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Le insorgenze delle «autonomie» nel contesto meridionale

Le insorgenze delle «autonomie» nel contesto meridionale

Pub­bli­chia­mo qui uno stral­cio del­la con­ver­sa­zio­ne di Fran­co Piper­no con Clau­dio Dio­ne­sal­vi che Machi­na ha anti­ci­pa­to in vista del­la pros­si­ma usci­ta del pri­mo dei volu­mi che trat­te­ran­no le “Auto­no­mie” meri­dio­na­li edi­to da Deri­veAp­pro­di nel­la col­la­na “Gli Auto­no­mi”.

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Come mai le insor­gen­ze meri­dio­na­li, che pure nel cor­so del­la sto­ria anti­ca e recen­te ci sono sta­te, non han­no dato luo­go a feno­me­ni di espan­sio­ne dell’autonomia ammi­ni­stra­ti­va e poli­ti­ca? Le rivol­te e le rivo­lu­zio­ni a Sud, dal Sei­cen­to fino a quel­le del Nove­cen­to, sono sem­pre sta­te segna­te da som­mo­vi­men­ti vio­len­ti e spon­ta­nei che, però, nel giro di un pugno di gior­ni o di mesi sono rien­tra­te nell’alveo dei dispo­si­ti­vi di pote­re loca­le (ari­sto­cra­zia loca­le, baro­nie, lati­fon­di­sti, galan­tuo­mi­ni, luo­go­te­nen­ti e clas­se poli­ti­ca). Esem­pla­re è la que­stio­ne del­la ter­ra: le lot­te e i sacri­fi­ci con­ta­di­ni nell’Ottocento e nel Nove­cen­to han­no pro­dot­to la rifor­ma agra­ria che, pur­trop­po, è con­flui­ta, da una par­te, in nuo­va emi­gra­zio­ne negli anni Cin­quan­ta e Ses­san­ta del seco­lo scor­so: la ter­ra sen­za mez­zi non pote­va esse­re lavo­ra­ta, dall’altra nel­la Cas­sa per il Mez­zo­gior­no.

Que­ste azio­ni non han­no dato vita a pro­ces­si costi­tuen­ti per moti­va­zio­ni ana­lo­ghe a quel­le dei gior­ni nostri: si può tran­si­ta­re da una fase feu­da­le o pre­bor­ghe­se, a una fase bor­ghe­se o capi­ta­li­sta, pur­ché si abbia un’accumulazione ori­gi­na­ria che lo per­met­ta. La mafia, la ’ndran­ghe­ta e in misu­ra mino­re la camor­ra, sono l’espressione di que­sti ten­ta­ti­vi di ave­re quell’accumulazione ori­gi­na­ria che ha per­mes­so loro di diven­ta­re bor­ghe­si. È chia­ro che si trat­ta di ten­ta­ti­vi cri­mi­na­li, ma riman­go­no del tut­to auten­ti­ci. Sono sta­to per qual­che tem­po in Ger­ma­nia, a Colo­nia, dove ho potu­to con­sta­ta­re da vici­no i livel­li di pene­tra­zio­ne del­le fami­glie meri­dio­na­li in quei ter­ri­to­ri, alcu­ne del­le qua­li segna­te da ori­gi­ni ’ndran­ghe­ti­ste. I ser­vi­zi for­ni­ti da que­sto seg­men­to di popo­la­zio­ne, che è il retro­ter­ra con­sen­sua­le del­la cri­mi­na­li­tà orga­niz­za­ta, sono spes­so tra i miglio­ri ser­vi­zi che ci sia­no a dispo­si­zio­ne. In un risto­ran­te a Colo­nia, gesti­to dal­la ’ndran­ghe­ta, puoi star sicu­ro di gusta­re una piz­za miglio­re di quel­la pre­pa­ra­ta in un loca­le gesti­to dal pre­te. Non ce l’ho coi pre­ti. Voglio solo indi­car­li come ter­mi­ni di para­go­ne, come model­lo di un com­por­ta­men­to con­for­me alle leg­gi. La dif­fi­col­tà che lo Sta­to ita­lia­no incon­tra a eli­mi­na­re que­sta for­ma orga­niz­za­ta di cri­mi­na­li­tà è dovu­ta al fat­to che essa rac­co­glie un’esigenza di moder­ni­tà, per quan­to para­dos­sa­le sia. La strut­tu­ra del­la cri­mi­na­li­tà si basa su rela­zio­ni pre­mo­der­ne o pre­bor­ghe­si. In Cala­bria è basa­ta mol­to sul­le rela­zio­ni fami­lia­ri o para­fa­mi­lia­ri che ovvia­men­te sono pres­so­ché imper­mea­bi­li rispet­to alla leg­ge. È mol­to dif­fi­ci­le, da noi, tra­di­re un paren­te. Al di là degli aspet­ti pena­li, è un aspet­to mora­le: non tra­di­sci tuo fra­tel­lo o tuo cugi­no. Que­sto è un ele­men­to di for­za, per­met­te alla cri­mi­na­li­tà di ope­ra­re come una bor­ghe­sia nel­la sua fase ini­zia­le. In altri ter­mi­ni, i cri­mi­na­li ci sono dap­per­tut­to, ma gli ’ndran­ghe­ti­sti non si limi­ta­no a fare i cri­mi­na­li. Loro inter­pre­ta­no un biso­gno che è quel­lo dell’arricchitevi, un biso­gno che intro­du­ce il mer­ca­to capi­ta­li­sti­co. E lo sod­di­sfa­no, non aven­do a dispo­si­zio­ne né le ban­che né lo Sta­to, nell’unico modo pos­si­bi­le, che peral­tro è il modo nel qua­le è avve­nu­to in Inghil­ter­ra o in Fran­cia, cioè l’accumulazione ori­gi­na­le in ter­mi­ni di vio­len­za e appro­pria­zio­ne. È signi­fi­ca­ti­vo che sia­mo alla sesta leg­ge ecce­zio­na­le per il Sud, a par­ti­re dal­la leg­ge Pica, che è del 1864. Pica era un depu­ta­to. È inte­res­san­te che la sua leg­ge non sia sta­ta appli­ca­ta alla Sici­lia, ma solo al con­ti­nen­te. La man­ca­ta appli­ca­zio­ne in quel ter­ri­to­rio è dovu­ta al fat­to che la mafia sici­lia­na ave­va dav­ve­ro aiu­ta­to Gari­bal­di a scac­cia­re i Bor­bo­ne dal­la Sici­lia. Non era avve­nu­to lo stes­so sul con­ti­nen­te, dove all’epoca non c’era una cri­mi­na­li­tà orga­niz­za­ta come quel­la sici­lia­na. La mafia cala­bre­se era maga­ri anche d’origine mas­so­ni­ca, però lega­ta ai pae­si, cioè non si trat­ta­va di un’organizzazione regio­na­le. Ogni pae­se ave­va que­sto nucleo d’ordine: in pae­si come San Gio­van­ni in Fio­re, per­du­ti nel­la Sila, chi assi­cu­ra­va anche una vita con­for­me a del­le rego­le era­no gli stes­si che saran­no poi con­si­de­ra­ti cri­mi­na­li. In 150 anni non si è sta­ti capa­ci di affron­ta­re que­sto pro­ble­ma, se non «alla Grat­te­ri», quin­di median­te reta­te di 300 per­so­ne e pro­ces­si chia­ma­ti for­mal­men­te «maxi­pro­ces­si», nei qua­li si per­de la respon­sa­bi­li­tà indi­vi­dua­le. Ma è impos­si­bi­le esa­mi­na­re la respon­sa­bi­li­tà di 400 per­so­ne nel­lo stes­so pro­ces­so! È signi­fi­ca­ti­vo quel che mi ha rac­con­ta­to Giu­lia­no Vas­sal­li, che da gio­va­ne è sta­to uno stu­den­te di Alfre­do Roc­co, il legi­sla­to­re, quel­lo del codi­ce pena­le. Quan­do Roc­co pre­pa­rò il codi­ce, che in par­te è anco­ra quel­lo vigen­te, si rifiu­tò di intro­dur­re la figu­ra del pen­ti­to che era già pre­sen­te nel­la legi­sla­zio­ne ingle­se, per­ché soste­ne­va che que­sto avreb­be com­por­ta­to l’uso dei sen­ti­men­ti più bas­si dell’essere uma­no, quin­di una for­ma di cor­ru­zio­ne mora­le. Lo stes­so Roc­co, seb­be­ne fos­se legi­sla­to­re fasci­sta, si rifiu­tò anche di con­ce­pi­re i pro­ces­si in mas­sa, per­ché anch’egli era con­vin­to che la respon­sa­bi­li­tà pena­le potes­se esse­re solo indi­vi­dua­le. Cito que­sti aspet­ti non per ren­de­re un omag­gio a Roc­co, ma solo per sot­to­li­nea­re quan­to il pro­ble­ma del­la cri­mi­na­li­tà nel Sud, che è uno degli aspet­ti dell’identità defor­ma­ta, sia un pro­ble­ma socia­le, non di ordi­ne pub­bli­co. Quan­do il Meri­dio­ne è sta­to get­ta­to nel mer­ca­to, a livel­lo di que­sto pro­ces­so d’arricchimento l’unica resi­sten­za è venu­ta dal­le orga­niz­za­zio­ni cri­mi­na­li che non sono cri­mi­na­li nel sen­so este­nua­to. In ogni cit­tà ci sono dei cri­mi­na­li, ma quan­do par­lia­mo del­la ’ndran­ghe­ta è vero­si­mi­le e cor­ret­to para­go­nar­la alla mas­so­ne­ria, piut­to­sto che alla fran­tu­ma­ta delin­quen­za che uno incon­tra a Firen­ze o a Tori­no. Sem­pre a pro­po­si­to di insor­gen­ze, una del­le ulti­me for­me di ribel­lio­ne è sta­ta quel­la dell’Autonomia o for­se è più cal­zan­te par­la­re di «auto­no­mie».

E che let­tu­ra ne dai?

Per quan­to riguar­da l’autonomia pro­pria­men­te det­ta, e io la inten­do nel feno­me­no che ha nel ’77 il suo aspet­to più signi­fi­ca­ti­vo e ric­co, io non vive­vo nel Sud. Era un perio­do – spie­ga – in cui inse­gna­vo a Mila­no e abi­ta­vo a Roma. Quin­di il mio rap­por­to con l’Autonomia era soprat­tut­to attra­ver­so una rivi­sta che si chia­ma­va «Metro­po­li».

Quel­la col­la­bo­ra­zio­ne ti costò cara per­ché una sua espres­sio­ne, «geo­me­tri­ca poten­za», rife­ri­ta alle Bri­ga­te ros­se, spin­se la Digos a suo­na­re al suo cito­fo­no.

Sì, è diver­ten­te per­ché io avrei com­pre­so le misu­re con­tro di me se si fos­se trat­ta­to di un pre­mio let­te­ra­rio. Essen­do un po’ dan­nun­zia­na come fra­se, avrei potu­to capi­re che un giu­di­ce edu­ca­to dal­la tra­di­zio­ne ita­lia­na potes­se aver­ce­la con me per quell’aspetto bece­ro, inve­ce per via di quel­la fra­set­ta mi han­no accu­sa­to di aver com­mes­so 20 omi­ci­di e 15 rapi­ne. È signi­fi­ca­ti­vo l’episodio che mi è acca­du­to in Fran­cia dove ave­vo pro­va­to a rifu­giar­mi e sono sta­to cat­tu­ra­to. I giu­di­ci roma­ni han­no chie­sto la mia estra­di­zio­ne. Nel cor­so dei riti giu­di­zia­ri lega­ti a que­sta richie­sta, il pro­cu­ra­to­re fran­ce­se mi ha inter­ro­ga­to per vede­re se io fos­si dispo­sto a rien­tra­re in Ita­lia sen­za oppor­re alcu­na resi­sten­za lega­le. Il Pm fran­ce­se mi ha decla­ma­to tut­ti i capi d’accusa for­mu­la­ti con­tro di me dal­la magi­stra­tu­ra ita­lia­na. Oltre ai pre­sun­ti rea­ti di omi­ci­dio e un nume­ro ster­mi­na­to di rapi­ne, c’era pure «intral­cio al traf­fi­co», per­ché in effet­ti quan­do si rapi­na una ban­ca maga­ri si par­cheg­gia la mac­chi­na vici­no alla ban­ca da rapi­na­re e que­sto gesto costi­tui­sce intral­cio per la cir­co­la­zio­ne stra­da­le. Quan­do il pro­cu­ra­to­re mi ha chie­sto se io mi rico­no­sces­si col­pe­vo­le di qual­co­sa, io ho rispo­sto di sì. Il mio lega­le era una per­so­na straor­di­na­ria. Si chia­ma­va Keji­man, un vec­chio avvo­ca­to anti­fa­sci­sta che ave­va fat­to la Resi­sten­za. Impres­sio­na­to dal­la mia rispo­sta affer­ma­ti­va alla doman­da del pro­cu­ra­to­re, è bal­za­to in pie­di e mi ha det­to: «Ma che fai, Fran­co?». Allo­ra il Pm lo ha ammo­ni­to: «Avvo­ca­to, lei stia sedu­to altri­men­ti la allon­ta­no dall’aula». Poi si è rivol­to ver­so di me: «Allo­ra, si rico­no­sce col­pe­vo­le di qual­co­sa?». Rispon­do: «Sì». E lui: «Di qua­li rea­ti?». Rispo­si: «Intral­cio al traf­fi­co». A quel pun­to il pro­cu­ra­to­re si è incaz­za­to e mi ha rispe­di­to in cella. 

Al di là del­le vicis­si­tu­di­ni indi­vi­dua­li di quel perio­do sto­ri­co, rima­ne il pro­ble­ma di defi­ni­re l’essenza e i con­tor­ni dell’Autonomia di que­gli anni. Pos­sia­mo dun­que par­la­re di una for­ma uni­ca o è più ade­gua­to inten­der­la nel sen­so del­le varie­ga­te for­me di auto­no­mia dif­fu­sa?

Nell’autonomia ope­ra­ia ita­lia­na degli anni Set­tan­ta pos­sia­mo indi­vi­dua­re diver­si aspet­ti. Ce n’era uno dispe­ra­to e ran­co­ro­so. La dimen­sio­ne insur­re­zio­na­le, che ave­va avu­to l’Italia a par­ti­re dal ’68, si era chiu­sa con la cri­si del petro­lio all’inizio degli anni Set­tan­ta. Pri­ma del perio­do tra il ’72 e il ’73, gli ope­rai con­trol­la­va­no let­te­ral­men­te la fab­bri­ca, tan­to è vero che l’assenteismo si atte­sta­va intor­no al 25 per cen­to a Mira­fio­ri; una situa­zio­ne del gene­re si era veri­fi­ca­ta solo nel bien­nio ros­so, ai pri­mi del Nove­cen­to. Da quan­do è comin­cia­ta la cri­si del petro­lio, che ha avu­to un’origine ame­ri­ca­na, l’assenteismo si è ridot­to al 5 per cen­to. Agnel­li ha ini­zia­to a licen­zia­re. La sua sareb­be sta­ta un’azione incon­ce­pi­bi­le fino alla cri­si petro­li­fe­ra, pri­ma del­la qua­le gli ope­rai pra­ti­ca­va­no l’assenteismo ma il padro­ne non osa­va licen­zia­re per­ché era diven­ta­to un pro­ble­ma di ordi­ne pub­bli­co. Quin­di nel ’77 è evi­den­te una scon­fit­ta ope­ra­ia nel­le fab­bri­che. Tut­to dipen­de­va infat­ti dai rap­por­ti di for­za. Sen­za la pos­si­bi­li­tà di pren­de­re il coman­do in fab­bri­ca, è sal­ta­ta tut­ta l’intelaiatura che ruo­ta­va attor­no all’antagonismo ope­ra­io. Tant’è vero che la lot­ta si è spo­sta­ta di più sul­la que­stio­ne abi­ta­ti­va: a Tori­no, per esem­pio, il ter­re­no di scon­tro diven­ta­va il non paga­re l’affitto oppu­re occu­pa­re le case, ma comun­que si allon­ta­na­va dal­la fab­bri­ca. E non per cat­ti­ve­ria, ma per­ché, come dimo­stra­va quel­la mani­fe­sta­zio­ne dei 40mila «capet­ti» nell’ottobre 1980, era­no cam­bia­ti i rap­por­ti di for­za. Dun­que il ’77 ha espres­so un ele­men­to di dispe­ra­zio­ne che è sta­to tra­dot­to dal­la pro­po­sta di ren­de­re arma­ta la lot­ta: una pro­po­sta mino­ri­ta­ria, però aper­ta­men­te offer­ta da grup­pi di com­pa­gni che inten­de­va­no tra­sfor­ma­re il con­flit­to in uno scon­tro arma­to. È sta­ta una scel­ta di evi­den­te fal­li­men­to. Un con­to infat­ti era pra­ti­ca­re del­le azio­ni arma­te, come per esem­pio puni­re i capi­re­par­to che mul­ta­va­no gli ope­rai per­ché si ripo­sa­va­no oppu­re san­zio­na­re il pro­prie­ta­rio del­le case che sgom­be­ra­va inte­re fami­glie, altro era tra­sfor­ma­re il con­flit­to in uno scon­tro arma­to. Son due cose diver­se. Met­ten­do­la sul pia­no del­lo scon­tro arma­to, ave­vi già per­du­to. Non c’era alcu­na pro­por­zio­ne tra quel­lo che pote­va­no fare i com­pa­gni del movi­men­to e quel­lo che face­va­no 100mila cara­bi­nie­ri, 200mila agen­ti di poli­zia. Ecco, in que­sto aspet­to vedo un ele­men­to di dispe­ra­zio­ne che ovvia­men­te, come in tut­te le cose vere, ha avu­to pure un gran­de fasci­no, anche dal pun­to di vista mera­men­te este­ti­co, rifles­so nel­le cose che si scri­ve­va­no, nel tea­tro. Dun­que c’era un ele­men­to di ran­co­re; non di invi­dia ben­sì di odio socia­le. E que­sto aspet­to è fini­to col peri­re per pri­mo negli anni suc­ces­si­vi. C’è infi­ne anche una pro­spet­ti­va di rifles­sio­ne teo­ri­ca in cui la paro­la auto­no­mia vuol dire sostan­zial­men­te la fine del­la lun­ga ege­mo­nia del­le asso­cia­zio­ni par­ti­ti­che e sin­da­ca­li di sini­stra in Euro­pa. Non han­no aspet­ta­to la cadu­ta del muro gli ope­rai ita­lia­ni, o comun­que i qua­dri che ave­va­no lot­ta­to, per dichia­ra­re fal­li­ta l’Unione Sovie­ti­ca. L’esperienza del socia­li­smo rea­le in Ita­lia era già cadu­ta negli anni Set­tan­ta, quan­do il Pci rap­pre­sen­ta­va uno dei dispo­si­ti­vi di repres­sio­ne del­lo Sta­to italiano.

Forma dello Stato e sottosviluppo nel Mezzogiorno italiano

Forma dello Stato e sottosviluppo nel Mezzogiorno italiano

Ripor­tia­mo di segui­to un post di Machi­na che tra­scri­ve alcu­ne pagi­ne del­l’e­di­zio­ne di Sta­to e sot­to­svi­lup­po. Il caso del Mez­zo­gior­no ita­lia­no, scrit­to nel 1972 da Lucia­no Fer­ra­ri Bra­vo e Ales­san­dro Sera­fi­ni. Varie sono sta­te le edi­zio­ni stam­pa­te (in foto ripor­tia­mo la coper­ti­na del­la pri­ma edi­zio­ne) men­tre il testo fa rife­ri­men­to all’e­di­zio­ne del 2007 per i tipi di Ombre Corte.

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Per con­ti­nua­re a riflet­te­re sul­la frat­tu­ra inter­na che segna la sto­ria del pae­se e inter­ro­ga­re le ragio­ni sto­ri­che e poli­ti­che del «sot­to­svi­lup­po» e del­la raz­zia­liz­za­zio­ne del Mez­zo­gior­no ita­lia­no, il testo di Lucia­no Fer­ra­ri Bra­vo che qui pro­po­nia­mo è un clas­si­co irri­nun­cia­bi­le. Nell’introdurre Sta­to e sot­to­svi­lup­po. Il caso del Mez­zo­gior­no ita­lia­no, scrit­to nel 1972 insie­me ad Ales­san­dro Sera­fi­ni (ripub­bli­ca­to da ombre cor­te nel 2007) [1], guar­da all’intervento del­lo Sta­to nel­le regio­ni del Sud tra gli anni Cin­quan­ta e Ses­san­ta e pro­po­ne il «gover­no del sot­to­svi­lup­po», o meglio del rap­por­to tra svi­lup­po e sot­to­svi­lup­po, come chia­ve inter­pre­ta­ti­va del diva­rio tra il Nord e i mol­ti e diver­si Sud d’Italia.

Lo scrit­to, che pone in ter­mi­ni nuo­vi la «que­stio­ne meri­dio­na­le», offre un pun­to di vista irri­du­ci­bil­men­te anta­go­ni­sta che spiaz­za l’ideologia «rifor­mi­sti­co-repres­si­va» del meri­dio­na­li­smo clas­si­co e dell’inte­gra­zio­ne del Mez­zo­gior­no affi­da­ta «alla for­za dei rap­por­ti di pro­du­zio­ne “moder­ni”». Per que­sta sua natu­ra, ha for­ni­to un’importante fon­te di ispi­ra­zio­ne alle lot­te per il cam­bia­men­to socia­le negli anni Set­tan­ta, al Nord come al Sud (si veda in pro­po­si­to il Pri­mo Volu­me sull’Autonomia meri­dio­na­le, in usci­ta per Deri­ve Appro­di), e con­ti­nua a offri­re impor­tan­ti spun­ti cri­ti­ci per leg­ge­re il pre­sen­te; per deci­fra­re ad esem­pio il gover­no del sot­to­svi­lup­po nel Pia­no nazio­na­le di rina­sci­ta e resi­lien­za (Pnrr).

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Ponia­mo imme­dia­ta­men­te, in sede pre­li­mi­na­re, alcu­ne que­stio­ni gene­ra­li di impo­sta­zio­ne. In pri­mo luo­go se esi­sta oggi, alle soglie degli anni Set­tan­ta, una real­tà del Mez­zo­gior­no – un «ogget­to», se si vuo­le, del­la que­stio­ne meri­dio­na­le [2] – che sia omo­ge­neo a quel­lo sot­te­so non sol­tan­to al dibat­ti­to (alle mol­te­pli­ci linee inter­pre­ta­ti­ve del­la dina­mi­ca del Sud con­cre­sciu­te ormai da un seco­lo) ma soprat­tut­to a quell’iniziativa sta­tua­le che si svi­lup­pa a par­ti­re dagli anni Cin­quan­ta – e che costi­tui­sce il ter­mi­ne a quo del nostro discor­so. In secon­do luo­go e in caso di rispo­sta nega­ti­va, se sia cor­ret­to «impu­ta­re» il nuo­vo asset­to meri­dio­na­le a quell’iniziativa, se sia legit­ti­mo assu­me­re, come ele­men­to acqui­si­to a gran­di linee, un gene­ra­le rap­por­to di «cau­sa­li­tà» tra quel­la e que­sto. Infi­ne, in caso posi­ti­vo, qua­li sia­no le qua­li­fi­ca­zio­ni spe­ci­fi­che che, quan­to meno in pri­ma appros­si­ma­zio­ne, van­no attri­bui­te alle «scel­te» del ’50, e dun­que al rap­por­to atti­vo e rea­le tra quel­le scel­te e lo svi­lup­po successivo.

«Dopo vent’anni di svi­lup­po eco­no­mi­co nazio­na­le, di inter­ven­to straor­di­na­rio e di emi­gra­zio­ne, il Mez­zo­gior­no è pro­fon­da­men­te diver­so da quel­lo che era all’indomani del­la secon­da guer­ra mon­dia­le». Così, se è vero che sul­la gra­vi­tà del pro­ble­ma meri­dio­na­le esi­ste oggi «con­cor­dan­za di giu­di­zi, final­men­te rag­giun­ta dopo oltre un seco­lo di vita uni­ta­ria del pae­se» [3] – come sostie­ne uno dei mas­si­mi meri­dio­na­li­sti ita­lia­ni – è vero anche, para­dos­sal­men­te, che que­sta con­cor­dan­za for­ma­le (ma in que­sto sen­so essa è pro­ba­bil­men­te sem­pre esi­sti­ta) soprag­giun­ge quan­do tut­ti i ter­mi­ni tra­di­zio­na­li, seco­la­ri appun­to, del pro­ble­ma sono dive­nu­ti qua­li­ta­ti­va­men­te diversi.

Cos’è dun­que muta­to nel Sud? Pro­prio le sca­den­ze che matu­ra­no nel pas­sag­gio agli anni Set­tan­ta (in par­ti­co­la­re, l’apprestamento del nuo­vo pia­no eco­no­mi­co nazio­na­le, l’approvazione del­la nuo­va leg­ge di rifi­nan­zia­men­to dell’intervento straor­di­na­rio) ven­go­no for­nen­do la neces­sa­ria base ana­li­ti­ca per uno sguar­do d’insieme [4]. Ma, per quel­lo che ora ci inte­res­sa, il qua­dro è già suf­fi­cien­te­men­te deli­nea­to, e un’elementare ope­ra­zio­ne di «sovrap­po­si­zio­ne» a quel­lo di vent’anni or sono ci può con­sen­ti­re un ini­zio di rispo­sta al pri­mo que­si­to che ci si è posti. Dia­mo dap­pri­ma uno sguar­do ai dati «strut­tu­ra­li» più rile­van­ti: una espan­sio­ne del red­di­to che lo ha con­dot­to qua­si a tri­pli­car­si in vent’anni, con un aumen­to annuo medio del 5 per cen­to; una strut­tu­ra dell’occupazione per set­to­ri che ha visto quel­la extra agri­co­la aumen­ta­re del 60 per cen­to (da 2,5 a 4 milio­ni); un incre­men­to del­la pro­du­zio­ne agri­co­la del 2,8 per cen­to annuo che, cal­co­la­ta per addet­to, rag­giun­ge, a cau­sa dell’esodo, il 5 per cen­to; l’esistenza ormai con­so­li­da­ta di alcu­ne aree varia­men­te indu­stria­liz­za­te su tut­to il ter­ri­to­rio meri­dio­na­le e di un siste­ma di «incen­ti­vi» e di stru­men­ti isti­tu­zio­na­li per gui­dar­ne l’ulteriore espan­sio­ne; l’acquisizione di un’ampia rete infra­strut­tu­ra­le – acque­dot­ti, stra­de, boni­fi­che e irri­ga­zio­ni, ser­vi­zi civi­li – che per alcu­ni aspet­ti, in par­ti­co­la­re per effet­to del­la via­bi­li­tà stra­da­le, ha effet­ti­va­men­te «rivo­lu­zio­na­to» il pae­sag­gio socia­le meri­dio­na­le [5]. A cosa si potreb­be arri­va­re, con­ti­nuan­do que­sto schiz­zo? All’apologetica di una pre­sun­ta fine del­la que­stio­ne meri­dio­na­le per estin­zio­ne pura e sem­pli­ce dell’arretratezza, del sot­to­svi­lup­po che l’ha deter­mi­na­ta? [6] No cer­ta­men­te. Non sol­tan­to è vero che a ognu­na del­le serie di dati all’attivo cor­ri­spon­do­no serie di dati al pas­si­vo, che alle «luci» cor­ri­spon­do­no le «ombre»: tra quel­li ricor­da­ti è suf­fi­cien­te anno­ta­re che l’aumento dell’occupazione extra agri­co­la nel ven­ten­nio si com­po­ne per la metà di occu­pa­zio­ne nei ser­vi­zi (di cui il 14 per cen­to per la P.A.), ben il 31 per cen­to nell’edilizia e il 13 per cen­to sol­tan­to in atti­vi­tà indu­stria­li mani­fat­tu­rie­re; ma soprat­tut­to che, qual­sia­si ridu­zio­ne si ope­ri dei tra­di­zio­na­li orien­ta­men­ti in tema di que­stio­ne meri­dio­na­le – vuoi a un’impostazione pere­qua­ti­va in ter­mi­ni di indi­ci di red­di­to (con­su­mi pri­va­ti e pub­bli­ci, vita civi­le, moder­niz­za­zio­ne di strut­tu­re socia­li ecc.) vuoi, più moder­na­men­te, alla neces­si­tà di dar luo­go nel Sud a un auto­no­mo mec­ca­ni­smo di svi­lup­po (uno svi­lup­po self-sustai­ning) – essa sem­bra man­te­ne­re tut­te le pro­prie ragio­ni. Il diva­rio tra Nord e Sud è cre­sciu­to anzi­ché dimi­nui­re: l’arretratezza rela­ti­va si è per­ciò appro­fon­di­ta; men­tre nes­sun auto­no­mo pro­ces­so di svi­lup­po sem­bra a tutt’oggi con­cre­ta­men­te individuabile[7].

Tut­ta­via, il per­ma­ne­re di tale situa­zio­ne di «dipen­den­za», in pre­sen­za però, que­sta vol­ta, di un insie­me di fat­ti isti­tu­zio­na­li e di pro­ces­si eco­no­mi­ci strut­tu­ra­li di gran­de rilie­vo accu­mu­la­ti­si pro­prio in que­sto ven­ten­nio, con­sen­te alla rifles­sio­ne più avver­ti­ta di coglie­re, maga­ri da oppo­sti pun­ti di vista, alcu­ni ele­men­ti qua­li­ta­ti­va­men­te nuo­vi, tali da spo­sta­re l’intera tra­ma del­la que­stio­ne meridionale.

Il pri­mo è il pas­sag­gio dell’economia e dell’intera socie­tà meri­dio­na­le da un rap­por­to di «sepa­ra­zio­ne» a uno di «inte­gra­zio­ne» rispet­to al com­ples­so dell’economia nazio­na­le (ed inter­na­zio­na­le). Inte­gra­zio­ne non signi­fi­ca costi­tuir­si nel Sud di una strut­tu­ra eco­no­mi­ca iden­ti­ca o simi­le a quel­la set­ten­trio­na­le; al con­tra­rio, come essa si è venu­ta rea­liz­zan­do, nel­la pri­ma fase del pro­ces­so, prin­ci­pal­men­te sul fon­da­men­to mate­ria­le più «subor­di­na­to» pos­si­bi­le, cioè median­te il con­tri­bu­to del­le migra­zio­ni inter­ne all’approvvigionamento di for­za-lavo­ro per lo svi­lup­po, così, nel­la vicen­da suc­ces­si­va e, pre­ve­di­bil­men­te, in quel­la futu­ra, essa pro­ce­de con­ti­nuan­do a rife­rir­si alle risor­se eco­no­mi­che e poli­ti­che del Sud in quan­to area sot­to­svi­lup­pa­ta – all’arretratezza come risor­sa del­lo svi­lup­po. Su que­sta base, allo­ra, inte­gra­zio­ne signi­fi­ca, in pri­mo luo­go, il pro­gres­si­vo tra­scor­re­re del rap­por­to tra Nord e Sud, tra svi­lup­po e sot­to­svi­lup­po, da rap­por­to ester­no – per il qua­le, maga­ri scor­ret­ta­men­te, ma signi­fi­ca­ti­va­men­te è sta­to tan­to spes­so evo­ca­to il fan­ta­sma del­la rapi­na colo­nia­le – a rap­por­to inter­no allo svi­lup­po: in que­sto sen­so, al di là dell’unificazione poli­ti­co-ammi­ni­stra­ti­va ormai seco­la­re, al di là dell’unificazione del «mer­ca­to», l’interiorizzazione del­la fun­zio­ne del Sud nel­lo svi­lup­po rea­liz­za­ta­si in manie­ra sem­pre più defi­ni­ti­va in que­sti vent’anni vuo­le rap­pre­sen­ta­re l’avvenuta uni­fi­ca­zio­ne «capi­ta­li­sti­ca» del pae­se nel suo sen­so più pro­prio di domi­nio tota­liz­zan­te di uno spe­ci­fi­co rap­por­to socia­le e poli­ti­co; e, in secon­do luo­go, signi­fi­ca la sem­pre mag­gior irri­le­van­za, sia in ter­mi­ni di inter­pre­ta­zio­ne del feno­me­no che di inter­ven­to su di esso, del rap­por­to «dua­li­sti­co» in quan­to tale, tra le due par­ti del pae­se, rispet­to alla cre­scen­te inter­na­zio­na­liz­za­zio­ne del­la vita eco­no­mi­ca (e non solo eco­no­mi­ca) per aree più vaste, nei con­fron­ti del­le qua­li una depres­sio­ne come quel­la meri­dio­na­le si rap­pre­sen­ta non come «lato» di un rap­por­to dua­le ma sem­mai come «ango­lo» attar­da­to, accan­to ad altri, di un siste­ma eco­no­mi­co più lar­go e, appun­to, inte­gra­to. Ele­men­ti socio­lo­gi­ci, e in defi­ni­ti­va poli­ti­ci, si intrec­cia­no neces­sa­ria­men­te, entro il pun­to di vista illu­stra­to, con quel­li stret­ta­men­te eco­no­mi­ci: ecco così, da un lato, l’accentuazione dei feno­me­ni di rot­tu­ra di vec­chie bar­rie­re, a livel­lo del­la socie­tà civi­le, tra le due par­ti del pae­se – cir­co­la­zio­ne di model­li di «con­su­mo» con rela­ti­vi effet­ti di dimo­stra­zio­ne e via dicen­do –; e la rile­va­zio­ne, dall’altro – che è costi­tu­ti­va in que­sto tipo di giu­di­zio, – del for­mar­si, all’interno dell’area meri­dio­na­le, del­le con­di­zio­ni con­cre­te per una fuo­riu­sci­ta defi­ni­ti­va dal­lo sta­to di arre­tra­tez­za sta­gnan­te – il pro­ces­so di take-off è effet­ti­va­men­te ini­zia­to nel Mez­zo­gior­no, a par­ti­re dal 1950 (e basti per ora accen­na­re al dop­pio rap­por­to che lega pro­prio l’alleggerimento del­la «sovrap­po­po­la­zio­ne» meri­dio­na­le alla ristrut­tu­ra­zio­ne dell’agricoltura e all’assorbimento di for­za-lavo­ro nei set­to­ri extra agri­co­li in loco)[8].

In secon­do luo­go, dun­que, pro­prio in con­co­mi­tan­za di que­sto pro­ces­so di inte­gra­zio­ne – pro­ces­so, si badi, che è avve­nu­to sì gra­zie al fun­zio­na­men­to com­ples­si­vo del Sud come sac­ca di riser­va di mano­do­pe­ra, ma si è pro­dot­to per mez­zo di una serie di inter­ven­ti mate­ria­li, in pri­mo luo­go, come vedre­mo, attra­ver­so l’intervento del­lo Sta­to a dota­re il Sud di infra­strut­tu­re, a inci­de­re sull’assetto dei rap­por­ti agra­ri, a deli­nea­re in manie­ra ormai irre­ver­si­bi­le i pun­ti d’attacco dell’industrializzazione meri­dio­na­le –, il «dua­li­smo», anzi la vera e pro­pria con­trap­po­si­zio­ne fron­ta­le tra aree svi­lup­pa­te e aree del sot­to­svi­lup­po si sono fat­ti inter­ni al Sud – si sono pian­ta­ti come carat­te­ri­sti­ca oggi domi­nan­te dell’intera situa­zio­ne meri­dio­na­le. Il Mez­zo­gior­no come area com­ples­si­va­men­te omo­ge­nea nel­la sua arre­tra­tez­za (sal­vo ridot­tis­si­me zone sen­za rilie­vo gene­ra­le) non esi­ste vera­men­te più[9].

Pro­ces­so di inte­gra­zio­ne capi­ta­li­sti­ca; «nuo­va geo­gra­fia» del Mez­zo­gior­no: l’acquisizione di que­sti soli ele­men­ti con­sen­te già una rispo­sta alla pri­ma doman­da. Si trat­ta infat­ti dei dati costi­tu­ti­vi ulti­mi del «pro­ble­ma» meri­dio­na­le – le «due Ita­lie»; la depres­sio­ne com­ples­si­va del Sud in uno sta­dio ante­rio­re le pos­si­bi­li­tà stes­se del decol­lo. Muta­ti que­sti, il «sen­so» stes­so del­la ripro­po­si­zio­ne del­la que­stio­ne, nel­la sua fisio­no­mia tra­di­zio­na­le, sto­ri­ca­men­te con­so­li­da­ta, deve muta­re – ammes­so che essa pos­sa anco­ra esse­re legit­ti­ma­men­te ripro­po­sta. Ma se que­sto è vero, se le gran­di linee gene­ra­li che defi­ni­sco­no, even­tual­men­te, i «nuo­vi ter­mi­ni» del­la que­stio­ne meri­dio­na­le sono quel­le indi­ca­te, anche il secon­do que­si­to può già rice­ve­re, limi­nar­men­te, una rispo­sta posi­ti­va. Una «impu­ta­zio­ne» allo sta­to di que­sto tipo di risul­ta­ti è pos­si­bi­le, ed è del resto paci­fi­ca, per la sem­pli­ce ragio­ne che tut­ti i prin­ci­pa­li pas­sag­gi mate­ria­li e sto­ri­ci che con­du­co­no a quel­le tra­sfor­ma­zio­ni e le carat­te­riz­za­no – dislo­ca­zio­ne del ruo­lo dell’agricoltura meri­dio­na­le e nuo­vo pae­sag­gio agri­co­lo; strut­tu­ra pola­riz­za­ta dell’industrializzazione meri­dio­na­le e via dicen­do – han­no costi­tui­to via via ogget­to spe­ci­fi­co dell’intervento. Il ’50 è ter­mi­ne a quo del «decol­lo» capi­ta­li­sti­co del Mez­zo­gior­no e lo è di una nuo­va fase sto­ri­ca d’intervento da par­te del­lo Sta­to – è paci­fi­co che que­sta non è una mera coin­ci­den­za cro­no­lo­gi­ca. Cer­to, ciò non signi­fi­ca asso­lu­ta­men­te che sia pos­si­bi­le pro­iet­ta­re all’indietro chis­sà qua­le per­fet­ta con­sa­pe­vo­lez­za degli esi­ti sto­ri­ca­men­te accer­ta­bi­li del pro­ces­so, né che sia pos­si­bi­le assu­me­re, a prio­ri, una per­fet­ta coin­ci­den­za tra que­sti esi­ti e i «pro­get­ti» poli­ti­ci che quell’intervento han­no via via sostenuto[10]. E non è nep­pu­re neces­sa­rio: il gra­do di rispon­den­za tra gli uni e gli altri è appun­to il pro­ble­ma del­la ricer­ca, che va assun­to in tut­ta la sua aper­tu­ra (e in tut­ta la sua dia­let­ti­ci­tà: poi­ché anche il non-inter­ven­to, e ogni for­ma nega­ti­va o inef­fi­ca­ce di esso, con­fi­gu­ra un’ipotesi di «impu­ta­zio­ne» all’interno di una for­ma di Sta­to che si defi­ni­sce com­ples­si­va­men­te come Sta­to «responsabile»)[11].

Come qua­li­fi­ca­re, infi­ne (è il nostro ulti­mo que­si­to) que­sta «svol­ta» del ’50, ed in par­ti­co­la­re il ruo­lo cen­tra­le del­lo Sta­to che in essa si evi­den­zia? Que­sto ulte­rio­re avvi­ci­na­men­to al nucleo tema­ti­co fon­da­men­ta­le del­la ricer­ca deve ser­vi­re non tan­to a un’inutile anti­ci­pa­zio­ne dei suoi even­tua­li risul­ta­ti, quan­to a defi­ni­re i ter­mi­ni gene­ra­li, anche meto­do­lo­gi­ci, d’impostazione.

Ruo­lo del­lo Sta­to, s’è det­to. Esso si pre­sen­ta senz’altro, a par­ti­re dal ’50 per la pri­ma vol­ta, come sog­get­to di defi­ni­zio­ne del­la glo­ba­li­tà del pro­ble­ma meri­dio­na­le, di deter­mi­na­zio­ne di un pro­get­to gene­ra­le di svi­lup­po, di costru­zio­ne e gestio­ne del rela­ti­vo pro­ces­so. Si pre­sen­ta, in una paro­la, come Stato-pia­no. Pia­ni­fi­ca­zio­ne e sot­to­svi­lup­po: la com­ple­men­ta­rie­tà di que­sti due ter­mi­ni appa­re intui­ti­va, e suf­fra­ga­ta empi­ri­ca­men­te e sto­ri­ca­men­te dal «trat­ta­men­to» dell’arretratezza a livel­lo mondiale[12]. Tan­ta è la «ovvie­tà» del rap­por­to che esso si rap­pre­sen­ta dap­pri­ma come esclu­si­vo, biu­ni­vo­co: lo svi­lup­po è qui l’orizzonte e lo sco­po stes­so del pro­ces­so; esso è pre­sen­te dap­pri­ma solo nega­ti­va­men­te, come assen­za non più sop­por­ta­bi­le – al limi­te, la sua con­qui­sta sop­pri­me il rap­por­to: l’«uscita» dal sot­to­svi­lup­po può ren­de­re inu­ti­le il piano[13]. Que­sta ideo­lo­gia ini­zia­le, così impor­tan­te pra­ti­ca­men­te sul pia­no mon­dia­le, seb­be­ne dura a mori­re, oggi non reg­ge più. La «for­ma» del­lo Sta­to-pia­no è man mano dive­nu­ta – entro «isti­tu­zio­ni poli­ti­che» e costel­la­zio­ni di valo­ri diver­se, è appe­na il caso di dir­lo – la for­ma gene­ra­le del­lo Sta­to con­tem­po­ra­neo, anche e soprat­tut­to lad­do­ve lo svi­lup­po «c’è». L’interesse del «caso ita­lia­no» è pro­prio questo[14], pur con tut­te le cau­te­le ed i limi­ti a ogni disin­vol­ta gene­ra­liz­za­zio­ne che deri­va­no appun­to dal­la sua par­ti­co­la­ri­tà di cumu­la­re, entro un rap­por­to che si vuo­le «dua­li­sti­co», la dina­mi­ca del­lo svi­lup­po e quel­la dell’arretratezza: che in un’area rela­ti­va­men­te ristret­ta e in un arco di tem­po limi­ta­to è pos­si­bi­le segui­re il pas­sag­gio del­lo Sta­to, come Sta­to-pia­no, da un rap­por­to «esclu­si­vo» col sot­to­svi­lup­po a una dimen­sio­ne com­ples­si­va: dal sot­to­svi­lup­po allo svi­lup­po, o meglio, come vedre­mo, al gover­no del loro rap­por­to. E all’interno di que­sta vicen­da ogni ideo­lo­gia che imma­gi­ni anco­ra lo svi­lup­po come spon­ta­nei­tà del pro­ces­so deve neces­sa­ria­men­te venir meno, come, cor­ri­spet­ti­va­men­te, deve cade­re ogni nostal­gia di un’«economia» sepa­ra­ta dal­lo Stato.

Ciò che però impor­ta, ora, non è tan­to segui­re la dire­zio­ne del­la vicen­da, che è suf­fi­cien­te­men­te chia­ra, in tut­ta l’articolazione dei suoi pas­sag­gi. Al di là di una rico­stru­zio­ne con­chiu­sa, ina­de­gua­ta oltre­tut­to a un pro­ces­so come quel­lo del­lo svi­lup­po meri­dio­na­le che si pre­sen­ta oggi di nuo­vo pale­se­men­te in una fase di pas­sag­gio, ciò che qui inte­res­sa è fis­sa­re il sen­so e la fun­zio­ne rispet­ti­va dei ter­mi­ni gene­ra­li dell’analisi, sul ter­re­no, se si vuo­le, del­la «scien­za poli­ti­ca» – per quel che ci riguar­da, sul ter­re­no di una defi­ni­zio­ne poli­ti­ca di svi­lup­po e sot­to­svi­lup­po e di una defi­ni­zio­ne poli­ti­ca di pia­no. Tale è il pun­to di vista che assu­mia­mo: defi­nia­mo, allo­ra, lo svi­lup­po come nient’altro che un pro­ces­so di con­qui­sta e ride­fi­ni­zio­ne con­ti­nue di un rap­por­to di for­za poli­ti­co tra le clas­si, il pia­no come for­ma neces­sa­ria di que­sto pro­ces­so a cer­ti livel­li di matu­ri­tà del­la pro­du­zio­ne capi­ta­li­sti­ca e, d’altra par­te, il sot­to­svi­lup­po, l’arretratezza sì come «disgre­ga­zio­ne», ma come disgre­ga­zio­ne del­le stes­se pos­si­bi­li­tà mate­ria­li di un attac­co poli­ti­co pro­le­ta­rio al rap­por­to di clas­se fondamentale.

Quan­to que­sto approc­cio – che appun­to per­ciò anda­va dichia­ra­to pre­li­mi­nar­men­te – diver­ga da quel­lo asso­lu­ta­men­te domi­nan­te nel­la let­te­ra­tu­ra del­lo svi­lup­po è fin trop­po ovvio. «Defi­nia­mo lo svi­lup­po eco­no­mi­co come l’incremento nel tem­po del pro­dot­to pro capi­te dei beni mate­ria­li» [15]: que­sta cita­zio­ne che tra­ia­mo a bel­la posta da un libro, ormai «clas­si­co», di Paul Baran, è un tipi­co pun­to di par­ten­za che acco­mu­na e costrin­ge sul­lo stes­so ter­re­no scien­za «bor­ghe­se» e scien­za «mar­xi­sta». Que­sta è costret­ta a recu­pe­ra­re nel­la figu­ra di «ragio­ne ogget­ti­va» un cri­te­rio di orien­ta­men­to e di giu­di­zio nel­lo scar­to tra svi­lup­po rea­le e svi­lup­po «pos­si­bi­le» (o poten­zia­le), a fon­da­re aper­ta­men­te sull’ideologia – e su quel­la più disin­car­na­ta dal­la rea­le vicen­da del­la lot­ta tra le clas­si – l’intero ragionamento[16]. Quel­la è con­dot­ta a svol­ge­re la sua nor­ma­le fun­zio­ne di soste­gno teo­ri­co-pra­ti­co al pro­ces­so che dovreb­be inda­ga­re, onde la vigen­za espli­ci­ta pres­so di essa del pun­to di vista capi­ta­li­sti­co per cui l’arretratezza è sol­tan­to la fase «pre­li­mi­na­re» del­lo svi­lup­po non le impe­di­sce di accu­ra­ta­men­te regi­stra­re – come mostra­no le sue oscil­la­zio­ni tra livel­li di squi­li­brio «noci­vi» e for­me di squi­li­brio «uti­li» – il com­ples­so e con­trad­dit­to­rio movi­men­to per cui il sot­to­svi­lup­po è un limi­te allo svi­lup­po e per ragio­ni inter­ne a esso va con­qui­sta­to all’area dei rap­por­ti diret­ta­men­te capi­ta­li­sti­ci, ma insie­me costi­tui­sce una con­di­zio­ne di rilan­cio, poli­ti­ca ed eco­no­mi­ca, che va man­te­nu­ta e con­ti­nua­men­te rico­sti­tui­ta. Da que­sto stes­so pun­to di vista, per­ciò – espres­sio­ne ideo­lo­gi­ca, non per­ciò meno pra­ti­ca­men­te effi­ca­ce; «ogget­to» da rico­strui­re con cura «scien­ti­fi­ca» per poter­lo pra­ti­ca­men­te rove­scia­re – il sot­to­svi­lup­po non è sol­tan­to il «non-anco­ra» svi­lup­po, così come vole­va già l’«ottimismo» dei clas­si­ci dell’economia poli­ti­ca che si pro­lun­ga, enor­me con­cre­scen­za misti­fi­ca­ta, ben adden­tro ai nostri gior­ni; ma non è nep­pu­re solo il «pro­dot­to» del­lo svi­lup­po, secon­do un modo sta­ti­co, «strut­tu­ra­li­sta», di leg­ger­ne la fisio­no­mia, a tor­to rite­nu­to l’ultima paro­la del mar­xi­smo teo­ri­co su que­sto tema[17]. Esso è una fun­zio­ne del­lo svi­lup­po capi­ta­li­sti­co: una sua fun­zio­ne mate­ria­le e poli­ti­ca. Ciò che, deter­mi­nan­do­si, signi­fi­ca: fun­zio­ne del pro­ces­so di socia­liz­za­zio­ne capi­ta­li­sti­ca, del­la pro­gres­si­va costi­tu­zio­ne del «socia­li­smo» del capi­ta­le. Svi­lup­po è infat­ti quel­lo del pote­re capi­ta­li­sti­co sul­la socie­tà nel suo insie­me, del suo «gover­no» del­la socie­tà – del suo Stato.

Di qui discen­de, in manie­ra linea­re, l’ipotesi com­ples­si­va sul­la scor­ta del­la qua­le inten­dia­mo «leg­ge­re» le vicen­de del Mez­zo­gior­no e del trat­ta­men­to sta­ta­le del­la depres­sio­ne meri­dio­na­le a par­ti­re dal ’50. Potrem­mo for­mu­lar­la, in estre­ma sin­te­si, così: il «ruo­lo« del Sud è sta­to da una par­te, negli anni Cin­quan­ta, quel­lo di sede di inven­zio­ne, di spe­ri­men­ta­zio­ne e di veri­fi­ca di stru­men­ti isti­tu­zio­na­li di pia­no (di una spe­ci­fi­ca poli­ti­ca di pia­no per il sot­to­svi­lup­po); da un’altra par­te, a par­ti­re dagli anni Ses­san­ta, quel­lo del­la defi­ni­zio­ne di un oriz­zon­te gene­ra­le di pia­ni­fi­ca­zio­ne, vali­do per lo svi­lup­po ita­lia­no nel suo insie­me, nel­la deter­mi­na­tez­za del­la sua natu­ra e dei suoi pro­ble­mi – una fun­zio­ne di rilan­cio rifor­mi­sti­co e pia­ni­fi­ca­to­rio, che divie­ne per­ma­nen­te in ragio­ne diret­ta dell’«interiorizzarsi» dell’arretratezza, come tale, entro un model­lo di svi­lup­po «inte­gra­to».

A un ulti­mo tema sem­bra neces­sa­rio accen­na­re, per con­clu­de­re que­sta par­te intro­dut­ti­va. Si trat­ta dell’ovvia con­si­de­ra­zio­ne che ben poco sareb­be com­pren­si­bi­le, del­le vicen­de che inten­dia­mo stu­dia­re, fuo­ri del rife­ri­men­to a quel­la com­ples­sa e atti­va ideo­lo­gia poli­ti­ca costi­tui­ta dal pen­sie­ro «meri­dio­na­li­sti­co» [18]. Ci toc­che­rà, infat­ti, più vol­te di rifar­ci alle sue varie for­mu­la­zio­ni in rela­zio­ne a sin­go­li pas­sag­gi e a spe­ci­fi­che solu­zio­ni, anche isti­tu­zio­na­li, che man mano ver­re­mo incon­tran­do. Qui sem­bra però uti­le ten­ta­re, pre­li­mi­nar­men­te, una defi­ni­zio­ne com­ples­si­va di esso onde fis­sar­lo nel­la sua spe­ci­fi­ca veste di ideo­lo­gia poli­ti­ca del­lo svi­lup­po – e nel­la fun­zio­ne, che è pro­pria di ogni ideo­lo­gia di que­sto tipo, intrin­se­ca­men­te e neces­sa­ria­men­te rifor­mi­sti­co-repres­si­va. È neces­sa­rio, a que­sto sco­po, e a costo di fare vio­len­za all’effettiva ric­chez­za e com­ples­si­tà di temi che lo com­pon­go­no, rife­rir­si a quel­le che appa­io­no le due sole gran­di linee di orien­ta­men­to meri­dio­na­li­sti­co pre­sen­ti dal dopo­guer­ra, a par­ti­re dal rin­no­va­men­to che que­sta tra­di­zio­ne di pen­sie­ro spe­ri­men­ta in con­se­guen­za di un «qua­dro» poli­ti­co e socia­le pro­fon­da­men­te mutato.

La pri­ma è quel­la del meri­dio­na­li­smo comunista[19]. La sua gran­de sta­gio­ne pra­ti­ca è sta­ta quel­la degli anni dell’immediato dopo­guer­ra, gli anni del­la pri­ma mas­sic­cia costi­tu­zio­ne di un’organizzazione, sin­da­ca­le e poli­ti­ca, di «sini­stra» nel Mez­zo­gior­no attor­no ai gran­di temi del­la rifor­ma agra­ria e del­la rina­sci­ta del Sud. Ebbe­ne, è sta­to appun­to in que­sta gran­de sta­gio­ne del­le lot­te che è venu­to fis­san­do­si in manie­ra irre­ver­si­bi­le il ruo­lo del meri­dio­na­li­smo nel­la defi­ni­zio­ne del­la linea gene­ra­le del­la sini­stra: è spet­ta­to pro­prio a quest’ultima, in una situa­zio­ne a pro­spet­ti­ve oscu­re, incer­te, di pos­si­bi­li­tà di rilan­cio dell’economia ita­lia­na (pri­ma del­la reim­mis­sio­ne nel cir­cui­to inter­na­zio­na­le e del­la restau­ra­zio­ne capi­ta­li­sti­ca degli anni Cin­quan­ta) di pro­spet­ta­re per pri­ma, pro­prio in quan­to posi­zio­ne meri­dio­na­li­sti­ca, una pro­po­sta gene­ra­le di svi­lup­po «pro­gram­ma­to» – una pro­po­sta che lega­va le pro­spet­ti­ve del­lo svi­lup­po all’espansione del mer­ca­to inter­no e que­sto, a sua vol­ta, secon­do una impo­sta­zio­ne che si vuo­le chia­ma­re, non impor­ta qui quan­to cor­ret­ta­men­te, «gram­scia­na» alla rifor­ma agra­ria e alla rina­sci­ta del Mezzogiorno[20]. Ma al di là del­la for­mu­la­zio­ne rice­vu­ta in que­gli anni, del resto scar­sa­men­te modi­fi­ca­ta in segui­to, il sen­so com­ples­si­vo di que­sta linea, e il nes­so che si crea al suo inter­no fra tema­ti­ca meri­dio­na­li­sti­ca e riven­di­ca­zio­ne di un «pia­no», è del tut­to espli­ci­to: il Mez­zo­gior­no è la sin­te­si degli squi­li­bri, del­la inef­fi­cien­za dell’intero siste­ma; per con­ver­so la solu­zio­ne del­la que­stio­ne meri­dio­na­le, che solo una demo­cra­ti­ca pro­gram­ma­zio­ne può garan­ti­re, è il mas­si­mo pro­ble­ma del­lo svi­lup­po nazio­na­le, la con­di­zio­ne stes­sa di una sua dina­mi­ca quan­ti­ta­ti­va­men­te e qua­li­ta­ti­va­men­te sod­di­sfa­cen­te. Secon­do un duro ma, piac­cia o meno, rea­li­sti­co giu­di­zio di un avver­sa­rio, il ruo­lo pra­ti­co di que­sta posi­zio­ne non è anda­to oltre (dopo l’espansione ini­zia­le) quel­lo, del tut­to subor­di­na­to, di «addi­ta­re limi­ti, peri­co­li, abu­si» [21].

Ben altro è sta­to il rilie­vo pra­ti­co – non del tut­to pro­por­zio­na­to alle dimen­sio­ni dell’approfondimento «teo­ri­co», che si pre­sen­ta poi, nel­le sue for­mu­la­zio­ni gene­ra­lis­si­me, non trop­po dis­si­mi­le da quel­lo appe­na ricor­da­to, pur viven­do ovvia­men­te secon­do inten­zio­ni poli­ti­che affat­to diver­se – dell’altra posi­zio­ne che chia­me­re­mo «demo­cra­ti­ca» (secon­do la discu­ti­bi­le ter­mi­no­lo­gia cor­ren­te, usa­ta dall’autore appe­na cita­to). È una posi­zio­ne che si svi­lup­pa, pur nel­la gran­de arti­co­la­zio­ne inter­na, in due fasi omo­ge­nee: dap­pri­ma come teo­riz­za­zio­ne tec­ni­co-poli­ti­ca, in varie dire­zio­ni, dell’intervento straor­di­na­rio come tale – dagli stu­di pro­mos­si attor­no alla Svi­mez, alle ana­li­si di un Ros­si Doria fino a quel­la Nota aggiun­ti­va (La Mal­fa) che costi­tui­sce la pri­ma for­mu­la­zio­ne poli­ti­ca (non mera­men­te ana­li­ti­ca o teo­ri­ca) di una defi­ni­zio­ne del pia­no «a com­po­nen­te meridionalistica»[22]; poi, dopo una cri­si pro­fon­da che que­sto tipo di pro­get­to subi­sce nei pri­mis­si­mi anni Ses­san­ta, come ripro­po­sta e riqua­li­fi­ca­zio­ne di una teo­ria del pia­no a dimen­sio­ne meri­dio­na­li­sti­ca che cam­peg­gia a tutt’oggi tra le gran­di alter­na­ti­ve degli anni Settanta.

Que­sto sche­ma a due fasi, se esat­to, è per noi inte­res­san­te per­ché risul­ta in sin­to­nia con la gran­de perio­diz­za­zio­ne su cui è costrui­ta la nostra ipo­te­si: essa vie­ne dun­que, per que­sta via, a esser­ne cor­ro­bo­ra­ta. Alla sua veri­fi­ca deve ora aprir­si la ricerca.

Note

[1] Il testo è trat­to da L. Fer­ra­ri Bra­vo, For­ma del­lo sta­to e sot­to­svi­lup­po, in L. Fer­ra­ri Bra­vo – A. Sera­fi­ni, Sta­to e sot­to­svi­lup­po. Il caso del Mez­zo­gior­no ita­lia­no (1975), ombre cor­te, Vero­na 2007, pp. 23–31.

[2] Va fat­to rife­ri­men­to alle seguen­ti ope­re gene­ra­li di sto­ria del­la «que­stio­ne meri­dio­na­le», nel­le sue dimen­sio­ni eco­no­mi­co-socia­li, poli­ti­che, isti­tu­zio­na­li, S.F. Roma­no, Sto­ria del­la que­stio­ne meri­dio­na­le, Paler­mo 1945; C. Bar­ba­gal­lo, La que­stio­ne meri­dio­na­le, Mila­no 1948; F. Vöch­ting, Die Ita­lie­ni­sche Sud­fra­ge, Ber­lin 1951 (trad. it. La que­stio­ne meri­dio­na­le, Napo­li 1955); F. Com­pa­gna, La que­stio­ne meri­dio­na­le, Mila­no 1963; G. Fri­sel­la Vela, Sto­ria ed eco­no­mia nel­la que­stio­ne meri­dio­na­le, Mila­no 1966. Sugli sva­ria­tis­si­mi aspet­ti di cui si com­po­ne tale que­stio­ne dia­mo per acqui­si­te le ampie biblio­gra­fie con­te­nu­te in «Pro­spet­ti­ve Meri­dio­na­li», men­si­le del Cen­tro demo­cra­ti­co di cul­tu­ra e docu­men­ta­zio­ne, 6–11, giug. – nov. 1962, Biblio­gra­fia sul Mez­zo­gior­no (1944–1959), in due volu­mi e (per la par­te che inte­res­sa) in A. Fiac­ca­do­ri, Stu­di ita­lia­ni dal 1944 al 1960 sul pro­ble­ma del­la pro­gram­ma­zio­ne eco­no­mi­ca, «Eco­no­mia e Sto­ria (Stu­di in memo­ria di Maz­zei)», 3 (1960), pp. 291–381.

[3] Le due cita­zio­ni rispet­ti­va­men­te da M. Ros­si Doria, Rela­zio­ne alla Fie­ra di Levan­te di Bari, «Mon­do eco­no­mi­co», 37, 1970, p. 57 e da P. Sara­ce­no, La Pro­gram­ma­zio­ne negli anni ’70, Mila­no 1970, p. 81. Sul ruo­lo emi­nen­te di que­sto ulti­mo nell’ambito del meri­dio­na­li­smo del dopo­guer­ra, sia sul pia­no «teo­ri­co» che «pra­ti­co», avre­mo modo di tor­na­re spes­so. La figu­ra del Sara­ce­no comin­cia a esse­re ogget­to di inda­gi­ne sto­ri­ca: vedi P. Baruc­ci, Intro­du­zio­ne a P. Sara­ce­no, Rico­stru­zio­ne e pia­ni­fi­ca­zio­ne 1943–1948, Bari 1969, pp. 5–50.

[4] La ste­su­ra del pre­sen­te scrit­to, com­ple­ta­ta nel­la pri­ma­ve­ra scor­sa, non ha con­sen­ti­to di tener con­to in sede ana­li­ti­ca degli atti e docu­men­ti ricor­da­ti nel testo. Si veda­no, comun­que, il Docu­men­to pro­gram­ma­ti­co pre­li­mi­na­re dal tito­lo Ele­men­ti per l’impostazione del Pia­no eco­no­mi­co nazio­na­le 1971–75, estrat­ti del qua­le sono pub­bli­ca­ti in «Mon­do eco­no­mi­co», Sup­ple­men­to al n. 33–34 del 1971 (la par­te che inte­res­sa è con­te­nu­ta alle pp. xxvii-xxx­viii) e, soprat­tut­to, la leg­ge 6 otto­bre 1971, n. 853 («G.U.» del 26-10-1971). Chi scri­ve inten­de pro­dur­re, a par­te, un’analisi di entram­bi, a con­fer­ma, che si pre­sen­ta lar­ga­men­te pos­si­bi­le, del­le ipo­te­si svi­lup­pa­te in que­sta sede.

[5] I dati cita­ti sono trat­ti dal­la Rela­zio­ne di Sara­ce­no alla Fie­ra del Levan­te, «Mon­do eco­no­mi­co», cit., pp. 51–55. Del­lo stes­so auto­re vedi inol­tre La pro­gram­ma­zio­ne, cit., secon­da parte.

[6] Un atteg­gia­men­to apo­lo­ge­ti­co sem­bra esclu­so per­si­no nel­le pre­se di posi­zio­ne uffi­cia­li di chi ha avu­to in que­sti vent’anni la respon­sa­bi­li­tà dell’intervento meri­dio­na­le: signi­fi­ca­ti­va a que­sto pro­po­si­to la discus­sio­ne par­la­men­ta­re su que­sti temi di svol­ta del­la pri­ma­ve­ra del 1969 e domi­na­ta dal tema del «fal­li­men­to». Sul signi­fi­ca­to gene­ral­men­te stru­men­ta­le di que­sta linea fal­li­men­ta­ri­sti­ca vedi intan­to le osser­va­zio­ni di A. Col­li­dà, L’intervento straor­di­na­rio: una poli­ti­ca per il tra­sfor­mi­smo, «Pro­ble­mi del socia­li­smo», 44, 1970, pp. 93–130 e Id., «Poli­ti­ca meri­dio­na­li­sti­ca e stru­men­ti d’intervento», in Aa.Vv., Nord-Sud.I nuo­vi ter­mi­ni di un pro­ble­ma nazio­na­le (a cura del Club Tura­ti e del­la Fon­da­zio­ne Oli­vet­ti), Mila­no 1970, pp. 3–30.

[7] Vedi, per tut­te, le sin­te­ti­che valu­ta­zio­ni di A. Cam­po­lon­go, Mez­zo­gior­no e obiet­ti­vi glo­ba­li, «Mone­ta e Cre­di­to», dic. 1970, pp. 367–380; e, del­lo stes­so auto­re, il suc­ces­si­vo inter­ven­to, Il Pia­no ex post, nel­la stes­sa rivi­sta (giu­gno 1971).

[8] L’insistenza sull’«integrazione» come gran­de fat­to nuo­vo del­la vicen­da meri­dio­na­le sta a esem­pio in A. Gra­zia­ni, Il Mez­zo­gior­no nell’economia ita­lia­na degli ulti­mi anni, in Aa.Vv., Nord e Sud nell’economia e nel­la socie­tà ita­lia­na di oggi (Atti a cura del­la Fon­da­zio­ne Einau­di), Tori­no 1968, pp. 23–27. Gra­zia­ni pre­ci­sa (a p. 25) che «il vero lega­me tra Nord e Mez­zo­gior­no nasce nel secon­do dopo­guer­ra e appar­tie­ne agli anni che van­no dal ’50 a oggi». Tut­to ciò non impli­ca affat­to la nega­zio­ne degli ele­men­ti dua­li­sti­ci pro­pri del­la socie­tà e dell’economia ita­lia­na: lo stes­so auto­re, pur insi­sten­do sull’idea che tali ele­men­ti sono in una cer­ta misu­ra ine­li­mi­na­bi­li in un pro­ces­so dina­mi­co di svi­lup­po e anzi in un cer­to sen­so iden­ti­fi­ca­bi­le con quel­lo, ne ha ten­ta­to la rico­stru­zio­ne in un model­lo espli­ca­ti­vo com­ples­si­vo: Id., Lo svi­lup­po di un’economia aper­ta, Napo­li 1969. Sul­la base di un approc­cio del tut­to diver­so, la ripro­du­zio­ne del dua­li­smo, nell’ambito però di un fon­da­men­ta­le pro­ces­so di inte­gra­zio­ne, è idea espres­sa fin nel tito­lo da L. Liber­ti­ni, Inte­gra­zio­ne capi­ta­li­sti­ca e sot­to­svi­lup­po, Bari 1968. Sul ruo­lo dell’internazionalizzazione del­la vita eco­no­mi­ca come qua­dro entro cui van­no «let­ti» feno­me­ni di depres­sio­ne inter­na come quel­lo meri­dio­na­le, vedi D. Tosi, For­me ini­zia­li di svi­lup­po e lun­go perio­do: la for­ma­zio­ne di un’economia dua­li­sti­ca, in A. Carac­cio­lo (a cura di), La for­ma­zio­ne dell’Italia indu­stria­le, Bari 1969, pp. 277 seg., e n. 26. Che il take-off del­lo svi­lup­po meri­dio­na­le, comun­que se ne defi­ni­sca la nozio­ne, pren­da avvio effet­ti­va­men­te nel ’50 è giu­di­zio cor­ren­te: vedi i recen­ti: F. Mar­za­no, Un’interpretazione del pro­ces­so di svi­lup­po eco­no­mi­co dua­li­sti­co in Ita­lia, Mila­no 1969, pp. 8 sgg., 38 sgg., 241; L. Cuo­co, Il pro­ces­so di svi­lup­po di un’area sovrap­po­po­la­ta: il Mez­zo­gior­no d’Italia, Roma 1971, pp. 5–52.

[9] «[…] il pro­ces­so di svi­lup­po che per la pri­ma vol­ta nel­la sto­ria dell’Italia uni­ta ha inve­sti­to il Mez­zo­gior­no, ha pro­vo­ca­to un feno­me­no di dif­fe­ren­zia­zio­ne al suo inter­no, tan­to che oggi è impos­si­bi­le par­la­re del Sud come di una vasta zona arre­tra­ta e omo­ge­nea»: Mini­ste­ro del bilan­cio e del­la pro­gram­ma­zio­ne eco­no­mi­ca, Pro­get­to 80 (ed. Libre­ria Fel­tri­nel­li), Mila­no 1969, p. 57, nota 1.

[10] Un cri­te­rio di meto­do va per­tan­to fis­sa­to: cri­te­rio di misu­ra­zio­ne del pro­ces­so non può esse­re né l’ideologia come tale – nel nostro caso l’ideologia del­lo svi­lup­po di vol­ta in vol­ta for­mu­la­ta a soste­gno del­le gran­di scel­te di inter­ven­to – né quel cat­ti­vo rove­scia­men­to di que­sto erro­re meto­do­lo­gi­co che con­si­ste nell’identificare i risul­ta­ti del pro­ces­so, come tali, con la «rea­le inten­zio­ne» di chi, fin dall’inizio, li ha per­se­gui­ti. Un esem­pio di que­sto secon­do orien­ta­men­to, che è alquan­to raro in veri­tà, nel­la cita­ta Rela­zio­ne di A. Col­li­dà al Con­ve­gno di Venezia.

[11] Una luci­da defi­ni­zio­ne del­lo Sta­to «respon­sa­bi­le» (in con­trap­po­si­zio­ne a quel­lo libe­ra­le») in G. Gua­ri­no, Effi­cien­za e legit­ti­mi­tà dell’azione del­lo Sta­to, in Sag­gi in ono­re del Cen­te­na­rio del­la Ragio­ne­ria Gene­ra­le del­lo Sta­to, Roma 1969, pp. 27 sgg. Lo stes­so feno­me­no, sul ter­re­no misti­fi­ca­to dell’odierna teo­ria gene­ra­le del­lo Sta­to, è col­to in altri modi, a esem­pio, come «for­ma del­lo Sta­to socia­le»; vedi su ciò in par­ti­co­la­re gli svol­gi­men­ti di E. For­sthoff, O. Bachof, Begriff und Wesen des sozialen Rech­ts­staa­tes, Ber­lin 1954, E. For­sthoff, Struk­tur­wand­lun­gen der moder­nen Demo­kra­tie, Ber­lin 1964.

[12] La let­te­ra­tu­ra in pro­po­si­to è ster­mi­na­ta. Vedi su ciò Cen­sis, L’idea del­lo svi­lup­po nel­la let­te­ra­tu­ra degli ulti­mi 20 anni. Biblio­gra­fia ragio­na­ta, Roma 1966. Un’utile ras­se­gna (cor­re­da­ta da una vasta biblio­gra­fia) dei prin­ci­pa­li nodi teo­ri­ci di essa negli anni Cin­quan­ta (gros­so modo la fase in cui si rife­ri­sce l’ideologia richia­ma­ta) in V. Ajmo­ne Mar­san, Recen­ti con­tri­bu­ti all’analisi eco­no­mi­ca del­le aree arre­tra­te, in De Maria (a cura di), Pro­ble­mi sul­lo svi­lup­po del­le aree arre­tra­te, Bolo­gna 1960, pp. 3–76.

[13] Cfr. P. Sara­ce­no, Ini­zia­ti­va pri­va­ta e azio­ne pub­bli­ca nei pia­ni di svi­lup­po eco­no­mi­co, Roma 1959, p. 103 («[…] il pia­no è lo stru­men­to attra­ver­so il qua­le i pae­si sot­to­svi­lup­pa­ti si pro­pon­go­no di entra­re nel mer­ca­to capi­ta­li­sti­co»), ma già Id., Pre­mes­se cul­tu­ra­li a una poli­ti­ca di svi­lup­po eco­no­mi­co del Mez­zo­gior­no (Rela­zio­ne al Con­ve­gno Cepes su «Sta­to e ini­zia­ti­va pri­va­ta per lo svi­lup­po del Mez­zo­gior­no», Paler­mo, nov. 1955), in Svi­mez, Il Mez­zo­gior­no nel­le ricer­che del­la Svi­mez 1947–1967, Roma 1968 pp. 237–248.

[14] Vasto è sta­to l’interesse di sin­go­li stu­dio­si e di isti­tu­zio­ni stra­nie­re per il «caso» ita­lia­no di svi­lup­po. Tra i pri­mi, oltre a quel­lo di Vöch­ting, basti ricor­da­re i nomi di P. Rosen­stein Rodan, G. Ackley, H. Che­ne­ry, V. Lutz, G. Hil­de­brand, E. Tosco, G. Scha­ch­ter, A. Geschen­kron, le cui ope­re saran­no indi­ca­te via via. Cfr. intan­to L. Ira­ci Fede­li, Gli eco­no­mi­sti stra­nie­ri sul Mez­zo­gior­no, in A. Pari­si, G. Zap­pa (a cura), Mez­zo­gior­no e poli­ti­ca di pia­no, Bari 1964, pp. 333–364.

[15] P.A. Baran, Il «sur­plus» eco­no­mi­co e la teo­ria mar­xi­sta del­lo svi­lup­po, trad. it., Mila­no 1962, p. 30. Il fug­ge­vo­le spun­to cri­ti­co del testo sul cri­te­rio del «red­di­to medio pro capi­te», che è in un cer­to sen­so un indi­ce per­si­no ovvio di un livel­lo di svi­lup­po, non ha nul­la a che fare (al con­tra­rio ha segno oppo­sto) con impo­sta­zio­ni «pau­pe­ri­sti­che»: ad es. U. Melot­ti, Per un con­cet­to non etno­cen­tri­co del­lo svi­lup­po e del sot­to­svi­lup­po, «Ter­zo Mon­do, i, luglio-set­tem­bre 1968. Una cri­ti­ca viva­ce ma non mol­to appro­fon­di­ta di posi­zio­ni simi­la­ri (in par­ti­co­la­re: di posi­zio­ni come quel­le di Fran­co Roda­no e del «grup­po» del­la «Rivi­sta Tri­me­stra­le»), in L. Ira­ci, Dall’opulenza al benes­se­re, Tori­no 1970.

[16] Ideo­lo­gi­ca è, a nostro avvi­so, la pre­te­sa di misu­ra­re lo svi­lup­po (e il sur­plus) poten­zia­le sul­la base di una sca­la di valo­ri alter­na­ti­vi. Cfr. P.A. Baran, Il «sur­plus» eco­no­mi­co e la teo­ria mar­xi­sta del­lo svi­lup­po, cit., pp. 40 sgg. La cate­go­ria di pro­du­zio­ne poten­zia­le, anche a livel­lo di siste­ma, resta per con­ver­so cen­tra­le in tut­ta la ela­bo­ra­zio­ne teo­ri­ca moder­na sul­lo svi­lup­po. Per un impor­tan­te ten­ta­ti­vo di cal­co­lo, vedi. A.M. Okun, Il pro­dot­to nazio­na­le lor­do poten­zia­le: misu­ra e signi­fi­ca­to, trad. it., in P. Ono­fri (a cura di), Red­di­to nazio­na­le e poli­ti­ca eco­no­mi­ca, Bolo­gna 1971, pp. 169–182.

[17] Un’efficace sin­te­si di que­sti temi in J. Freys­si­net, Le con­cept de sous-déve­lop­pe­ment, Paris La Haye 1970 2 (con ampia biblio­gra­fia). Sull’«ottimismo» dei clas­si­ci, A. Gam­bi­no, Lo svi­lup­po eco­no­mi­co nel­la con­ce­zio­ne dei clas­si­ci, in G.U. Papi (a cura di), Teo­ria e poli­ti­ca del­lo svi­lup­po eco­no­mi­co, Mila­no 1954. Una recen­te famo­sa varian­te del­la teo­ria dell’arretratezza come pre­svi­lup­po è quel­la di W.W. Rostow, Gli sta­di del­lo svi­lup­po eco­no­mi­co, trad. it., Tori­no 1962. Una linea di mar­xi­smo «sta­ti­co» è anco­ra, mal­gra­do tut­to, quel­la di A. Gun­der Frank, Capi­ta­li­smo e sot­to­svi­lup­po in Ame­ri­ca Lati­na, trad. it., Tori­no 1969, di cui vedi comun­que l’aspra pole­mi­ca con le domi­nan­ti teo­rie socio­lo­gi­che del­lo svi­lup­po in Id., Socio­lo­gia del­lo svi­lup­po e sot­to­svi­lup­po del­la socio­lo­gia, trad. it., Mila­no 1970.

[18] La «que­stio­ne meri­dio­na­le», come cor­pus ideo­lo­gi­co-poli­ti­co, nasce in Ita­lia come rifles­sio­ne sul bri­gan­tag­gio. L’estraneità, il rifiu­to arma­to del­lo Sta­to da par­te degli stra­ti «pro­fon­di» del pro­le­ta­ria­to meri­dio­na­le pro­du­co­no nel cer­vel­lo poli­ti­co bor­ghe­se un rifles­so che, men­tre asse­ve­ra la repres­sio­ne arma­ta in atto, vuo­le nel lun­go perio­do anda­re alle «cau­se» del feno­me­no – vuo­le la repres­sio­ne come momen­to «inter­no» del pro­ces­so. L’arretratezza del Mez­zo­gior­no, in que­sta visio­ne, sta alla base del­la ribel­lio­ne – in atto o poten­zia­le – in quan­to insuf­fi­cien­za capi­ta­li­sti­ca del­la socie­tà civi­le meri­dio­na­le: soprav­vi­ven­za di rap­por­ti «feu­da­li», gran­de pro­prie­tà assen­tei­sta, strut­tu­ra paras­si­ta­ria del­la cit­tà e via dicen­do. Que­sta ori­gi­ne va tenu­ta pre­sen­te non come curio­si­tà sto­ri­ca, ma in quan­to defi­ni­sce la strut­tu­ra e il ruo­lo poli­ti­ci per­ma­nen­ti dell’ideologia meri­dio­na­li­sti­ca, in quan­to pro­get­to di una immis­sio­ne o inte­gra­zio­ne del «popo­lo» nel­lo Sta­to, affi­da­ta alla for­za dei rap­por­ti di pro­du­zio­ne «moder­ni». Una lim­pi­da ras­se­gna dei temi fon­da­men­ta­li del meri­dio­na­li­smo clas­si­co in B. Caiaz­zi, Intro­du­zio­ne a Nuo­va Anto­lo­gia del­la que­stio­ne meri­dio­na­le, Mila­no 1962, pp. 3–76. Più ric­ca e meglio impo­sta­ta l’antologia cura­ta da R. Vil­la­ri, Il Sud nel­la sto­ria d’Italia, Bari 1961. Sul­la figu­ra cen­tra­le del meri­dio­na­li­smo clas­si­co – il Sal­ve­mi­ni – cen­tra­le non per­ché espres­si­va di tut­te le com­po­nen­ti di que­sta tra­di­zio­ne ma al con­tra­rio per­ché espres­si­va del pas­sag­gio e del­la cri­si di essa a una fase moder­na, pur den­tro una con­ti­nui­tà che è effet­ti­va e sostan­zia­le, vi è ora il lavo­ro, fon­da­men­ta­le per il pun­to di vista qui accol­to, di G. De Caro, Gae­ta­no Sal­ve­mi­ni, Tori­no 1970.

[19] Per una visio­ne d’insieme è suf­fi­cien­te il rin­vio a G. Amen­do­la, La demo­cra­zia nel Mez­zo­gior­no, Roma 1957. Lo svol­gi­men­to di que­sta linea nel­le sue varie arti­co­la­zio­ni è docu­men­ta­ta nel­la col­le­zio­ne del­la rivi­sta «Cro­na­che meri­dio­na­li» (in par­ti­co­la­re nei nume­ri scrit­ti di Chia­ro­mon­te, Napo­li­ta­no, Rei­chlin, ecc.).

[20] Nell’ambito di un cer­to tipo di recen­te revi­val gau­chi­ste sul pro­ble­ma meri­dio­na­le, si è spes­so insi­sti­to sul­la tesi di una vera e pro­pria con­trad­di­zio­ne tra l’«originaria» impo­sta­zio­ne gram­scia­na – che risa­le in effet­ti al perio­do «con­si­lia­re», cfr. A. Gram­sci, L’ordine nuo­vo 1919–1920, Tori­no 1955, pp. 22 sgg, e spec. 316–319; il più noto Alcu­ni temi sul­la que­stio­ne meri­dio­na­le, appar­so in «Sta­to ope­ra­io», gen­na­io 1930, poi in «Rina­sci­ta», feb­bra­io 1945, fu scrit­to nel ’26, poco pri­ma dell’arresto e del car­ce­re: cfr. R. Vil­la­ri, Il Sud nel­la sto­ria d’Italia, cit., pp. 535 – e la linea del meri­dio­na­li­smo comu­ni­sta, come poi vie­ne for­mu­la­ta e pra­ti­ca­ta nel secon­do dopo­guer­ra: Togliat­ti, insom­ma, che «tra­di­sce» Gram­sci. Tra le due posi­zio­ni pas­sa, in real­tà, la stes­sa dif­fe­ren­za che esi­ste, in gene­ra­le, tra il sen­so com­ples­si­vo dell’ondata rivo­lu­zio­na­ria inter­na­zio­na­le che pro­lun­ga il ’17 fin den­tro gli anni Ven­ti, e la tema­ti­ca ter­zin­ter­na­zio­na­li­sta, che si rea­liz­za, in occi­den­te, sul ter­re­no dei fron­ti popo­la­ri. Si trat­ta di un pas­sag­gio che non toglie la sostan­zia­le con­ti­nui­tà di un movi­men­to il cui dato ulti­mo uni­fi­can­te è pre­ci­sa­men­te l’idea di una riven­di­ca­zio­ne di «pote­re» per la clas­se ope­ra­ia fon­da­ta e resa matu­ra dal­la sua capa­ci­tà (e dal suo «dirit­to») a risol­ve­re le con­trad­di­zio­ni, i limi­ti, le insuf­fi­cien­ze del­lo svi­lup­po capitalistico.

[21] G. Galas­so, Vec­chi e nuo­vi orien­ta­men­ti del pen­sie­ro meri­dio­na­li­sti­co, in Aa.Vv., Nord e Sud nel­la socie­tà, cit., p. 69. Da que­sto per­spi­cuo sag­gio di Galas­so tra­ia­mo lo «sche­ma» accen­na­to nel testo.

[22] La Svi­mez ha rac­col­to nel volu­me Il Mez­zo­gior­no nel­le ricer­che del­la Svi­mez, cit., le espres­sio­ni più signi­fi­ca­ti­ve del lavo­ro teo­ri­co da essa susci­ta­to. In appen­di­ce vi sono con­te­nu­te noti­zie sul­la sto­ria dell’istituto e l’elenco com­ple­to degli stu­di e del­le pub­bli­ca­zio­ni pro­dot­te. Ovvia poi la men­zio­ne di M. Ros­si Doria, Rifor­ma agra­ria e azio­ne meri­dio­na­li­sti­ca, Bolo­gna 1956 e Id., Die­ci anni di poli­ti­ca agra­ria nel Mez­zo­gior­no, Bari 1958.

* * *

Lucia­no Fer­ra­ri Bra­vo (1940–2000) è sta­to uno dei pro­ta­go­ni­sti del­l’o­pe­rai­smo a par­ti­re dai pri­mi anni Ses­san­ta e pro­fes­so­re di Sto­ria del­le Isti­tu­zio­ni Poli­ti­che e di Isti­tu­zio­ni poli­ti­che com­pa­ra­te all’Uni­ver­si­tà degli Stu­di di Pado­va.

Guerra sociale

Una anti­ci­pa­zio­ne di Lan­fran­co Cami­ni­ti in pre­vi­sio­ne del­l’u­sci­ta del volu­me sul­le auto­no­mie del meridione.

Guer­ra sociale. 

Con­si­de­ra­va­mo que­sta, la nostra pras­si e il nostro com­pi­to. Solo che noi non ave­va­mo una gran­de espe­rien­za «mili­ta­re» – e da qual­che par­te biso­gna­va cominciare. 

Ho qual­che ricor­do dei miei pastic­ci: la not­te pri­ma dell’assemblea di Cosen­za, ave­va­mo deci­so di fare una pic­co­la «not­te dei fuochi». 

A me toc­cò una sede poli­ti­ca a Rosar­no, altre pic­co­le cose si sareb­be­ro fat­te in pro­vin­cia di Cosen­za, di Reg­gio, sul­la joni­ca – andai con la mia tani­ca di ben­zi­na, l’innesco e tut­to, lasciam­mo il volan­ti­no, e via. Ma sto por­to­ne non pren­de­va fuo­co. Facem­mo un giro lar­go, tor­nam­mo – nien­te. non era nean­che not­te fon­da, che poi Rosar­no era anche un luo­go pat­tu­glia­tis­si­mo. Al secon­do o ter­zo giro, final­men­te appic­ciò: ave­va­mo fat­to il nostro dovere. 

L’attentato alla Liqui­chi­mi­ca di Sali­ne Joni­che fal­lì la pri­ma sera per­ché non ci era­va­mo por­ta­ti die­tro una tron­che­se per taglia­re la rete di pro­te­zio­ne; nascon­dem­mo le bor­se con l’innesco e la ben­zi­na sot­to un pon­ti­cel­lo, pre­gan­do che li avrem­mo ritro­va­ti. La secon­da sera andò tut­to bene. 

Diver­si anni dopo incon­trai a tavo­la, a casa di un paren­te, uno degli addet­ti alla vigi­lan­za not­tur­na, che ave­va­mo lega­to e imba­va­glia­to per siste­ma­re le bor­se che avreb­be­ro bru­cia­to la sala di coman­do del­la pro­du­zio­ne. Rac­con­ta­va quel­la sera – sì, ave­va avu­to pau­ra – con tran­quil­li­tà: pen­sai fos­se meglio non dir­gli che ave­va di fron­te pro­prio l’uomo che gli ave­va fat­to pas­sa­re il più brut­to quar­to d’ora del­la sua vita, maga­ri mi spac­ca­va i denti. 

La mat­ti­na dell’attentato alla cen­tra­le del­la Cas­sa di Rispar­mio di Cala­bria e Luca­nia a Cosen­za, l’auto che ave­va­mo ruba­to non vole­va saper­ne di par­ti­re – era tut­to pron­to, anche il volan­ti­no, con la data e la spie­ga. Ebbi un col­po di culo: con­ti­nuan­do a sfre­ga­re i con­tat­ti che ave­va­mo spel­la­to, scat­tò la scin­til­la e l’auto si mise in moto. Poi, andò bene. 

A una rapi­na da un gio­iel­lie­re a Napo­li, ci fre­gò la gen­ti­lez­za – non strin­gem­mo bene il nastro intor­no i suoi pol­si e quel­lo si libe­rò pro­prio cor­ren­do die­tro i com­pa­gni che intan­to era­no usci­ti e pro­va­va­no a dile­guar­si. Lo fer­mai spa­ran­do­gli da lon­ta­no, con una 6.35 – l’unica arma che mi ero por­ta­to die­tro – e lo pre­si al fega­to, e quel­lo si acca­sciò. Ci andò bene a entram­bi, e inve­ce andò male ai com­pa­gni, per­ché tut­to quel tram­bu­sto fece arri­va­re i «fal­chi» del­la poli­zia, che sta­zio­na­va­no lì vici­no, e ne arre­sta­ro­no due e fu l’inizio del­la fine. 

In un atten­ta­to all’Italsider di Taran­to, piaz­zam­mo del pla­sti­co con una mic­cia lun­ga su un nastro che ci ave­va­no indi­ca­to, ma era pro­prio all’esterno e ai mar­gi­ni. andam­mo via e ’sto bot­to non lo sen­ti­va­mo – poi ci fu, ma lo sen­tim­mo solo noi. Hai voglia a comu­ni­ca­ti – nes­su­no riu­sci­va a tro­va­re «il dan­no», ce ne mise­ro di giorni. 

A una rapi­na a Poten­za, che ave­va­mo fat­to per dare un po’ di sol­di a una strut­tu­ra di com­pa­gni del­la Puglia, men­tre scap­pa­va­mo con la bor­sa con il mal­lop­po, Fio­ra mi chie­se se ave­vo trat­te­nu­to qual­co­sa per noi; dis­si di sì, anche se non era nei pat­ti – anch’io, fece lei.

A un’irruzione all’Intersind di Paler­mo, dove rin­chiu­dem­mo in una stan­za una deci­na di impie­ga­ti e poi tra­fu­gam­mo car­te, mi ero mes­so le len­ti­ne a con­tat­to e dei baf­fi fin­ti, che però non si incol­la­va­no bene e mez­zo ogni tan­to mi casca­va e io sta­vo sem­pre lì a siste­mar­lo – ma nes­su­no descris­se il mio aspet­to; dis­se­ro solo che «par­la­vo sen­za accen­to», come mini­mo veni­vo da Mila­no, il che un po’ mi diver­ti­va. Però fum­mo in gra­do di coo­pe­ra­re per la più bel­la rapi­na di que­gli anni, l’assalto al Club Medi­ter­ra­née di Nico­te­ra – con una squa­dra tra­ve­sti­ta da cara­bi­nie­ri da ter­ra e una squa­dra che arri­vò in moto­sca­fo dal mare, e svuo­tam­mo l’intera cas­sa e le cas­set­te di scu­rez­za, con una fuga tra le cam­pa­gne e di nuo­vo via mare – che ci sareb­be sta­ta bene in un film. Cer­to l’avevamo fat­ta con chi «con­trol­la­va» il ter­ri­to­rio – e come altri­men­ti? facem­mo fif­ty-fif­ty, come veri gentiluomini.Non era­va­mo clandestini. 

Con quel­la stes­sa fac­cia face­va­mo assem­blee e rapi­ne, riu­nio­ni e atten­ta­ti. in guer­ra, d’altronde, si com­bat­te a viso aperto

L’Autonomia meridionale in tre volumi

di Fran­ce­sco Cirillo

Un lavo­ro monu­men­ta­le di cir­ca 900 pagi­ne che usci­rà in tre volu­mi e che oggi vede l’uscita in tut­te le libre­rie del pri­mo volume. 

Si trat­ta del­la sto­ria qua­si sco­no­sciu­ta dell’Autonomia Meri­dio­na­le rac­con­ta­ta dai suoi stes­si mili­tan­ti. Una sto­ria avvin­cen­te che dimo­stra come il sud dagli anni Set­tan­ta in poi sia sta­to una fuci­na di lot­te auto­no­me e cla­mo­ro­se che han­no visto lo Sta­to pron­to alla repres­sio­ne ed alla car­ce­ra­zio­ne di cen­ti­na­ia di atti­vi­sti in pri­ma linea nel­le lot­te di ope­rai, con­ta­di­ni, pro­le­ta­ria­to in genere. 

Il pri­mo volu­me edi­to da Deri­ve ed Appro­di è cura­to da Anto­nio Bove, medi­co napo­le­ta­no del col­let­ti­vo poli­ti­co Csoa Offi­ci­na 99 e dell’area anta­go­ni­sta napo­le­ta­na e Fran­ce­sco Festa luca­no anch’egli di offi­ci­na 99 e del movi­men­to no glo­bal meridionale. 

Il volu­me è il deci­mo del lavo­ro com­ples­so fat­to dal­la casa edi­tri­ce sull’autonomia ope­ra­ia ita­lia­na, ed è il pri­mo su quel­la meri­dio­na­le. Al pri­mo lavo­ro han­no par­te­ci­pa­to Alfon­so Natel­la, saler­ni­ta­no , che rac­con­ta del libro “Voglia­mo Tut­to” di Nan­ni Bale­stri­ni del qua­le è sta­to il pro­ta­go­ni­sta ; Anto­nio Bove e Fran­ce­sco Festa con un sag­gio sul­le ori­gi­ni del meri­dio­na­li­smo; Fran­ce­sco Caru­so che par­la del Sud ribel­le e del­le sue ori­gi­ni; Giso Amen­do­la che affron­ta la que­stio­ne del rifiu­to del lavo­ro al sud; Clau­dio Dio­ne­sal­vi che con­ver­sa con Fran­co Piper­no sull’autonomia; Lan­fran­co Cami­ni­ti che par­la dei “Pri­mi fuo­chi di guer­ri­glia” l’unica orga­niz­za­zio­ne auto­no­ma extra lega­le del sud e chiu­do­no Anto­nio Bove e Fran­ce­sca Festa sul­le lot­te avve­nu­te a Napo­li fra Bagno­li e i con­trab­ban­die­ri autonomi. 

Un volu­me estre­ma­men­te inte­res­san­te ed uni­co che rom­pe un luo­go comu­ne, spes­so esi­sten­te anche fra gli stes­si atti­vi­sti dell’estrema sini­stra che al sud non si sia mos­so nien­te in quei favo­lo­si anni 70.

Gli autonomi, primo volume della serie dedicata all’Autonomia Operaia meridionale

Gli autonomi, primo volume della serie dedicata all’Autonomia Operaia meridionale

dal­la Reda­zio­ne de Il Rifor­mi­sta – 26 Gen­na­io 2022

Il gior­no 7 Apri­le 1979 un’imponente ini­zia­ti­va giu­di­zia­ria met­te alla sbar­ra deci­ne di diri­gen­ti e mili­tan­ti di un’organizzazione rivo­lu­zio­na­ria con­tro la qua­le opi­nio­ni­sti, diri­gen­ti di par­ti­to, intel­let­tua­li e sin­da­ca­li­sti ave­va­no uti­liz­za­to deci­ne di ter­mi­ni dispre­gia­ti­vi, tra cui vio­len­ti, ter­ro­ri­sti e squa­dri­sti, evi­tan­do di chia­mar­li per quel­lo che era­no. Auto­no­mi. 

Il tri­bu­na­le del lin­guag­gio ave­va emes­so la sua sen­ten­za attra­ver­so la demo­niz­za­zio­ne media­ti­ca pri­ma del­la cri­mi­na­liz­za­zio­ne giu­di­zia­ria. E’ anche per que­sto che la rico­stru­zio­ne del­le vicen­de lega­te all‘Auto­no­mia ope­ra­ia  mes­sa in atto dagli auto­ri nel­la col­la­na “Gli auto­no­mi”, è da con­si­de­rar­si un’impresa.

Gli auto­no­mi sono sta­ti pro­ta­go­ni­sti di una sta­gio­ne con­tro­ver­sa e gio­io­sa del decen­nio rivo­lu­zio­na­rio ita­lia­no aper­to dal Bien­nio Ros­so. “Voglia­mo tut­to” è sta­to il loro pro­gram­ma poli­ti­co sem­pli­ce e tra­gi­co. Nel Sud Ita­lia del­la fal­sa indu­stria­liz­za­zio­ne, pove­ro, dis­san­gua­to dall’emigrazione e dal­la ristrut­tu­ra­zio­ne eco­no­mi­ca del Dopo­guer­ra, l’autonomia è sta­ta una sta­gio­ne poli­ti­ca inten­sa, che ha pre­so for­ma in un mosai­co di movi­men­ti spon­ta­nei che han­no scom­pa­gi­na­to i vec­chi equi­li­bri del­la poli­ti­ca par­ti­ti­ca, len­ta e bigotta.

Que­sta ricer­ca che pene­tra nell’epicentro di quel­le bat­ta­glie socia­li estraen­do­ne bio­gra­fie e per­so­nag­gi, per por­ta­re alla luce la sto­ria sco­no­sciu­ta e ine­di­ta degli anni Set­tan­ta al Sud, un insie­me di con­dot­te, modi di pen­sa­re, pra­ti­che, com­por­ta­men­ti che, con tut­ti i limi­ti, han­no pro­va­to a far­la fini­ta con la “que­stio­ne meri­dio­na­le”, e le sue nar­ra­zio­ni assi­sten­zia­li­sti­che e paras­si­ta­rie. In quel Mez­zo­gior­no che si vole­va nar­co­tiz­za­to sor­se­ro così col­let­ti­vi auto­no­mi che die­de­ro vita a lot­te e riven­di­ca­zio­ni che han­no segna­to un’intera gene­ra­zio­ne rac­col­te per la pri­ma vol­ta in que­sta ricer­ca per com­por­re una car­to­gra­fia di que­gli anni, sen­za la pre­te­sa di esse­re un «manua­le», anzi il fon­da­men­to di que­sto lavo­ro è pro­prio la fram­men­ta­rie­tà del­la mate­ria in ogget­to e tut­ti i suoi limi­ti rap­pre­sen­ta­no spi­ra­gli attra­ver­so i qua­li guar­da­re a quel­le espe­rien­ze pro­van­do a ride­fi­nir­ne i contorni. 

Que­sto pri­mo volu­me, acqui­sta­bi­le in tut­te le libre­rie o diret­ta­men­te dall’editore (www.deriveapprodi.com) è il pri­mo di una serie da tre libri dedi­ca­ta al meridione. 

Nel­le sue pagi­ne si rico­strui­sce la vicen­da sto­ri­ca dell’autonomia a Napo­li, dal­le lot­te ope­ra­ie del Bien­nio Ros­so alla nasci­ta dei Comi­ta­ti di Quar­tie­re, espe­rien­za cen­tra­le nel­le lot­te per la casa, le auto­ri­du­zio­ni dei con­su­mi con­tro il caro­vi­ta. Il lavo­ro di rico­stru­zio­ne sto­ri­ca rico­strui­sce la nasci­ta e lo svi­lup­po dei movi­men­ti dei disoc­cu­pa­ti, fino allo sno­do degli anni Ottan­ta, segna­ti dal­la repres­sio­ne giu­di­zia­ria e dal terremoto. 

Anto­nio Bove è nato nel 1975 a Napo­li, dove vive e lavo­ra come medi­co. Incon­tra i movi­men­ti napo­le­ta­ni nel 1994, duran­te il Movi­men­to Sabo­tax cui par­te­ci­pa con il Col­let­ti­vo di Medi­ci­na. Ha fat­to par­te del col­let­ti­vo poli­ti­co del CSOA Offi­ci­na 99. È tra i fon­da­to­ri dell’Istituto Ita­lia­no per gli Stu­di Euro­pei di Giu­glia­no (NA) ed ha fat­to par­te del col­let­ti­vo reda­zio­na­le di Metro­vie, sup­ple­men­to napo­le­ta­no del Mani­fe­sto. Suoi arti­co­li sono appar­si su: Il Mani­fe­sto, Limes – rivi­sta di geo­po­li­ti­ca ita­lia­na, Libe­ra­zio­ne, Napo­li Moni­tor, Dina­mo­press. Ha pub­bli­ca­to “Vai Mo. Sto­rie di rap a Napo­li e din­tor­ni.” (Moni­tor ed., Napo­li 2016) 

Fran­ce­sco Anto­nio Festa, luca­no, vive in Irpi­nia insie­me a tre figli e una com­pa­gna e si occu­pa di mar­ke­ting. Duran­te gli anni uni­ver­si­ta­ri ha sco­per­to la mli­tan­za gra­zie all’attivo poli­ti­co di Officina99/​SKA di Napo­li, ha par­te­ci­pa­to atti­va­men­te al movi­men­to NoGlo­bal. Ha dato vita ai pro­get­ti “Oriz­zon­ti Meri­dia­ni” ed “Euro­no­ma­de”. Di for­ma­zio­ne sto­ri­ca, ha cura­to con altri il volu­me “Bri­gan­ti o emi­gran­ti. Sud e movi­men­ti fra con­ri­cer­ca e stu­di subal­ter­ni”. Ha scrit­to nume­ro­si arti­co­li sul­la sto­ria del Sud Ita­lia, sui movi­men­ti socia­li e sui dispo­si­ti­vi di raz­zia­liz­za­zio­ne. Scri­ve sul­le pagi­ne cul­tu­ra­li de il Manifesto.

Autonomia operaia meridionale /​ Un volume ne ricostruisce la storia.

Autonomia operaia meridionale /​ Un volume ne ricostruisce la storia.

Fran­ce­sco Festa: «Era un un labo­ra­to­rio poli­ti­co-cul­tu­ra­le che ha dato la pos­si­bi­li­tà di spe­ra­re, imma­gi­na­re e sognare»

di Danie­le Maf­fio­ne – Trat­to da ilmon­do­di­suk - 24 Gen­na­io 2022

Da pochis­si­mi gior­ni è sta­to pub­bli­ca­to il libro: “Gli auto­no­mi – L’Autonomia ope­ra­ia meri­dio­na­le”, a cura di Anto­nio Bove e Fran­ce­sco Festa. Il volu­me, edi­to dal­la casa edi­tri­ce Deri­veAp­pro­di, è con­tras­se­gna­to dal nume­ro roma­no X, poi­ché rien­tra in una col­la­na tema­ti­ca più gene­ra­le dedi­ca­ta alla sto­ria dell’Autonomia ope­ra­ia, movi­men­to del­la sini­stra extra­par­la­men­ta­re sor­to in Ita­lia negli anni Set­tan­ta del seco­lo scorso.


Il lavo­ro di Bove e Festa docu­men­ta in modo ine­di­to e rigo­ro­so le ori­gi­ni, le lot­te e lo svi­lup­po di quest’area poli­ti­co-cul­tu­ra­le nel Mez­zo­gior­no. Tan­ti e tali sono i mate­ria­li rac­col­ti, che i due cura­to­ri han­no opta­to per la pub­bli­ca­zio­ne di una tri­lo­gia, che si con­cen­tre­rà su tre dif­fe­ren­ti ogget­ti d’indagine. La pri­ma par­te è dedi­ca­ta a Napo­li e alla sto­ria dell’autonomia pro­le­ta­ria meri­dio­na­le nel­la cit­tà più popo­lo­sa del Sud. Ne par­lia­mo con Fran­ce­sco Festa.


Cos’era l’Autonomia ope­ra­ia?
È sta­to un labo­ra­to­rio poli­ti­co-cul­tu­ra­le. Fac­cio un esem­pio per ren­de­re l’idea. Poten­za, che è la cit­tà da cui pro­ven­go, nell’immaginario comu­ne è il capo­luo­go di una regio­ne rite­nu­ta dai più una ter­ra paci­fi­ca­ta. Gra­zie al nostro lavo­ro, abbia­mo docu­men­ta­to il fat­to che negli anni ‘70 e ‘80, ben ven­ti­mi­la lot­ti abi­ta­ti­vi ven­ne­ro occu­pa­ti gra­zie alle lot­te pro­mos­se e orga­niz­za­te dall’Autonomia ope­ra­ia. Quel­le occu­pa­zio­ni costi­tui­ro­no una pro­spet­ti­va di vita per fami­glie pove­re in una ter­ra immi­se­ri­ta, che si rite­ne­va appan­nag­gio del­la Demo­cra­zia Cri­stia­na. Soprat­tut­to nel­le pro­vin­ce dell’entroterra, le cosid­det­te “ter­re dell’osso” – come le defi­nì Man­lio Ros­si Doria‑, l’Autonomia ha dato la pos­si­bi­li­tà di spe­ra­re, imma­gi­na­re, sogna­re, costrui­re e dise­gna­re tem­po libero.

Pos­sia­mo dire che è sta­to un movi­men­to di libe­ra­zio­ne?
Sicu­ra­men­te sì, se si inten­de la libe­ra­zio­ne dal pun­to di vista del lavo­ro. Quest’area ha por­ta­to avan­ti nel tem­po un rifiu­to dell’egemonia cul­tu­ra­le del cosid­det­to “fab­bri­chi­smo”, che alber­ga­va in for­ma­zio­ni del­la sini­stra rifor­mi­sta.
L’Autonomia par­la­va anche del­la pos­si­bi­li­tà di orga­niz­za­re il tem­po libe­roo il diver­ti­men­to che, in un con­te­sto di oppres­sio­ne fami­li­sta come quel­lo del Sud, era tutt’altro che scon­ta­to. Non a caso, in que­sto volu­me, figu­re­rà anche un inter­ven­to di Pep­pi­no Impa­sta­to, che descri­ve­rà l’esperienza di RadioAut.
L’Autonomia era una for­ma men­tis, una con­dot­ta, un modo di fare. Era il rifiu­to del lavo­ro come fine esi­sten­zia­le, ma anche il rifiu­to dell’egemonia capi­ta­li­sti­ca, il cui pri­mo nucleo nel Mez­zo­gior­no è infu­so nel­la fami­glia, in una men­ta­li­tà chiu­sa, con­trol­la­ta da una cap­pa demo­cri­stia­na e perbenista.


L’Autonomia al Sud fu anche il ten­ta­ti­vo di decli­na­re in un’altra for­ma la que­stio­ne meri­dio­na­le?
Fu un modo per rom­pe­re gli sche­mi pre­gres­si in cui era­no imbri­glia­ti pro­le­ta­ri, stu­den­ti, disoc­cu­pa­ti.
Quel labo­ra­to­rio di idee fu una vera e pro­pria pale­stra di lot­ta per mol­tis­si­mi gio­va­ni, che si aggre­ga­ro­no e for­ma­ro­no poli­ti­ca­men­te nei pri­mi cam­peg­gi, che furo­no occa­sio­ne di incon­tro, stu­dio, socia­li­tà, diver­ti­men­to. Lì, tan­ti ragaz­zi conob­be­ro per la pri­ma vol­ta l’attivismo poli­ti­co. L’Autonomia fu anche lot­ta alle orga­niz­za­zio­ni mafio­se. Pri­ma men­zio­na­vo l’esperienza di Pep­pi­no Impa­sta­to, ma non è l’unica. Nel nostro lavo­ro abbia­mo rico­strui­to anche l’esperienza di Afri­co – comu­ne alle por­te di Reg­gio Cala­bria- dove i mili­tan­ti auto­no­mi si arma­ro­no per com­bat­te­re le cosche mala­vi­to­se, entran­do in scon­tro non solo con la ‘ndran­ghe­ta, ma anche con la poli­zia e lo Sta­to, col­lu­so con la mafia. Quel­la fu una del­le tan­te espe­rien­ze che espres­se la dif­fe­ren­za fra il mili­ta­re nell’entroterra piut­to­sto che nei gros­si cen­tri metropolitani.


Da dove nasce l’idea di que­sto stu­dio?
È un’opera scrit­ta a quat­tro mani con Anto­nio Bove, stu­dio­so e atti­vi­sta poli­ti­co. Abbia­mo intra­pre­so que­sto per­cor­so due anni fa. Lo rimug­gi­na­va­mo da lun­go tem­po, for­se dal 2004. Pen­sa­va­mo che sareb­be sta­to uti­le rico­strui­re la sto­ria dei movi­men­ti socia­li e dei movi­men­ti di lot­ta nel Sud. Nel­la nostra men­te risuo­na­va sem­pre que­sta sor­ta di stig­ma che gra­va­va su Napo­li e il Mez­zo­gior­no, real­tà ric­che di par­te­ci­pa­zio­ne, atti­vi­smo, movi­men­ti ma su cui si era scrit­to trop­po poco, se non sot­to que­sta sem­pi­ter­na dici­tu­ra di “que­stio­ne meri­dio­na­le”. Poi, Lan­fran­co Cami­ni­ti e Ser­gio Bian­chi han­no lan­cia­to con la casa edi­tri­ce Deri­veAp­pro­di que­sta sor­ta di saga sul­la sto­ria degli Auto­no­mi in Ita­lia. Da quel momen­to in poi, ci sia­mo deter­mi­na­ti a scri­ve­re un qual­co­sa che col­mas­se quell’enorme vuo­to di nar­ra­zio­ne sull’esperienza e le pecu­lia­ri­tà dell’Autonomia nel­le nostre terre.


Com’è strut­tu­ra­to que­sto lavo­ro?
L’opera è divi­sa in tre par­ti e par­la dell’autonomia pro­le­ta­ria meri­dio­na­le. Il pri­mo volu­me si con­cen­tra su Napo­li. In aper­tu­ra, c’è un inter­ven­to di Alfon­so Latel­la, pro­ta­go­ni­sta di Voglia­mo tut­to di Nan­ni Bale­stri­ni. Dopo l’espulsione dal­la FIAT, in cui orga­niz­zò il pri­mo scio­pe­ro sen­za sin­da­ca­ti, Latel­la tor­nò nel­la sua Saler­no, man­te­nen­do uno spi­ri­to auto­no­mo e dive­nen­do pun­to di rife­ri­men­to del­le lot­te ope­ra­ie e dell’operaismo. Il libro pro­se­gue alter­nan­do rifles­sio­ni teo­ri­che e rac­con­ti, memo­rie, con­tri­bu­ti col­let­ti­vi. C’è un pez­zo scrit­to da Fran­ce­sco Caru­so, che rico­strui­sce le radi­ci del Sud Ribel­le. Poi, un bra­no di Giso Amen­do­la che ana­liz­za il rap­por­to tra svi­lup­po, sot­to­svi­lup­po e rifiu­to del lavo­ro, par­ten­do da una rifles­sio­ne sui clas­si­ci dell’operaismo sul Mez­zo­gior­no. Figu­ra­no, inol­tre, una con­ver­sa­zio­ne di Clau­dio Dio­ne­sal­vi con Fran­co Piper­no e una memo­ria di Lan­fran­co Cami­ni­ti su Pri­mi fuo­chi di guer­ri­glia, pri­mo grup­po arma­to che pose al cen­tro del­la sua ela­bo­ra­zio­ne e del­la sua pras­si com­bat­ten­te la spe­ci­fi­ci­tà meri­dio­na­le. Il con­tri­bu­to più volu­mi­no­so è com­po­sto da due sag­gi scrit­ti da me e Bove. Per quan­to riguar­da gli altri due volu­mi in usci­ta – sen­za disve­la­re trop­po – abbia­mo fat­to par­la­re le lot­te sui ter­ri­to­ri e chi gli dava l’infrastruttura organizzativa.

Quan­do ver­ran­no pub­bli­ca­te le altre par­ti dell’opera e di cosa par­le­ran­no?
Il secon­do volu­me si con­cen­tre­rà sul­la Cam­pa­nia e dovreb­be esse­re pub­bli­ca­to fra mag­gio e giu­gno. Il ter­zo epi­so­dio, inve­ce, sarà incen­tra­to sul Mez­zo­gior­no, con docu­men­ti, sto­rie e testi­mo­nian­ze rac­col­te tra Basi­li­ca­ta, Cala­bria, Puglia, Sici­lia, che, stan­do al pia­no edi­to­ria­le, dovreb­be usci­re alla fine del 2022.

Ave­te fat­to un lavo­ro enor­me…
È un’opera su cui abbia­mo impe­gna­to due anni e mez­zo di vita. Vi han­no con­tri­bui­to tan­tis­si­mi com­pa­gni e com­pa­gne. Lo spun­to ci è venu­to da una rifles­sio­ne di Lan­fran­co Cami­ni­ti con­te­nu­to nell’Orda d’oro di Nan­ni Bale­stri­ni, in cui si par­la­va per l’appunto di auto­no­mia meri­dio­na­le. Ci sia­mo chie­sti se que­sta real­tà esi­stes­se real­men­te. Io e Bove pro­ve­ni­va­mo da espe­rien­ze ere­di di quell’area poli­ti­ca, come i cen­tri socia­li Offi­ci­na 99 e lo SKA. Rispet­to alle orgi­ni, per un fat­to­re di ricam­bio gene­ra­zio­na­le, ci sono sta­ti adden­tel­la­men­ti. Nei movi­men­ti c’era chi, facen­do rife­ri­men­to all’Autonomia, accen­tua­va di più il tema del red­di­to e del sala­rio, altri han­no pro­va­to a strut­tu­ra­re di più il movi­men­to dei disoc­cu­pa­ti o il movi­men­to stu­den­te­sco. Abbia­mo riflet­tu­to a lun­go sul­le carat­te­ri­sti­che di que­ste espe­rien­ze, che ave­va­no una matri­ce comu­ne, in quan­to ispi­ra­te ad una mas­si­ma di Rena­to Pan­zie­ri, che par­la­va dell’importanza di apri­re e tene­re aper­ti i movi­men­ti. Que­sto è sta­to il back­ground che abbia­mo respi­ra­to nell’area in cui abbia­mo mili­ta­to ed è sta­to il filo ros­so che abbia­mo tenu­to nell’opera.

Come ave­te rian­no­da­to i fili di que­sta sto­ria?
Meto­do­lo­gi­ca­men­te, ci sia­mo doman­da­ti chi fos­se­ro gli Auto­no­mi pri­ma dell’Autonomia nel Mez­zo­gior­no. Per­ché un con­to è par­la­re dell’organizzazione, in sen­so stret­to, a Roma, Pado­va, Mila­no, Bolo­gna, Tori­no, Geno­va, un con­to al Sud, dove a una pri­ma ana­li­si le espe­rien­ze più signi­fi­ca­ti­ve pare­va­no espri­mer­si sol­tan­to a Napo­li, Cata­nia e Poten­za. Per esten­de­re la ricer­ca, abbia­mo allar­ga­to il cam­po di rife­ri­men­to e, via via, rac­co­glien­do con­tri­bu­ti, memo­rie, mate­ria­li, sono emer­se le carat­te­ri­sti­che di sog­get­ti­vi­tà di com­pa­gni che ave­va­no mili­ta­to in Lot­ta con­ti­nua, però si era­no spo­sta­ti nel Coor­di­na­men­to anti­nu­clea­re e antim­pe­ria­li­sta, che è una real­tà che ha segna­to mol­to l’esperienza meri­dio­na­le negli anni ‘80.

Qua­li furo­no le radi­ci di clas­se di quel­la che defi­ni­te ‘Auto­no­mia pro­le­ta­ria meri­dio­na­le’?
In ter­mi­ni mar­xia­ni, l’ambito poli­ti­co in cui veni­va agi­to il con­flit­to col capi­ta­le era la fab­bri­ca. La pre­sen­za dell’Autonomia ope­ra­ia era cir­co­scrit­ta ad alcu­ne fab­bri­che, tut­te impor­tan­ti, come a Bagno­li, a Pomi­glia­no d’Arco, a Giu­glia­no, a Castel­lam­ma­re. Ma il vero pre­gio dell’Autonomia fu quel­lo di muo­ver­si in una pro­spet­ti­va più metro­po­li­ta­na, ana­liz­zan­do real­tà socia­li lascia­te ai mar­gi­ni. A par­ti­re da que­sta con­si­de­ra­zio­ne, si fece lar­go una diver­sa inter­pre­ta­zio­ne del cosid­det­to lum­pen­pro­le­ta­riat, che non era sot­to­pro­le­ta­ria­to, ma una real­tà com­po­si­ta in cui l’operaio socia­le – che oggi chia­me­rem­mo ‘pre­ca­rio’, figu­ra emer­sa del­la ter­zia­riz­zio­ne pro­dut­ti­va – era già pre­sen­te a Napo­li dal­la fine degli anni ‘70. Chi fa mil­le lavo­ri per soprav­vi­ve­re, è un lavo­ra­to­re che pro­du­ce sia in ter­mi­ni capi­ta­li­sti­ci, sia in ter­mi­ni di valo­riz­za­zio­ne capitalistica.

Vi furo­no altre carat­te­ri­sti­che signi­fi­ca­ti­ve?
Rispet­to ad altre real­tà, a Napo­li i mili­tan­ti di quest’area furo­no pre­va­len­te­men­te mar­xi­sti-leni­ni­sti. C’era una rivi­sta, Lot­ta di lun­ga dura­ta, da cui sono emer­si tan­ti com­pa­gni anco­ra atti­vi nel sin­da­ca­to. Que­ste radi­ci ideo­lo­gi­che defi­ni­ro­no Napo­li come una sor­ta di ‘ano­ma­lia ita­lia­na’, cosa che, tut­ta­via, non le impe­dì di par­te­ci­pa­re all’area nazio­na­le degli Autonomi.

Che cosa rap­pre­sen­ta­no espe­rien­ze come i cen­tri socia­li Offi­ci­na 99 e il Labo­ra­to­rio occu­pa­to Ska nel­la rico­stru­zio­ne di que­sta sto­ria?
La libe­ra­zio­ne di que­sti spa­zi ha ori­gi­ni mol­te­pli­ci. Sostan­zial­men­te, si trat­ta di un fat­to gene­ra­zio­na­le. Rispet­to agli anni ’70, tan­ti com­pa­gni e com­pa­gne si for­ma­ro­no nel movi­men­to stu­den­te­sco del­la Pan­te­ra. Come dice­vo, negli anni ‘80, men­tre mol­ti com­pa­gni era­no fini­ti in car­ce­re pre­ser­van­do le loro idee, c’erano sta­te le espe­rien­ze del Coor­di­na­men­to anti­nu­clea­re e antim­pe­ria­li­sta e dei cam­peg­gi poli­ti­ci, che gene­ra­ro­no l’amalgama da cui pro­ven­ne­ro nuo­vi mili­tan­ti che anda­ro­no poi ad occu­pa­re Offi­ci­na 99, dive­nu­to poi il patri­mo­nio di tra­smis­sio­ne di alcu­ni meto­di di lot­ta. L’idea era di dare più impor­tan­za ai movi­men­ti, pen­san­do che l’accumulo di ener­gie nel­le fasi di riflus­so potes­se tene­re aper­ta la pos­si­bi­li­tà al cam­bia­men­to dei rap­por­ti di for­ze, anzi­ché far­li con­flui­re in ten­ta­ti­vi elet­to­ra­li. “Pri­ma la clas­se e poi il capi­ta­le”, si dice­va. Que­sta cosa si è poi, evo­lu­ta in pri­ma il sog­get­ti­vi­smo e poi l’oggettivismo.

Cosa inten­di?
Que­sta dico­to­mia la si com­pren­de sol­tan­to a distan­za di tem­po. Oggi, que­sto dibat­ti­to fra la real­tà e il tipo di orga­niz­za­zio­ne che ser­ve per cam­biar­la è pres­so­chè ine­si­sten­te. L’eredità è que­sta. Nel 1993, il Coor­di­na­men­to si rup­pe. I pado­va­ni pre­se­ro la via del­la “Car­ta di Mila­no”[1], e sosten­ne­ro poi la fon­da­zio­ne del­le Tute bian­che[2], com­pien­do la scel­ta di fare entri­smo nel­le isti­tu­zio­ni. Il che segnò la divi­sio­ne nel movi­men­to dei cen­tri socia­li. Sem­bra una sto­ria con­fu­sa, ma se la si leg­ge in ter­mi­ni di sog­get­ti­vi­tà, con­cet­ti, gru­mi teo­ri­ci, c’è un con­ti­nuum. Lo stes­so movi­men­to del­la Pan­te­ra nac­que da quell’humus e a Napo­li ven­ne ani­ma­to da com­pa­gni che si riu­ni­va­no pri­ma al Riot dei Ban­chi Nuo­vi. Poi, spo­sta­ro­no il loro bari­cen­tro all’università, caval­can­do l’onda del­la Pan­te­ra e dan­do ori­gi­ne ad una nuo­va sta­gio­ne di lot­ta sot­to il segno dell’Autonomia.

Nel vostro libro, allo­ra, biso­gna leg­ge­re anche un ten­ta­ti­vo di libe­ra­re dal­la dam­na­tio memo­riae la sto­ria degli Auto­no­mi meri­dio­na­li?
È il nostro auspi­cio. Spe­ria­mo che que­sto lavo­ro pos­sa far discu­te­re, for­nen­do un altro sguar­do al Mez­zo­gior­no e alla par­te­ci­pa­zio­ne nel socia­le e nel civi­le, inte­so come pro­ta­go­ni­smo di cit­ta­di­ni, abi­tan­ti, popo­la­zio­ne. La veri­tà è che sono sta­te con­dot­te mol­tis­si­me lot­te nel Sud, ma si è scrit­to trop­po poco. For­se, è que­sta l’origine del­la dam­na­ta­tio memo­riae. Que­sta tri­lo­gia può far par­la­re del­la que­stio­ne meri­dio­na­le, non nel sen­so clas­si­co del ter­mi­ne, inte­sa dall’alto, ma spie­gan­do­ne la complessità.

A qua­le pub­bli­co vi rivol­ge­te?
Par­lia­mo a chiun­que voglia cono­sce­re la geo­gra­fia urba­na e i con­te­sti socia­li. Su que­sti temi, ci sono pochis­si­mi volu­mi, che han­no un taglio pret­ta­men­te acca­de­mi­co o socio­lo­gi­co, che han­no stu­dia­to dall’esterno que­sta real­tà ‑ester­no inte­so come venu­to da fuo­ri- e si inter­ro­ga­no sul fer­vo­re napo­le­ta­no. Può sor­pren­de­re, ma l’argomento da noi trat­ta­to è sta­to mol­to stu­dia­to da ricer­ca­to­ri di uni­ver­si­tà anglo-ame­ri­ca­ne. Tut­ta­via, non si è stu­dia­ta ciò che è sta­ta la sot­tra­zio­ne, in ter­mi­ni poli­ti­co-cri­mi­na­li, del­la socie­tà secon­do cate­go­riz­za­zio­ni ben precise.

Quan­to è cam­bia­ta la Napo­li descrit­ta nel libro rispet­to a quel­la attua­le?
Ica­sti­ca­men­te tan­to. Le piaz­ze e gli spa­zi pub­bli­ci sono muta­ti nel tem­po. Napo­li è un enor­me spa­zio pub­bli­co, nel sen­so poli­ti­ciz­za­to del ter­mi­ne. È sem­pre sta­to un luo­go di incon­tro, scam­bio, fer­men­to, vita­li­tà, lot­ta. Oggi, inve­ce, è uno spa­zio pre­va­len­te­men­te eco­no­mi­co, con eser­ci­zi com­mer­cia­li, bou­ti­que, risto­ran­ti, bar in ogni dove. Ambi­ti che pri­ma era­no per lo più cir­co­scrit­ti ad alcu­ne stra­de o zone – come il Vome­ro, via Tole­do, cor­so Umber­to – ades­so han­no inva­so l’intera cit­tà, ancor più dopo la pan­de­mia. Anche per­ché i movi­men­ti socia­li, oggi, nono­stan­te la loro gene­ro­si­tà, fan­no fati­ca a con­ten­de­re la cit­tà, inte­sa come spa­zio pub­bli­co, a quest’ondata.

Quan­do par­li di con­ti­nuum tra pas­sa­to e pre­sen­te dell’Autonomia napo­le­ta­na, a cosa ti rife­ri­sci?
Quel­lo che si sta facen­do in ter­mi­ni di lot­te socia­li sul lavo­ro, è sta­to il vero filo ros­so di que­sta sto­ria. Per tut­ti gli anni ‘90, la con­ti­nui­tà si è espres­sa nel­le lot­te dei disoc­cu­pa­ti, che sono sta­te impor­tan­tis­si­me e, per cer­ti ver­si, uni­che nel pano­ra­ma ita­lia­no. Quel­le han­no tenu­to vivo un retro­ter­ra. Le lot­te stu­den­te­sche han­no tro­va­to poi, un altro tipo di cata­liz­za­zio­ne e orga­niz­za­zio­ne. Tut­ta­via, sareb­be uti­le ritro­va­re una discus­sio­ne comu­ne sul­la pro­spet­ti­va, che è la cosa che man­ca di più in que­sta fase storica.

Qua­le pen­si che sia il futu­ro del pen­sie­ro auto­no­mo nel Mez­zo­gior­no?
Vive lad­do­ve è sta­to tra­smes­so e tra­man­da­to. A Napo­li, soprav­vi­ve in alcu­ni spa­zi socia­li, nono­stan­te la dia­spo­ra dell’attivo poli­ti­co del pas­sa­to. Non è solo una que­stio­ne gene­ra­zio­na­le, ma anche di pra­ti­che. Il pen­sie­ro dell’Autonomia ha inva­so, in alcu­ni momen­ti, anche il pro­gram­ma di Rifon­da­zio­ne Comu­ni­sta o di orga­niz­za­zio­ni mar­xi­ste-leni­ni­ste, a par­ti­re dall’idea che la clas­se e i pro­le­ta­ri si dotas­se­ro di una pro­pria orga­niz­za­zio­ne auto­no­ma. Que­sta autor­ga­niz­za­zio­ne può esse­re fat­to­re pro­dut­ti­vo e orga­niz­za­ti­vo del­le risor­se pub­bli­che, facen­do diven­ta­re comu­ne l’eredità del pen­sie­ro ope­rai­sta e auto­no­mo. Biso­gne­reb­be ragio­na­re al di là del­la pro­pria sog­get­ti­vi­tà per rag­giun­ge­re que­sto obiettivo.

I cen­tri socia­li potreb­be­ro svol­ge­re nuo­va­men­te una fun­zio­ne pro­pul­si­va per il con­flit­to socia­le?
Quel­li che ci sono svol­go­no un ruo­lo lode­vo­le, anche se non so dire quan­to tra­man­di­no la pra­ti­ca di lot­ta. Sicu­ra­men­te, la pro­li­fe­ra­zio­ne di espe­rien­ze che c’è sta­ta in que­sti anni è diven­ta­ta forie­ra di iso­le del­la rete del con­flit­to. Tut­ta­via, è neces­sa­rio non sta­re fer­mi nei luo­ghi. Offi­ci­na 99 ci ser­vi­va dal pun­to di vista logi­sti­co, per l’organizzazione del­la nostra area poli­ti­co-cul­tu­ra­le, per l’autofinanziamento. Era lo stru­men­to, non il fine. Per noi, era uno spa­zio in cui si orga­niz­za­va la lot­ta e il tem­po libe­ro e libe­ra­to dal lavo­ro, dal fami­li­smo, dal­lo Sta­to, dal capi­ta­le. Non era un luo­go in cui trin­ce­rar­si. Biso­gna lot­ta­re anco­ra tan­to per pre­ser­var­ne l’idea, la memo­ria sto­ri­ca, la fun­zio­ne socia­le per non sca­de­re in logi­che alie­na­te e alie­nan­ti.
©Ripro­du­zio­ne riservata


NOTE

[1] Docu­men­to sti­la­to dall’assemblea nazio­na­le dei cen­tri socia­li riu­ni­ta­si nel Set­tem­bre del 1998 al Cen­tro socia­le “Leon­ca­val­lo” di Mila­no. Per appro­fon­di­re, si riman­da al seguen­te link: http://www.ecn.org/leoncavallo/26set98/

[2] Per una pri­ma infa­ri­na­tu­ra su que­sto movi­men­to, con­sul­ta il link: http://www.alloradillo.it/le-tute-bianche/

“Primi fuochi di guerriglia”

“Primi fuochi di guerriglia”

di Lan­fran­co Cami­ni­ti - uno stral­cio dal volu­me X “L’au­to­no­mia ope­ra­ia meridionale”

Ci resta­va l’interrogativo su «qua­le pro­ces­so» andas­se costrui­to – non fum­mo in gra­do di rispondere. 

Le uni­che, prov­vi­so­rie, for­me orga­niz­za­te al Sud dell’Autonomia meri­dio­na­le furo­no l’assemblea cala­bre­se dell’autunno del 1976 a Cosen­za e l’assemblea meri­dio­na­le del gen­na­io 1978 a Paler­mo, dove c’erano vera­men­te tut­ti. Soprat­tut­to, le uni­che sta­bi­li for­me di orga­niz­za­zio­ne al Sud era­no una miria­de di strut­tu­re poli­ti­che sul ter­ri­to­rio – cir­co­li, asso­cia­zio­ni, comi­ta­ti, grup­pi di ami­ci, o lega­mi tri­ba­li tra vec­chi compagni. 

Pen­sa­va­mo che il nostro com­pi­to fos­se quel­lo di intes­se­re la tra­ma di que­sto ordi­to: per­si­no all’assemblea nazio­na­le di Bolo­gna, del set­tem­bre 1977, dove Fio­ra inter­ven­ne per il Sud, con­vo­cam­mo tut­ti i com­pa­gni meri­dio­na­li pre­sen­ti a veder­ci in una sede «sepa­ra­ta», e que­sto facem­mo, all’università in un’aula a semicerchio. 

Il Sud è una cosa «a par­te» e l’Autonomia meri­dio­na­le è una cosa «a par­te»: vede­te di capirlo. 

Tut­to quel­lo che noi face­va­mo, Fio­ra, io e gli altri, era anda­re su e giù per il Sud – la sta­ta­le Joni­ca 106, la Basen­ta­na, la Tir­re­ni­ca, l’Autostrada del sole, con un vec­chio scas­so­ne Anglia a die­sel che schiat­tò, come un fede­le caval­lo che ave­va sem­pre lavo­ra­to sen­za mai lamen­tar­si, in un qual­che rac­cor­do di auto­stra­da; e poi, con una mera­vi­glio­sa DS Pal­las Citroen, a gas, ver­de bril­lan­te con il tet­tuc­cio ava­na, la più bel­la auto che io abbia mai avu­to, che sfra­cas­sai andan­do da Cosen­za ver­so Reg­gio Cala­bria all’altezza di Sant’Elia sul­la stra­da ghiac­cia­ta, ribal­tan­do­mi più vol­te e uscen­do­ne car­po­ni, men­tre sta­va a pan­cia in su con le ruo­te all’aria come un qua­lun­que sca­ra­fag­gio, indenne. 

Ero indi­strut­ti­bi­le. E comun­que non era nien­te male muo­ver­si tra una riu­nio­ne e l’altra sul­la costie­ra amal­fi­ta­na o scen­de­re al tra­mon­to tra Mara­tea e Dia­man­te o incon­trar­si di not­te alle luci di quel mostro di Bagno­li visto da Baco­li, non era nien­te male fer­mar­si nel­le trat­to­rie dei Quar­tie­ri spa­gno­li a discu­te­re di comu­ni­smo e pol­po e sal­sic­ce coi fria­riel­li oppu­re pren­de­re fred­do e acqua sul­la Basen­ta­na per stam­pa­re l’infinito nume­ro zero ma, dopo, azzan­na­re le sal­sic­ce luca­ne di cinghiale.

Foto recu­pe­ra­ta dal web – aspet­tia­mo mag­gio­ri info e dettagli

Sull’Autonomia operaia meridionale – Intervista a Francesco Festa

Sull’Autonomia operaia meridionale – Intervista a Francesco Festa

Trat­to da Infout.org – 27 gen­na­io 2022

Abbia­mo inter­vi­sta­to Fran­ce­sco Festa che ha cura­to insie­me ad Anto­nio Bove il lavo­ro di ricer­ca sul­la sto­ria, sui pro­ta­go­ni­sti e sul­le for­me dell’Autonomia meri­dio­na­le, oggi esce il pri­mo volu­me dei tre edi­to da Deri­ve e Approdi.

È un lavo­ro a cui abbia­mo dedi­ca­to gli ulti­mi due anni ma è pen­sa­to già dagli ini­zi degli anni 2000 quan­do mili­ta­va­mo a Officina99 e riflet­te­va­mo su che cosa fos­se l’autonomia che ci era sta­ta tra­smes­sa, sia in ter­mi­ni teo­ri­ci che pra­ti­ci, sia nel­le lot­te ma anche nel­la tra­du­zio­ne, di gene­ra­zio­ne in gene­ra­zio­ne, fino a noi gio­va­ni dell’epoca.

Ci è sta­ta data l’opportunità da Deri­ve e Appro­di di inda­ga­re che cosa sia sta­ta l’Autonomia meri­dio­na­le nel­le sue diver­se acce­zio­ni: in que­sto pri­mo volu­me par­lia­mo di auto­no­mia ope­ra­ia meri­dio­na­le per­ché ci con­cen­tria­mo su Napo­li, il secon­do sarà sul­la Cam­pa­nia e il ter­zo sul Mez­zo­gior­no, dun­que Puglia, Basi­li­ca­ta, Cala­bria e Sici­lia. Ho distin­to auto­no­mia ope­ra­ia meri­dio­na­le da altri tipi di acce­zio­ne, per­ché ad esem­pio in Cala­bria si chia­ma­va Auto­no­mia pro­le­ta­ria, oppu­re Auto­no­mia meri­dio­na­le, e que­sto è lega­to alla com­po­si­zio­ne di clas­se e ai rap­por­ti socia­li di produzione. 

Se l’Autonomia ope­ra­ia così come l’abbiamo cono­sciu­ta, let­ta e ci è sta­ta tra­smes­sa dai più vec­chi, ha vis­su­to al di fuo­ri del­le fab­bri­che così come a Mira­fio­ri, Mila­no, Mar­ghe­ra, nel Mez­zo­gior­no non è sta­to così, pro­prio per­ché gli inse­dia­men­ti indu­stria­li non sono sta­ti così for­ti, quin­di c’è sta­to un altro tipo di tra­du­zio­ne dell’Autonomia all’interno di ciò che è sta­to poi defi­ni­to, a metà degli anni 70, l’operaio socia­le. Quin­di, in par­ti­co­la­re a Napo­li, il pro­le­ta­rio e il sot­to­pro­le­ta­rio urba­no metro­po­li­ta­no, quel­lo che si arrab­bat­ta­va tra­mi­te i mil­le lavo­ret­ti, così come veni­va ica­sti­ca­men­te raf­fi­gu­ra­to dal­la let­te­ra­tu­ra bor­ghe­se, era a tut­ti gli effet­ti un pro­dut­to­re di valo­re, di mer­ci ed era inse­ri­to nei cicli pro­dut­ti­vi del­la metro­po­li. L’Autonomia all’interno di uno spa­zio metro­po­li­ta­no come Napo­li è sta­ta soprat­tut­to que­sto tipo di com­po­si­zio­ne di clas­se, vi inse­ria­mo l’autorganizzazione dei con­trab­ban­die­ri, l’autorganizzazione dei disoc­cu­pa­ti, così come è sta­ta l’organizzazione all’interno di pic­co­li e gran­di nuclei indu­stria­li dove era­no pre­sen­ti com­pa­gni e com­pa­gne affe­ren­ti a orga­niz­za­zio­ni auto­no­me, come Bagno­li dove c’era l’Ital Sider o a Pomi­glia­no con l’Alfa Sud che era­no gros­se fab­bri­che, c’era que­sto tipo di com­po­si­zio­ne oltre a una com­po­si­zio­ne di clas­se affe­ri­bi­le a quel­lo che è sta­to chia­ma­to l’operaio sociale. 

Se aves­si­mo volu­to par­la­re dell’Autonomia ope­ra­ia orga­niz­za­ta avrem­mo dovu­to restrin­ge­re il cam­po a pochi nuclei orga­niz­za­ti all’interno del Mez­zo­gior­no, a Napo­li, qual­co­sa in Sici­lia e in Puglia. Il tut­to si sareb­be risol­to così, inve­ce il meto­do di lavo­ro da cui sia­mo par­ti­ti è sta­ta una con­si­de­ra­zio­ne di Lan­fran­co Cami­ni­ti fat­ta in un pez­zo sull’Autonomia meri­dio­na­le, nell’Orda D’oro, dice­va che gli auto­no­mi nel Mez­zo­gior­no esi­sto­no ed esi­ste­va­no al di là dell’Autonomia, quin­di sia­mo anda­ti alla ricer­ca di un filo ros­so che inda­gas­se su que­sto tipo di con­dot­te, di for­ma men­tis, di com­por­ta­men­ti, quin­di se l’Autonomia ope­ra­ia che abbia­mo cono­sciu­to è quel­la del rifiu­to del lavo­ro, del rifiu­to dell’egemonia cul­tu­ra­le bor­ghe­se lega­ta all’idea del lavo­ro, nel Mez­zo­gior­no non è sta­ta solo la libe­ra­zio­ne dal lavo­ro ma è sta­ta anche la libe­ra­zio­ne da alcu­ni gio­ghi lega­ti al fami­li­smo, alla con­di­zio­ne fem­mi­ni­le, alla pre­sen­za del bloc­co sto­ri­co del­la DC, nell’entroterra soprat­tut­to, in regio­ni come Basi­li­ca­ta, Cala­bria, il gio­go for­te del con­nu­bio poli­ti­co-cri­mi­na­le tra la poli­ti­ca e le orga­niz­za­zio­ni mala­vi­to­se, è que­sto il filo­ros­so, il rifiu­to dell’egemonia capi­ta­li­sti­ca nel Mezzogiorno.

Qua­li spe­ci­fi­ci­tà pos­sia­mo indi­vi­dua­re nell’Autonomia meri­dio­na­le, oltre alla com­po­si­zio­ne?  Qua­li even­ti salien­ti ne han­no deter­mi­na­to il per­cor­so? E dato que­sto sguar­do par­ti­co­la­re nel ritrac­cia­re que­sta sto­ria, qua­li sono sta­te le fon­ti da voi utilizzate? 

Par­tia­mo dal­le fon­ti. Per il pri­mo volu­me sono sta­te un po’ di let­te­ra­tu­ra e di sto­rio­gra­fia del­le lot­te socia­li e poli­ti­che a Napo­li e nel Mez­zo­gior­no, sia di par­te, quin­di scrit­te dal­le orga­niz­za­zio­ni del­la sini­stra rivo­lu­zio­na­ria, sia acca­de­mi­che clas­si­che. Poi, il mate­ria­le auto­pro­dot­to dal­le real­tà del­la sini­stra rivo­lu­zio­na­ria e infi­ne le fon­ti ora­li. Quel­la prin­ci­pa­le sono sta­te le fon­ti ora­li, infat­ti in que­sti tre volu­mi la cosa impor­tan­te e indi­spen­sa­bi­le è che si è par­la­to di quel­la che vie­ne chia­ma­ta sto­ria mino­re, la sto­ria nor­mal­men­te è quel­la che vie­ne fat­ta dai gros­si nomi secon­do una meto­do­lo­gia sto­ri­ci­sta per cui la sto­ria vie­ne fat­ta dai con­dot­tie­ri, dai vin­ci­to­ri, men­tre noi abbia­mo dato voce a sto­rie dal bas­so, a com­pa­gni e com­pa­gne che anco­ra oggi stan­no sul­le bar­ri­ca­te e la loro mili­tan­za è nata negli anni 70, com­pa­gni e com­pa­gne che non avreb­be­ro avu­to paro­la e le sto­rie stes­se sareb­be­ro cadu­te nell’oblio.

Quel­la per esem­pio di Casi­mi­ro Lon­ga­ret­ti di Nova Siri, uno degli orga­niz­za­to­ri dei due cam­peg­gi di lot­ta anti­nu­clea­ri del 78 e del 79, fat­ti vici­no alla tri­sa­ia di Roton­del­la, il cen­tro di stoc­cag­gio del nuclea­re, sono momen­ti impor­tan­ti all’interno del­la sta­gio­ne di lot­te anti­nu­clea­ri e ambien­ta­li­ste, in segui­to è nato il coor­di­na­men­to anti anti cono­sciu­to negli anni 80 e che ha fat­to vive­re l’Autonomia al di là del­la repres­sio­ne e dei com­pa­gni in car­ce­re. Casi­mi­ro si è poli­ti­ciz­za­to in quei gior­ni là, non era ini­zial­men­te un mili­tan­te dell’organizzazione. Abbia­mo par­la­to poi di Basi­li­ca­ta, in par­ti­co­la­re di una cit­tà come Poten­za, soli­ta­men­te son­nac­chio­sa, per anni gover­na­ta dal­la DC e ora dal­la Lega, dove fra gli anni 70 e 80 ven­ne­ro occu­pa­te 20mila case. Que­ste sto­rie se non le aves­si­mo rac­col­te in que­sti volu­mi sareb­be­ro cadu­te nell’oblio.

Quin­di ecco la cosa straor­di­na­ria, abbia­mo fat­to par­la­re pri­ma dell’Autonomia gli auto­no­mi. Nel libro sul­la Cala­bria si par­la anche del­le rivol­te di Reg­gio, da un pun­to di vista di ter­mi­ni tem­po­ra­li sia­mo par­ti­ti dal 69, poi abbia­mo appro­fon­di­to le rivol­te di Reg­gio che soli­ta­men­te si pen­sa­no attra­ver­sa­te dai fasci­sti, ma quel­la rivol­ta, dura­ta un inte­ro anno, non era solo que­sto. Ini­zial­men­te era sem­bra­ta una lot­ta pro­vin­cia­le, qua­si cor­po­ra­ti­va, di una cit­tà che si ribel­la­va con­tro una dispo­si­zio­ne gover­na­ti­va che pre­ve­de­va di spo­sta­re il capo­luo­go di regio­ne a Catan­za­ro, si è rico­strui­ta anche la sto­ria dell’antimafia ad Afri­co dove Pala­ma­ra, che si è poi dovu­to tra­sfe­ri­re a Roma con tut­ta la fami­glia nei pri­mi anni 70, non fece anti­ma­fia paci­fi­ca ma impu­gnò le armi dinan­zi ai sopru­si, davan­ti alle pri­me for­me di ‘ndri­ne, che si anda­va­no orga­niz­zan­do­si, e in quell’occasione fu fat­ta anche una mani­fe­sta­zio­ne nazio­na­le di sostegno. 

In Sici­lia inve­ce si darà voce a un com­pa­gno di Pep­pi­no Impa­sta­to, un com­pa­gno all’interno di radio Aut, poi elet­to in Demo­cra­zia Pro­le­ta­ria con Pep­pi­no, che par­la non solo di quel­lo che si cono­sce ma anche dei rap­por­ti di for­za, qual’era la vita svol­ta all’interno dei pae­si­ni del­la Sici­lia. Tut­to que­sto, a nostro pare­re, si inqua­dra nei ten­ta­ti­vi di dare una for­ma di orga­niz­za­zio­ne all’autonomia al sud. Ci furo­no anche due assem­blee for­ti, una a Cosen­za e una a Paler­mo dell’Autonomia meri­dio­na­le, l’organizzazione è sta­ta quel­la di Lan­fran­co Cami­ni­ti e Fio­ra Pir­ri, che non furo­no solo un ten­ta­ti­vo di dare una bre­ve vita a una for­ma di orga­niz­za­zio­ne, ma una spin­ta in temi­ni di gesti esem­pla­ri, di for­me. Dopo il 7 apri­le, tra gli arre­sti e le per­qui­si­zio­ni, ven­ne per­qui­si­ta anche l’università di Cosen­za con i mili­ta­ri di Dal­la Chie­sa che la mise­ro a soq­qua­dro, anche que­sto vie­ne rac­con­ta­to nel­la trilogia.

Qua­li spun­ti pos­sia­mo trar­re da que­sti volu­mi per l’oggi, sia sul pia­no dell’agire che sull’analisi di fase?

Sono libri di sto­ria, di memo­ria, uno degli spun­ti è quel­lo di sta­re all’interno di com­po­si­zio­ni spu­rie così come quel­le che ha vis­su­to Napo­li e il Mez­zo­gior­no. C’è un pez­zo di Alfon­so Natel­la, il pro­ta­go­ni­sta di Voglia­mo Tut­to che par­la anche di Tori­no e rico­strui­sce la vita a Tori­no e la sua espe­rien­za, poi c’è un pez­zo teo­ri­co Dimen­ti­ca­re il Sud, uno di Fran­ce­sco Caru­so su il Sud Ribel­le, uno di Giso Amen­do­la su Svi­lup­po e Sot­to­svi­lup­po, una con­ver­sa­zio­ne tra Clau­dio Dio­ne­sal­vi e Fran­co Piper­no e poi Lan­fran­co Caminiti. 

Tre quar­ti del volu­me riguar­da il pez­zo su Napo­li che si chia­ma, in dia­let­to O Gliom­me­ro, “Il gro­vi­glio”, ossia il fer­ti­le gro­vi­glio dell’Autonomia napo­le­ta­na, per­chè si trat­ta di un miscu­glio, di una com­po­si­zio­ne socia­le spu­ria. Non avre­mo mai a che fare con com­po­si­zio­ni che sul­la car­ta sono quel­le per cui i rap­por­ti di pro­du­zio­ne rie­sco­no ad ave­re un deter­mi­na­to inter­ven­to e poi poli­ti­ciz­zan­do­si diven­ta­re clas­se per sé, ma l’importante è sta­re den­tro quel tipo di com­po­si­zio­ne, con le sue con­trad­di­zio­ni e le sue ambi­va­len­ze, cer­can­do di for­za­re degli ele­men­ti auto­no­mi e di autor­ga­niz­za­zio­ne, que­sto è l’insegnamento.

L’Autonomia oltre ad esse­re una cate­go­ria sto­ri­ca è anche una cate­go­ria per­so­na­le ed è da que­sto che sia­mo par­ti­ti, da un pun­to di vista di inda­gi­ne su qua­li potes­se­ro esse­re i fram­men­ti di Auto­no­mia non nei cen­tri metro­po­li­ta­ni ma nell’entroterra, cosa ben diver­sa. L’insegnamento è que­sto, da una par­te la com­po­si­zio­ne di clas­se è sem­pre spu­ria e in secon­do luo­go biso­gna lavo­ra­re come una tal­pa, anche nei perio­di di reflus­so, di paci­fi­ca­zio­ne, di repres­sio­ne come potreb­be­ro sem­bra­re que­sti, in cui tut­ti sono alli­nea­ti in un qua­dro reco­sti­tui­to, ma ci sono dei fer­men­ti su cui lavo­ra­re, soprat­tut­to in com­po­si­zio­ni spu­rie, ad esem­pio a Napo­li, ci sono espe­rien­ze di sin­da­ca­liz­za­zio­ne dal bas­so che sono mol­to inte­res­san­ti, che potreb­be­ro somi­glia­re alle lot­te di quel­li che negli anni 70 face­va­no i mil­le lavo­ret­ti o dei disoc­cu­pa­ti orga­niz­za­ti, la riven­di­ca­zio­ne era il lavo­ro ma un lavo­ro che non era carat­te­riz­za­to da un’idea lavo­ri­sta, per­chè se la pen­sia­mo in que­sti ter­mi­ni è ovvio che quel­la non è una lot­ta ricon­du­ci­bi­le all’Autonomia ope­ra­ia, non era rifiu­to del lavo­ro ma era lot­ta per il lavo­ro nei ter­mi­ni di lot­ta per il sala­rio, per il red­di­to, non di dele­ga o di chie­de­re ele­mo­si­na alla DC o a qual­che padron­ci­no, al galan­tuo­mo come dice­va Verga. 

Si par­le­rà anche del­la Pan­te­ra, i volu­mi arri­va­no infat­ti al 93 – 94, fino al scio­gli­men­to di anti anti, negli anni 80 i com­pa­gni non sono sta­ti con le brac­cia con­ser­te, ci sono sta­ti cam­peg­gi di lot­ta, le lot­te anti­nu­clea­ri, le lot­te del coor­di­na­men­to, quel­lo è sta­to un lavo­rio che poi ha por­ta­to a feno­me­ni che all’occasione sono esplosi. 

Con­clu­dia­mo cosi la pre­fa­zio­ne: “L’Autonomia esi­ste anche sen­za auto­no­mi – scri­ve­va Lan­fran­co Cami­ni­ti – sta a noi incon­trar­la, pro­prio come all’inizio degli anni 60 i pri­mi ope­rai fece­ro al cospet­to del migran­te meri­dio­na­le e del­la rude raz­za paga­na, poten­do affer­ma­re, davan­ti alle rivol­te di Piaz­za Sta­tu­to, non ce l’aspettavamo ma le abbia­mo orga­niz­za­te.” Se si ha que­sta ten­sio­ne ci sono buo­ne speranze.

Contrabbandieri

Contrabbandieri

Pub­bli­chia­mo un estrat­to da Gli auto­no­mi. L’Autonomia ope­ra­ia meri­dio­na­le. Par­te pri­ma. vol. X 

Il film I con­trab­ban­die­ri di San­ta Lucia[1], inter­pre­ta­to da uno stra­ri­pan­te Mario Mero­la è un B‑movie di cul­to e uno dei più noti fra quel­li dedi­ca­ti al con­trab­ban­do di siga­ret­te. Nel­lo sti­le a metà tra la clas­si­ca sce­neg­gia­ta e il «poli­ziot­te­sco» in voga in que­gli anni, la pel­li­co­la trat­ta il tema del con­flit­to fra la guap­pa­ria sto­ri­ca del­la cit­tà e le nuo­ve mafie. Pur nei suoi trat­ti oleo­gra­fi­ci il film esce in un perio­do di tra­sfor­ma­zio­ne pro­fon­da del­la mala­vi­ta orga­niz­za­ta napo­le­ta­na, di pari pas­so con la gran­de ristrut­tu­ra­zio­ne del capi­ta­li­smo inter­na­zio­na­le del qua­le la vicen­da del con­trab­ban­do è una chia­ve di let­tu­ra mol­to inte­res­san­te. Il con­trab­ban­do è l’attività, fra quel­le che han­no sto­ri­ca­men­te impe­gna­to il pro­le­ta­ria­to napo­le­ta­no, che più di tut­te ha fini­to per costi­tui­re un ele­men­to ico­no­gra­fi­co. Vera e pro­pria «indu­stria» som­mer­sa, ha costi­tui­to un ele­men­to cen­tra­le dell’economia del­la cit­tà, tal­men­te radi­ca­to da dive­ni­re anche uno stig­ma, qua­si un para­dig­ma del carat­te­re dei napo­le­ta­ni che, pur di non lavo­ra­re in manie­ra «rego­la­re» si sareb­be­ro inven­ta­ti que­sta fro­de alle cas­se del­lo Stato. 

Nel­la rico­stru­zio­ne di par­te bor­ghe­se, inol­tre, si sovrap­po­ne qua­si sem­pre que­sta atti­vi­tà a quel­la del­la camor­ra, ope­ran­do una for­za­tu­ra che a un’attenta rilet­tu­ra sto­ri­ca mostra chia­ra­men­te il suo carat­te­re par­zia­le. Il ruo­lo del­la camor­ra, infat­ti, va let­to den­tro il pro­gres­si­vo tra­sfor­mar­si dell’economia gene­ra­le che ovvia­men­te deter­mi­na anche un cam­bio di pas­so nel­la strut­tu­ra e nei meto­di del­la mala­vi­ta ma non rias­su­me l’intera vicen­da che è mol­to più com­ples­sa di quel­la che si pre­ten­de di rap­pre­sen­ta­re attra­ver­so la reto­ri­ca del­la lega­li­tà, para­ven­to die­tro cui si nascon­de la mate­ria­li­tà di que­sto feno­me­no, la sua fun­zio­ne nell’economia del pro­le­ta­ria­to urba­no e anche i pro­ces­si di poli­ti­ciz­za­zio­ne che al suo inter­no sono avvenuti. 

Per com­pren­de­re a fon­do la sto­ria del con­trab­ban­do e il suo ruo­lo all’interno dell’economia e del­la vita socia­le, poli­ti­ca e cul­tu­ra­le di Napo­li occor­re guar­da­re all’industrializzazione «mon­ca» rispet­to alle pro­mes­se di un cer­to meri­dio­na­li­smo che per decen­ni ha inse­gui­to il mito del­lo svi­lup­po ma non ha mai tra­sfor­ma­to Napo­li in una vera cit­tà indu­stria­le[2], inne­scan­do tra­sfor­ma­zio­ni del­la strut­tu­ra urba­na e di quel­la socia­le sen­za mai toc­ca­re le con­trad­di­zio­ni socia­li e anzi, sot­to­li­nean­do­ne i carat­te­ri più controversi. 

È que­sta la chia­ve di let­tu­ra attra­ver­so cui leg­ge­re la tra­sfor­ma­zio­ne del­la camor­ra napo­le­ta­na, da feno­me­no mala­vi­to­so loca­le a ele­men­to di pri­mo pia­no dell’economia, al cen­tro di rela­zio­ni inter­na­zio­na­li e lega­mi poli­ti­ci e impren­di­to­ria­li, pro­prio a par­ti­re dall’inizio degli anni Set­tan­ta, in con­co­mi­tan­za con il decli­no del­le poli­ti­che di svi­lup­po del sud e del­lo stan­zia­men­to di fon­di pub­bli­ci. All’interno di que­sto pro­ces­so che solo for­mal­men­te, o nel­le pie inten­zio­ni dei meri­dio­na­li­sti più one­sti, pote­va costi­tui­re un ele­men­to di riscat­to per la cit­tà, una gran­de par­te del­la popo­la­zio­ne cit­ta­di­na, da quei pro­ces­si espul­sa o da essi mai inte­res­sa­ta, ha costrui­to una pro­pria strut­tu­ra eco­no­mi­ca di cui il con­trab­ban­do è sta­to l’elemento sicu­ra­men­te più impor­tan­te, arri­van­do a fat­tu­ra­re miglia­ia di miliar­di di lire. I libri con­ta­bi­li del ras Miche­le Zaza, seque­stra­ti in un’operazione di poli­zia, sve­la­no l’entità degli affa­ri ammon­tan­ti nel ’77 a cir­ca 5000 ton­nel­la­te annue, per un fat­tu­ra­to di cir­ca 150 miliar­di di lire, una strut­tu­ra di tipo indu­stria­le che arri­va­va a con­ta­re fino a 50.000 «impie­ga­ti»[3].

Sono, que­sti, i nume­ri di un’impresa al cul­mi­ne del suo perio­do d’oro, fio­ri­to tra il ’73 e il ’74, quan­do l’attività per­de defi­ni­ti­va­men­te il carat­te­re ori­gi­na­rio, cre­scen­do fino a diven­ta­re «la Fiat di Napo­li» e arri­van­do a supe­ra­re il volu­me di ven­di­te del Mono­po­lio di Stato.

Ini­zia­to nel Dopo­guer­ra, con la pre­sen­za del­le trup­pe ame­ri­ca­ne in cit­tà, in quar­tie­ri del­la zona orien­ta­le con una for­te pre­sen­za ope­ra­ia come S. Gio­van­ni a Teduc­cio e Bar­ra, il con­trab­ban­do non era in ori­gi­ne un’attività di esclu­si­vo appan­nag­gio del­la cri­mi­na­li­tà orga­niz­za­ta, come spes­so vie­ne rac­con­ta­to e l’identificazione tout court con quel mon­do è una nar­ra­zio­ne del­le clas­si domi­nan­ti[4].

Negli anni Ses­san­ta Napo­li assun­se un ruo­lo cen­tra­le in que­sta atti­vi­tà, gra­zie alla sua posi­zio­ne nel Medi­ter­ra­neo, resa cru­cia­le dal­la chiu­su­ra del por­to fran­co di Tan­ge­ri e lo spo­sta­men­to dei depo­si­ti di siga­ret­te sul­le coste del­la Jugo­sla­via e dell’Albania o in ter­ri­to­ri «neu­tra­li» come la Gre­cia e la Tur­chia, dove il com­mer­cio dipen­de­va da con­trat­ta­zio­ni dele­ga­te a inter­me­dia­ri in con­tat­to con le mul­ti­na­zio­na­li. La pre­sen­za di capi­ma­fia sici­lia­ni in domi­ci­lio coat­to a Napo­li all’inizio degli anni Set­tan­ta pro­dur­rà una meta­mor­fo­si del­la vec­chia mala­vi­ta loca­le, con la qua­le alcu­ni capi camor­ra già impe­gna­ti nel set­to­re ver­ran­no affi­lia­ti a Cosa Nostra, avvian­do un pro­ces­so di evo­lu­zio­ne del­la «vec­chia camor­ra». È pro­prio gra­zie a que­sto pas­sag­gio che il con­trab­ban­do pas­sa a un model­lo impren­di­to­ria­le mafio­so, incre­di­bil­men­te più red­di­ti­zio e fero­ce di cui negli anni Set­tan­ta le orga­niz­za­zio­ni cri­mi­na­li loca­li assu­mo­no il con­trol­lo tota­le, tra­sfor­man­do­lo in un’industria sul­la cui strut­tu­ra si svi­lup­pe­rà il busi­ness del narcotraffico. 

In que­sta tra­sfor­ma­zio­ne è leg­gi­bi­le anche la meta­mor­fo­si del­la figu­ra del con­trab­ban­die­re che da «lavo­ra­to­re auto­no­mo» diven­ta dipen­den­te dei grup­pi cri­mi­na­li che inve­sto­no nell’acquisto del­la mer­ce all’ingrosso, distri­buen­do­la poi a strut­tu­re coo­pe­ra­ti­ve costi­tui­te da grup­pi di pro­prie­ta­ri asso­cia­ti dei moto­sca­fi, sca­fi­sti «pro­fes­sio­ni­sti», cele­bra­ti da can­zo­ni e pel­li­co­le cine­ma­to­gra­fi­che per gli epi­ci inse­gui­men­ti con la Guar­dia di Finan­za attra­ver­so il Gol­fo, capi paran­za che median­te un wal­kie tal­kie diri­go­no le ope­ra­zio­ni di sbar­co da ter­ra dove mari­nai addet­ti allo sca­ri­co del­la mer­ce prov­ve­do­no al tra­spor­to in luo­ghi sicu­ri e suc­ces­si­va­men­te alla distri­bu­zio­ne a una rete di com­mer­cian­ti al det­ta­glio, dei qua­li è un’icona Sofia Loren nei pan­ni di Ade­li­na in Ieri, oggi e doma­ni[5].

Il boom del con­trab­ban­do si veri­fi­ca fra il 1970 e il 1973, quan­do un eser­ci­to di mano­do­pe­ra tro­va in que­sta atti­vi­tà la pro­pria fon­te di sosten­ta­men­to e pro­prio le azio­ni di con­tra­sto del­le isti­tu­zio­ni, in real­tà, in assen­za di poli­ti­che eco­no­mi­che e socia­li in gra­do di inter­ve­ni­re sul­la dif­fi­ci­le situa­zio­ne socia­le napo­le­ta­na, for­ni­sco­no un note­vo­le impul­so allo svi­lup­po di for­me nuo­ve di orga­niz­za­zio­ne del feno­me­no ope­ra­te dal­la camor­ra. A tale pro­po­si­to è uti­le con­si­de­ra­re quel­lo che acca­de con la Leg­ge 359 del 14 ago­sto ’74, quan­do si esten­de la ter­ri­to­ria­li­tà da sei a dodi­ci miglia dal­la costa. Pri­ma di que­sta leg­ge le navi che tra­spor­ta­va­no le siga­ret­te pote­va­no arri­va­re, nel­le acque inter­na­zio­na­li, a una distan­za che per­met­te­va anche a grup­pi di pro­le­ta­ri autor­ga­niz­za­ti di rag­giun­ger­le con pic­co­le imbar­ca­zio­ni. Con la Leg­ge 359 cam­bia tut­to, sono ben altri gli sca­fi neces­sa­ri a rag­giun­ge­re i cari­chi al lar­go e solo i mafio­si pos­so­no inve­sti­re tan­to, così quel com­mer­cio diven­ta un affa­re mono­po­liz­za­to dai clan marsigliesi. 

La vera svol­ta, la ristrut­tu­ra­zio­ne capi­ta­li­sta del con­trab­ban­do è que­sta. L’attività si incre­men­ta, negli anni suc­ces­si­vi, in segui­to all’allentamento del­la pres­sio­ne poli­zie­sca, soste­nu­ta dal­la Leg­ge 724 del 1975 che depe­na­liz­za l’attività, una rispo­sta del­lo Sta­to alle lot­te socia­li che pun­ta­va a con­sen­ti­re uno sfo­go alla rab­bia popo­la­re, in man­can­za di inve­sti­men­ti nel wel­fa­re. Anche Valen­zi, sin­da­co del Pci, si espres­se pub­bli­ca­men­te per un allen­ta­men­to del­la pres­sio­ne del­le for­ze dell’ordine. Dopo il 1975, in con­co­mi­tan­za con la cre­sci­ta del pote­re del­le orga­niz­za­zio­ni cri­mi­na­li si sca­te­na una guer­ra fra i clan mar­si­glie­si e la mafia sici­lia­na per il con­trol­lo di que­sto ric­co set­to­re com­mer­cia­le che va incon­tro a una ristrut­tu­ra­zio­ne den­tro la qua­le si inse­ri­sce il fio­ren­te mer­ca­to degli stu­pe­fa­cen­ti che comin­cia a pren­de­re spa­zio uti­liz­zan­do pro­prio i cana­li distri­bu­ti­vi del­la rete del con­trab­ban­do. Dal 1979 la pres­sio­ne del­la Poli­zia rico­min­cia a diven­ta­re alta e solo le orga­niz­za­zio­ni camor­ri­sti­che, che dispon­go­no di capi­ta­li e mez­zi pos­so­no affron­ta­re quel­la guer­ra con lo Sta­to che i pic­co­li con­trab­ban­die­ri non pos­so­no soste­ne­re[6]. In quel perio­do la cit­tà vie­ne inve­sti­ta dai pri­mi scon­tri del­la guer­ra fra la camor­ra urba­na e quel­la lega­ta a Raf­fae­le Cuto­lo che pro­va a mono­po­liz­za­re il set­to­re impo­nen­do ai con­trab­ban­die­ri una «tas­sa» sul fatturato. 

I pro­le­ta­ri fino ad allo­ra impe­gna­ti nell’attività si tro­va­no quin­di sospe­si fra lo Sta­to e la mala­vi­ta che da spon­de appa­ren­te­men­te oppo­ste richie­do­no sot­to­mis­sio­ne, disci­pli­na ed estra­zio­ne di plu­sva­lo­re. In que­sta mor­sa fra la repres­sio­ne sta­ta­le e l’espansione del­la mala­vi­ta orga­niz­za­ta nasco­no, dall’incontro con alcu­ni mili­tan­ti poli­ti­ci atti­vi nei quar­tie­ri popo­la­ri del­la cit­tà, for­me di sog­get­ti­va­zio­ne che pro­va­ro­no a sot­trar­si al bino­mio Stato/​camorra, come il Col­let­ti­vo auto­no­mo con­trab­ban­die­ri, nato a For­cel­la nel 1974, che annun­cia una del­le sue pri­me usci­te pub­bli­che all’Università Fede­ri­co II, con un volan­ti­no su cui si scrive:

Il con­trab­ban­do a Napo­li per­met­te a 50.000 fami­glie di soprav­vi­ve­re a sten­to. Da poco meno di un anno, oltre a chiu­de­re i posti di lavo­ro, lo Sta­to e la Finan­za han­no dichia­ra­to guer­ra al con­trab­ban­do. Ci spa­ra­no addos­so quan­do uscia­mo con i moto­sca­fi blu. Il con­trab­ban­do non si toc­ca! Fino a quan­do non ci daran­no un altro mez­zo per vive­re. Dob­bia­mo orga­niz­zar­ci ed esse­re uni­ti per difen­de­re il nostro dirit­to alla vita. Riu­nio­ne di tut­ti i con­trab­ban­die­ri napo­le­ta­ni. Gio­ve­dì 15 alle ore 10 davan­ti all’Università di Scien­ze di via Mez­zo­can­no­ne 16 di fron­te al Cine­ma Astra. Col­let­ti­vo auto­no­mo con­trab­ban­die­ri[7].

Il col­let­ti­vo lo fon­da­ro­no alcu­ni com­pa­gni del Vome­ro che face­va­no i con­trab­ban­die­ri. In quel perio­do era­no mol­ti i comu­ni­sti napo­le­ta­ni che vive­va­no da «ille­ga­li» e quel­la espe­rien­za, quin­di, non nac­que da «avan­guar­die ester­ne» ma all’interno del loro mon­do. Tra il ’72 e il ’74 furo­no mol­te le tra­sfor­ma­zio­ni del­la cit­tà che col­pi­ro­no il pro­le­ta­ria­to napo­le­ta­no per il qua­le le atti­vi­tà «ille­ga­li» ave­va­no un ruo­lo impor­tan­te. È chia­ro che di fron­te a que­gli attac­chi i com­pa­gni sen­tis­se­ro l’esigenza di orga­niz­zar­si. Quel col­let­ti­vo è vis­su­to poco per­ché ha subi­to una repres­sio­ne paz­ze­sca, appe­na ven­ne fuo­ri la noti­zia qua­si tut­ti i com­pa­gni furo­no arre­sta­ti ma è un erro­re ana­liz­zar­ne la por­ta­ta poli­ti­ca solo alla luce del­la sua «dura­ta». Noi spes­so abbia­mo un’idea retrò nei con­fron­ti di que­sti feno­me­ni, pen­sia­mo che le strut­tu­re di movi­men­to che nasco­no per un’esigenza deb­ba­no ave­re la stes­sa vita di un col­let­ti­vo poli­ti­co o di un par­ti­to ma non è così. La sto­ria dei movi­men­ti che nasco­no nei ter­ri­to­ri è quel­la che è, le strut­tu­re di movi­men­to spon­ta­nee come que­sto col­let­ti­vo pos­so­no anche dura­re poco ma quel­la che soprav­vi­ve è l’idea di fon­do. Quel­lo che resta è la valen­za poli­ti­ca dell’illegalità orga­niz­za­ta e il suo ingres­so den­tro il pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio, la fine dell’idea di sot­to­pro­le­ta­ria­to come ele­men­to mar­gi­na­le anche nel ragio­na­men­to dei compagni. 

Il col­let­ti­vo dura poco in ter­mi­ni tem­po­ra­li ma le lot­te del cole­ra nasco­no da lì, da un per­cor­so poli­ti­co che si era avvia­to in seno al pro­le­ta­ria­to e al sot­to­pro­le­ta­ria­to urba­no che si orga­niz­za den­tro la cri­si. Biso­gna, quin­di, sem­pre rin­trac­cia­re den­tro que­ste vicen­de, gli ele­men­ti poli­ti­ci di base, le aper­tu­re sul­le qua­li cam­bia il cor­so degli even­ti sto­ri­ci più che la dura­ta del­la sin­go­la espe­rien­za. Nel­la vicen­da dei con­trab­ban­die­ri è pos­si­bi­le leg­ge­re mol­to del­le con­trad­di­zio­ni che avve­ni­va­no a Napo­li in que­gli anni. Nel ’73, con il cole­ra, lo Sta­to avvia una guer­ra ai pro­le­ta­ri del­la cit­tà attac­can­do­ne il sosten­ta­men­to eco­no­mi­co che con­si­ste­va nel­la ven­di­ta per stra­da di gene­ri ali­men­ta­ri, fra cui le coz­ze. La guer­ra al con­trab­ban­do è del­lo stes­so segno. Dopo la Leg­ge 359 i com­pa­gni fino a quel momen­to ave­va­no avu­to un ruo­lo impor­tan­te in quel mon­do, gli ope­rai licen­zia­ti si met­te­va­no insie­me per com­pra­re una bar­ca ma dopo que­sta leg­ge cam­bia tut­to e fini­sce la strut­tu­ra coo­pe­ra­ti­va dal bas­so che, pur sen­za teo­riz­za­zio­ni, era la moda­li­tà su cui era orga­niz­za­ta quell’attività. Alla fine il con­trab­ban­do muo­re per inte­res­si diver­si, una vol­ta che si sono strut­tu­ra­ti quei cana­li com­mer­cia­li è più con­ve­nien­te tra­sfor­mar­lo in cir­cui­to di dro­ga e armi. Quel­la non è una vicen­da di scon­tro fra mafio­si e Sta­to, anzi, è la sto­ria di tra­sfor­ma­zio­ne in sen­so capi­ta­li­sta di un set­to­re dell’economia den­tro cui c’erano mol­ti com­pa­gni e den­tro quel­le vicen­de va let­ta la sto­ria del col­let­ti­vo auto­no­mo di con­trab­ban­die­ri che nasce per lot­ta­re con­tro quell’aggressione del capi­ta­li­smo alla vita dei pro­le­ta­ri. La tra­sfor­ma­zio­ne impo­sta dal Capi­ta­le pesa sui ter­ri­to­ri per­ché distrug­ge strut­tu­re socia­li ed eco­no­mi­che che si reg­ge­va­no su quel­lo. È lo Sta­to che le distrug­ge, attac­can­do i pro­le­ta­ri del cen­tro sto­ri­co nel­la mate­ria­li­tà del­le loro fon­ti di sosten­ta­men­to[8].

Note

[1] I con­trab­ban­die­ri di S. Lucia, regia di A. Bre­scia, con M. Mero­la e A. Saba­to. Prod. Atlas, Ita­lia 1979. 

[2] G. Maz­zoc­chi – A. Vil­la­ni (a cura di), Sul­la cit­tà, oggi. La peri­fe­ria metro­po­li­ta­na. Nodi e rispo­ste, Fran­co Ange­li, Mila­no 2004. 

[3] F. Bar­ba­gal­lo, Il pote­re del­la camor­ra, Einau­di, Tori­no 1999. 

[4] Si veda L. Manun­za, Geo­gra­fie dell’informe. Le nuo­ve fron­tie­re del­la glo­ba­liz­za­zio­ne. Etno­gra­fie da Tan­ge­ri, Napo­li e Istan­bul, Ombre Cor­te, Vero­na 2016. 

[5] Ieri, oggi e doma­ni, regia di V. De Sica, con M. Mastro­ian­ni e S. Loren, Prod. C. Pon­ti, 1963. 

[6] I. Sales, La camor­ra, le camor­re, Edi­to­ri Riu­ni­ti, Roma 1988. 

[7] Volan­ti­no del Col­let­ti­vo Auto­no­mo Con­trab­ban­die­ri, 1974. 

[8] Raf­fae­le Pau­ra, inter­vi­sta, 2019.

Intorno ad una piazza…

Intorno ad una piazza…

Anco­ra una anti­ci­pa­zio­ne del rac­con­to di uno dei pro­ta­go­ni­sti del volu­me X sull’autonomia ope­ra­ia meridionale

“Piaz­za Meda­glie d’O­ro era il pun­to in cui con­flui­va­no, in manie­ra abba­stan­za disor­di­na­ta, com­pa­gni di vario gene­re. Mol­ti di loro pro­ve­ni­va­no da grup­pi orga­niz­za­ti, come i com­pa­gni di Po, che a Napo­li non ave­va mai avu­to un gran­de radi­ca­men­to, o Lc. La piaz­za era un luo­go che diven­ta­va cen­tro di orga­niz­za­zio­ne infor­ma­le del­la poli­ti­ca, in cui veni­va­no costrui­te le mobi­li­ta­zio­ni, soprat­tut­to quel­le anti­fa­sci­ste che in que­gli anni era­no uno degli ele­men­ti carat­te­ri­sti­ci del­la lot­ta a Napo­li. Il Vome­ro era uno degli sno­di più for­ti del­la pre­sen­za fasci­sta a Napo­li e man­te­ne­re quel­la piaz­za era fon­da­men­ta­le. Da quel posto sono par­ti­te nel cor­so de- gli anni una serie di azio­ni nel­le qua­li le appar­te­nen­ze alle orga­niz­za­zio­ni sfu­ma­va­no, non c’era una vera dif­fe­ren­zia­zio­ne. Anche buo­na par­te dei com­pa­gni che ave­va­no attra­ver­sa­to a vario tito­lo Lc, si aggre­ga­va­no sem­pre di più nel­la pra­ti­ca dell’antifascismo mili­tan­te sul­la base di ragio­na­men­ti che par­ti­va­no dal­la discus­sio­ne che sta­va attra­ver­san­do tut­to il movi­men­to sull’uso del­la vio­len­za, a par­ti­re da quel­lo che era suc­ces­so nel ’73 in Cile. Da quel dibat­ti­to si aprì una gran­de discus­sio­ne che cova­va in real­tà sot­to le cene­ri da tem­po, soprat­tut­to fra i com­pa­gni inse­ri­ti nel ser­vi­zio d’ordine di Lc. L’uso del­la for­za e del­la vio­len­za di mas­sa era un tema da sem­pre sot­to trac­cia, tan­to è vero che tut­ti i nostri ragio­na­men­ti veni­va­no poi arric­chi­ti e qua­si anti­ci­pa­ti da alcu­ni epi­so­di. Pen­so alla rispo­sta di mas­sa alla stra­ge di Bre­scia che a Napo­li fu enor­me e tro­vò addi­rit­tu­ra impre­pa­ra­ti i ser­vi­zi d’ordine del­le varie orga­niz­za­zio­ni. La gen­te che sce­se in piaz­za il gior­no del­la mani­fe­sta­zio­ne era mol­to più «attrez­za­ta» e dispo­sta allo scon­tro di quan­to lo fos­si­mo noi e si era dota­ta auto­no­ma­men­te di «mate­ria­li», in quel­la che fu un’azione anti­fa­sci­sta di mas­sa incre­di­bi­le. Le strut­tu­re orga­niz­za­te dove­va­no rin­cor­re­re qua­si la gen­te che assal­ta­va le sedi come quel­la del­la Cisnal a via de Gaspe­ri dove, men­tre pro­va­va­mo a sali­re per le sca­le del palaz­zo vede­va­mo il mobi­lio degli uffi­ci vola­re dal­le fine­stre. Tra quel­la gen­te che ci ave­va pre­ce­du­to c’era di tut­to, anti­fa­sci­sti di ogni pro­ve­nien­za. La vio­len­za e la for­za che il movi­men­to era in gra­do di espri­me­re si mani­fe­sta­va davan­ti ai nostri occhi…” 

(Vit­to­rio For­te – p. 262)

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