­ca di legit­ti­ma­re il pro­prio svi­lup­po, di mostrar­si un giu­sto legi­sla­to­re e
    garan­te di un pote­re che le lot­te ope­ra­ie gli ven­go­no con­te­stan­do. Ma la leg­ge del valo­re è
    la leg­ge del­lo sfrut­ta­men­to. L’ «equo sfrut­ta­men­to» che l’e­sten­sio­ne illi­mi­ta­ta del domi­nio
    del­la leg­ge del valo­re dovreb­be sta­bi­li­re fra i lavo­ra­to­ri, è l’e­gua­glian­za appa­ren­te che esi­ste
    fra gli sfrut­ta­ti da un uni­co padro­ne: il capi­ta­le come poten­za imper­so­na­le e astrat­ta, i
    padro­ni come suoi fun­zio­na­ri tut­ti inte­si all’o­pe­ra sen­za fine di accre­sce­re la ric­chez­za
    pro­dut­ti­va e a stra­vol­ger­la in coman­do sugli ope­rai. Il pro­ble­ma degli ope­rai non è quel­lo
    di saper­si ugua­li nel­la mise­ria del­lo sfrut­ta­men­to ma di abo­li­re lo sfrut­ta­men­to e il
    coman­do del capi­ta­le. Agli ope­rai non inte­res­sa un nuo­vo imbro­glio, una «giu­sti­zia»
    astrat­ta e mostruo­sa, – a cia­scu­no secon­do il lavo­ro – astrat­to e mostruo­so il domi­nio del
    capi­ta­le: nel suo coman­do la rego­la dell’equità può solo pre­sen­tar­si come rin­no­va­ta
    fun­zio­ne del­lo sfrut­ta­men­to. Agli ope­rai le lot­te han­no mostra­to che non c’è più alcu­na
    misu­ra tra lavo­ro e capi­ta­le che non sia misu­ra del coman­do, del­la neces­si­tà dei padro­ni di
    coman­da­re per­ché il capi­ta­le pos­sa ripro­dur­si come figu­ra del loro pote­re. All’o­pe­ra­io-mas­sa,
    inter­cam­bia­bi­le nel­le sue fun­zio­ni pro­dut­ti­ve, sog­get­to all’orribile ricat­to di dover
    accet­ta­re comun­que il coman­do del padro­ne solo per gode­re del­la «liber­tà» di vive­re come
    vuo­le il padro­ne, schia­vo del capi­ta­le den­tro la fab­bri­ca e nel­la socie­tà domi­na­ta dal­la
    volon­tà e dal puz­zo del padro­ne, nes­su­no può più rac­con­ta­re che il lavo­ro è un valo­re e che
    l’«uguaglianza» capi­ta­li­sti­ca è giu­sta. Distrug­gia­mo que­sta appa­ren­za del valo­re,
    riap­pro­pria­mo­ci del coman­do sul­la ric­chez­za socia­le pro­dot­ta, oppo­nia­mo la for­za ope­ra­ia
    al capi­ta­le! Una nuo­va epo­ca del­la lot­ta di clas­se si è aper­ta: dob­bia­mo osa­re viver­la! Nel­la
    situa­zio­ne di sem­pre mag­gio­re sfrut­ta­men­to che la leg­ge del valo­re deter­mi­na, nel­le lot­te
    che gli ope­rai han­no con­dot­to e con­du­co­no tra gli anni ’60 e gli anni ’70, gli ope­rai han­no
    lan­cia­to con­tro l’ap­pa­ren­za misti­fi­ca­ta del valo­re il rifiu­to del lavo­ro! Rifiu­to del lavo­ro
    signi­fi­ca pri­ma di tut­to rifiu­to ope­ra­io di accet­ta­re il lavo­ro come siste­ma di fab­bri­ca, di
    legar­si a ogni for­ma di par­te­ci­pa­zio­ne (da quel­la bru­ta­le del cot­ti­mo a quel­le raf­fi­na­te del­la
    coge­stio­ne pro­dut­ti­va); signi­fi­ca – in secon­do luo­go – rifiu­to da par­te degli ope­rai di
    veder­si non solo col­lo­ca­ti nel­lo spor­co siste­ma di fab­bri­ca, ma anche nel­lo spor­co siste­ma
    del­lo svi­lup­po, all’in­ter­no del pro­get­to capi­ta­li­sti­co di subor­di­na­re la socie­tà alla leg­ge del
    valo­re e del­lo sfrut­ta­men­to. Ma soprat­tut­to, rifiu­to del lavo­ro signi­fi­ca com­pren­de­re che –
    al di là del mon­do del lavo­ro sala­ria­to, del­la leg­ge del valo­re, del domi­nio capi­ta­li­sti­co che
    stra­vol­ge la capa­ci­tà del­l’uo­mo di pro­dur­re ric­chez­za nel­la costri­zio­ne a pro­dur­re valo­re
    (che cioè costrin­ge l’at­ti­vi­tà uma­na a far­si lavo­ro, cioè pro­du­zio­ne di valo­re e di plu­sva­lo­re)
    – esi­ste, e già si sco­pre nei com­por­ta­men­ti del­l’au­to­no­mia ope­ra­ia, la pos­si­bi­li­tà di crea­re
    un mon­do nuo­vo che rin­ne­ghi la bar­ba­rie del­l’op­pres­sio­ne, del­la pover­tà e del­l’i­gno­ran­za e
    che sia costrui­to sul­l’af­fi­na­men­to del­l’o­pe­ra­ti­vi­tà ope­ra­ia, del­la capa­ci­tà di pro­dur­re
    ric­chez­za (beni uti­li) e non mer­ci, valo­re, capi­ta­le, del­l’in­ven­zio­ne e di una intel­li­gen­za
    libe­ra­ta dal­la subor­di­na­zio­ne alle neces­si­tà del­la pro­du­zio­ne e del­la scien­za­ca­pi­ta­li­sti­ca.
    Gli ope­rai non voglio­no subor­di­na­re se stes­si ad una nuo­va figu­ra del­l’or­ga­niz­za­zio­ne
    capi­ta­li­sti­ca del lavo­ro – più avan­za­ta, più raf­fi­na­ta, più astrat­ta – : il pro­ces­so di
    valo­riz­za­zio­ne si è man­gia­to il lavo­ro vivo sen­za dare spe­ran­za di riscat­to e di alter­na­ti­va.
    Solo la distru­zio­ne del lavo­ro incor­po­ra­to al capi­ta­le può libe­ra­re, solo il rifiu­to è la
    con­di­zio­ne di un mon­do libe­ra­to. Il rifiu­to di far­si mer­ce, che espri­ma in se un pro­gram­ma
    di dit­ta­tu­ra che impon­ga l’a­bo­li­zio­ne del lavo­ro sala­ria­to, che distrug­ga il rap­por­to fra
    lavo­ro e dirit­to all’esistenza. Nel­la lot­ta gli ope­rai han­no già oppo­sto il rifiu­to del lavo­ro
    all’ap­pa­ren­za del domi­nio capi­ta­li­sti­co! Su que­sta via dob­bia­mo mar­cia­re!
    1.3 PROSPETTIVA SOCIALISTA DEL CAPITALISMO Nel­la misu­ra in cui ogni alter­na­ti­va di
    sem­pli­ce uso del­la ric­chez­za capi­ta­li­sti­ca accu­mu­la­ta, di sem­pli­ce diver­si­fi­ca­zio­ne del­le
    ragio­ni e del­le moda­li­tà di gestio­ne è venu­ta meno, il socia­li­smo, il model­lo di
    orga­niz­za­zio­ne socia­le e pro­dut­ti­va rea­liz­za­ta in URSS e nei pae­si del bloc­co «sovie­ti­co»,
    ha fini­to di esse­re, nel­la coscien­za ope­ra­ia, un’in­di­ca­zio­ne posi­ti­va per la lot­ta
    rivo­lu­zio­na­ria. L’e­spe­rien­za del socia­li­smo rea­liz­za­to, che pure ave­va deter­mi­na­to una
    for­mi­da­bi­le spin­ta rivo­lu­zio­na­ria, si è man mano mostra­ta come espe­rien­za di una
    scon­fit­ta. Cer­to, la coscien­za ope­ra­ia non per­de di vista il signi­fi­ca­to di una for­ma di
    orga­niz­za­zio­ne del­la pro­du­zio­ne che – come nel socia­li­smo rea­liz­za­to – ha deter­mi­na­to
    posi­zio­ni di ege­mo­nia del­la for­za-lavo­ro nel­la socie­tà; ma sa anche che que­sta alter­na­ti­va di
    gestio­ne del capi­ta­le socia­le ha bloc­ca­to il cam­mi­no del­la clas­se ope­ra­ia ver­so il
    comu­ni­smo. Sa soprat­tut­to che il capi­ta­li­smo avan­za­to vede oggi, nei pae­si del socia­li­smo
    rea­liz­za­to non l’av­ver­sa­rio ma il com­pli­ce nel­la rea­liz­za­zio­ne di for­me più alte di
    sfrut­ta­men­to sul­la clas­se ope­ra­ia inter­na­zio­na­le. Den­tro la mostruo­sa appa­ren­za
    dell’eguaglianza di tut­ti sot­to l’u­ni­for­me e asso­lu­to domi­nio del­l’a­strat­ta «giu­sti­zia» del­la
    leg­ge del valo­re come leg­ge final­men­te per­fet­ta del­l’e­quo sfrut­ta­men­to, den­tro l’u­to­pia
    socia­li­sta del­l’e­quo pro­ces­so del­le man­sio­ni, il capi­ta­le ha rea­liz­za­to il suo sogno di una
    socie­tà fat­ta di soli ope­rai, una socie­tà sot­to il pote­re rea­le del capi­ta­le ma sen­za clas­se
    for­ma­le dei capi­ta­li­sti, con il capi­ta­li­smo nel rap­por­to di pro­du­zio­ne e il socia­li­smo nel
    modo di pro­du­zio­ne e di scam­bio. Con­tro i padro­ni uni­fi­ca­ti nel­la for­ma uni­fi­ca­ta del
    capi­ta­le socia­le e con­tro la pro­spet­ti­va di gestio­ne «socia­li­sta» del­lo sfrut­ta­men­to
    capi­ta­li­sti­co, si muo­ve dun­que la lot­ta ope­ra­ia. La riu­ni­fi­ca­zio­ne del­le lot­te ope­ra­ie in tut­ti i
    pae­si del­l’oc­ci­den­te e del «cam­po socia­li­sta» è un fat­to, i mili­tan­ti rivo­lu­zio­na­ri che han­no
    veri­fi­ca­to il tra­di­men­to del­la loro lot­ta anti­ca­pi­ta­li­sti­ca nei pae­si del socia­li­smo rea­liz­za­to si
    ricom­pon­go­no man mano nel fron­te pro­le­ta­rio e nel nuo­vo pro­get­to rivo­lu­zio­na­rio. 1.4
    DALLA LOTTA SUL SALARIO ALLA LOTTA PER IL POTERE Da quan­do i padro­ni han­no
    sco­per­to – dopo la gran­de cri­si del ’29 la lot­ta ope­ra­ia come moto­re del­lo svi­lup­po; da
    quan­do è sta­to chia­ro che il con­trol­lo sul­la dina­mi­ca del­la varia­bi­le sala­ria­le o la rot­tu­ra di
    que­sto con­trol­lo era­no il ter­re­no di scon­tro fra capa­ci­tà capi­ta­li­sti­ca di garan­ti­re sta­bi­li­tà e
    svi­lup­po e capa­ci­tà ope­ra­ia di squi­li­bra­re il siste­ma – da allo­ra l’in­sta­bi­li­tà del siste­ma del
    capi­ta­le è sta­ta ricer­ca­ta ed otte­nu­ta, nei pae­si a capi­ta­li­smo avan­za­to, dal­l’at­tac­co ope­ra­io
    sul sala­rio, con­tro lo svi­lup­po. ln que­sto ciclo di lot­te ope­ra­ie e del con­se­guen­te svi­lup­po
    capi­ta­li­sti­co, il movi­men­to ope­ra­io in gene­ra­le, e comu­ni­sta nel­la fat­ti­spe­cie, è sta­to man
    mano emar­gi­na­to a par­ti­re dal­le pun­te più avan­za­te del­l’or­ga­niz­za­zio­ne capi­ta­li­sti­ca del­la
    socie­tà. Le lol­le degli anni ’60 in Euro­pa e in Ita­lia si iscri­vo­no anco­ra in que­sto ciclo
    com­ples­si­vo di lot­te ope­ra­ie: ma esse han­no avu­to il signi­fi­ca­to di rom­pe­re la pos­si­bi­li­tà
    capi­ta­li­sti­ca di ingab­bia­re le lot­te stes­se nel­le poli­ti­che di con­trol­lo dei sala­ri. Il Capi­ta­le è
    sta­to scon­fit­to sul­lo stes­so ter­re­no che a «livel­lo inter­na­zio­na­le ave­va scel­to – a par­ti­re dal
    New Deal – come ter­re­no di con­te­ni­men­to e di repres­sio­ne: la poli­ti­ca dei red­di­ti, la
    pro­gram­ma­zio­ne, il con­te­ni­men­to del­la spin­ta ope­ra­ia attra­ver­so isti­tu­zio­ni di con­trol­lo
    ela­sti­co nei movi­men­ti di clas­se ope­ra­ia (le orga­niz­za­zio­ni del movi­men­to ope­ra­io, e in
    par­ti­co­la­re il sin­da­ca­to, come diret­ta arti­co­la­zio­ne del Pia­no capi­ta­li­sti­co). Nel­la nuo­va
    situa­zio­ne che le lot­te han­no deter­mi­na­to il capi­ta­le pun­ta oggi diret­ta­men­te sul livel­lo
    sta­tua­le, sul pote­re poli­ti­co che detie­ne sul­lo svi­lup­po, come momen­to fon­da­men­ta­le di
    con­trat­tac­co nei con­fron­ti del­le lot­te ope­ra­ie. La sua pos­si­bi­li­tà di soprav­vi­ven­za è oggi
    tut­ta gio­ca­ta su que­sto pia­no: di qui la vio­len­za con cui esso si pre­sen­ta nel­lo scon­tro, la
    neces­si­tò che sem­pre lo rin­cor­re di affron­ta­re e dibat­te­re in uno scon­tro fron­ta­le la clas­se
    ope­ra­ia. Di qui la com­ple­ta e defi­ni­ti­va rias­sun­zio­ne del Livel­lo eco­no­mi­co (lo svi­lup­po
    capi­ta­li­sti­co) den­tro il livel­lo sta­tua­le (in gestio­ne poli­ti­ca com­ples­si­va del­lo sfrut­ta­men­to).
    La clas­se ope­ra­ia ha sco­per­to que­sta situa­zio­ne nuo­va del capi­ta­le nel cor­so del­le lot­te che
    seguo­no il pas­sag­gio agli anni 70. Dal­la lot­ta sul sala­rio l’ob­biet­ti­vo del­la lot­ta con­tro lo
    Sta­to vie­ne fuo­ri impo­sto dal­la con­ti­nui­tà stes­sa del­l’at­tac­co: la sco­per­ta ope­ra­ia del nuo­vo
    livel­lo del­lo scon­tro, la mes­sa a fuo­co del pro­ble­ma del pote­re poli­ti­co come que­stio­ne
    all’or­di­ne del gior­no, è sem­pre più niti­da e pre­ci­sa. A que­sto pun­to il pas­sag­gio
    all’or­ga­niz­za­zio­ne si pone come rispo­sta al biso­gno deter­mi­na­to del­la clas­se ope­ra­ia di
    man­te­ne­re con­tro l’at­tac­co del­lo Sta­to le vit­to­rie sala­ria­li strap­pa­te in fab­bri­ca; come
    rispo­sta al biso­gno ope­ra­io di pro­get­ta­re il comu­ni­smo: distru­zio­ne del lavo­ro sala­ria­to e
    libe­ra­zio­ne del­le for­ze pro­dut­ti­ve dal­le con­di­zio­ni del­la pro­du­zio­ne, libe­ra­zio­ne del­la
    capa­ci­tà di pro­dur­re ric­chez­za col­la costri­zio­ne a pro­dur­re valo­re, libe­ra­zio­ne del­la
    costri­zio­ne a far­si lavo­ro. Il ter­re­no del­la lot­ta sul sala­rio è quel­lo che la clas­se ope­ra­ia ha
    per­cor­so spon­ta­nea­men­te quan­do il capi­ta­le ha ten­ta­to l’o­pe­ra­zio­ne di con­te­ni­men­to del­la
    for­za ope­ra­ia a que­sto livel­lo. Il ter­re­no del­la lot­ta per il pote­re non può esse­re per­cor­so
    dal­la spon­ta­nei­tà, sia pure dal­la più alta. Quel­l’or­ga­niz­za­zio­ne, un’or­ga­niz­za­zio­ne che sia
    l’op­po­sto equi­va­len­te del­la vio­len­za orga­niz­za­ta del­lo Sta­to, divie­ne l’e­le­men­to deci­si­vo.
    Coglie­re que­sto pas­sag­gio, orga­niz­za­re negli anni ’70 un ciclo di lot­te sul ter­re­no del pote­re
    poli­ti­co, indi­vi­dua­re del­le sca­den­ze di costru­zio­ne del Par­ti­to, fis­sa­re dei tem­pi entro i
    qua­li si deve dare una rispo­sta al biso­gno ope­ra­io d’or­ga­niz­za­zio­ne, è l’o­biet­ti­vo
    fon­da­men­ta­le del­le avan­guar­die ope­ra­ie.
    1.5 POTERE OPERAIO E I COMPITI DELL’ORGANIZZAZIONE
    Orga­niz­za­re il Par­ti­to, apri­re la bat­ta­glia poli­ti­ca per l’u­ni­fi­ca­zio­ne entro una sola
    orga­niz­za­zio­ne del­le avan­guar­die degli anni ’60, affer­ma­re una cor­ret­ta via nel pas­sag­gio
    dal pro­ces­so di aggre­ga­zio­ne di uni­tà d’azione al pro­ces­so di uni­fi­ca­zio­ne di que­ste
    avan­guar­die, defi­ni­re le sca­den­ze di lot­ta di mas­sa den­tro il pro­get­to stra­te­gi­co di un nuo­vo
    ciclo di lot­te per l’or­ga­niz­za­zio­ne, rifor­mu­la­re il pro­gram­ma poli­ti­co per gli anni ’70,
    pro­pa­gan­da­re il pro­gram­ma comu­ni­sta di pote­re come pro­gram­ma alla por­ta­ta
    del­l’or­ga­niz­za­zio­ne rivo­lu­zio­na­ria degli ope­rai e dei pro­le­ta­ri: que­sti sono i com­pi­ti che
    oggi le avan­guar­die rivo­lu­zio­na­rie han­no di fron­te. Que­sti sono i com­pi­ti che i com­pa­gni di
    POTERE OPERAIO inten­do­no assol­ve­re.
    POTERE OPERAIO ha posto nel Con­ve­gno di Firen­ze, (9–11 gen­na­io ‘70) l’ur­gen­za del
    pro­get­to di costru­zio­ne del Par­ti­to, a par­ti­re dal biso­gno ope­ra­io di orga­niz­za­zio­ne così
    come era venu­to defi­nen­do­si den­tro le gran­dio­se vit­to­rie dell’autunno ros­so e il
    con­se­guen­te esau­rir­si del ter­re­no del sala­rio come ter­re­no per­cor­ri­bi­le in ter­mi­ni esclu­si­vi
    dal­l’au­to­no­mia ope­ra­ia; nel Con­ve­gno di Bolo­gna (5–6 set­tem­bre ‘70) ha comin­cia­to a
    defi­ni­re il ter­re­no poli­ti­co, le sca­den­ze e le for­me inter­me­die di cre­sci­ta
    del­l’or­ga­niz­za­zio­ne, e soprat­tut­to ha iden­ti­fi­ca­to l’urgenza capi­ta­li­sti­ca del­lo scon­tro a cui
    la clas­se ope­ra­ia deve dare, vio­len­te­men­te, rac­co­glien­do­vi attor­no l’in­te­ra for­za del
    pro­le­ta­ria­to, la rispo­sta che meri­ta; oggi, POTERE OPERAIO, pone alle avan­guar­die
    l’urgenza del­la discus­sio­ne: e del­la pra­ti­ca sul pro­gram­ma comu­ni­sta di pote­re e
    sul­l’or­ga­niz­za­zio­ne poli­ti­ca per la con­qui­sta del pote­re.
    COMUNISMO E ORGANIZZAZIONE: PAROLA D’ ORDINE CHE DOMINERÀ GLI
    ANNI ’70

8) POTERE OPERAIO : spunti di riflessione

sul ”grup­po’’ poli­ti­co e i suoi gior­na­li fra ope­rai­smo e auto­no­mia organizzata

Pub­bli­chia­mo un testo sui rap­por­ti tra Pote­re ope­ra­io e il Mani­fe­sto nel cor­so
del bien­nio 1970–71 trat­to dal­la tesi di lau­rea di Cin­zia Zen­no­ni dal tito­lo:
Pote­re ope­ra­io: dal­la teo­ria dell’insurrezione di mas­sa all’organizzazione
dell’avanguardia rivo­lu­zio­na­ria, Par­ma 2001.


I comi­ta­ti poli­ti­ci e l’incontro/scontro con il Manifesto


Anche la cam­pa­gna con­tro il «decre­to­ne», un decreto-​legge pre­sen­ta­to dal gover­no Colom­bo
nell’agosto 1970, che pre­ve­de­va dispo­si­zio­ni di carat­te­re tri­bu­ta­rio e quin­di un aggra­va­men­to del
cari­co fisca­le, tro­vò con­cor­di Mani­fe­sto e Pote­re ope­ra­io, oltre all’ostruzionismo con­dot­to in
Par­la­men­to dai depu­ta­ti del Psiup e alle richie­ste di radi­ca­li modi­fi­che da par­te del Pci[1].
Fu in quel perio­do che Pote­re ope­ra­io get­tò le basi del mag­gior sfor­zo aggre­ga­ti­vo com­piu­to
duran­te l’arco del­la sua esi­sten­za poli­ti­ca. Sem­pre man­te­nen­do­si all’interno di una pro­spet­ti­va che
col­lo­ca­va la que­stio­ne orga­niz­za­ti­va tra gli obiet­ti­vi di pri­ma­ria impor­tan­za, Pote­re ope­ra­io
rico­no­sce­va che:
tale pro­get­to va fon­da­to rife­ren­do­si all’area poli­ti­ca, alle avan­guar­die che le lot­te degli
anni ’60 han­no deter­mi­na­to. Pote­re ope­ra­io si ritie­ne una com­po­nen­te impor­tan­te di que­sto
per­cor­so sto­ri­co, ma non ritie­ne di rap­pre­sen­ta­re – ovvia­men­te – né la tota­li­tà del­le
avan­guar­die rivo­lu­zio­na­rie orga­niz­za­te, né la tota­li­tà del movimento[2].
Nel­la fase di pas­sag­gio che si vole­va inau­gu­ra­re, dai grup­pi al par­ti­to, il pro­ble­ma dive­ni­va quin­di
quel­lo dell’aggregazione, del supe­ra­men­to del­la fram­men­ta­zio­ne che ave­va carat­te­riz­za­to gli
anni ’60 e del set­ta­ri­smo più vol­te dimo­stra­to dal­le for­ze orga­niz­za­te del movi­men­to. Pote­re
ope­ra­io nota­va alcu­ni segna­li posi­ti­vi pro­ve­ni­re in par­ti­co­la­re da due grup­pi del­la nuo­va sini­stra:
Lot­ta con­ti­nua e il Mani­fe­sto. Per quan­to riguar­da il pri­mo, Pote­re ope­ra­io osser­va­va che:
ci sem­bra avvia­to un pro­ces­so di supe­ra­men­to di quel­la ambi­gua defi­ni­zio­ne orga­niz­za­ti­va
(«Lot­ta con­ti­nua è l’organizzazione rivo­lu­zio­na­ria» /​ Lot­ta con­ti­nua è il movi­men­to), di quel­la
chiu­su­ra set­ta­ria nei con­fron­ti del­le for­ze orga­niz­za­te del­la sini­stra ope­ra­ia, alla qua­le face­va
riscon­tro una acri­ti­ca e trion­fa­li­sti­ca subor­di­na­zio­ne nei con­fron­ti del movi­men­to, dei
com­por­ta­men­ti spon­ta­nei del­le mas­se, carat­te­ri – que­sti – dete­rio­ri e ste­ri­li che han­no a
nostro giu­di­zio por­ta­to i com­pa­gni di «Lot­ta con­ti­nua» a sosti­tui­re la teo­ria
dell’organizzazione con la tec­ni­ca dell’organizzazione[3].
Tut­ta­via, in que­sta pri­ma fase le rispet­ti­ve dif­fe­ren­ze nel modo di con­ce­pi­re il pro­ces­so
orga­niz­za­ti­vo (come uni­tà «dal bas­so», nel­le lot­te per Lot­ta con­ti­nua, come aggre­ga­zio­ne del­le
avan­guar­die, di nuclei orga­niz­za­ti e di grup­pi nel­la loro inte­rez­za per Pote­re ope­ra­io) non furo­no
supe­ra­te.
Miglio­ri risul­ta­ti die­de all’inizio la col­la­bo­ra­zio­ne con il Mani­fe­sto. Di esso si face­va nota­re che:
I com­pa­gni del mani­fe­sto – dai qua­li ci distin­guo­no ori­gi­ni teo­ri­che, sto­ria sog­get­ti­va e
per­cor­so poli­ti­co anche pro­fon­da­men­te diver­si – dimo­stra­no nei con­fron­ti dell’aggregazione
un atteg­gia­men­to aper­to, sti­mo­lan­te e frut­tuo­so di espe­rien­ze comu­ni e di chia­ri­men­ti non
superficiali[4].
Il ten­ta­ti­vo di intra­pren­de­re un per­cor­so comu­ne era sta­to avvia­to agli ini­zi del set­tem­bre 1970,
all’epoca del II con­ve­gno nazio­na­le di Pote­re ope­ra­io, svol­to­si a Bolo­gna, il 5-​6 set­tem­bre 1970,
occa­sio­ne nel­la qua­le il grup­po lan­ciò una nuo­va ini­zia­ti­va: costrui­re i «comi­ta­ti poli­ti­ci». La ripre­sa
del­le lot­te alla Fiat, nel­la pri­ma­ve­ra del 1970, ave­va evi­den­zia­to l’urgenza del pro­ble­ma
orga­niz­za­ti­vo. La diver­si­tà fra la linea sin­da­ca­le, cen­tra­ta attor­no all’obiettivo del­la tra­sfor­ma­zio­ne
del pre­mio di pro­du­zio­ne seme­stra­le in quat­tor­di­ce­si­ma men­si­li­tà, cioè in quo­ta fis­sa annua­le, non
più lega­to all’andamento pro­dut­ti­vo dell’azienda, e quel­la di Pote­re ope­ra­io, che chie­de­va la
cate­go­ria uni­ca, ini­zian­do con la 2ª per tut­ti, rese con­sa­pe­vo­le il grup­po del­la neces­si­tà di inse­ri­re
la lot­ta per il sala­rio sle­ga­to dal­la man­sio­ne all’interno di quel­la sin­da­ca­le, per le ogget­ti­ve
dif­fi­col­tà di gene­ra­liz­za­re i livel­li orga­niz­za­ti­vi raggiunti[5]. Occor­re­va quin­di supe­ra­re la fase di
«auto­no­mia» del­le lot­te e costrui­re strut­tu­re orga­niz­za­te in gra­do di por­si come alter­na­ti­va poli­ti­ca
alla gestio­ne sin­da­ca­le, ai con­si­gli dei dele­ga­ti, e, nel­lo stes­so tem­po, dar­si una dire­zio­ne uni­fi­ca­ta,
che pones­se fine alla fram­men­ta­zio­ne e creas­se una rete di qua­dri mili­tan­ti «in gra­do di pie­ga­re il
movi­men­to alle indi­ca­zio­ni stra­te­gi­che che l’organizzazione interpreta»[6].
I comi­ta­ti poli­ti­ci (di fab­bri­ca, di quar­tie­re, di scuo­la) avreb­be­ro dovu­to esse­re, nel­le inten­zio­ni di
Pote­re ope­ra­io, momen­ti inter­me­di d’organizzazione tra il par­ti­to e il movi­men­to, orga­ni­smi di
uni­fi­ca­zio­ne del­le avan­guar­die e di dire­zio­ne del­le lot­te di mas­sa. Tut­ta­via essi non avreb­be­ro agi­to
auto­no­ma­men­te, ben­sì dove­va­no «qua­li­fi­car­si entro un pro­gram­ma poli­ti­co com­ples­si­vo, ma
soprat­tut­to entro un pro­gram­ma di azio­ne e di gestio­ne del­lo scon­tro a livel­lo nazionale»[7]. Poi si
spe­ci­fi­cò meglio da dove sareb­be deri­va­ta la linea poli­ti­ca dei comi­ta­ti: «essi sono una pro­po­sta
pre­ci­sa di Pote­re ope­ra­io e si coor­di­na­no a livel­lo nazio­na­le entro sca­den­ze, obiet­ti­vi, pro­get­ti di
azio­ne den­tro la dire­zio­ne com­ples­si­va di Pote­re operaio»[8].
La pro­po­sta dei comi­ta­ti poli­ti­ci fu accol­ta e riba­di­ta dai mili­tan­ti del Mani­fe­sto al con­ve­gno
nazio­na­le ope­ra­io, svol­to­si a Mila­no il 30-​31 gen­na­io 1971, pro­mos­so dal Mani­fe­sto stes­so e
orga­niz­za­to assie­me a Pote­re ope­ra­io. Innan­zi­tut­to, come ven­ne inte­sa la strut­tu­ra del «comi­ta­to
poli­ti­co» al con­ve­gno? Secon­do la defi­ni­zio­ne di Mas­si­mo Sera­fi­ni, mili­tan­te del Mani­fe­sto, esso
era un orga­no di col­le­ga­men­to per­ma­nen­te del­le avan­guar­die rea­li pre­sen­ti in una cer­ta
fab­bri­ca, in un cer­to quar­tie­re, in una cer­ta zona, che espri­ma dun­que una con­cre­ta
situa­zio­ne di lot­ta e si sfor­zi di diri­ger­la secon­do una piat­ta­for­ma pre­ci­sa e una pre­ci­sa
pro­spet­ti­va. Non è dun­que un comi­ta­to di base […]. Ma non è nep­pu­re l’istanza di base del
nuo­vo par­ti­to in for­ma­zio­ne […]. Se riu­sci­re­mo a costrui­re una rete este­sa di que­sti
orga­ni­smi, di cui le mas­se sen­to­no real­men­te il biso­gno, comin­ce­re­mo ad ave­re una
strut­tu­ra che può pro­por­si una gestio­ne non epi­so­di­ca del­la lot­ta e costrui­re il movi­men­to
[cor­si­vo mio] secon­do sca­den­ze e linee definite[9].
Per Alber­to Magna­ghi, di Pote­re ope­ra­io, i comi­ta­ti poli­ti­ci era­no «strut­tu­re inter­me­die ver­so la
costru­zio­ne del Par­ti­to, momen­ti inter­me­di tra par­ti­to e movi­men­to di mas­sa, che risol­vo­no
insie­me il com­ples­so pro­ble­ma dell’unità del­le “avan­guar­die inter­ne” e dell’unificazione dei grup­pi
organizzati»[10]. Infi­ne, nel­la for­mu­la rias­sun­ti­va con­te­nu­ta nel­la mozio­ne con­clu­si­va del
con­ve­gno, essi era­no defi­ni­ti come
stru­men­ti di orga­niz­za­zio­ne per­ma­nen­te del­le avan­guar­die pre­sen­ti nel­la fab­bri­ca, nel
quar­tie­re, nel­la zona, come stru­men­ti di col­le­ga­men­to di tut­te le situa­zio­ni ter­ri­to­ria­li che
attor­no a essi si col­lo­ca­no: orga­ni­smi cioè capa­ci di espri­me­re una con­cre­ta situa­zio­ne di
lot­ta, di far­le supe­ra­re i limi­ti azien­da­li e loca­li, di dar­le una dimen­sio­ne poli­ti­ca , di inse­rir­la
in una comu­ne stra­te­gia.
I Comi­ta­ti poli­ti­ci pos­so­no così rap­pre­sen­ta­re non solo uno stru­men­to di inter­ven­to
imme­dia­to, ma anche il ter­re­no su cui è pos­si­bi­le comin­cia­re a costrui­re […]
quell’aggregazione poli­ti­ca e quel nucleo orga­niz­za­ti­vo che sono pre­mes­sa per la costru­zio­ne
del nuo­vo par­ti­to rivoluzionario[11].
Già da que­ste defi­ni­zio­ni emer­go­no alcu­ne del­le dif­fe­ren­ze di pro­spet­ti­va esi­sten­ti tra i mili­tan­ti dei
due grup­pi, del­le qua­li essi era­no con­sa­pe­vo­li. Pri­ma di pro­ce­de­re all’esame dei pun­ti di con­tra­sto,
diret­ta con­se­guen­za di con­ce­zio­ni stra­te­gi­che diver­se, alcu­ni dati. Alla con­fe­ren­za era­no
rap­pre­sen­ta­te 76 situa­zio­ni ope­ra­ie orga­niz­za­te dal Mani­fe­sto e 68 orga­niz­za­te da Pote­re ope­ra­io.
Essa nasce­va dal­la volon­tà di «tro­va­re con gli altri grup­pi una con­ver­gen­za poli­ti­ca non epi­so­di­ca su
una piat­ta­for­ma di lot­ta capa­ce di col­le­ga­re fra loro le avan­guar­die ope­ra­ie, di gene­ra­liz­za­re
l’esperienza com­piu­ta dal­le pun­te del movi­men­to in que­sti mesi…»[12]. Già a par­ti­re dal mese di
otto­bre era sta­ta avvia­ta una for­ma di col­la­bo­ra­zio­ne tra i due grup­pi nel­le diver­se sedi e
all’interno del­le pri­me espe­rien­ze di comi­ta­ti poli­ti­ci ope­rai e ter­ri­to­ria­li, come quel­li del­la Fiat di
Tori­no, del­la Petrol­chi­mi­ca e del­la Cha­til­lon di Por­to Mar­ghe­ra, del­la Fat­me di Roma e si era posto il
pro­ble­ma del rap­por­to tra comi­ta­to poli­ti­co, pro­get­to di par­ti­to e strut­tu­re sin­da­ca­li. L’obiettivo era
per entram­bi la rea­liz­za­zio­ne di un pun­to di rife­ri­men­to cre­di­bi­le, alter­na­ti­vo rispet­to alla sini­stra
tra­di­zio­na­le, ma l’ordine del­le prio­ri­tà era inver­ti­to. Per Pote­re ope­ra­io pri­ma veni­va il momen­to
orga­niz­za­ti­vo, poi il movi­men­to. Occor­re­va con­cen­trar­si sul pri­mo ter­mi­ne affin­ché il livel­lo
rag­giun­to dal­lo scon­tro di clas­se uscis­se da una con­di­zio­ne riven­di­ca­ti­va e «para­sin­da­ca­le» ed
aves­se uno sboc­co poli­ti­co. Il Mani­fe­sto soste­ne­va inve­ce la neces­si­tà di radi­car­si all’interno di
situa­zio­ni rea­li di lot­ta, con­tri­bui­re a svi­lup­par­le, col­le­gan­do­le ad altre, ope­ra­re nel movi­men­to per
raf­for­zar­lo e dar­gli mag­gior coe­sio­ne.
Per que­sto il Mani­fe­sto pro­po­se la crea­zio­ne di un gior­na­le quo­ti­dia­no che infor­mas­se, for­nis­se
ele­men­ti di dire­zio­ne al movi­men­to, per giun­ge­re, solo dopo un lun­go per­cor­so, alla for­ma­zio­ne di
un par­ti­to rivo­lu­zio­na­rio di mas­sa. Pote­re ope­ra­io con­di­vi­de­va l’idea del gior­na­le, ma non
inten­den­do­lo come l’espressione di un grup­po, ben­sì come lo spec­chio fede­le del pro­ces­so di
rea­liz­za­zio­ne dei comi­ta­ti poli­ti­ci, gesti­to nel­la sua impo­sta­zio­ne da un momen­to di
cen­tra­liz­za­zio­ne degli stes­si, anco­ra da rea­liz­za­re e per il qua­le era urgen­te impe­gnar­si. Il pri­mo
nume­ro del quo­ti­dia­no uscì il 28 apri­le 1971, in aggiun­ta a «il mani­fe­sto» rivi­sta men­si­le, poi
bime­stra­le, esi­sten­te dal giu­gno 1969, e fu effet­ti­va­men­te espres­sio­ne del­la linea di un grup­po
man mano che il pro­get­to di un’iniziativa comu­ne nau­fra­ga­va.
Al di là del dibat­ti­to sugli stru­men­ti orga­niz­za­ti­vi, le dif­fe­ren­ze si con­cen­tra­va­no attor­no ai tem­pi e
alle moda­li­tà di un pos­si­bi­le esi­to rivo­lu­zio­na­rio. Nel Mani­fe­sto si nota mag­gior cau­te­la e
atten­zio­ne per il momen­to pre­sen­te, timo­re che il vel­lei­ta­ri­smo e toni trion­fa­li­sti­ci potes­se­ro
nuo­ce­re a un’effettiva capa­ci­tà di dire­zio­ne del­le mas­se. Inol­tre, nel­le ana­li­si del grup­po era
cen­tra­le il con­te­sto di fab­bri­ca, l’organizzazione capil­la­re repar­to per repar­to attor­no a una
piat­ta­for­ma pre­ci­sa (abo­li­zio­ne del cot­ti­mo e del­le qua­li­fi­che, ora­rio di lavo­ro, ambien­te di lavo­ro)
e que­sto lo por­ta­va a cri­ti­ca­re lo spo­sta­men­to d’interesse del­le altre for­ma­zio­ni del­la sini­stra
rivo­lu­zio­na­ria ver­so la pra­ti­ca del­la «socia­liz­za­zio­ne» del­le lot­te e il pro­gres­si­vo abban­do­no del
ter­re­no di fab­bri­ca. La linea poli­ti­ca del Mani­fe­sto pun­ta­va allo
svi­lup­po di orga­ni­smi auto­no­mi e uni­ta­ri, gesti­ti dal bas­so, del­la clas­se ope­ra­ia, poli­ti­ci e
sin­da­ca­li insie­me, i con­si­gli, che si coor­di­na­va­no per set­to­re e per zona in fun­zio­ne del­le
pro­prie lot­te, dan­do­si anche stru­men­ti di con­trat­ta­zio­ne e all’interno dei qua­li si for­ma e
ope­ra una avan­guar­dia poli­ti­ca complessiva[13].
Il grup­po ini­zial­men­te ave­va rico­no­sciu­to nei con­si­gli dei dele­ga­ti tali strut­tu­re, in quan­to
rap­pre­sen­tan­za diret­ta e uni­ta­ria del­la clas­se ope­ra­ia. Per que­sto Pote­re ope­ra­io, for­te­men­te osti­le
ai con­si­gli, non ave­va rispar­mia­to in pas­sa­to toni pole­mi­ci nei con­fron­ti del Manifesto[14]. Per
Pote­re ope­ra­io i con­si­gli dei dele­ga­ti non pote­va­no esse­re inte­si sem­pli­ce­men­te come orga­ni­smi
azien­da­li, ben­sì pos­se­de­va­no anche una valen­za poli­ti­ca:
per il sin­da­ca­to il Con­si­glio è uno stru­men­to non solo per la gestio­ne del­la lot­ta a livel­lo
azien­da­le, ma per far gesti­re con­cre­ta­men­te alle rap­pre­sen­tan­ze ope­ra­ie […] tut­to il per­cor­so
del pro­get­to rifor­mi­sti­co di rilan­cio del­lo svi­lup­po, dal­la ristrut­tu­ra­zio­ne tec­no­lo­gi­ca alle
riforme[15].
Per­ciò si con­te­sta­va la «vel­lei­tà ideo­lo­gi­ca» di colo­ro che (e chia­ra era l’allusione al grup­po del
Mani­fe­sto) pen­sa­va­no di far­ne un «futu­ro orga­ni­smo di demo­cra­zia ope­ra­ia al cui inter­no le
avan­guar­die rivo­lu­zio­na­rie deci­do­no l’azione di lot­ta strap­pan­do­ne la gestio­ne al sindacato»[16].
La strut­tu­ra dei comi­ta­ti poli­ti­ci dove­va quin­di por­si, secon­do Pote­re ope­ra­io, come un pro­get­to
poli­ti­co radi­cal­men­te alter­na­ti­vo a quel­lo dei con­si­gli, agi­re sì al loro inter­no, ma già come pre­sen­za
orga­niz­za­ta, for­te di una sua iden­ti­tà ester­na e indi­pen­den­te rispet­to a quel­la sede di scon­tro
poli­ti­co.
Muta­ti i tem­pi e for­za­ti dal­la neces­si­tà di tro­va­re ter­mi­ni di accor­do, anche il Mani­fe­sto abban­do­nò
la spe­ran­za di uti­liz­za­re i con­si­gli dei dele­ga­ti per una gestio­ne alter­na­ti­va del­la lot­ta,
con­sta­tan­do­ne il pro­gres­si­vo coin­vol­gi­men­to in area sin­da­ca­le e la rinun­cia da par­te dei grup­pi
rivo­lu­zio­na­ri a bat­ter­si all’interno di essi per con­di­zio­nar­ne la linea. Solo allo­ra, con l’assunzione del
pro­get­to di costru­zio­ne dei comi­ta­ti poli­ti­ci da par­te del Mani­fe­sto, si crea­ro­no i pre­sup­po­sti di
un’esperienza di lavo­ro comu­ne con Pote­re ope­ra­io.
Que­sta svol­ta poli­ti­ca incon­trò for­ti per­ples­si­tà all’interno del­la «base» del Mani­fe­sto:
l’organizzazione uni­ta­ria del con­ve­gno ven­ne descrit­ta come «ope­ra­zio­ne di ver­ti­ce», in cui la
mag­gior par­te dei mili­tan­ti non era sta­ta coin­vol­ta. Inol­tre si rite­ne­va affret­ta­to il giu­di­zio sui
dele­ga­ti e sui con­si­gli, come se per rea­gi­re a una debo­le influen­za sul movi­men­to fos­se neces­sa­rio
assu­me­re la fun­zio­ne d’avanguardia. I com­men­ti su Pote­re ope­ra­io non furo­no cer­to più bene­vo­li:
acce­le­ra­zio­ni stra­te­gi­che, sal­ti in avan­ti non stu­pi­va­no in un grup­po le cui ana­li­si si rite­ne­va­no
sche­ma­ti­che e ridut­ti­ve e al qua­le si pen­sa­va di aver con­ces­so trop­po, pur di sal­va­re un ter­re­no
mini­mo di azio­ne comune[17].
Pote­re ope­ra­io dal can­to suo rite­ne­va secon­da­rio il lavo­ro di base e inve­ce essen­zia­le for­ni­re una
rispo­sta poli­ti­ca «gene­ra­le» come pun­to di rife­ri­men­to per le lot­te. Il par­ti­to rivo­lu­zio­na­rio avreb­be
rap­pre­sen­ta­to l’uscita dal livel­lo dell’autonomia e il pas­sag­gio allo scon­tro poli­ti­co con lo Sta­to. Per
que­sto gli inter­ven­ti dei mili­tan­ti di Pote­re ope­ra­io insi­ste­va­no sull’urgenza di tro­va­re un momen­to
di cen­tra­liz­za­zio­ne nazio­na­le, con fun­zio­ni di coor­di­na­men­to, dire­zio­ne e uni­fi­ca­zio­ne dell’attività
dei comi­ta­ti poli­ti­ci. Que­sti veni­va­no a costi­tui­re un momen­to inter­me­dio tra movi­men­to e
orga­niz­za­zio­ne com­ples­si­va, con l’accento spo­sta­to sul­la «pro­spet­ti­va di giun­ge­re […] alla crea­zio­ne
di un orga­ni­smo di col­le­ga­men­to e di dire­zio­ne politica»[18].
Trop­pe ambi­gui­tà su nume­ro­se que­stio­ni osta­co­la­ro­no i ten­ta­ti­vi di col­la­bo­ra­zio­ne. Il
rico­no­sci­men­to del­la neces­si­tà dell’aggregazione poli­ti­ca non bastò al supe­ra­men­to del­le
reci­pro­che dif­fi­den­ze. Pote­re ope­ra­io ini­ziò col por­re la discri­mi­nan­te dell’uso del­la vio­len­za, come
cri­te­rio di distin­zio­ne tra «oppor­tu­ni­sti» e «rivoluzionari»[19]. In segui­to pre­se le distan­ze dal­la
scel­ta del Mani­fe­sto di «ripie­ga­re su linee inter­ne, su una fase lun­ga di cre­sci­ta orga­niz­za­ti­va del
grup­po, di con­so­li­da­men­to pru­den­te del pro­ces­so aggre­ga­ti­vo, di esten­sio­ne e allar­ga­men­to
dell’area rivoluzionaria»[20]. Pote­re ope­ra­io lo rite­ne­va un atteg­gia­men­to trop­po cau­to e
atten­di­sta, con­se­guen­za di pre­mes­se sba­glia­te. Per giun­ge­re a uno scon­tro di pote­re non era
neces­sa­rio eser­ci­ta­re già da pri­ma un’egemonia den­tro il pro­le­ta­ria­to, poi­ché la si sareb­be
con­qui­sta­ta nel cor­so del­la lot­ta stes­sa.
Per quan­to riguar­da il Mani­fe­sto, in quel perio­do esso era effet­ti­va­men­te impe­gna­to a trac­cia­re un
bilan­cio di due anni di atti­vi­tà e a dar­si una defi­ni­zio­ne orga­niz­za­ti­va e poli­ti­ca più pre­ci­sa. Il
documento[21] che lo ripor­ta rife­ri­sce un giu­di­zio fal­li­men­ta­re in meri­to al pro­po­si­to di «costrui­re,
nel bre­ve perio­do, con un pro­ces­so di aggre­ga­zio­ne rea­le tra for­ze diver­se, un pun­to di rife­ri­men­to
alter­na­ti­vo capa­ce di inver­ti­re la disgre­ga­zio­ne in atto nel­la nuo­va sini­stra e di apri­re una cri­si nel­le
orga­niz­za­zio­ni rifor­mi­ste e nel loro rap­por­to con le masse»[22]. Una del­le ragio­ni del fal­li­men­to di
tale pro­get­to era indi­vi­dua­ta nell’atteggiamento set­ta­rio dei grup­pi del­la sini­stra
extra­par­la­men­ta­re, nel loro pro­gres­si­vo chiu­der­si in un lavo­ro di «auto­co­stru­zio­ne orga­niz­za­ti­va e
ideo­lo­gi­ca», nel loro iso­lar­si dal­le rea­li avan­guar­die di movi­men­to, in par­ti­co­la­re dal­le avan­guar­die
ope­ra­ie. Que­sto era il pun­to noda­le del­la que­stio­ne. Per rispon­de­re alla doman­da di quei mili­tan­ti
che chie­de­va­no giu­sti­fi­ca­zio­ne del ritar­do con cui la linea del con­ve­gno di Mila­no veni­va appli­ca­ta,
il Mani­fe­sto scri­ve­va:
I grup­pi extra­par­la­men­ta­ri han­no oppo­sto un rifiu­to a quel­la pro­po­sta, o, dopo aver­la
accet­ta­ta, come Pote­re ope­ra­io, l’hanno radi­cal­men­te stra­vol­ta, sepa­ran­do­la dal suo ter­re­no
spe­ci­fi­co – lo scon­tro socia­le, la fab­bri­ca, le avan­guar­die rea­li. Lo han­no fat­to non solo e non
tan­to per erro­ri di linea e per gene­ri­co set­ta­ri­smo: ma per nascon­de­re a se stes­si e agli altri
un dato di fat­to che li costrin­ge­reb­be all’autocritica e al rea­li­smo, cioè il loro peso irri­le­van­te
all’interno del­le fab­bri­che non solo rispet­to alla gene­ra­li­tà dei lavo­ra­to­ri, ma rispet­to alle
avan­guar­die di lot­ta. È più sem­pli­ce inven­ta­re dei comi­ta­ti poli­ti­ci ester­ni, o agi­re come
grup­pi di stu­den­ti che si auto­de­fi­ni­sco­no «i pro­le­ta­ri», o far pas­sa­re tre ope­rai orga­niz­za­ti
come l’avanguardia, che con­qui­sta­re e orga­niz­za­re l’avanguardia reale[23].
Per il Mani­fe­sto fon­da­men­ta­le rima­ne­va la lot­ta di fab­bri­ca, pun­to di par­ten­za per qual­sia­si
inter­ven­to in ambi­to socia­le. Esso cri­ti­ca­va la ricer­ca di «nuo­vi ver­gi­ni ter­re­ni di eser­ci­ta­zio­ne nel­le
lot­te socia­li» o di «una rapi­da e gene­ri­ca poli­ti­ciz­za­zio­ne nel­lo scon­tro con lo Stato»[24]. Il grup­po
pro­se­gui­va nel ten­ta­ti­vo di costrui­re strut­tu­re poli­ti­che auto­no­me, che agis­se­ro all’interno dei
con­si­gli dei dele­ga­ti per far matu­ra­re len­ta­men­te la coscien­za di una linea diver­sa, nel con­te­sto
con­cre­to del­la lot­ta.
Pote­re ope­ra­io si spo­sta­va inve­ce deci­sa­men­te sul ter­re­no del­le lot­te socia­li. Il tito­lo di un
edi­to­ria­le appar­so su «Pote­re ope­ra­io» a fine apri­le 1971 è emble­ma­ti­co di que­sta ten­den­za: «La
sca­den­za è nel par­ti­to. La guer­ri­glia di fab­bri­ca è trop­po e trop­po poco»[xxv]. Il grup­po rite­ne­va
che si stes­se attra­ver­san­do una fase sto­ri­ca di cri­si del siste­ma capi­ta­li­sti­co, indot­ta dal­le lot­te del
bien­nio tra­scor­so: il bloc­co degli inve­sti­men­ti, la chiu­su­ra di can­tie­ri edi­li, di fab­bri­che tes­si­li, di
nume­ro­se pic­co­le e medie indu­strie, il ricor­so alla cas­sa inte­gra­zio­ne, alle ser­ra­te, alle sospen­sio­ni
nel­le gran­di fab­bri­che ne era­no alcu­ni aspet­ti. In que­sto con­te­sto le lot­te ope­ra­ie in fab­bri­ca non
sareb­be­ro sta­te suf­fi­cien­ti ad affron­ta­re la con­trof­fen­si­va capi­ta­li­sti­ca. Lo scon­tro dove­va ampliar­si,
diven­ta­re lot­ta per il «pote­re», con­tro lo Sta­to, coin­vol­ge­re l’intero pro­le­ta­ria­to attor­no
all’obiettivo del «sala­rio poli­ti­co». I comi­ta­ti poli­ti­ci rima­ne­va­no vali­di come ipo­te­si orga­niz­za­ti­va
da con­cre­tiz­za­re, seb­be­ne cia­scun grup­po secon­do una pro­pria direzione.


Note [1] Il decre­to­ne fu defi­ni­ti­va­men­te appro­va­to dal Sena­to il 15 dicem­bre 1970. [2] Alle
avan­guar­die per il par­ti­to, p. 82. [3] Ivi, p. 87. [4] Ivi, pp. 85-​86. [5] Si apre lo scon­tro diret­to con­tro
lo Sta­to, «Pote­re ope­ra­io», 30 maggio-​6 giu­gno 1970. [6] Il comu­ni­smo del­la clas­se ope­ra­ia,
«Pote­re ope­ra­io», n. 28, 11-​18 luglio 1970. [7] Pote­re ope­ra­io – Con­ve­gno nazio­na­le – Bolo­gna 5-
6/​9/​1970. Boz­za di rela­zio­ne intro­dut­ti­va gene­ra­le, in Archi­vio Sto­ri­co del­la Nuo­va Sini­stra Mar­co
Pez­zi, Bolo­gna. Fon­do Mar­co Pez­zi. Docu­men­to ciclo­sti­la­to. [8] Ivi, p. 7. [9] Mas­si­mo Sera­fi­ni,
Rela­zio­ne al Con­ve­gno ope­ra­io. Mila­no 30-​31 gen­na­io 1971, «il mani­fe­sto», a. II, n.1-2, gen­na­io­feb­bra­io
1971, p. 33. [10] Ver­so il Par­ti­to! Comi­ta­ti poli­ti­ci, «Pote­re ope­ra­io», n. 37, 5-​19 mar­zo
1971, pp. 5-​6. [11] Ivi, p. 10. Mozio­ne con­clu­si­va. [11] Con­ve­gno ope­ra­io, «il mani­fe­sto», a. II, n. 1-
2, gennaio-​febbraio 1971. Intro­du­zio­ne. [12] Mas­si­mo Sera­fi­ni, art. cit., p. 32. [13] Rispo­sta
socia­li­sta alle lot­te d’autunno, «Pote­re ope­ra­io», n. 13, 28 feb­bra­io 1970. [14] Alle avan­guar­die per
il par­ti­to, cit., pp. 79-​80. [15] Ibi­dem. [16] Cfr. Sot­to­va­lu­ta­zio­ne dei Con­si­gli?, «il mani­fe­sto», n.1-2,
cit., pp. 38-​39. [17] Mozio­ne con­clu­si­va, art. cit. [18] Discor­so sugli stru­men­ti, «Pote­re ope­ra­io», n.
37, 5-​19 mar­zo 1971, p. 12. [19] Pun­tual­men­te i com­pa­gni del Mani­fe­sto, «Pote­re ope­ra­io», n. 38-
39, 17 aprile-​1 mag­gio 1971, p. 19. [20] Piat­ta­for­ma per un movi­men­to poli­ti­co orga­niz­za­to, «il
mani­fe­sto», n. 3-​4, primavera-​estate 1971, pp. 3-​25. [21] Ivi, p. 4. [22] Ivi, p. 13. [23] Ivi, p. 12. [24]
«Pote­re ope­ra­io», n. 38-​39, 17 aprile-​1 mag­gio 1971.

9) POTERE OPERAIO : spunti di riflessione

sul ”grup­po’’ poli­ti­co e i suoi gior­na­li fra ope­rai­smo e auto­no­mia organizzata

un testo di Cin­zia Zen­no­ni che trat­ta la teo­riz­za­zio­ne del­le «basi ros­se» in Pote­re operaio


Agli ini­zi del 1972, Pote­re ope­ra­io avan­zò una nuo­va pro­po­sta orga­niz­za­ti­va: la rea­liz­za­zio­ne di
«basi ros­se», inte­se come «la for­ma spe­ci­fi­ca dell’organizzazione di mas­sa del­la lot­ta degli anni
Set­tan­ta, in una fase poli­ti­ca in cui il pro­ble­ma è for­za­re il movi­men­to, a par­ti­re dal ter­re­no
dell’appropriazione, ver­so lo sboc­co insurrezionale»[1]. I nuo­vi orga­ni­smi, che avreb­be­ro dovu­to
sosti­tui­re il vec­chio pro­get­to dei Comi­ta­ti poli­ti­ci (ora rite­nu­ti ina­de­gua­ti ai com­pi­ti che la muta­ta
situa­zio­ne impo­ne­va), si inse­ri­va­no all’interno del pro­get­to insur­re­zio­na­le, dove la capa­ci­tà di
dire­zio­ne del movi­men­to di mas­sa dive­ni­va non più solo poli­ti­ca, ma politico-​militare. Già a par­ti­re
dal con­ve­gno di Roma del set­tem­bre 1971, Pote­re ope­ra­io ave­va fat­to una pre­ci­sa scel­ta di cam­po.
È a fron­te del­la rispo­sta capi­ta­li­sti­ca clas­si­ca in ter­mi­ni di cri­si, che per il movi­men­to si dan­no
– a nostro avvi­so – due pos­si­bi­li vie di rispo­sta: la via isti­tu­zio­na­le e la via insur­re­zio­na­le.
Mol­ti com­pa­gni imboc­ca­no la pri­ma via, e que­sta con­du­ce ai con­trat­ti e alle ele­zio­ni come
sboc­chi e sca­den­ze isti­tu­zio­na­li, alla dife­sa del posto di lavo­ro in fab­bri­ca e alla lot­ta per la
demo­cra­zia nel­la socie­tà, a una logi­ca fron­ti­sta. Noi pen­sia­mo di rap­pre­sen­ta­re la secon­da
via, e que­sto vuol dire pri­vi­le­gia­men­to di una tema­ti­ca anti­i­sti­tu­zio­na­le, del­la paro­la d’ordine
dell’organizzazione, del­la vio­len­za pro­le­ta­ria, […] dell’appropriazione come pas­sag­gio di
mas­sa ver­so il ter­re­no del­la lot­ta armata[2].
Si trat­ta­va ora di appron­ta­re gli stru­men­ti neces­sa­ri alla con­cre­tiz­za­zio­ne del pro­get­to. Nel­la
con­vin­zio­ne che «lo Sta­to non cadrà da solo, come un den­te caria­to, né si sfal­de­rà d’un col­po» e
che nel pro­ces­so insur­re­zio­na­le «lo Sta­to va inve­ce sfal­da­to, disor­ga­niz­za­to con un attac­co
siste­ma­ti­co con­tro le istituzioni»[3], Pote­re ope­ra­io pone­va come prio­ri­ta­ria la que­stio­ne del­la
«mili­ta­riz­za­zio­ne del­le avan­guar­die» da rea­liz­zar­si all’interno del­la «base ros­sa», non da inten­der­si
come «brac­cio arma­to» o ser­vi­zio d’ordine con fun­zio­ne mili­ta­re spe­ci­fi­ca rispet­to
all’organizzazione poli­ti­ca, ma come orga­ni­smo di uni­tà del­le avan­guar­die con com­pi­ti di azio­ne
con­tem­po­ra­nea­men­te poli­ti­ca e militare[4].
Il pro­get­to di una «guer­ra civi­le rivo­lu­zio­na­ria» richie­de­va l’esercizio di una for­te ege­mo­nia sul
movi­men­to e la capa­ci­tà di impri­me­re una dire­zio­ne spe­ci­fi­ca alle lot­te. In que­sto sta­va la dif­fi­col­tà,
poi­ché, come giu­sta­men­te Pote­re ope­ra­io rile­va­va, all’interno del movi­men­to si era venu­ta a
crea­re una pola­riz­za­zio­ne tra due posi­zio­ni: da un lato si pro­po­ne­va
la dife­sa dell’occupazione; la radi­ca­liz­za­zio­ne del­le piat­ta­for­me sin­da­ca­li; il con­so­li­da­men­to
dell’autonomia; la costru­zio­ne dell’organizzazione mat­to­ne su mat­to­ne, per la via lun­ga del
«radi­ca­men­to gra­dua­le fra le mas­se»; il raf­for­za­men­to degli orga­ni­smi dell’autonomia, il
rifiu­to di assu­me­re l’iniziativa sul ter­re­no del­la vio­len­za; la dife­sa con­tro la repres­sio­ne;
dall’altro
il sala­rio garan­ti­to come pro­gram­ma radi­ca­le di uni­fi­ca­zio­ne dei pro­le­ta­ri con­tro lo Sta­to; […]
la crea­zio­ne nel­le fab­bri­che, nel­le scuo­le, nei quar­tie­ri, di orga­ni­smi di mas­sa di dire­zio­ne
del­la lot­ta, di eser­ci­zio pra­ti­co di pote­re sov­ver­si­vo, di orga­niz­za­zio­ne del­lo scon­tro (le basi
ros­se del pote­re ope­ra­io e pro­le­ta­rio); […] la costru­zio­ne di un’organizzazione poli­ti­co­mi­li­ta­re
per orga­niz­za­re la guer­ra civi­le rivo­lu­zio­na­ria […] che sia capa­ce – non di inse­gui­re il
movi­men­to – ma di muo­ver­si «da par­ti­to»: cioè che sia in gra­do di anti­ci­pa­re, di pro­muo­ve­re
i com­por­ta­men­ti del­le mas­se, del movimento[5].
La rea­liz­za­zio­ne del par­ti­to dell’insurrezione richie­de­va la capa­ci­tà di sta­bi­li­re un «pro­gram­ma»,
cioè di fis­sa­re alcu­ni obiet­ti­vi poli­ti­ci e momen­ti gene­ra­li di scon­tro attor­no ai qua­li far con­ver­ge­re
il con­sen­so di stra­ti del­la clas­se ope­ra­ia e di set­to­ri del movi­men­to. L’obiettivo del sala­rio poli­ti­co,
in pri­mo luo­go esem­pli­fi­ca­to dal­la richie­sta di red­di­to garan­ti­to per tut­ti e «sgan­cia­to dal lavo­ro»,
pote­va rap­pre­sen­ta­re la for­mu­la rias­sun­ti­va «dell’intero ven­ta­glio dei biso­gni, degli inte­res­si
pro­le­ta­ri».
Tut­ta­via la que­stio­ne del pro­gram­ma si pone­va con­tem­po­ra­nea­men­te a quel­la del­le for­me di lot­ta,
degli stru­men­ti d’organizzazione del­la guer­ra civi­le. Pote­re ope­ra­io si oppo­ne­va a una dupli­ce
pro­spet­ti­va: sia a una con­ce­zio­ne orga­niz­za­ti­va tipi­ca del­le for­ma­zio­ni ter­ro­ri­sti­che, incen­tra­ta
attor­no alla lot­ta e alla pro­pa­gan­da arma­ta da par­te di nuclei d’avanguardia clan­de­sti­na, dal­la cui
aggre­ga­zio­ne sareb­be poi deri­va­to il par­ti­to rivo­lu­zio­na­rio, sia a una strut­tu­ra orga­niz­za­ta su due
livel­li, in cui il par­ti­to fos­se lega­le e a esso si affian­cas­se una strut­tu­ra mili­ta­re di carat­te­re
subal­ter­no. A tali ipo­te­si si pre­fe­ri­va quel­la di un’organizzazione poli­ti­ca, insie­me d’avanguardia e di
mas­sa, già imme­dia­ta­men­te strut­tu­ra­ta per le neces­si­tà del­lo scon­tro mili­ta­re, dove la vio­len­za
pre­or­di­na­ta d’avanguardia potes­se fon­der­si con la vio­len­za di mas­sa del movi­men­to. La «base
ros­sa», in quan­to «orga­ni­smo di mas­sa capa­ce di dire­zio­ne poli­ti­ca sul movi­men­to», avreb­be
dovu­to rap­pre­sen­ta­re la strut­tu­ra inter­me­dia di rac­cor­do tra i due momen­ti di eser­ci­zio del­la
vio­len­za rivoluzionaria[6], all’interno di un «pro­get­to com­ples­si­vo di mili­ta­riz­za­zio­ne del
movi­men­to pro­le­ta­rio e del­le sue avanguardie»[7]. Il par­ti­to si affer­ma­va quin­di in una for­ma flui­da
e dina­mi­ca:
Vi è solo uno spa­zio di par­ti­to che di vol­ta in vol­ta si costrui­sce come pos­si­bi­li­tà di
insur­re­zio­ne, che si affer­ma den­tro gli orga­ni­smi di mas­sa a dire­zio­ne ope­ra­ia pre­di­spo­sti alla
lot­ta […] Gli orga­ni­smi di mas­sa a dire­zio­ne ope­ra­ia sono la for­ma attua­le del partito.[8]
Pre­mes­so che di «basi ros­se» non risul­ta ne sia­no sta­te costi­tui­te in nes­sun luogo[9], attor­no alla
pro­po­sta del­la loro rea­liz­za­zio­ne si svol­se, dall’1 al 3 giu­gno 1972, il con­ve­gno dei qua­dri diri­gen­ti
di Pote­re ope­ra­io (era­no pre­sen­ti cir­ca 250 dele­ga­ti di tut­te le sezio­ni). Par­ten­do dall’analisi del­la
com­po­si­zio­ne socia­le dei mili­tan­ti dell’organizzazione[10], il con­ve­gno esor­di­va con l’affermare:
va svi­lup­pa­ta all’interno del­le orga­niz­za­zio­ni del­la sini­stra rivo­lu­zio­na­ria una pro­fon­da
auto­cri­ti­ca che coin­vol­ga la stes­sa com­po­si­zio­ne poli­ti­ca (oggi impo­ve­ri­ta di ener­gie ope­ra­ie
di lot­ta) del­le orga­niz­za­zio­ni, che ria­pra la cam­pa­gna di reclu­ta­men­to di mas­sa di qua­dri
poli­ti­ci ope­rai e assi­cu­ri per­ciò che la paro­la d’ordine del­la dire­zio­ne ope­ra­ia non sia sem­pli­ce
fumisteria[11].
Si era alla vigi­lia del­le lot­te d’autunno per il rin­no­vo del con­trat­to dei chi­mi­ci, degli edi­li e,
soprat­tut­to, dei metal­mec­ca­ni­ci. Pote­re ope­ra­io cer­cò di inse­rir­si nel con­te­sto del­le agi­ta­zio­ni
ope­ra­ie pre­ci­san­do meglio la pro­pria posi­zio­ne. La sen­sa­zio­ne di aver allen­ta­to il lega­me con la
clas­se ope­ra­ia (che ora anda­va orga­niz­zan­do­si auto­no­ma­men­te, al di fuo­ri del­le diret­ti­ve dei
grup­pi, in col­let­ti­vi, comi­ta­ti, assem­blee) era for­te. Per que­sto si riba­di­va l’urgenza di ripro­por­re la
que­stio­ne del­la «dire­zio­ne ope­ra­ia del movi­men­to». Si affer­ma­va peren­to­ria­men­te che
il sog­get­to indi­vi­si­bi­le del­la lot­ta rivo­lu­zio­na­ria è la clas­se ope­ra­ia […] non l’individualità (o il
corag­gio e l’eroismo) dei sin­go­li qua­dri. La sog­get­ti­vi­tà rivo­lu­zio­na­ria non è in nes­sun caso
indi­vi­dua­li­tà sin­go­la, indi­vi­dua­li­smo. È sem­pre e sol­tan­to com­por­ta­men­to di massa[12].
Il par­ti­to dell’insurrezione avreb­be potu­to costi­tuir­si solo attra­ver­so l’affermarsi di una volon­tà
radi­ca­le di scon­tro all’interno degli orga­ni­smi di mas­sa e di movi­men­to nati nel cor­so del­le recen­ti
lot­te. Pote­re ope­ra­io si pro­po­ne­va di pro­muo­ver­ne lo svi­lup­po e il col­le­ga­men­to sul pia­no
nazio­na­le, coscien­te che «una pro­po­sta di con­fe­ren­za dei comi­ta­ti e del­le assem­blee ope­ra­ie e
pro­le­ta­rie non va vista come ini­zia­ti­va di un grup­po, ma come l’espressione di un biso­gno rea­le da
par­te di que­sti orga­ni­smi stessi»[13].
Con l’espressione «orga­ni­smi di mas­sa» Pote­re ope­ra­io non inten­de­va rife­rir­si solo alle nuo­ve
real­tà orga­niz­za­ti­ve di quell’area di movi­men­to che si defi­ni­va come «auto­no­mia ope­ra­ia
organizzata»[14], ma anche al pro­get­to del­le «basi ros­se». Esso dove­va lega­re il pro­ble­ma del­la
mili­ta­riz­za­zio­ne alla lot­ta di mas­sa e alla «dimen­sio­ne metro­po­li­ta­na» del con­te­sto insur­re­zio­na­le,
pro­prio in vir­tù del­la natu­ra politico-​militare che tali orga­ni­smi avreb­be­ro avu­to e del­la loro
pre­vi­sta dif­fu­sio­ne sul ter­ri­to­rio. Inol­tre la «base ros­sa» (sem­pre a livel­lo di dibat­ti­to teo­ri­co,
per­ché sul pia­no pra­ti­co non si con­cre­tiz­zò nul­la) avreb­be per­mes­so di risol­ve­re la que­stio­ne del­la
«cen­tra­liz­za­zio­ne» del movi­men­to, cioè «l’emancipazione di momen­ti cen­tra­li di dire­zio­ne ope­ra­ia
sugli orga­ni­smi di massa»[15].
L’organizzazione rivo­lu­zio­na­ria avreb­be dovu­to con­qui­sta­re l’adesione del­le avan­guar­die ope­ra­ie
più signi­fi­ca­ti­ve, per rag­giun­ge­re una capa­ci­tà di dire­zio­ne poli­ti­ca sul­le situa­zio­ni di lot­ta. Per far
que­sto occor­re­va
bat­te­re con urgen­za l’inefficacia del­le assem­blee al coman­do, il loro cor­po­ra­ti­vi­smo, la loro
disar­ti­co­la­zio­ne, la man­can­za (che spes­so in esse si rive­la) di col­le­ga­men­ti, di dise­gno poli­ti­co
gene­ra­le e di disci­pli­na; e insie­me dob­bia­mo bat­te­re la pre­sun­zio­ne dei grup­pet­ti alla
dire­zio­ne del movi­men­to, il loro set­ta­ri­smo, l’inefficacia nel­lo strin­ge­re un rap­por­to con le
mas­se, le alter­na­ti­ve cer­vel­lo­ti­che fra lot­ta di lun­ga dura­ta e terrorismo[16].
All’interno di Pote­re ope­ra­io era ini­zia­ta una seria auto­cri­ti­ca sui limi­ti orga­niz­za­ti­vi dei grup­pi, la
qua­le si sta­va orien­tan­do in una dupli­ce dire­zio­ne: da un lato si mira­va alla rea­liz­za­zio­ne del tan­to
ambì­to par­ti­to dell’insurrezione, momen­to supre­mo di cen­tra­liz­za­zio­ne del­le situa­zio­ni
rivo­lu­zio­na­rie, sovra­stan­te grup­pi e orga­ni­smi di mas­sa; dall’altro si guar­da­va con inte­res­se ai
feno­me­ni di autor­ga­niz­za­zio­ne di base, sor­ti in fab­bri­ca e sul ter­ri­to­rio, che riven­di­ca­va­no la
pro­pria auto­no­mia rispet­to a qua­lun­que pre­te­sa ege­mo­niz­zan­te dei grup­pi o del­le orga­niz­za­zio­ni
del movi­men­to ope­ra­io. Da qui pre­se avvio la cri­si pro­gres­si­va del­le strut­tu­re di Pote­re operaio.


Note [1] Come si pone oggi il pro­ble­ma dell’unità, «Pote­re ope­ra­io», n. 46, feb­bra­io 1972, p. 36. [2]
Ter­ro­ri­sti noi, oppor­tu­ni­sti loro?, «Pote­re ope­ra­io», n. 46, cit., p. 35. [3] Ibi­dem. Nell’articolo sopra
cita­to il pro­ces­so insur­re­zio­na­le è defi­ni­to come «pro­ces­so di lun­go perio­do». Altro­ve inve­ce si
affer­me­rà: «Il peg­gior momen­to di oppor­tu­ni­smo che oggi emer­ge nel movi­men­to è quel­lo che
vede […] il pro­ces­so orga­niz­za­ti­vo come un con­ti­nuo, e l’insurrezione diluir­si quin­di in guer­ra di
lun­ga dura­ta». (Pre­pa­ra­re l’insurrezione, «Pote­re ope­ra­io», n. 49, 30 giu­gno 1972). La dupli­ce
indi­ca­zio­ne è dovu­ta alla com­pre­sen­za all’interno di Pote­re ope­ra­io di due dif­fe­ren­ti per­cor­si di
ana­li­si, che, alme­no su que­sto pun­to, tro­ve­ran­no una for­mu­la d’intesa al suc­ces­si­vo con­ve­gno di
Roso­li­na. [4] Come si pone oggi il pro­ble­ma dell’unità, art. cit. [5] Pro­le­ta­ri, è la guer­ra di clas­se!,
«Pote­re ope­ra­io», n. 47-​48, 20 maggio-​20 giu­gno 1972, p. 4. [6] Ivi, p. 34. [7] Ibi­dem. [8] Pre­pa­ra­re
l’insurrezione, art. cit. [9] G. Palom­ba­ri­ni, 7 apri­le: il pro­ces­so e la sto­ria, Arse­na­le Coo­pe­ra­ti­va
Edi­tri­ce, Vene­zia 1982, p. 88. [10] A tal pro­po­si­to Gior­gio Boc­ca scri­ve: «Se badia­mo alla estra­zio­ne
socia­le e alla pro­fes­sio­ne del grup­po diri­gen­te tro­via­mo che i pro­fes­so­ri e gli stu­den­ti desti­na­ti alla
docen­za sono la gran­de mag­gio­ran­za […]. Sono pro­fes­so­ri a Pado­va Negri, Fer­ra­ri Bra­vo, Gam­bi­no,
Sera­fi­ni, la Del Re, Ser­gio Bolo­gna; inse­gna­no in altre uni­ver­si­tà Piro, Piper­no, Magna­ghi,
Galim­ber­ti; Vesce è pre­si­de di scuo­la media; sono inse­gnan­ti, alme­no sul­la car­ta, Scal­zo­ne e il
Maron­giu e lo Zaga­to; sono medi­ci il Pan­ci­no e la Di Roc­co; stu­den­ti Ben­ve­gnù e Stu­ra­ro;
pro­fes­so­re pure il Bian­chi­ni; quan­to agli ope­rai Sbor­giò, Fin­zi e Man­der saran­no auto­di­dat­ti ma
han­no lin­guag­gio da pro­fes­so­ri e in più intel­li­gen­za pra­ti­ca. Fa caso a sé Mario Dal­ma­vi­va
assi­cu­ra­to­re e pub­bli­ci­ta­rio, di gran­di ini­zia­ti­ve, intel­li­gen­te ma di non fre­quen­ti let­tu­re». (G. Boc­ca,
Il caso 7 apri­le, Fel­tri­nel­li, Mila­no 1980, p. 44). [11] Pre­pa­ra­re l’insurrezione, art. cit. [12] Ibi­dem.
[13] Il con­ve­gno di Pote­re ope­ra­io, «Pote­re ope­ra­io del lune­dì», n. 14, 18 giu­gno 1972. [14] Per una
trat­ta­zio­ne più spe­ci­fi­ca del tema dell’autonomia ope­ra­ia, vedi un mio testo di pros­si­ma
pub­bli­ca­zio­ne su «Machi­na». [15] Pre­pa­ra­re l’insurrezione, art. cit. [16] Ibidem.

10) POTERE OPERAIO : spunti di riflessione

sul ”grup­po’’ poli­ti­co e i suoi gior­na­li fra ope­rai­smo e auto­no­mia organizzata

un sag­gio di Cin­zia Zen­no­ni che affron­ta le Scel­te diver­se (dal 1972) tra Pote­re ope­ra­io, Lot­ta con­ti­nua, Manifesto.

Duran­te la fase del­le lot­te con­trat­tua­li [del 1972] Pote­re ope­ra­io si tro­vò iso­la­to rispet­to alle scel­te di quei grup­pi del­la sini­stra extra­par­la­men­ta­re con i qua­li ave­va pre­ce­den­te­men­te cer­ca­to di sta­bi­li­re momen­ti di inte­sa e di azio­ne comu­ne: Lot­ta con­ti­nua e il Mani­fe­sto.
Per quan­to riguar­da il pri­mo, i rap­por­ti con Pote­re ope­ra­io si era­no pro­gres­si­va­men­te dete­rio­ra­ti nel cor­so del 1971, dopo i ten­ta­ti­vi di aggre­ga­zio­ne o alme­no di accor­do sul­la base del­la pro­po­sta dei Comi­ta­ti poli­ti­ci, avan­za­ta uni­ta­ria­men­te da entram­bi, ma poi nau­fra­ga­ta per le insor­mon­ta­bi­li e reci­pro­che diver­gen­ze di linea poli­ti­ca. Innan­zi­tut­to vi era un diver­so modo di con­ce­pi­re il ruo­lo stes­so dei Comi­ta­ti poli­ti­ci in rela­zio­ne ai Con­si­gli di fab­bri­ca, le strut­tu­re di base del sin­da­ca­to. Nel­la «piat­ta­for­ma di Rimini»[i] (così det­ta per­ché fu appro­va­ta al con­ve­gno del Mani­fe­sto tenu­to­si a Rimi­ni nel novem­bre 1971), pur nell’affermazione di un tota­le dis­sen­so rispet­to alla stra­te­gia sin­da­ca­le, si osser­va­va:
È una fase nuo­va del­la lot­ta ope­ra­ia che esi­ge una nuo­va strut­tu­ra orga­niz­za­ti­va del­la clas­se, di cui il sin­da­ca­to sia una par­te e non il tut­to. Per que­sto abbia­mo dife­so l’autonomia dei Con­si­gli come orga­ni­smi poli­ti­ci; per que­sto abbia­mo pro­po­sto: Comi­ta­ti poli­ti­ci.
E si aggiun­ge­va:
In pri­mo luo­go, per­ché un Comi­ta­to poli­ti­co nasca sul serio deve rac­co­glie­re le avan­guar­die rea­li ope­ra­ie, e que­sto è del tut­to impos­si­bi­le se esso, pri­ma anco­ra di esi­ste­re, pre­sup­po­ne una scis­sio­ne dal sin­da­ca­to. È una pro­va che han­no già fat­to tut­ti i gruppi[ii].
Il Mani­fe­sto era con­sa­pe­vo­le del fat­to che mol­te avan­guar­die ope­ra­ie agi­va­no all’interno dei Con­si­gli di fab­bri­ca. Per tale moti­vo occor­re­va eser­ci­ta­re una cer­ta pres­sio­ne sui Con­si­gli stes­si e sui sin­da­ca­ti, per spin­ger­li ver­so posi­zio­ni più avan­za­te di lot­ta, anzi­ché pre­scin­de­re total­men­te da essi. I Comi­ta­ti poli­ti­ci avreb­be­ro dovu­to quin­di pro­por­si «come pun­to di aggre­ga­zio­ne di avan­guar­die che con­ten­do­no alle buro­cra­zie sin­da­ca­li la dire­zio­ne poli­ti­ca dei Con­si­gli dei dele­ga­ti», impo­nen­do all’interno del sin­da­ca­to stes­so «un dibat­ti­to di linea»[iii]. Nel docu­men­to si pre­ci­sa­va che per avan­guar­die ope­ra­ie si inten­de­va
quel­lo stra­to di gio­va­ni qua­dri ope­rai che, den­tro o fuo­ri dal sin­da­ca­to, nei Con­si­gli, nei Comi­ta­ti di base, tra i dele­ga­ti, han­no effet­ti­va­men­te sti­mo­la­to e diret­to le lot­te più avan­za­te degli ulti­mi anni[iv].
Que­sto era il tes­su­to socia­le a cui occor­re­va far rife­ri­men­to nel ten­ta­ti­vo di orga­niz­za­re una for­za poli­ti­ca capa­ce di rap­pre­sen­ta­re una vera alter­na­ti­va rispet­to alle strut­tu­re del movi­men­to ope­ra­io tra­di­zio­na­le. Per riu­sci­re nell’intento il Mani­fe­sto ave­va lan­cia­to la pro­po­sta poli­ti­ca dell’«aggregazione» tra quel­le com­po­nen­ti del movi­men­to che non si rico­no­sce­va­no nel­le posi­zio­ni del­lo «schie­ra­men­to rifor­mi­sta» (così era defi­ni­to), dispo­ste ad apri­re una cri­si in esso e nel suo rap­por­to con le mas­se, agen­do dall’esterno, una vol­ta con­sta­ta­ta l’impossibilità di recu­pe­rar­lo a una linea diver­sa con una lot­ta inter­na e gra­dua­le. Da que­ste pre­mes­se era nato il ten­ta­ti­vo di accor­do con Pote­re ope­ra­io, intra­pre­so sen­za l’adeguata valu­ta­zio­ne del­le dif­fe­ren­ti pro­spet­ti­ve a fron­te dei nuo­vi svi­lup­pi del­la situa­zio­ne poli­ti­ca. Ad esem­pio, sul tema del­la repres­sio­ne, Pote­re ope­ra­io rite­ne­va che fos­se­ro ormai matu­re le con­di­zio­ni per un attac­co deci­si­vo allo Sta­to, vista l’intensità dell’azione repres­si­va eser­ci­ta­ta da quest’ultimo, tra­mi­te il ricor­so alla magi­stra­tu­ra e alle for­ze
dell’ordine. Il Mani­fe­sto inve­ce rite­ne­va neces­sa­rio un lun­go lavo­ro a livel­lo di mas­sa, per raf­for­za­re il movi­men­to e il con­sen­so di base all’organizzazione rivo­lu­zio­na­ria anco­ra da costrui­re. Oppu­re sul tema dell’occupazione. Per Pote­re ope­ra­io la lot­ta per la dife­sa dei livel­li d’occupazione era un obiet­ti­vo fuor­vian­te in quan­to i pro­le­ta­ri, occu­pa­ti o disoc­cu­pa­ti, lot­ta­va­no per il red­di­to garan­ti­to e non per richie­de­re un posto di lavo­ro. Il Mani­fe­sto par­ti­va da un pre­sup­po­sto total­men­te diver­so:
La lot­ta con­tro il lavo­ro, che anche noi soste­nia­mo, è lot­ta con­tro l’organizzazione capi­ta­li­sti­ca del lavo­ro, e solo un lun­go pro­ces­so […] può por­ta­re al supe­ra­men­to del lavo­ro sala­ria­to e, alla fine, del lavo­ro in quan­to tale. Tale supe­ra­men­to esi­ge un diver­so e supe­rio­re modo di pro­du­zio­ne, non la fine del­la pro­du­zio­ne. […] Que­sta lot­ta la fan­no e la pos­so­no fare effi­ca­ce­men­te i pro­le­ta­ri non in quan­to pove­ri o biso­gno­si, ma in quan­to pro­ta­go­ni­sti essen­zia­li del­la pro­du­zio­ne. La disoc­cu­pa­zio­ne toglie inve­ce alla clas­se uni­tà e ren­de la sua lot­ta meno incisiva[v].
La distan­za tra la linea di Pote­re ope­ra­io e quel­la del Mani­fe­sto emer­se con chia­rez­za in occa­sio­ne del­le mani­fe­sta­zio­ni del 12 dicem­bre 1971 e dell’11 mar­zo 1972, a pro­po­si­to del­la neces­si­tà o meno del ricor­so alla «vio­len­za rivo­lu­zio­na­ria», che nel caso di Pote­re ope­ra­io si tra­du­ce­va spes­so nel­la ricer­ca deli­be­ra­ta e pro­gram­ma­ta di momen­ti di scon­tro con le for­ze dell’ordine (ren­den­do impos­si­bi­le distin­gue­re con cer­tez­za, da entram­be le par­ti, il con­fi­ne tra rea­zio­ne e pro­vo­ca­zio­ne), al fine di veri­fi­ca­re la vali­di­tà del­la pro­pria linea «insur­re­zio­na­li­sta». Ciò pro­vo­cò l’uscita del Mani­fe­sto dal «Comi­ta­to con­tro la stra­ge di Sta­to», pre­sto segui­to dagli altri grup­pi che ne face­va­no par­te, lascian­do iso­la­to Pote­re ope­ra­io.
Ma la deci­sio­ne del Mani­fe­sto che mag­gior­men­te Pote­re ope­ra­io cri­ti­cò fu quel­la di par­te­ci­pa­re alle ele­zio­ni poli­ti­che del 7 mag­gio 1972, con liste pro­prie, in quan­to Pote­re ope­ra­io rite­ne­va la com­pe­ti­zio­ne elet­to­ra­le un ter­re­no per­den­te per le for­ze del movi­men­to. All’indomani dell’insuccesso elet­to­ra­le il Mani­fe­sto pub­bli­cò un documento[vi], scrit­to nel giu­gno 1972, di sostan­zia­le auto­cri­ti­ca ed esa­me degli even­tua­li erro­ri com­piu­ti, insie­me all’individuazione di nuo­ve pro­spet­ti­ve lun­go le qua­li muo­ver­si. Il docu­men­to riba­di­va la pro­po­sta poli­ti­ca avan­za­ta nel­la piat­ta­for­ma di Rimi­ni del novem­bre 1971, ma nel­lo stes­so tem­po cer­ca­va vie d’uscita alla peri­co­lo­sa situa­zio­ne di iso­la­men­to che si era venu­ta a crea­re, attra­ver­so l’elaborazione di una stra­te­gia che coniu­gas­se insie­me la pro­po­sta di un’aggregazione alter­na­ti­va e quel­la di un’iniziativa uni­ta­ria che coin­vol­ges­se anche le orga­niz­za­zio­ni del movi­men­to ope­ra­io tra­di­zio­na­le. L’iniziativa era illu­stra­ta nei seguen­ti ter­mi­ni:
Per quan­to riguar­da le for­ze, deve restar fer­mo che il Mani­fe­sto non è oggi in gra­do di garan­ti­re l’ampiezza e la qua­li­tà del movi­men­to che ser­ve per resi­ste­re e pre­pa­ra­re la nuo­va fase offen­si­va. Gli obiet­ti­vi imme­dia­ti (…) sono rea­liz­za­bi­li se si rie­sce a impe­gna­re su di essi una par­te impor­tan­te del­le for­ze che mili­ta­no nel­le orga­niz­za­zio­ni tra­di­zio­na­li. La rea­liz­za­zio­ne del nostro pro­gram­ma poli­ti­co non dipen­de solo dal­la capa­ci­tà di rap­pre­sen­ta­re un polo di aggre­ga­zio­ne alter­na­ti­va, ma anche dal­la capa­ci­tà di svi­lup­pa­re una ini­zia­ti­va unitaria[vii].
La linea uni­ta­ria veni­va ela­bo­ra­ta «con­tro l’illusorietà del­la pro­po­sta rifor­mi­sta di una nuo­va mag­gio­ran­za di gover­no, con­tro la vacui­tà e peri­co­lo­si­tà del­la pro­po­sta estre­mi­sta di uno scon­tro vio­len­to con lo Stato»[viii] .
La distan­za da Pote­re ope­ra­io era ormai dive­nu­ta incol­ma­bi­le. Duran­te la lot­ta con­trat­tua­le ini­zia­ta nell’autunno 1972 (ma già da giu­gno per i chi­mi­ci), la stra­te­gia segui­ta dai due grup­pi fu oppo­sta. Il Mani­fe­sto così moti­vò la pro­pria scel­ta:
È cer­to che la nostra linea di fon­do non pas­se­rà nell’autunno del 1972, né a livel­lo di accor­di […] e nep­pu­re a livel­lo di piat­ta­for­ma (per­ché la linea dei sin­da­ca­ti è ormai anco­ra­ta all’asse dell’inquadramento uni­co) […]. Dopo un chia­ro scon­tro nel­la fase pre­pa­ra­to­ria, si pre­sen­te­rà per­ciò il dilem­ma fra il dis­so­ciar­si dal­la lot­ta che il sin­da­ca­to, i Con­si­gli, gli stes­si lavo­ra­to­ri con­dur­ran­no, accom­pa­gnan­do la ver­ten­za con una per­ma­nen­te denun­cia per rac­co­glie­re poi i frut­ti poli­ti­ci d’una pro­ba­bi­le scon­fit­ta, oppu­re par­te­ci­pa­re a una lot­ta, di cui pure cri­ti­chia­mo l’impostazione e pre­ve­dia­mo il par­zia­le insuc­ces­so, per cer­ca­re di assi­cu­ra­re il con­trol­lo dal bas­so e di tener­ne fer­mi i pun­ti più qua­li­fi­can­ti. Sia­mo per que­sta secon­da scelta[ix].
Pote­re ope­ra­io optò inve­ce per il supe­ra­men­to del­la figu­ra del dele­ga­to e per il rifiu­to di con­si­de­ra­re i Con­si­gli di fab­bri­ca come stru­men­ti effi­ca­ci di lot­ta al ser­vi­zio degli ope­rai.
Inol­tre il Mani­fe­sto, all’indomani del­le ele­zio­ni, avviò una fase di dia­lo­go con i resti del Psiup, gui­da­ti da Vit­to­rio Foa e Sil­va­no Miniati[x]. Era una ripre­sa del ten­ta­ti­vo di por­si come pri­mo nucleo di un pro­ces­so uni­fi­can­te del­le for­ze del­la nuo­va sini­stra, dopo la scon­fit­ta elet­to­ra­le che ave­va riguar­da­to anche il Psiup. Il grup­po diri­gen­te di quest’ultimo ave­va pro­po­sto, di fron­te ai delu­den­ti risul­ta­ti, l’immediato auto­scio­gli­men­to e la con­fluen­za nel Pci. Una par­te signi­fi­ca­ti­va del par­ti­to, cir­ca il 20 per cen­to, rifiu­tò que­sta scel­ta e, in novem­bre, a Livor­no, fon­dò il Pdup, insie­me a quel­la par­te dell’Mpl che si era oppo­sta a una con­fluen­za nel Psi. Il voto con­tri­buì a svi­lup­pa­re in alcu­ne orga­niz­za­zio­ni del­la nuo­va sini­stra una ten­sio­ne ver­so il coor­di­na­men­to e l’unità, nel ten­ta­ti­vo di argi­na­re la fram­men­ta­zio­ne e la debo­lez­za che ave­va­no carat­te­riz­za­to le ele­zio­ni pre­ce­den­ti. Il Mani­fe­sto e il Pdup san­ci­ro­no il pro­ces­so di avvi­ci­na­men­to nel luglio del 1974, uni­fi­can­do­si dopo la con­vo­ca­zio­ne dei rispet­ti­vi con­gres­si di scio­gli­men­to e dan­do vita al Pdup per il comu­ni­smo.
Per quan­to riguar­da Lot­ta con­ti­nua, a par­ti­re dall’autunno del 1972 si pose­ro le pre­mes­se per un supe­ra­men­to del­la fase estre­mi­sta e mili­ta­ri­sta san­ci­ta dal 3° con­ve­gno nazio­na­le tenu­to­si a Rimi­ni nei pri­mi tre gior­ni di apri­le del 1972, il qua­le ave­va visto un avvi­ci­na­men­to tra le posi­zio­ni di Pote­re ope­ra­io e di Lot­ta con­ti­nua e la pro­mo­zio­ne di ini­zia­ti­ve comu­ni. Il pro­ces­so di revi­sio­ne ini­ziò nell’ottobre 1972, con la pre­sen­ta­zio­ne, a una riu­nio­ne del comi­ta­to nazio­na­le, di un docu­men­to for­te­men­te auto­cri­ti­co rispet­to alla linea poli­ti­ca fino ad allo­ra segui­ta Il pri­mo pun­to posto in discus­sio­ne fu quel­lo dei dele­ga­ti e dei Con­si­gli sin­da­ca­li. Lot­ta con­ti­nua, che ave­va sem­pre soste­nu­to la neces­si­tà di un’organizzazione auto­no­ma degli ope­rai in fab­bri­ca, ora rico­no­sce­va nel­la strut­tu­ra dei Con­si­gli l’organizzazione di mas­sa degli ope­rai, all’interno del­la qua­le occor­re­va impe­gnar­si per un serio con­fron­to con le altre com­po­nen­ti di movi­men­to in essa presenti[xi]. Fu la lot­ta con­trat­tua­le dei metal­mec­ca­ni­ci a offri­re a Lot­ta con­ti­nua una via d’uscita da una situa­zio­ne di pro­gres­si­vo iso­la­men­to nel­la qua­le l’organizzazione rischia­va di chiu­der­si. Nuclei di Lot­ta con­ti­nua pre­sen­ti in fab­bri­ca ini­zia­ro­no a impe­gnar­si all’interno dei Con­si­gli, spes­so nel ten­ta­ti­vo di con­di­zio­nar­ne la linea o rifiu­tan­do­si di assog­get­tar­si alle deci­sio­ni pre­se collettivamente[xii].
Un ulte­rio­re pun­to di svol­ta fu un nuo­vo atteg­gia­men­to nei con­fron­ti del Pci e in gene­ra­le del movi­men­to ope­ra­io. Le pre­vi­sio­ni di Lot­ta con­ti­nua cir­ca uno sboc­co rivo­lu­zio­na­rio imme­dia­to non era­no più così otti­mi­sti­che: si com­pren­de­va come lo «schie­ra­men­to revi­sio­ni­sta» fos­se ben lon­ta­no dal per­de­re la pro­pria ege­mo­nia sul­le mas­se e come, di con­se­guen­za, fos­se neces­sa­rio por­si il pro­ble­ma di un rap­por­to, di un con­fron­to con i par­ti­ti che lo costi­tui­va­no. Lot­ta con­ti­nua si con­vin­se che la pre­sen­za del Pci al gover­no avreb­be con­ces­so mag­gior spa­zio al movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio e pos­si­bi­li­tà per un suo raf­for­za­men­to. Era neces­sa­rio dun­que soste­ne­re (attra­ver­so un ragio­na­men­to
un po’ for­za­to) la linea del gover­no del­le sini­stre, per otte­ne­re un ter­re­no più favo­re­vo­le allo svi­lup­po dell’autonomia pro­le­ta­ria
[xiii].
L’ultima que­stio­ne dibat­tu­ta tra la fine del 1972 e gli ini­zi del 1973 fu quel­la del­la tra­sfor­ma­zio­ne in par­ti­to. Lot­ta con­ti­nua abban­do­nò pro­gres­si­va­men­te la vec­chia tesi dell’organizzazione come espres­sio­ne del movi­men­to e inco­min­ciò a for­ma­liz­za­re le sue strut­tu­re.
For­ma­zio­ne teo­ri­ca e poli­ti­ca dei qua­dri, elet­ti­vi­tà dei diri­gen­ti, respon­sa­bi­li­tà indi­vi­dua­le dei sin­go­li com­pa­gni in un qua­dro di disci­pli­na col­let­ti­va, divi­sio­ne dei com­pi­ti e spe­cia­liz­za­zio­ne sono i capo­sal­di del nuo­vo corso[xiv].
La pre­ce­den­te con­ce­zio­ne di una lea­der­ship cari­sma­ti­ca fu sosti­tui­ta da una segre­te­ria nazio­na­le di mili­tan­ti non ope­rai, obbli­ga­ta a risie­de­re a Roma; fu nomi­na­to un segre­ta­rio gene­ra­le (cari­ca che fu affi­da­ta ad Adria­no Sofri); furo­no crea­te a livel­lo nazio­na­le nume­ro­se com­mis­sio­ni respon­sa­bi­li di diver­si ambi­ti di inter­ven­to. L’originaria impo­sta­zio­ne «movi­men­ti­sta» del grup­po fu così sosti­tui­ta da un appa­ra­to pre­ci­sa­men­te strut­tu­ra­to.
Anche Lot­ta con­ti­nua fu inte­res­sa­ta dal pro­ces­so di disge­lo che sta­va coin­vol­gen­do alcu­ne for­ma­zio­ni del­la nuo­va sini­stra (cui fu inve­ce estra­neo Pote­re ope­ra­io, più attrat­to ver­so l’area dell’«autonomia»). Pur nel per­si­ste­re di dif­fe­ren­ze nel­le rispet­ti­ve posi­zio­ni poli­ti­che, comin­ciò a emer­ge­re la volon­tà di agi­re su un ter­re­no comu­ne, di crea­re occa­sio­ni di mobi­li­ta­zio­ne uni­ta­ria. Lot­ta con­ti­nua con­clu­se in que­sto perio­do un pat­to infor­ma­le di uni­tà d’azione con il Pdup-Mani­fe­sto e con Avan­guar­dia ope­ra­ia, noto come «la tri­pli­ce». Ma pro­prio da par­te di Lot­ta con­ti­nua ven­ne­ro le mag­gio­ri resi­sten­ze a una pro­spet­ti­va di tota­le aggre­ga­zio­ne. Lot­ta con­ti­nua ebbe dif­fi­col­tà a schie­rar­si in modo net­to con quel­le for­ze del­la sini­stra rivo­lu­zio­na­ria che mira­va­no a costi­tui­re una «nuo­va oppo­si­zio­ne» (fidu­cio­sa di poter coin­vol­ge­re nel pro­get­to anche una par­te del­la sini­stra tra­di­zio­na­le), poi­ché teme­va che una chiu­su­ra tota­le nei con­fron­ti del­la nascen­te area dell’autonomia ope­ra­ia avreb­be por­ta­to a un inde­bo­li­men­to dell’organizzazione e avreb­be signi­fi­ca­to il disco­no­sci­men­to del­le pro­prie ori­gi­ni. Inol­tre in Lot­ta con­ti­nua era anco­ra for­te la pre­sen­za di una com­po­nen­te mili­ta­ri­sta ed estre­mi­sta, pro­pen­sa all’azione diret­ta e vio­len­ta, abi­tua­ta a pra­ti­ca­re gli obiet­ti­vi più che a teo­riz­zar­li, la qua­le si oppo­se al «nuo­vo cor­so», e soprat­tut­to a un suo appro­do nell’ambito isti­tu­zio­na­le. Lot­ta con­ti­nua fu costret­ta a muo­ver­si nel­lo spa­zio rac­chiu­so tra que­ste due pos­si­bi­li­tà, nel­la dif­fi­ci­le ricer­ca di una pro­pria coe­ren­za di linea[xv].
Note [i] Per un movi­men­to poli­ti­co orga­niz­za­to, «il mani­fe­sto», a. III, n. 3–4, pri­ma­ve­ra-esta­te 1971, pp. 3–25. [ii] Ivi, p. 15. [iii] Ibi­dem. [iv] Ivi, p. 22. [v] Ivi, p. 11. [vi] Il docu­men­to poli­ti­co del 1972, «il mani­fe­sto», set­tem­bre 1972, nume­ro spe­cia­le, pp. 85–94. [vii] Ivi, p. 90. [viii] Ibi­dem. [ix] Ivi, p. 94. [x] Cfr. M. Moni­cel­li, L’ultrasinistra in Ita­lia. 1968–1978, Later­za, Roma-Bari 1978. [xi] Per indi­ca­zio­ni più pre­ci­se cir­ca le tap­pe di tale pro­ces­so di revi­sio­ne vedi L. Bob­bio, Sto­ria di Lot­ta Con­ti­nua, Fel­tri­nel­li, Mila­no 1988, pp. 115–144. [xii] Sui limi­ti dell’azione svol­ta da Lot­ta con­ti­nua all’interno dei Con­si­gli di dele­ga­ti ivi, pp. 121–122. [xiii] Dub­bi sull’esattezza di tale pre­vi­sio­ne sono espres­si da L. Bob­bio, op. cit., p. 129. [xiv] Ivi, pp. 129–130. [xv] Ivi, p. 131.